Cass. sez. I ord interl. 13 giugno 2024 n. 16.477, rel. Terrusi, rinvia la questione alle sezioni unite per contrasto giurisprudenziale (e per la particolare importanza della questione stssa):
<< VIII. – In definitiva può osservarsi che, dopo le sentenze delle Sezioni Unite all’inizio citate, si è perpetuato un contrasto in seno alla Corte, vertente in particolare sulla possibilità di configurare la tacita rinuncia ad alcuni dei crediti della società, sub iudice e illiquidi, e non compresi nel bilancio finale di liquidazione, ove questa venga cancellata dal registro delle imprese in pendenza di lite, con conseguente estinzione e impossibilità di trasferimento ai soci anche ai fini dell’art. 110 cod. proc. civ.
Secondo l’orientamento sotteso alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 6070 del 2013, condiviso da altre immediatamente susseguenti anche non massimate, andrebbe constata in casi del genere una presunzione pressoché assoluta di rinuncia, correlata a un intento abdicativo di per sé discendente dalla cancellazione.
Cosa peraltro determinativa di non secondarie criticità: (a) per l’irrazionalità della configurazione che pone a elemento distintivo l’idoneità della posta creditoria a essere iscritta nel bilancio finale, in contrasto col principio contabile generale per cui ogni credito, in verità, ancorché illiquido o incerto, va iscritto (e quindi può essere iscritto) in bilancio al valore presumibile di realizzo (art. 2426 cod. civ.); (b) per l’automatica riconduzione della formalità pubblicitaria (la cancellazione dal registro delle imprese) alla fattispecie della rinuncia, pur in presenza di circostanze logicamente non compatibili, come la coltivazione del giudizio per l’accertamento del credito da parte del liquidatore; (c) per l’oggettiva difficolta di sostenere l’assunto sul piano degli effetti pratici, giacché mantenendosi l’automatismo ne deriverebbe una perdita potenziale in pregiudizio degli stessi creditori, in ragione della impossibilità di far conto della posta attiva in esito a una scelta abdicativa a loro estranea.
In ragione di tanto le due decisioni citate, della Prima sezione (Cass. Sez. 1 n. 9464-20) e della Prima sottosezione delle Sesta (Cass. Sez. 6-1 n. 30075-20), hanno ritenuto di poter trovare un punto di equilibrio nell’affermazione di una presunzione inversa, escludente (di fatto) ogni automatismo: la cancellazione della società non determina la automatica rinuncia del credito controverso, perché la remissione del debito presuppone una volontà inequivoca in tal senso, che deve essere specificamente allegata e provata.
Di contro, l’arresto della Terza sezione ha posto nuovamente al centro del problema l’automatismo discendente dalla distinzione operata dalle Sezioni Unite del 2013, ridimensionandone il profilo – certo – ma sull’opposto versante della ripartizione dell’onere della prova: la volontà abdicativa si presume fintanto che non sia dimostrato il contrario, vale a dire che il credito, originariamente azionato dalla società e per definizione illiquido, non è stato implicitamente rinunciato>>.