Cessione di locazione commerciale e soggetto responsabile per i canoni (art. 36 L. 392/78)

Cass. sez. III, ord. 19/02/2024  n.4.405, rel. Tassone, contiene utili precisazioni per la pratica sul tema:

<<4.1. Tanto premesso, questa Corte, con orientamento cui si intende dare continuità, ha già avuto modo di affermare che “in caso di cessione del contratto di locazione (contestualmente a quella dell’azienda) effettuata ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 36, senza il consenso del locatore, mentre tra (l’unico) cedente e (l’unico) cessionario intercorre un vincolo di responsabilità sussidiaria (contraddistinta dal beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia configurato l’inadempimento del cessionario), nell’ipotesi di verificazione di plurime cessioni a catena, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione dei distinti cedenti, viene a configurarsi tra tutti i cedenti “intermedi” del contratto stesso (compreso il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà (prevista dall’art. 1294 c.c.), in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale conduttore” (così Cass. n. 9486/2007)

4.2. La giurisprudenza successiva ha poi consolidato i seguenti principi:

a) a differenza della cessione del contratto, a struttura trilaterale (il consenso del contraente ceduto è elemento essenziale della cessione, e non co-elemento di efficacia della stessa) la cessione ex art. 36 si perfeziona con la semplice comunicazione al locatore, senza che, rispetto alla sua struttura, incida l’eventuale opposizione del locatore per gravi motivi;

b) in caso di cessione (o locazione) di azienda, con contestuale cessione del contratto di locazione dell’immobile nel quale l’azienda è esercitata, la disciplina recata dalla predetta norma (deviando in parte da quella generale di cui all’art. 1408 cod. civ.) comporta che, se il locatore non può opporsi alla sublocazione o alla cessione del contratto di locazione, unitamente alla cessione o locazione dell’azienda, tuttavia lo stesso può contare sul protrarsi della responsabilità del cedente per il pagamento del canone, nel caso di inadempimento del cessionario, salvo che egli stesso dichiari espressamente di liberarlo (Cass., 28809/2019; Cass. 30/09/2015, n. 19531).

c) il cedente è obbligato in via sussidiaria nei confronti del cessionario, alla stregua di una interpretazione storica e letterale dell’art. 36 in negativo, non essendo stata riprodotta la disposizione della legge n. 19 del 1965, art. 5 che prevedeva testualmente la responsabilità solidale tra cedente e cessionario;

d) la sussidiarietà si sostanzia, peraltro, nel semplice beneficium ordinis (e non anche nel più gravoso beneficium excussionis) in favore del cedente;

e) il rispetto di tale principio postula la semplice messa in mora senza esito del cessionario (con relativa prova a carico del locatore);

f) solo dopo aver rivolto senza esito la richiesta di inadempimento al cessionario ovvero all’ultimo cessionario in caso di cd. cessioni a catena, il locatore potrà rivolgersi, indifferenziatamente e solidalmente, a ciascuno dei cedenti intermedi, che non godono di alcun beneficium ordinis tra loro, e senza alcuna esigenza di integrare il contraddittorio tra i potenziali co-obbligati (da questo principio consegue la configurabilità del litisconsorzio facoltativo, che comporta rapporti scindibili sotto il profilo processuale: v. la già citata Cass., n. 9486/2007: “la illustrata struttura della coobbligazione solidale tra i conduttori convenuti in lite, escluso ogni rapporto di dipendenza o di subordinazione tra le posizioni degli stessi (escluso cioè che la responsabilità dell’un conduttore presupponga o consegua alla responsabilità dell’altro), determina l’autonomia delle domande cumulativamente proposte nei confronti degli stessi, impedendo la configurabilità di un rapporto unico ed inscindibile. Si versa, cioè, in una tipica fattispecie di litisconsorzio facoltativo con rapporti processualmente scindibili”; per cui: “con specifico riferimento alla cessione del contratto di locazione correlata alla cessione di azienda, si è espressa, in maniera reiterata, questa Corte, univoca nell’affermare che sussiste litisconsorzio necessario tra cedente, cessionario e ceduto soltanto quando siano in questione l’avvenuta conclusione, validità ed efficacia del contratto di cessione, ma non quando si controverta unicamente delle vicende del rapporto, potendo in questo caso il locatore esperire separate e distinte azioni nei riguardi dei soggetti tra loro obbligati in solido”; v. ex plurimis, Cass. 09/12/1997, n. 12454; Cass. 29/11/1993, n. 11847; Cass. 31.03.1987, n. 3102)”.

4.3. Questo consolidato orientamento della Corte da un lato è rispettoso della ratio del citato art. 36, che è quella di agevolare il trasferimento di aziende esercenti la loro attività in immobili condotti in locazione dall’imprenditore e di tutelare l’avviamento commerciale (con riferimento a tale ratio v. Cass. 19/01/2010, n. 685), ma, per altro verso, stante l’irrilevanza del consenso del locatore alla cessione della locazione contestuale alla cessione dell’azienda, evenienza questa che rende peculiare l’intera fattispecie speciale di detta cessione, valorizza l’opzione ermeneutica che risulti compatibile con una tutela “rafforzata” del soggetto ceduto al quale, in evidente spregio dei principi di successione nel debito, si nega la facoltà di esprimere la propria volontà ed il proprio assenso.

