Cass. sez. I, ord. 03/04/2024 n. 8.859, rel. Caiazzo:
<<La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass., SU, n. 18287/18).
In tema di attribuzione dell’assegno divorzile e in considerazione della sua funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, il giudice del merito deve accertare l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte “manente matrimonio”, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali – reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente; a tal fine, l’assunzione, in tutto o in parte, delle spese di ristrutturazione dell’immobile adibito a casa coniugale, di proprietà esclusiva dell’altro coniuge, non costituisce ex se prova del suddetto contributo, rientrando piuttosto nell’ambito dei doveri primari di solidarietà e reciproca contribuzione ai bisogni della famiglia durante la comunione di vita coniugale (Cass., n. 9144/23).
Nella specie, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, il thema decidendum consiste nel verificare se la Corte d’appello abbia correttamente applicato i principi affermati dapprima dalle Sezioni Unite, e poi ribaditi da questa stessa Sezione, in ordine ai presupposti dell’assegno divorzile.
In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata che non avrebbe motivato sul contributo dell’ex moglie alla formazione del patrimonio comune, o dell’ex coniuge; la So.Ro. ha sostanzialmente replicato che avrebbe contribuito alla formazione del trust che, sebbene formalmente di proprietà della madre del ricorrente, si sarebbe costituito con il contributo di entrambi i coniugi (s’invoca la proprietà indivisa, in comunione).
Al riguardo, la Corte d’appello, nell’argomentare sui presupposti dell’assegno divorzile, ha affermato che “..considerando le utilità connesse all’essere beneficiaria, insieme al coniuge, dei proventi di gestione del trust, l’appellata non aveva certamente investito in proprie aspettative professionali, che pur ha coltivato..”.
La controricorrente assume altresì che la prova di tale comproprietà sarebbe desumibile dalle lettere inviatele dal ricorrente nelle quali avrebbe sostanzialmente riconosciuto tale comproprietà, prescindendo dai dati formali (e ciò sebbene la stessa controricorrente abbia eccepito, infondatamente, l’improcedibilità del ricorso proprio per la mancata regolare produzione di tali lettere).
Orbene, come detto, la Corte territoriale ha fatto riferimento, genericamente, alle utilità che l’ex moglie traeva dal trust, ma non ha certo argomentato su una proprietà comune indivisa (in tal senso, alla luce della narrazione della controricorrente, emerge che neppure il Tribunale abbia chiaramente affermato ciò).
Si può dunque ragionevolmente presumere che l’ex moglie beneficiasse delle rendite del trust allo stesso modo di ogni utilità connessa al tenore di vita garantito dalla rilevante consistenza del patrimonio e del reddito dell’ex marito.
Pertanto, può affermarsi che, effettivamente, come lamentato dal ricorrente, la Corte d’appello abbia riconosciuto la funzione perequativa – assistenziale dell’assegno divorzile, senza nessuna evidenza probatoria del contributo che l’ex moglie avrebbe apportato alla formazione del patrimonio comune, o dell’ex marito, né di rinunce ad aspettative professionali (al riguardo, la So.Ro. assume di non svolgere l’attività di psicoterapeuta dal 2013), considerando altresì che la sentenza impugnata ha accertato che l’unico figlio, convivente dall’età di 12 anni con il padre, sia stato poi accudito e mantenuto esclusivamente dallo stesso genitore.
Inoltre, la corte d’appello ha accertato che il patrimonio della So.Ro. è consistente e, quantunque, di dimensioni inferiori a quello del ricorrente, certo idoneo alla richiedente per garantire di vivere autonomamente e dignitosamente.
Peraltro, la questione della contitolarità del patrimonio costituente il trust (prescindendo dalla valenza probatoria che s’intenda attribuire alle lettere inviate dal ricorrente all’allora moglie, di cui la sentenza impugnata non discorre) non può, in astratto, venire in rilievo ai fini dell’assegno divorzile, ma solo in ordine all’accertamento delle comproprietà; ma il ricorrente adduce la sentenza del marzo 2022, che avrebbe riconosciuto la titolarità del trust in capo alla propria madre; tale sentenza risulta depositata in cassazione, indicata al punto 5.ci del relativo indice, da intendersi come inammissibile produzione di documento nuovo.
Invero, nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 3, c.p.c. (Cass., n. 18464/18; n. 4415/20).
In definitiva, deve affermarsi che la motivazione della Corte territoriale risulta di fatto imperniata sul mantenimento del tenore di vita pregresso di cui godeva l’ex moglie e, pertanto, non è rispettosa dei principi affermati dalla richiamata elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, ai fini della liquidazione dell’assegno divorzile, dei quali ha sostanzialmente omesso l’esame>>.