Diffamazione, diritto di cronaca e giornalismo di inchiesta

Cass. sez. III,  ord. 05/06/2024  n. 15.755, rel. Rubino:

<<6. – Quanto al rispetto del requisito della verità dei fatti, del quale è stata denunciata la carenza sia col primo che col secondo motivo, la decisione è conforme ai principi più volte enunciati da questa Corte, secondo i quali la lesione dell’onore e della reputazione altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato all’esistenza dei seguenti presupposti: la verità oggettiva della notizia pubblicata; l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (cosiddetta pertinenza); la correttezza formale dell’esposizione (cosiddetta continenza). In particolare, quanto al primo presupposto soltanto la correlazione rigorosa fra fatto e notizia realizza l’interesse pubblico all’informazione, sotteso all’art. 21 Cost., e rende non punibile la condotta ai sensi dell’art. 51 cod. pen., sempre che ricorrano anche la pertinenza e la continenza. Ne consegue che il giornalista ha l’obbligo di controllare l’attendibilità della fonte informativa, a meno che non provenga dall’autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che non provi l’esimente di cui all’art. 59 ultimo comma cod. pen. e cioè la sua buona fede (Cass. n.2271 del 2005).

Nel caso di specie, peraltro, i ricorrenti neppure si dolgono di un oggettivo mancato rispetto della verità dei fatti, quanto piuttosto che sia stato ritenuto non diffamatorio l’articolo in questione, che pur riportando i fatti tratti dall’inchiesta giudiziaria con esattezza, ne dava poi una lettura atta a gettare una luce di discredito sull’imprenditore Ma.Gi., pur avendo riferito correttamente che lo stesso non fosse direttamente coinvolto nell’inchiesta né sottoposto ad intercettazioni.

Occorre rilevare però che l’articolo in questione non era un semplice articolo di cronaca giudiziaria, in relazione al quale si richiede una fedele ed asettica riproduzione dei fatti appresi dalle fonti, ma un articolo di approfondimento giornalistico, pubblicato da un settimanale nell’ambito di una inchiesta sul tema dei tentativi di infiltrazione della camorra nelle attività commerciali. Per quanto concerne il giornalismo di inchiesta e di approfondimento, se la verità dei fatti va sempre rispettata, ovvero se i fatti vanno riferiti così come sono stati appresi, non può confiscarsi al giornalista il diritto-dovere di analizzarli, di interpretarli, di porli in correlazione l’uno con l’altro prospettando una chiave di lettura, che e il proprium della sua attività – pur sempre nel rispetto dei limiti esterni della pertinenza e della continenza.

Mentre la cronaca (giudiziaria) contiene solo la ricostruzione fedele dei fatti per come risultanti dalle fonti a disposizione del giornalista, che deve cercare anche di verificarne l’attendibilità, salvo che le fonti non siano di provenienza dall’autorità giudiziaria, nel giornalismo di inchiesta o di approfondimento, i fatti devono essere esposti nel rispetto del criterio della verità, ma poi possono essere letti e messi in correlazione tra loro con quel contributo di originalità che e dato proprio dall’approfondimento giornalistico, che può essere anche teso allo sviluppo di una tesi della quale si cerca il riscontro nello sviluppo dell’inchiesta. Ciò che conta, ai fini della esclusione di una colorazione diffamatoria del giornalismo di inchiesta è che i due elementi – verità dei fatti riferiti, analisi ed interpretazione degli stessi da parte del giornalista – non vengano confusi all’interno dell’articolo, disorientando il lettore ed alterando la sua percezione, ovvero che rimanga chiaro, all’interno dell’articolo, quali sono i fatti obiettivi e quali sia la lettura che di essi dà il giornale, e la valutazione che ne trae>>.

Applicato al caso de quo:

<<7. – Quanto al mancato rispetto dei limiti della pertinenza e della continenza, le censure, contenute nel terzo motivo, sono alquanto generiche e comunque infondate.

La sentenza impugnata è esente dai vizi denunciati: da un lato analizza i profili di rilevanza della inchiesta e dà atto, correttamente, della sua conformità all’interesse pubblico, che sussisterebbe quand’anche, accedendo alla ricostruzione dei fatti prospettata dai ricorrenti, il Ma.Gi. fosse del tutto estraneo ai fatti di penale rilevanza, non indagato e non sottoposto a dirette intercettazioni, perché sarebbe comunque conforme all’interesse pubblico venire a conoscenza dei tentativi della malavita organizzata di infiltrarsi nel tessuto economico sano della società.

Anche quanto alla denunciata violazione della continenza, segnalata come particolarmente evidente nel titolo e nelle immagini ad esso accostate per enfatizzarlo e nei toni enfatici utilizzati per i sottotitoli e i cappelli introduttivi dei vari paragrafi più che nel testo, le censure sono infondate. La corte d’appello definisce il criterio della continenza richiamando proprie precedenti pronunce di merito in linea con i principi più volte affermati da questa Corte, secondo i quali essa deve essere correttamente intesa come correttezza formale dell’esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse (Cass. n. 11767 del 2022), aggiungendo peraltro che la narrazione giornalistica, per essere rispettosa dell’altrui interesse a non essere screditati, non per questo può equivalere all’obbligo di utilizzare un linguaggio grigio ed anodino (richiama in proposito Cassazione penale n. 37442 del 2009)>>.