A tal proposito, perciò, da un lato tra il cedente ed il cessionario divenuto successivo conduttore dell’immobile esiste un vincolo di responsabilità sussidiaria, caratterizzata dal mero beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziali per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia consumato l’inadempimento di detto nuovo conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta di adempimento mediante la semplice modalità della messa in mora. Dall’altro deve ritenersi legittima la configurabilità di una fattispecie di responsabilità cumulativa tra cessionari intermedi, che di per sé integra patente violazione del generale principio della incedibilità delle posizioni passive del rapporto obbligatorio senza il consenso del contraente ceduto, in quanto tuttavia giustificata alla luce della riconduzione ad equilibrio dell’intera vicenda contrattuale in fieri, mediante il meccanismo della “cumulatività indeterminata” della responsabilità tra coobbligati (Cass. 20/04/2007, n. 9486; Cass., 29/08/2019, n. 21794), alla quale si applica la regola generale della presunzione di solidarietà prevista dall’art. 1294 cod. civ., in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari) non liberati dal locatore risponderanno, in solido tra loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale conduttore (cfr. Cass. n. 9486/2007)>>.

Infedeltà coniugale, intollerabilità della convivenza e onere della prova

Cass. sez. I, ord. 18/04/2024 n. 10.489, rel. Ioffrida:

<<Questa Corte ha quindi affermato (Cass. 25618/2007) che “In tema di separazione tra coniugi, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale”.

Il principio è stato ribadito (Cass. 16859/2015) : “In tema di separazione tra coniugi, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, costituisce, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempreché non si constati, attraverso un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale”.

Sempre questa Corte in punto di riparto dell’onere probatorio ha affermato che “grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà”, cosicché “laddove la ragione dell’addebito sia costituita dall’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, se provato, fa presumere che abbia reso la convivenza intollerabile, sicché, da un lato, la parte che lo ha allegato ha interamente assolto l’onere della prova per la parte su di lei gravante, e dall’altro la sentenza che su tale premessa fonda la pronuncia di addebito è sufficientemente motivata” (Cass. 2059/2012; Cass. 3923/2018).

In sostanza, la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale deve essere accertata in modo rigoroso attraverso una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale e chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda di addebito (nella specie, dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza) deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà>>.

Danno alla persona: dubbi se ricorra il biologico o il morale nel caso di depressione da intervento chirurgico al ginocchio mal riuscito

Cass. sez 3  ord. de 22.04.2024 n. 10.787, rel. Vincenti:

<<3. – Deve ora procedersi all’esame del quinto motivo: esso è fondato e ciò comporta l’assorbimento delle censure svolte con il quarto motivo.

13.1. – Questa Corte ha precisato che là dove la sofferenza soggettiva arrecata da un determinato evento della vita, non contenendosi sul piano di un’abituale, normale o comprensibile, alterazione dell’equilibrio affettivo-emotivo del danneggiato, degeneri al punto tale da assumere una configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, non più di un danno morale avrà a discorrersi, bensì di un vero e proprio danno biologico, medicalmente accertabile come conseguenza di una lesione psicologica idonea ad esplicare un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (Cass. n. 6443/2023; Cass. n. 18056/2019).

13.2. – Nella specie, lo stesso giudice di appello ha riconosciuto (p. 7 della sentenza impugnata), condividendo quanto già accertato dal primo giudice, che le conseguenze derivate all’attrice dal decorso post-operatorio si sono tradotte in un “disturbo di adattamento con umore depresso di tipo cronico”, ossia in una situazione che ha trasceso il piano della sofferenza soggettiva, tale da mutare in una condizione psicologica di tipo patologico.

La Corte territoriale ha dunque errato nel ricondurre lo “stato psicopatologico depressivo” tra i presupposti della “personalizzazione del danno” non patrimoniale e “in una misura proporzionata al profilo psico esistenziale, di una persona che all’epoca svolgeva un’attività lavorativa di impiegata con una ordinaria sfera di vita personale, indubbiamente penalizzata”, giacché avrebbe dovuto, ai fini della liquidazione complessiva del danno biologico, altresì prendere in considerazione il danno psichico allegato e provato dalla Bo..

13.3. – A tal fine, essendosi in presenza di lesioni monocrone coesistenti – e cioè, di lesioni plurime riguardanti organi e funzioni diverse derivate da un medesimo evento dannoso – il giudice di secondo grado dovrà, quindi, tenere conto che il danno biologico è unitario, per cui la valutazione medico-legale delle singole menomazioni, che determinano un peggioramento globale della salute, deve essere complessiva (Cass. n. 8286/1996; Cass. n. 18328/2019).

In tal senso, non potrà, quindi, addivenirsi ad una mera sommatoria algebrica delle percentuali di invalidità previste per il singolo organo o apparato, ma ad un apprezzamento funzionale e, per l’appunto, complessivo delle singole invalidità, attraverso un corretto criterio medico-legale e in base ad un “barème” redatto con criteri di scientificità (Cass. n. 11724/2021; Cass. n. 19229/2022).

In siffatto contesto, poi, il giudice di merito dovrà considerare che il risarcimento spettante al danneggiato per il danno biologico -ordinariamente liquidato con il metodo c.d. tabellare in relazione, come detto, a un “barème” medico legale che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona – può essere incrementato in via di “personalizzazione” solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna “personalizzazione” in aumento (tra le altre: Cass. n. 27482/2018; Cass. n. 28988/2019; Cass. n. 5865/2021).

14. – L’esito dello scrutinio del quinto motivo, come detto, assorbe l’esame del quarto motivo, giacché implica una riliquidazione complessiva del danno biologico, in tutte le sue componenti (temporanea e permanente), in ragione della coesistenza, a carico dell’attrice, della lesione del nervo femorale e della patologia depressiva>>.

