Nessuna responsabilità della scuola per il danno cagionato tra alunni durante esercizi prepatori alla pratica del rugby

Cass. sez. III, ord. 25/07/2024, (ud. 13/05/2024, dep. 25/07/2024), n.20790, rel. Tassone-

<<La decisione impugnata è conforme ai principi della materia enunciati da questa Suprema Corte, che ha già avuto modo di affermare che: “In tema di danni conseguenti ad un infortunio sportivo subito da uno studente durante una gara svoltasi all’interno della struttura scolastica nell’ora di educazione fisica, ai fini della configurabilità della responsabilità della scuola ai sensi dell’art. 2048 c.c., è necessario: a) che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente partecipante alla gara, il quale sussiste se l’atto dannoso sia posto in essere con un grado di violenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato o con il contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge o con la qualità delle persone che vi partecipano, ovvero allo specifico scopo di ledere, anche se non in violazione delle regole dell’attività svolta, e non anche quando l’atto sia compiuto senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole della disciplina sportiva, né se, pur in presenza di una violazione delle regole dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto lesivo sia a questa funzionalmente connesso; b) che la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee ad evitare il fatto. Ne consegue che grava sullo studente l’onere di provare l’illecito commesso da un altro studente, mentre spetta alla scuola dimostrare l’inevitabilità del danno, nonostante la predisposizione di tutte le cautele idonee ad evitare il fatto” (così Cass., 10/04/2019, n. 9983; Cass., 08/04/2016, n. 6844; Cass., 14/10/2003, n. 15321).

Le condizioni di applicabilità della norma si traducono dunque in un fatto costitutivo, l’illecito, che va provato dal danneggiato, e in un fatto impeditivo, il non averlo potuto evitare nonostante la predisposizione di tutte le idonee cautele, che va provato dalla scuola (così Cass., 14/10/2003, n. 15321)>>

I fatti storici accertati in appello:

<<È rimasto nella specie dai giudici di merito accertato: a) che non si trattava di una partita di rugby, bensì di un esercizio di educazione fisica consistente nel simulare una fase di gioco all’interno della palestra, precisando che “si bloccava la persona, ma non c’era placcaggio” (cfr. testimonianza di Po.Gi., teste introdotto dalla stessa Mo.Gi.); b) che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nei suoi programmi di educazione fisica relativi alle scuole superiori include la pratica sportiva e lo svolgimento di esercizi ginnici e/o di gare tra contrapposte squadre di studenti; peraltro nel caso di specie non si trattava di pratica sportiva in senso proprio, ma di un esercizio propedeutico alla pratica sportiva del rugby, come si è detto caratterizzato da limitato contatto fisico; c) che un istruttore di rugby aveva adeguatamente illustrato l’esercizio agli alunni, ed era rimasto presente durante lo svolgimento dello stesso, unitamente a tre insegnanti; d) che il pavimento della palestra era in linoleum, materiale normalmente usato nelle palestre proprio perché attutisce i colpi.

La corte territoriale, nel rigettare il gravame, ha inoltre espressamente rilevato che “Il giudice di primo grado, dopo aver attentamente esaminato le risultanze istruttorie, ha correttamente escluso la pericolosità dell’esercizio, anche tenuto conto dell’età delle ragazze (14 anni)”, ed è pervenuta a concludere che “la condotta delle alunne che componevano la squadra avversaria a quella dell’attrice è stata repentina ed imprevedibile” (p. 9 dell’impugnata sentenza), pertanto ravvisando avere la scuola fatto quanto doveva per assolvere all’obbligo di vigilanza cui era tenuta ai sensi dell’art. 2048 cod. civ. e ritenendo essersi il sinistro nella specie verificato con modalità tali da non potere essere impedito, e rientrare l’evento nell’alea normale dell’attività sportiva cui la studentessa, odierna ricorrente, ha preso parte durante l’ora di educazione fisica>>.

Confermato quindi il rigetto della domanda risarcitoria pure in appello.

