Cass sez. I, ord. 29/04/2024 n. 11.342, rel. Dongiacomo:
<<3.2. La corte d’appello, infatti, ha ritenuto che il fallimento della Nastrificio Finat Sas di Ca.Br. e Ca.Da., dichiarato con sentenza del 3-5-2018, era stato tempestivamente e correttamente esteso, con la reclamata sentenza del 9-9-2021, a Ca.Br., per un verso affermando che il mantenimento del nome e del cognome nella denominazione della “Nastrificio Finat Sas di Ca.Br. e Ca.Da.” si configura, a fronte del chiaro dettato normativo di cui all’art. 2314 c.c., come un elemento di esteriorizzazione ai terzi del vincolo societario e di affectio societatis, senza che assumano rilievo le ragioni della scelta, e, per altro verso, escludendo che il termine di un anno previsto dall’art. 147, comma 2°, L.Fall. potesse decorrere dal momento in cui, in data 12-12-2012, lo stesso aveva cessato di essere il socio accomandatario della società poi fallita.
3.3. La decisione, così assunta, è senz’altro conforme alle norme che regolano la fattispecie accertata in fatto dal giudice di merito: se non altro perché, come questa Corte ha ripetutamente affermato, nelle società di persone, l’assoggettabilità al fallimento del socio apparente in conseguenza del fallimento della società non richiede la dimostrazione della stipulazione e dell’operatività di un patto sociale, essendo a tal fine sufficiente la prova di un comportamento tale da integrare l’esteriorizzazione del rapporto, ancorché inesistente nei rapporti interni, a tutela dei terzi che su quella apparenza abbiano fatto affidamento (Cass. n. 8168 del 1996), come, appunto, nel caso in cui il terzo, pur non essendo più socio, abbia nondimeno acconsentito il mantenimento del proprio nome nella ragione sociale.
3.4. L’art. 2314, comma 2°, c.c., a norma del quale “l’accomandante, il quale consenta che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali”, è, infatti, volta a tutelare l’affidamento dei terzi creditori nella responsabilità illimitata di chi, quale socio accomandante ovvero, come nella specie, di socio accomandatario cessato per morte, recesso o (può aggiungersi) cessione della quota (art. 2292, comma 2°, richiamato dall’art. 2314 c.c. in materia di società in accomandita semplice), abbia, tuttavia, consentito (come, nel caso in esame, è rimasto incontestato) di presentarsi ai terzi, pur non essendolo (più), alla stessa stregua di un socio illimitatamente responsabile (art. 2291, comma 1°, e 2314, comma 1°, c.c.) e cioè, nella società in accomandita semplice, di un socio (attualmente) accomandatario (cfr. Cass. n. 30882 del 2018, in motiv.).
3.5. L’inserimento del nominativo del socio accomandante nella ragione sociale (art. 2314, comma 2°, c.c.), al pari dell’inserimento nella ragione sociale del nome del socio accomandatario cessato (artt. 2314, comma 1°, e 2292, comma 2°, c.c.), ne comporta, invero e per previsione normativa, la responsabilità illimitata per le obbligazioni della società esclusivamente in ragione del contenuto oggettivo della ragione sociale e della oggettiva confusione conseguentemente ingenerata sul ruolo da lui (ancora) svolto nella società; deve, per contro, restare estranea a tale valutazione ogni considerazione relativa ad elementi estrinseci all’aspetto formale della ragione sociale come, ad esempio, il comportamento dell’accomandante o del socio accomandatario cessato, i quali, in effetti, rispondono personalmente (anche per ripercussione automatica del fallimento della società: art. 147, comma 1°, L.Fall.) dei debiti contratti dalla società nel periodo di tempo in cui il loro nome è compreso nella ragione sociale a prescindere dal fatto che i terzi sapessero o ignorassero che si trattava di un socio accomandante o di un socio accomandatario non più tale>>.
Che poi aggiunge utili precisazioni sul decorso del termine annuale ex art. 147 l. fall., qui opmesse