Istruzioni sulla prova della rinomanza dei marchi dal Tribunale UE (che viene normalmente acquisita e persa con gradualità)

Trib. UE 24.04.2024, T-157/23, Kneipp GmbH c. EUIPO-Patou:

<<Whether the earlier mark has a reputation and the burden of proof in relation to that reputation

19 In that regard, it must be borne in mind that, according to the case-law, in order to satisfy the requirement of reputation, a mark must be known to a significant part of the public concerned by the goods or services covered by that trade mark. In examining that condition, it is necessary to take into consideration all the relevant facts of the case, in particular the market share held by the earlier mark, the intensity, geographical extent and duration of its use, and the size of the investment made by the undertaking in promoting it. There is, however, no requirement for that mark to be known by a given percentage of the relevant public or for its reputation to cover all the territory concerned, so long as that reputation exists in a substantial part of that territory (see judgment of 12 February 2015, Compagnie des montres Longines, Francillon v OHIM – Staccata (QUARTODIMIGLIO QM), T‑76/13, not published, EU:T:2015:94, paragraph 87 and the case-law cited).

20 However, the above list being merely illustrative, it cannot be required that proof of the reputation of a mark pertains to all those elements (see judgment of 26 June 2019, Balani Balani and Others v EUIPO – Play Hawkers (HAWKERS), T‑651/18, not published, EU:T:2019:444, paragraph 24 and the case-law cited).

21 Furthermore, an overall assessment of the evidence adduced by the proprietor of the earlier mark must be carried out in order to establish whether that mark has a reputation (see, to that effect, judgment of 10 May 2012, Rubinstein and L’Oréal v OHIM, C‑100/11 P, EU:C:2012:285, paragraph 72). An accumulation of items of evidence may allow the necessary facts to be established, even though each of those items of evidence, taken individually, may be insufficient to constitute proof of the accuracy of those facts (see judgment of 26 June 2019, HAWKERS, T‑651/18, not published, EU:T:2019:444, paragraph 29 and the case-law cited).

22 Next, it should be noted that the reputation of an earlier mark must be established as at the filing date of the application for registration of the mark applied for (judgment of 5 October 2020, Laboratorios Ern v EUIPO – SBS Bilimsel Bio Çözümler (apiheal), T‑51/19, not published, EU:T:2020:468, paragraph 112). Documents bearing a date after that date cannot be denied evidential value if they enable conclusions to be drawn with regard to the situation as it was on that date. It cannot automatically be ruled out that a document drawn up some time before or after that date may contain useful information in view of the fact that the reputation of a trade mark is, in general, acquired progressively. The evidential value of such a document is likely to vary depending on whether the period covered is close to or distant from the filing date (see judgment of 16 October 2018, VF International v EUIPO – Virmani (ANOKHI), T‑548/17, not published, EU:T:2018:686, paragraph 104 and the case-law cited; see also, by analogy, order of 27 January 2004, La Mer Technology, C‑259/02, EU:C:2004:50, paragraph 31).

23 In the present case, the reputation of the earlier mark had to be established as at 29 November 2019, the date on which the application for registration of the mark applied for was filed. The Board of Appeal found, in paragraph 46 of the contested decision, that, as a whole, the evidence submitted by the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO demonstrated convincingly that the earlier mark enjoyed a strong reputation, at least in France, which constitutes a substantial part of the territory of the European Union, in respect of perfumery and fragrances in Class 3 for which, inter alia, the earlier mark was registered.

24 In particular, it should be noted that, in order to find that the reputation of the earlier mark had been established, the Board of Appeal relied on the evidence referred to in paragraph 6 of the contested decision, namely, a statement signed by a representative of the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO, various copies of licence agreements or agreements conferring rights in respect of a trade mark JOY between that party and third parties, images of products, several extracts from websites of the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO and third parties, a large number of articles and press cuttings, extracts from books, advertisements, numerous invoices and extracts from ‘tweets’.

25 In the first place, it is necessary to examine the applicant’s argument that the documents produced by the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO, the existence of which is not disputed, do not provide evidence of the reputation of the earlier mark in a significant part of the relevant territory in the absence, in particular, of information concerning the market share of the earlier mark.

26 In that regard, as a preliminary point, it is necessary to reject the applicant’s arguments suggesting that the evidence intended to prove the reputation of the earlier mark in Member States other than the French Republic is irrelevant. While it is true that the Board of Appeal found that the earlier mark had a reputation ‘at least in France’ and that that State constituted a substantial part of the territory of the European Union, that does not mean that the evidence relating to other Member States is irrelevant. On the contrary, the latter evidence further supports the Board of Appeal’s finding, by demonstrating in particular the geographical scope of the earlier mark’s reputation, and must therefore be taken into consideration.

27 First, it should be noted that the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO produced (i) numerous online articles (exhibit 7) showing that the perfume Joy was voted, in 2000, ‘Scent of the Century’ by the UK FiFi Awards, which is described as ‘perfume’s ultimate accolade’, and (ii) a screenshot of the Fragrance Foundation’s website (exhibit 6), referring to the listing of the perfume Joy on the ‘Hall of Fame’ of that foundation in 1990. As noted by the Board of Appeal, those awards are prestigious awards, which involve both longstanding use of the earlier mark and recognition of that mark by the relevant public.