Meno convinvente il rigetto (processuale) ex art. 2050 cc (attività pericolosa):

<<4.3. Sotto la formale invocazione della violazione di legge, anche lamentando la mancata riconduzione della fattispecie in esame al disposto dell’art. 2050 cod. civ. in tema di attività pericolosa, l’odierna ricorrente sollecita invero un riesame del fatto e della prova, precluso al giudice della legittimità.

Va infatti ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte “ai fini dell’accertamento della sussistenza della responsabilità ex art. 2050 cod. civ., il giudizio sulla pericolosità dell’attività svolta – ossia l’apprezzamento della stessa come attività che, per sua natura, o per i mezzi impiegati, rende probabile, e non semplicemente possibile, il verificarsi dell’evento dannoso da essa causato, distinguendosi, così, dall’attività normalmente innocua, che diventa pericolosa per la condotta di chi la eserciti od organizzi, comportando la responsabilità secondo la regola generale di cui all’art. 2043 cod. civ. – quando non è espresso dal legislatore, è rimesso alla valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivata” (cfr. Cass., 15/02/2019, n. 4545; Cass. 1195/2007; Cass. 10268/2015), ed in forza di questo principio l’attività sportiva non è – in linea generale – una attività pericolosa, potendo essere considerata tale solo là dove abbia caratteristiche intrinseche di pericolosità ovvero presenti passaggi di particolare difficoltà (così, nel caso del rafting, Cass., 26860/2023; Cass., 18903/2017). [proprio questo si doveva verificare, ma non è stato fatto]

Nel caso di specie si verte in tema di esercizi di approccio all’attività del rugby durante l’ora di educazione fisica a scuola, dei quali va valorizzato l’aspetto intrinsecamente educativo, oltre che ludico, finalizzato alla valorizzazione del gioco di squadra ed alla fiducia nei compagni, all’attenzione alle regole ed al rispetto dell’avversario, alla formazione dei giovani per una maggiore sicurezza di sé nel raggiungimento degli obiettivi, conformemente alla ratio del nuovo ultimo comma dell’art. 33 Cost. (inserito dall’art. 1, comma 1, della legge costituzionale 26 settembre 2023, n. 1), che recita “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme” ed evidenzia come lo sport debba essere praticato e coltivato come un prezioso alleato nell’educazione, nell’inclusione sociale e nel miglioramento del benessere complessivo di tutti i cittadini>> [giudizio irrlevante ai fini dell’accetamento della periciolosità ex ar.t 2050 c.c.]

Prova ematologico/genetica nel processo per dichiarazione di paternità naturale (art. 269 cc)

Cass. sez. I, ord. 05/08/2024  n. 21.979, rel. Tricomi:

<<Giova ricordare che costituisce orientamento consolidato quello per cui, nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità naturale, le indagini ematologiche e genetiche sul DNA possono fornire elementi di valutazione non solo per escludere, ma anche per affermare il rapporto biologico di paternità (Cass. 8451/1991; Cass. 15568/2011), anche se, in tale ipotesi, possono essere sufficienti anche altre risultanze processuali (Cass. 9412/2004). Inoltre, nella materia della dichiarazione giudiziale di paternità, la consulenza tecnica ematologica è uno strumento istruttorio officioso rivolto verso l’unica indagine decisiva in ordine all’accertamento della verità del rapporto di filiazione e, pertanto, la sua richiesta non può essere ritenuta esplorativa, intendendosi come tale l’istanza rivolta a supplire le deficienze allegative ed istruttorie di parte, così da aggirare il regime dell’onere della prova sul piano sostanziale o i tempi di formulazione delle richieste istruttorie sul piano processuale (cfr. Cass. n.22498/2021; Cass. 23290/2015, in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale).

Inoltre, nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità naturale, il rifiuto del preteso padre di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex art. 116, secondo comma, c.p.c., di così elevato valore indiziario da consentire, esso solo, di ritenere fondata la domanda (Cass. n.28886/2019; Cass. n.7092/2022).

Nel presente caso, la Corte di appello si è attenuta a questi principi ed ha preso in considerazione il rifiuto di Ma.Al. a sottoporsi all’esame del DNA, unitamente a una pluralità di emergenze probatorie riguardanti le vicende familiari ed i rapporti intercorsi tra l’appellante ed il minore, ben consapevole in ragione di pregresse e ripetute frequentazioni con Ma.Al. del rapporto di filiazione, con ampia ed articolata motivazione che il ricorrente vorrebbe impropriamente sovvertire con la censura in esame. (…)

Alla stregua dei suesposti principi, il quinto motivo risulta in realtà impropriamente diretto a sollecitare un riesame del materiale probatorio, ossia in buona sostanza a criticare il “peso probatorio” attribuito alle diverse emergenze probatorie, ed in particolare al rifiuto a sottoporsi all’esame del DNA, su cui la Corte di merito ha principalmente fondato il proprio convincimento, spiegandone, con adeguata motivazione, le ragioni, all’esito di dettagliata disamina e raffronto del contenuto del materiale probatorio>>.

Responsabilità del Comune da custodia per decesso da folgorazione causata da lampione difettoso

Cass. sez. III, Ord. 19/09/2024, n. 25.200, rel. Pellecchia:

<<La responsabilità del custode può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass., ord. 20/07/2023, n. 21675, Rv. 668745-01; Cass. 24/01/2024, n. 2376) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.

Ai sensi dell’art. 2051 c.c., il Comune è custode dell’immobile e dei suoi impianti fissi e come tale responsabile oggettivamente. Ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa e senza che rilevi a riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. Nel caso di specie risulta provato che il giovane G.G. sia morto per folgorazione e i lampioni non erano in sicurezza o recintati (cfr. sentenza impugnata pag. 20 e 21).

Il Giudice del gravame ha adeguatamente motivato la propria decisione, adottata sulla base di esauriente istruttoria (pag. 20 sentenza impugnata), dalla quale ha ritenuto provato il nesso causale tra l’evento morte e le condizioni fatiscenti dell’intero impianto di illuminazione che hanno provocato l’elettrocuzione (cfr. pag. 20 e 21 sentenza impugnata): anche in considerazione di quanto sarà precisato in ordine all’ottavo motivo.

Per il resto, non può che concludersi che le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito. È noto, infatti, che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti. Non essendo questa Corte giudice sul fatto, il ricorrente non può pertanto limitarsi a prospettare una lettura delle prove ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito, svalutando taluni elementi o valorizzando altri ovvero dando ad essi un diverso significato, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo.

Vi è da aggiungere che (da ultimo, v. Cass. ord. 4288/24, in motivazione) la giurisprudenza di questa Corte è consolidata (tra le ultime, ove ulteriori riferimenti, Cass., ord. 16/11/2023, n. 31949) nella affermazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione custode per le i danni causati dalle condizioni in cui versa la res in custodia anche quando questa sia modificata ed in quanto e come sia stata modificata, tranne il solo caso in cui la modifica sia avvenuta con modalità tali (immediatamente prima, ad esempio) da escludere oggettivamente la possibilità una qualsiasi pronta reazione; solo, davvero occorre stabilire se il danno è causato dai lavori alla res in custodia in costanza dei medesimi (ipotesi nella quale la simultaneità della condotta dell’esecutore dei lavori elide il nesso causale con la cosa, questa regredendo a mera occasione del sinistro), oppure se dipende dalla res in custodia come risultante all’esito dei lavori ed una volta questi cessati da tempo idoneo a consentire il ripristino di una oggettiva possibilità di intervento o adeguamento da parte del custode (nel qual caso torna pur sempre la cosa custodita, sia pure modificata o manomessa, ad essere ciò che cagiona il danno, regredendo i lavori e le modifiche a causa remota).

Pertanto, non soccorre il Comune la circostanza che le condizioni dell’impianto potessero essere ascritte all’esecutore dei lavori -che, del resto, non risulta neppure essere stato chiamato in garanzia o quale corresponsabile dal Comune stesso – dinanzi al fatto che ormai quelle erano consolidate e di quelle tornava a rispondere, nei confronti dei terzi che ne fossero stati danneggiati, il custode (e, nella specie, il custode pubblico e cioè il Comune)>>.