28 Second, the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO produced various extracts from books, articles and press cuttings (exhibits 4, 5, 12 and Annex 2) showing, inter alia, the use of the earlier mark for perfumes and fragrances and attesting that a significant part of the relevant public, in particular in France, knew the perfume Joy. The numerous extracts from articles, the date and place of publication of which can for the most part be identified, relate in particular to the years 2013, 2014, 2016 and 2017 and were published in several Member States, namely, Belgium, Bulgaria, Germany, Estonia, Italy, Portugal and, mainly, France, in fashion and beauty magazines of national or international importance, such as Elle, Grazia, Gala or Vogue. Several articles, dated from 2015 to 2017, describe the perfume Joy as the ‘second best-selling perfume of all time’, ‘one of the most popular and successful fragrances in the world’, ‘a strong rival to the number one best-selling fragrance of all time’. Lastly, several books on perfumery deal with the perfume Joy, listing it as one of ‘the five greatest perfumes in the world’, or as one of the ‘111 perfumes you must smell before you die’ or describing it as ‘one of the greatest floral perfumes ever created’. Finally, a selection of ‘tweets’ dated from the period between 2013 and 2015 (exhibit 14) demonstrates the social media presence of the earlier mark.

29 Third, the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO produced 27 invoices (exhibit 11) corresponding to advertising campaigns, which it carried out in 2013, 2014 and 2018, not only in the press, but also on television at a significant cost, in order to promote the earlier mark.

30 Fourth, the abovementioned factors are supported by a large number of invoices (exhibit 16) relating to sales involving several thousand products covered by the earlier mark, in an amount of tens of thousands of euro, to various distributors in several Member States, namely, Belgium, Bulgaria, Denmark, Germany, Estonia, Spain, France, Italy, Lithuania, Hungary, Portugal and Romania, for the years 2013 to 2018.

31 In the light of the case-law cited in paragraphs 20 and 21 above, it follows from the foregoing that, assessed as a whole, that evidence establishes that the earlier mark has a reputation in a substantial part of the territory of the European Union, in particular in France, as regards perfumery and fragrances in Class 3.

32 The other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO made significant efforts and investments in order to promote the earlier mark among the general public and in particular among the French general public. Those efforts took the form of significant advertising campaigns, a media presence in newspapers and magazines aimed at the general public and widely distributed within the European Union. Furthermore, the sales invoices submitted which related mainly to sales of perfumes and ‘eaux de parfums’ support the abovementioned factors demonstrating, inter alia, the wide geographical coverage of the earlier mark on that territory and a constant effort on the part of the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO to maintain its market share, at least until 2018.

33 Those documents, as well as the prestigious awards won by the perfume Joy, make it possible to establish that the earlier mark is widely known by the general public, in relation to the goods which it designates, in a substantial part of the territory of the European Union, even though those awards date back several years and sales figures fell between 2013 and 2018. In the latter regard, it should be noted that, in any event, the earlier mark enjoyed a high degree of reputation in the past, which, even if it were to be assumed that it may have diminished over the years, still survived at the date of filing the application for registration of the mark applied for in 2019; accordingly, a certain ‘surviving’ reputation remained at that date (see, to that effect, judgment of 8 May 2014, Simca Europe v OHIM – PSA Peugeot Citroën (Simca), T‑327/12, EU:T:2014:240, paragraphs 46, 49 and 52).

34 Thus, the applicant’s argument that a significant part of the relevant public are teenagers who were not born when the perfume Joy won those awards and that adults aged 18 to 29 were not aware of the historical events, such as the awards and mentions in books at the relevant time, is unfounded. As EUIPO correctly submits, those parts of the relevant public may become aware of the long-lasting reputation of the earlier mark, without necessarily being the witnesses of all the awards and public praise achieved by the earlier mark in the past, and may come into contact with that mark, by way of example, through digital advertising, billboards or the printed press. Moreover, the EU judicature has already held that it cannot be ruled out that a ‘historical’ mark may retain a certain ‘surviving’ reputation, including where that mark is no longer used (see, to that effect, judgment of 8 May 2014, Simca, T‑327/12, EU:T:2014:240, paragraphs 46, 49 and 52).

35 Furthermore, such reasoning also applies to the applicant’s argument that a significant part of the relevant public does not frequent luxury retail outlets, with the result that it cannot know the perfume Joy which is sold only by selected and prominent luxury retailers. First, the public concerned acquires and retains knowledge of a mark in several ways, in particular by visiting in person retail outlets where the corresponding products are sold, but also by other means such as those described in paragraph 34 above. Second, even consumers in the general public who cannot afford to purchase luxury branded goods are often exposed to them and are familiar with them (see, to that effect, judgment of 19 October 2022, Louis Vuitton Malletier v EUIPO – Wisniewski (Representation of a chequerboard pattern II), T‑275/21, not published, EU:T:2022:654, paragraph 47).

36 Furthermore, contrary to what the applicant claims, the fact that the market share held by the earlier mark has not been established by the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO does not necessarily mean that the reputation of the earlier mark has not been established. First, as is apparent from the case-law cited in paragraphs 19 and 20 above, the list of factors to be taken into account in order to assess the reputation of an earlier mark is indicative and not mandatory, as all the relevant evidence in the case must be taken into account and, second, the detailed and verifiable evidence produced by the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO is sufficient in itself to establish conclusively the reputation of the earlier mark for the purposes of Article 8(5) of Regulation 2017/1001 (see judgment of 14 September 2022, Itinerant Show Room v EUIPO – Save the Duck (ITINERANT), T‑417/21, not published, EU:T:2022:561, paragraph 86 and the case-law cited).

37 In the second place, the applicant also relies on the fact that the Board of Appeal assumed that the earlier mark had a reputation and wrongly stated that it was for the applicant to prove a drastic loss of reputation of the earlier mark between 2018 and 29 November 2019, the filing date of the mark applied for.

38 As recalled in the case-law cited in paragraph 22 above, it cannot automatically be ruled out that a document drawn up some time before or after the filing date of the application for registration of the mark at issue may contain useful information in view of the fact that the reputation of a trade mark is, in general, acquired progressively. The same reasoning applies to the loss of such a reputation, which is also, in general, lost gradually. The evidential value of such a document is likely to vary depending on whether the period covered is close to or distant from the filing date.

39 Thus, evidence which predates the filing date of the application for registration of the contested mark cannot be deprived of probative value on the sole ground that it bears a date which predates that filing date by five years (judgment of 5 October 2020, apiheal, T‑51/19, not published, EU:T:2020:468, paragraph 112).

40 It is also apparent from the case-law that, as regards the burden of proof in relation to reputation, it is borne by the proprietor of the earlier mark (see judgment of 5 October 2022, Puma v EUIPO – CMS (CMS Italy), T‑711/20, not published, EU:T:2022:604, paragraph 83 and the case-law cited).

41 In the present case, in paragraph 34 of the contested decision, the Board of Appeal, after recalling that the application for registration had been filed on 29 November 2019, emphasised that most of the evidence submitted related to the period between 2013 and 2017 and that some of that evidence dated back to 1990, 2000 or 2006; however, it noted that the evidence in fact contained indications concerning the continuous efforts of the other party to the proceedings before the Board of Appeal of EUIPO to maintain its market share in 2018, before adding that ‘the loss of reputation rarely happens as a single occurrence but is rather a continuing process over a long period of time, as the reputation is usually built up over a period of years and cannot simply be switched on and off’ and that ‘in addition, such drastic loss of reputation for a short period of time would be up to the applicant to prove’.

42 Thus, contrary to what the applicant claims, that assessment does not constitute a reversal of the burden of proof and is consistent with the case-law cited in paragraphs 38 to 40 above. In the absence of concrete evidence showing that the reputation progressively acquired by the earlier mark over many years suddenly disappeared during the last year under examination, the Board of Appeal was entitled to conclude that the earlier mark still had a reputation on 29 November 2019, the relevant date (see, by analogy, judgment of 7 January 2004, Aalborg Portland and Others v Commission, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P and C‑219/00 P, EU:C:2004:6, paragraph 79).

43 Therefore, the first complaint of the single plea in law must be rejected>>.

Mantenimento dei legami con il genitore biologico da parte del minore adottato.

Cass. sez. I, sent.  16/04/2024  n. 10.278, rel. Reggiani:

<<2.5. Com’è noto, questa Corte (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 230 del 05/01/2023) ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 3, L. n. 184 del 1983, proprio con riferimento alla parte in cui è stabilito che il minore adottato non può mantenere legami con la famiglia di origine, in rapporto agli artt. 2,3,30 e 117 Cost. (quest’ultimo in relazione agli artt. 8 CEDU, 24 della Carta di Nizza e 3, 20 comma 3 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 1991).

(…)

Secondo la Corte costituzionale, infatti, la cessazione dei rapporti con la famiglia biologica, prevista dalla norma in esame, attiene di necessità e inderogabilmente al piano delle relazioni giuridico-formali. Quanto, invece, alla interruzione dei rapporti di natura socio-affettiva, la norma racchiude una presunzione solo iuris tantum che il distacco di fatto dalla famiglia d’origine realizzi l’interesse del minore. Simile presunzione non esclude che, sulla scorta degli indici normativi desumibili dalla stessa legge n. 184 del 1983, letti nella prospettiva costituzionale della tutela del minore e della sua identità, il giudice possa accertare che la prosecuzione di significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con alcuni componenti della famiglia d’origine realizzi il migliore interesse del minore e, per converso, la loro interruzione sia tale da poter cagionare allo stesso un pregiudizio. Ove, pertanto, sussistano radici affettive profonde con familiari che, tuttavia, non possono condurre all’esclusione dello stato di abbandono, risulta preminente l’interesse dell’adottato a non subire l’ulteriore trauma di una recisione di ogni rapporto con la famiglia di origine, mediante la preservazione di una linea di continuità con il mondo degli affetti che appartiene alla sua memoria e che costituisce un importante tassello della sua identità.

La combinazione di indici astratti e di accertamenti di fatto consente, pertanto, al giudice di vincere la presunzione, sottesa all’art. 27, comma 3, della legge n. 184 del 1983, che la cessazione delle relazioni socio-affettive, in conseguenza della rottura del legame giuridico-parentale, sia in concreto nell’interesse del minore.

2.6. Come già evidenziato, la statuizione della Corte costituzionale (che, pur essendo di rigetto, ha certamente valenza rilevante ai fini interpretativi), si riferisce al disposto dell’art. 27, comma 3, L. n. 184 del 1983, il quale si colloca in una fase successiva alla pronuncia di adottabilità, perché attiene alla pronuncia di adozione.

È, tuttavia, evidente che, laddove risulti conforme all’interesse del minore mantenere rapporti affettivi con alcuni dei componenti della famiglia di origine, tale esigenza non può non essere assecondata già al momento della dichiarazione di adottabilità, mediante l’adozione del provvedimenti di cui all’art. 19 L. cit., proprio in considerazione del successivo esito della procedura di adozione, conseguente alla lettura costituzionalmente orientata dell’art. 27, comma 3, L. cit., offerta dalla sentenza della Corte Costituzionale sopra menzionata.

Ciò significa che l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 27, comma 3, L. cit. finisce per dare concreto contenuto anche alle misure che possono essere assunte a seguito della dichiarazione di adottabilità, ove la conservazione dei rapporti affettivi con alcuni dei componenti della famiglia di origine non può non essere consentita a tutela dell’interesse primario del minore.