Condotta del genitore pregiudizievole al figlio e sospensione della responsabilità genitoriale (art. 333 cc)

Cass. sez. I, Ord. 16/09/2024, n. 24.710, rel. Giusti:

diritto:

<<6. – Questa Corte ha già chiarito che ai fini della sospensione della responsabilità genitoriale ex art. 333 cod. civ., non occorre che la condotta del genitore abbia già causato un danno al figlio, poiché la norma mira ad evitare ogni possibile pregiudizio derivante dalla condotta (anche involontaria) del genitore, rilevando l’obiettiva attitudine di quest’ultima ad arrecare nocumento anche solo eventuale al minore, in presenza di una situazione di mero pericolo di danno (Cass., Sez. I, 11 ottobre 2021, n. 27553).

Avuto riguardo alla formula elastica usata dal codice – il quale ritiene sufficiente, per l’adozione del provvedimento di sospensione della potestà genitoriale, una condotta del genitore che “appare comunque pregiudizievole al figlio” – si è osservato che non occorre, a tal fine, che un tale comportamento abbia già cagionato un danno al figlio minore, potendo il pregiudizio essere anche meramente eventuale per essersi verificata una situazione di mero pericolo di un danno per lo stesso minore. Il legislatore ha, in sostanza, introdotto una disciplina protettiva per il minore allo scopo di evitare, nei limiti del possibile, ogni obiettivo pregiudizio derivante dalla condotta di un genitore, che può essere anche non volontaria, rilevando la mera attitudine obiettiva ad arrecare danno al figlio (Cass., Sez. I, 23 novembre 2023, n. 32537).

Dunque, se non è necessario che un danno si sia già verificato, occorre comunque, affinché si possa adottare il provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale, che vi sia un comportamento del genitore pregiudizievole per il figlio.

Se non vi è un concreto pregiudizio o un pericolo di concreto pregiudizio, l’autorità giudiziaria non può intervenire con misure sospensive, atteso che i provvedimenti modificativi o limitativi della responsabilità genitoriale sono preordinati all’esigenza prioritaria dell’interesse del figlio (Cass., Sez. I, 27 ottobre 2023, n. 29814).

Tali provvedimenti non costituiscono una sanzione a comporta-menti inadempienti dei genitori, ma piuttosto sono fondati sull’accertamento, da parte del giudice, degli effetti lesivi che essi hanno prodotto o possono ulteriormente produrre in danno dei figli, tali da giustificare una limitazione o una sospensione della responsabilità genitoriale (Cass., Sez. I, 7 giugno 2017, n. 14145).

Occorre, dunque, che la condotta del genitore, sebbene non tale da dar luogo ad una pronuncia di decadenza, appaia comunque pregiudizievole al figlio.

Il sistema normativo, d’altra parte, è improntato alla gradualità degli interventi e alla proporzionalità delle misure da adottare. Gradualità e proporzionalità impongono al giudice del merito la ricerca di un equo contemperamento tra l’esigenza, tanto del genitore che del minore, di ricostruire, là dove e fin tanto che sia possibile, la relazione parentale attraverso il sostegno dei servizi sociali, da una parte, e quella di garantire una crescita non traumatica del figlio, dall’altra. )(…).

In particolare, nelle cause in cui gli interessi del minore e quelli dei suoi genitori siano in conflitto, l’art. 8 Cedu esige che le autorità nazionali garantiscano un giusto equilibrio tra tutti questi interessi e che, nel farlo, attribuiscano una particolare importanza all’interesse superiore del minore che, a seconda della sua natura e complessità, può avere la precedenza su quello dei genitori (Corte europea dei diritti dell’uomo, 10 novembre 2022, I.M. e a. contro Italia)>>.

Applicato al caso de quo:

<<In primo luogo, la Sezione minorenni della Corte di Perugia definisce “inadeguate” “alcune condotte poste in essere dalla signora A.A. e costituenti fonte di pregiudizio per i minori”, dà atto di “condotte disfunzionali della madre” e riferisce della segnalazione, da parte dei Servizi, di “ingerenze e comportamenti” della donna “che avevano creato situazioni di tensione”.