2.7. Al momento in cui è dichiarato lo stato di adottabilità, l’interesse del minore, che si sostanzi nella conservazione dei contatti con alcuni dei componenti della famiglia di origine, costituisce l’unico criterio da seguire nella valutazione delle misure da assumere ai sensi dell’art. 19 L. cit., senza che siano ravvisabili altri interessi suscettibili di essere considerati e bilanciati.

L’art. 19 L. n. 184 del 1983 è chiaro nel prevedere soltanto che il giudice adotti “gli ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore” e, in effetti, il procedimento volto alla dichiarazione dello stato di adottabilità ha come unica finalità quella di adottare le decisioni migliori nell’esclusivo interesse del minore.

In altre parole, l’evoluzione interpretativa dell’istituto dell’adozione piena, offerta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 2023, sopra illustrata, secondo la quale l’art. 27, comma 3, L. cit. non esclude che, nelle specifiche situazioni del caso concreto, l’interesse superiore del minore sia tale da imporre, al momento della pronuncia di adozione, di conservare rapporti affettivi con alcuni dei componenti della famiglia di origine, comporta la necessità di dare rilievo a tale interesse del minore già al momento della pronuncia che dichiara l’adottabilità, ove l’art. 19 L. cit. consente di adottare “gli ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore” ed, anzi, in tale sede, l’assunzione di tali provvedimenti e l’estensione degli stessi vanno modulate esclusivamente in vista della tutela dell’interesse del minore senza tollerare alcun bilanciamento con altre e diverse esigenze.

In questa esclusiva ottica di massima protezione ed attuazione dell’interesse preminente del minore, le statuizioni relative alla continuità affettiva ed alla non recisione dei rapporti dei minori adottandi non possono che essere dotate di una stabilità relativa e non possono rivestire carattere di immutabilità.

Come sopra evidenziato, si tratta di misure convenienti ex art. 333 c.c., soggette al monitoraggio del giudice specializzato che deve ascoltare le istanze delle parti e disporre, ove necessario, mediante il supporto dei servizi territoriali, modifiche, integrazioni, modulazioni diverse>>

Sulla diferenza tra caparra confirmatoria e clausola penale

Cass. sez. II ord. 18/04/2024 n. 10.541, rel. Amato:

fatto processuale:

<<7.1. Nel caso di specie, la sentenza d’appello – confermando la sentenza di prime cure – ha ritenuto che la promittente alienante avesse inteso esercitare il recesso dal contratto preliminare in forza di una caparra confirmatoria versata solo in parte; essendo prevista in contratto preliminare cumulativamente alla caparra una penale a carico della parte inadempiente, la stessa Corte ha confermato la condanna dell’appellante – ritenuto inadempiente per non aver corrisposto né l’integrale ammontare della caparra convenuta, né l’intero prezzo di vendita – al pagamento della penale, sebbene ridotta dal 30 al 15% del prezzo di vendita dell’immobile>>.

Valutazione della SC:

<<7.1.1. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che, ferma la possibilità di prevedere congiuntamente nel contratto una caparra confirmatoria e una clausola penale, i due istituti mantengono comunque funzioni diverse.

7.1.2. La caparra confirmatoria, oltre a dimostrare esteriormente la conclusione del contratto e ad integrare un’anticipata, parziale esecuzione della prestazione convenuta, ha la funzione di rappresentare un anticipato risarcimento del danno in caso di mancato adempimento. Sotto tale aspetto, essa si accosta alla clausola penale stipulata per il caso d’inadempimento, per il fine che essa rivela di indurre l’obbligato ad eseguire la prestazione.

Tuttavia, l’accostamento tra caparra confirmatoria e clausola penale stipulata per il caso d’inadempimento non può andare oltre il rilievo del comune intento che esse rivelano di indurre l’obbligato all’adempimento, in quanto esse hanno un diverso ambito di applicazione. Mentre la prima è applicabile al caso che il contratto non debba essere più adempiuto per l’avvenuto esercizio del diritto di recesso; la seconda è, invece, applicabile al caso in cui il diritto di recesso non sia stato esercitato: in tale ultima ipotesi, la clausola penale ha la funzione di limitare preventivamente il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto, domandarne l’esecuzione o la risoluzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10953 del 28/06/2012; Sez. 1, Sentenza n. 925 del 09/05/1962; Sez. 2, Sentenza n. 4274 del 20/11/1954). Siffatta discriminazione tra caparra confirmatoria e clausola penale resta ferma anche nell’ipotesi di specie, in cui – con riferimento alla caparra confirmatoria – è stato previsto il suo pagamento prima della stipula del contratto definitivo (Cass. n. 35068 del 2022, cit.).

7.1.3. Qualora la parte non inadempiente (La. Srl nel caso che ci occupa) avesse manifestato la volontà di optare per l’esercizio del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, anziché il recesso ex art. 1385, comma 2, cod. civ., la prova incombente sulla parte adempiente avrebbe riguardato esclusivamente l’eventuale maggior danno subìto in conseguenza dell’inadempimento dell’altra parte: per il caso di previsione cumulativa di caparra e penale nello stesso contratto, tale ulteriore danno è automaticamente determinato nel quantum previsto a titolo di clausola penale che ha la funzione di limitare il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto, domandarne la risoluzione (Sez. 2, Sentenza n. 10953 del 28/06/2012, Rv. 623124-01)>>.

Applicando al caso de quo:

<<7.2. In applicazione dei suddetti principi, nel caso che ci occupa l’esercizio del recesso richiesto da La. Srl già in primo grado con domanda riconvenzionale, ritenuto legittimo da entrambi i giudici del merito con conseguente ritenzione della somma versata in parte dal promissario acquirente a titolo di caparra, esclude che La. Srl – quale parte non inadempiente – possa ottenere anche il versamento della penale, non potendo essa comunque dimostrare alcun maggior danno (determinato nel quantum previsto a titolo di clausola penale), nel rispetto della richiamata duplice funzione – propria della caparra confirmatoria – di anticipazione della prestazione dovuta come del risarcimento del danno in caso di mancato adempimento.

7.3. La sentenza impugnata non ha correttamente applicato i suddetti principi in tema di stipulazione congiunta di caparra confirmatoria e clausola penale, nell’ipotesi di esercizio del recesso. Pertanto, essa merita di essere cassata; decidendo nel merito, sulla base dei fatti accertati nelle fasi pregresse, la Corte esclude la condanna di Iu.Ma. al pagamento della penale di Euro 28.663,35>>.

Marchi musicali: difficile registrarli!

Marcel Pemsel in IPKat  ci notizia di una decisione di appello dell’Ufficio europeo sulla registrazione (che viene negata, confermando il 1 grado) di un jingle sonoro di due secondi (ascoltabile qui): 5° BoA EUIPO 02.04.2024, Case R 2220/2023-5, Berliner Verkehrsunternehmen (BVG), (trad. inglese automatica, orig. tedesco)

<<18 The sign applied for is a sound sign of two seconds, which consists only of a simple sequence of four different perceptible sounds. The applicant’s argument that the sound mark consisted of many different sounds that were played at the same time by several votes is incorrect in this respect. The sign is so short that only four sounds are perceived.
19. The sign applied for is so short and commonplace that it has no resonance or a certain recognition value that would enable the targeted consumers to regard it as an indication of origin and not merely as a functional element or as a reference without message.
20. It is a generally known fact, which is argued both by the examiner and by the applicant, that a short sound  sequence is usually played before loudspeaker messages in relation to information on means of transport, so that travellers direct their attention to the following message. Normally, these announcements take place in environments with many different sounds, which means that it is not easy for the pushchair to distinguish the message from other background sounds. Loudspeaker messages, which are initiated by a Jtelevisions, become part of transport; Passenger transport in Class 39, that is to say, for example, at airport maintenance halls, on traction and bus transport. If the relevant consumer heard the sound sign applied for before passing through a loudspeaker, he will not associate it with a particular undertaking without familiarisation and will simply perceive it as a sound which is intended to attract the attention of the reader and direct it to the subsequent loudspeaker diffusers. It is therefore a sound sign that simply has a functional task, namely to announce or causes a loudspeaker penetration.
21. Also in relation to the services packaging of goods; Storage of goods; The sign applied for is not capable of performing its main function as an indication of commercial origin. If the trade circles targeted come into contact with this very short and simple sound sequence in connection with these services, they will at most assume that the sound refers to certain aspects of the service (e.g. the beginning of an announcement) or is used in advertising for
these services. The sign is therefore devoid of distinctive character within the meaning of Article 7(1)(b) EUTMR in relation to all the services applied for in Class 39>>.

Effettivamente, oltre ad essere brevissimo, è pure un suono banale.

Accessione e comunione legale : l’acquisto ex art 934 cc prevale su quello ex art. 177 cc

Cass.  Sez. II, ord. 22 aprile 2024 n. 10727 , Rel. Cavallino:

<<Il principio generale dell’accessione posto dall’art. 934 c.c., in base al quale il proprietario del suolo acquista “ipso iure” al momento dell’incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata, non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un’apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177, comma 1, c.c. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo, mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all’onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell’onere della prova di avere fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le somme spese a tal fine>>.

(massima di Valeria Cianciolo su ONDIF)

Il Garante privacy ha il potere di agire d’ufficio per sanzionare un trattamento dati illecito

Importante regola affermata dalla Corte di Giustizia 14 marzo 2024, C-46/23,Budapest Főváros IV. Kerület Újpest Önkormányzat Polgármesteri Hivatala contro Nemzeti Adatvédelmi és Információszabadság Hatóság.

Seppur desumibile con una certa sicurezza dall’articolato complessivo del GDPR, è comunque importante, poichè toglie di mezzo eventiuali dubbi su un aspetto assai significativo nella pratica e non posto in modo espresso.

Quesiti proposti dal giudice ungherese:

«1)      Se l’articolo 58, paragrafo 2, in particolare le lettere c), d) e g), del [RGPD] debba essere interpretato nel senso che l’autorità nazionale di controllo può, nell’esercizio dei suoi poteri correttivi, ingiungere al titolare o al responsabile del trattamento di cancellare i dati personali trattati illecitamente anche in assenza di un’esplicita richiesta dell’interessato ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del [RGPD].

2)      Nel caso in cui si risponda alla prima questione pregiudiziale che l’autorità di controllo può ingiungere al titolare del trattamento o al responsabile del trattamento di cancellare i dati personali trattati illecitamente, anche in assenza di richiesta dell’interessato, se ciò sia indipendente dal fatto che i dati personali siano stati raccolti o meno presso l’interessato».

Intepretazione della CG:

<<1) L’articolo 58, paragrafo 2, lettere d) e g), del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), deve essere interpretato nel senso che:

l’autorità di controllo di uno Stato membro è legittimata, nell’esercizio del suo potere di adozione delle misure correttive previste da tali disposizioni, a ordinare al titolare del trattamento o al responsabile del trattamento di cancellare dati personali che sono stati trattati illecitamente, e ciò anche qualora l’interessato non abbia presentato a tal fine alcuna richiesta di esercitare i suoi diritti in applicazione dell’articolo 17, paragrafo 1, di tale regolamento.