Sennonché, la Corte territoriale, quando si tratta di riempire di sostanza e di contenuto tali condotte disfunzionali, si limita a fare un generico riferimento a “comunicazioni denigratorie della madre nei confronti del padre” (che, tra l’altro, sarebbero “ad oggi… diminuite”, secondo quanto riferito dal figlio D.D.), ma non descrive ulteriormente tali condotte e non indica fatti o episodi specifici, omettendo perfino di circostanziare “gli episodi oggetto delle denunce dalle quali è originato il presente procedimento”.

Il dare conto, nel provvedimento del giudice del merito, dei fatti accertati, con la giustificazione su basi logiche e razionali delle scelte operate, è invece essenziale per permettere alla Corte di legittimità di esercitare la verifica se la norma che viene in rilievo sia stata interpretata e applicata in modo corretto.

Secondo la posizione ordinamentale della Corte e il sistema processuale del giudizio di cassazione, non rientra nei compiti istituzionali del giudice di legittimità, che esercita il sindacato di violazione di legge, rinnovare l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice del merito né procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie sulle quali quell’accertamento si fonda.

Ma il giudice del merito deve esporre, sia pure concisamente, le ragioni di fatto della decisione adottata senza omissioni o lacune rilevanti e senza travisamenti.

La prescrizione vale in generale, (ma) tanto più là dove, come nella specie, si sia di fronte all’applicazione di una norma elastica che richiama nozioni (la condotta pregiudizievole del genitore; il pregiudizio per i figlio; il provvedimento conveniente rimesso alla discrezionalità del giudice) per la cui perimetrazione in sede interpretativa appa-re fondamentale l’incontro tra la norma e la realtà effettuale, anche per cogliere la struttura relazionale delle posizioni soggettive coinvolte e l’esigenza di una loro tutela improntata alla ricerca di una soluzione equa.

9. – In secondo luogo, il decreto della Corte territoriale presenta un omesso esame di un dato rilevante, perché, pur dando atto, a livello descrittivo, del fatto che la signora A.A. ha “buone competenze genitoriali”, non considera più questo elemento quando giunge al momento valutativo.

Preme rilevare che dalle conclusioni della relazione della Equipe di valutazione della personalità e delle competenze genitoriali del 14 febbraio 2023, puntualmente richiamato dalla ricorrente nell’atto di impugnazione, è detto espressamente che la A.A. ha “buone competenze genitoriali rispetto alla mentalizzazione degli stati emotivi e dei bisogni dei figli, nelle specifiche funzioni genitoriali di leadership, contenimento e guida, nonché di supporto emotivo”. In particolare, “rispetto a ogni figlio riesce adeguatamente a riconoscere aspetti evolutivi propri di ogni età, leggendone bisogni e aspettative”; “risulta competente nell’affrontare argomenti a carattere riflessivo ed educativo che riguardano la vita dei minori”; “risulta essere competente nella misura in cui riesce a scindere l’aspetto genitoriale dalla vicenda separativa della coppia”.

Dalle relazioni dell’educatore familiare del gennaio e del febbraio 2023 emerge che “non sono stati osservati comportamenti della madre tali da potersi considerare irrispettosi, squalificanti, offensivi, violenti, dal punto di vista fisico o verbale o psicologico verso i minori”. Un altro dato significativo che emerge da quelle relazioni è che “non sono state mai rilevate da parte della madre esplicite e dirette espressioni volte a sminuire o squalificare il padre di fronte ai minori”. Infine, nel susseguirsi degli accessi non si sono osservati da parte dei minori “acting out di valenza critica e problematica tali da far ipotizzare un disagio o malessere rispetto alla loro permanenza presso il contesto materno” e “risulta evidente un forte legame affettivo con la figura materna”.

La mancata considerazione e valorizzazione di questi elementi e, insieme, del dato che entrambi i figli hanno espresso il desiderio di poter trascorrere con tranquillità del tempo con entrambi i genitori, si risolve in un omesso esame di fatti decisivi suscettibile di inficiare la coerenza logica e la plausibilità delle conclusioni della decisione impugnata.