2) L’articolo 58, paragrafo 2, del regolamento 2016/679 deve essere interpretato nel senso che:

il potere dell’autorità di controllo di uno Stato membro di ordinare la cancellazione di dati personali che sono stati trattati illecitamente può riguardare sia dati raccolti presso l’interessato sia dati provenienti da un’altra fonte>>.

Colpa nella causazione di sinistro stradale e contrazione di epatite C da emotrasfusione eseguita dall’ospedale nel conseguente ricovero: non c’è nesso di causa, alla luce del criterio dello “scopo della norma violata”

Cass. sez. III, sent. 28/03/2024 n. 8.429, rel. Scoditti:

<<Al riguardo, non può non essere rammentata la giurisprudenza penale di questa Corte. La divergenza circa la valutazione probatoria del nesso eziologico fra criterio civilistico (“più probabile che non”) e criterio penalistico (“oltre ogni ragionevole dubbio”), dettata dall’essere il danno ingiusto il centro di gravità dell’illecito civile, non può arrivare ad una differenziazione del contenuto del rapporto di causalità, tale da far ritenere un soggetto per il medesimo evento responsabile sul piano civile e non responsabile sul piano penale, con inevitabile contraddittorietà fra le valutazioni dell’ordinamento giuridico. Ebbene, secondo la costante giurisprudenza penale di questa Corte, la responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare deve aver determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mirava a prevenire, poiché alla colpa dell’agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causalmente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare (Cass. n. 30985 del 2019; n. 40050 del 2018; n. 35585 del 2017; n. 1819 del 2015).

Il criterio dello scopo della norma violata costituisce integrazione della regola eziologica anche nella giurisprudenza civile (da ultimo Cass. Sez. U. n. 13246 del 2019, punto 50 in motivazione). Secondo questo criterio, quando l’illecito consiste nella violazione di regole poste allo scopo di evitare la creazione di un rischio irragionevole, la responsabilità si estende solo agli eventi dannosi che siano realizzazione del rischio in considerazione del quale la condotta è vietata. Il divieto di una certa condotta presuppone l’individuazione della sequenza causale che tipicamente porta all’evento il cui verificarsi si vuole scongiurare. L’illecito colposo derivante dalla violazione della regola cautelare stabilisce così un peculiare nesso fra colpa ed evento. Nel momento del giudizio sulla colpa specifica, relativo all’applicazione della regola cautelare, vengono svolte le seguenti valutazioni di natura schiettamente causale: a) verificare se l’evento dannoso prodottosi realizzi il rischio per evitare il quale la regola causale è diventata parte dell’ordinamento; b) verificare se l’evento dannoso sarebbe stato evitato con la condotta alternativa lecita. Come non si è mancato di sottolineare in dottrina, le medesime valutazioni ricorrono anche nel caso della colpa generica, nel qual caso la regola di condotta non preesiste all’illecito, ma viene ricostruita ex post, a partire proprio dalla fattispecie concreta, valutando se l’evento si ponga quale esito di una sequenza eziologica regolare, che l’agente avrebbe potuto e dovuto prevedere ed evitare.

Deve escludersi che l’epatite da virus HCV contratta a seguito dell’emotrasfusione, eseguita in sede di intervento chirurgico determinato dalle lesioni riportate nel sinistro stradale, possa costituire concretizzazione del rischio della regola che mirava a prevenire il detto sinistro, anche valutando la fattispecie non solo dal punto di vista della colpa specifica, ma anche da quello della colpa generica. L’esistenza del requisito soggettivo della colpa sotto il profilo delle regole della circolazione stradale non vale ad estendere, sul piano eziologico, la responsabilità per l’evento dannoso cagionato dalla condotta quale soggetto agente nella detta circolazione, indubbiamente ipotizzabile, alla responsabilità per un evento, quale la contrazione dell’infezione, che la regola violata non mirava a prevenire.

Né può affermarsi che, poiché la condotta alternativa (rispettosa della regola cautelare) avrebbe evitato l’evento dannoso del sinistro stradale, quella condotta avrebbe anche evitato l’emotrasfusione pregiudizievole [è la parte più interessante] . Affermare questo significa introdurre la problematica del concorso di cause, in relazione alla quale si dovrebbe tornare alla valutazione svolta da Cass. n. 6023 del 2001, ma, come si è visto, di tale problematica manca la premessa, e cioè che la condotta in violazione della regola di circolazione stradale costituisca una causa in senso tecnico. Ad escludere questa premessa vi è quanto detto in ordine alla tipica eziologia dell’illecito colposo, legata al contenuto della regola cautelare violata. Più precisamente, la condotta colposa dell’agente nella circolazione stradale risulta soverchiata da un fattore eziologico, l’emotrasfusione pregiudizievole, che l’agente non poteva dominare in quanto estraneo al fuoco del comportamento che gli era prescritto dalla regola cautelare. La verifica se l’evento dannoso sarebbe stato evitato con la condotta alternativa lecita va fatta, quindi, non rispetto all’evento dannoso estraneo alla regola cautelare, ma a quello che quest’ultima mirava a prevenire, e la valutazione della sua portata eziologica si esaurisce nell’apprezzamento del solo nesso con quest’ultimo evento. Ne discende che non può dirsi, in senso eziologico, che l’emotrasfusione pregiudizievole sarebbe stata evitata dal rispetto della regola cautelare di circolazione stradale>>.

Principio di diritto: “non sussiste il rapporto di causalità fra l’evento dannoso costituito dall’epatite da virus HCV, contratta a seguito di emotrasfusione compiuta nel corso dell’intervento chirurgico richiesto dalle lesioni riportate in un sinistro stradale, e la condotta colposa, in violazione delle regole della circolazione stradale, che ha cagionato le dette lesioni“.