Infatti, il disagio psicologico vissuto dai figli a seguito della disgregazione della coppia genitoriale, della incertezza e della scarsa prevedibilità del contesto ambientale e del permanere di una certa animosità della madre, anche per i suoi limiti caratteriali, nei confronti del padre dei bambini, manifestatasi attraverso “comunicazioni denigratorie”, non presenta la consistenza del pregiudizio legittimante, a norma dell’art. 333 cod. civ., la pronuncia della sospensione della responsabilità genitoriale della madre, in mancanza di accertate carenze d’espressione delle capacità genitoriali, e considerando altresì il profilo, palesemente trascurato dalla stessa Corte di merito, afferente alle conseguenze sui minori della adottata pronuncia di sospensione in un periodo così delicato per il loro sviluppo fisio-psichico nella fase adolescenziale.

Proprio tali limiti caratteriali della madre avrebbero dovuto essere affrontati e valutati nella prospettiva di un’offerta di opportunità diretta a migliorare i rapporti con i figli, in un percorso scevro da pregiudizi originati da postulate e non accertate psicopatologie.

La Corte territoriale ha considerato le asprezze caratteriali della ricorrente in senso fortemente stigmatizzante, come espressione di un’incapacità di esprimere le capacità genitoriali nei confronti dei figli, pur in mancanza di condotte di oggettiva trascuratezza o incuria; e non ha tenuto conto delle evidenziate buone competenze genitoriali della madre, anche sotto il profilo del supporto emotivo, unite alla sua capacità di interpretare e dare una risposta ai bisogni e alle aspettative dei figli.>>.

Segue cassazione del decreto impugnato

Revoca implicita della condizione appposta al testamento , costituita dalal condotta del de cuius successiva al suo confezionamento

Cass. sez. II, ord. 18/09/2024 n. 25.116, rel. Grasso, in cui la condizione di essere accudito presso una certa località era stata implicitamente revocata dall’essersi il testatore poi rifiutato di ivi trasferirsi:

<<Al contrario, si ribadisce, qui è stato proprio il testatore a impedire l’avveramento della condizione e, nonostante ciò, ha mantenuto ferma la nomina ad eredi universali dei nipoti. Quindi, se appare improprio evocare la disciplina di cui all’art. 1359 cod. civ. per le ragioni in estrema sintesi sopra esposte, proprio il “favor testamenti” impone comunque la salvezza dell’istituzione testamentaria non revocata, nonostante la revoca, per condotta incompatibile del disponente, della condizione sospensiva apposta.

In definitiva, appare utile enunciare il seguente principio di diritto: “ove il testatore, dopo avere apposto una condizione sospensiva, dipendente anche dalla sua volontà, alla disposizione testamentaria, ne impedisca l’avveramento, la disposizione testamentaria, ove non revocata, resta pienamente efficace” >>.

Disegni e modelli: prova della anteriore divulgazione tramite screenshot di pagina internet

Anna Maria Stein in IPKat segnala interessante decisione sull’oggetto: 3rd Board of Appeal 11.09.2024 , case R 5/2024-3, Ekomill OÜ v. Ecosauna Project OÜ.

<<20 The invalidity applicant invoked as prior design D1, an oval-shaped wooden sauna as manufactured and sold by a Lithuanian company. It provided as evidence of disclosure two screenshots of two posts allegedly from Facebook, dated 22 August 2013 and July 2014 (Annex 3), and indicated two hyperlinks in its observations. It did not file any additional evidence at the appeal stage.
21 The Invalidity Division considered that this evidence constitutes sufficient proof of disclosure. The Board does not concur.
22 Although the appearance of a picture of a design on the internet constitutes a publication within the meaning of Article 7(1) CDR (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 32), the invalidity applicant must provide solid evidence of this event of disclosure.
23 To establish disclosure, a printout or a screenshot should show the full URL address of a website, demonstrating the source of design disclosure on the internet (20/10/2021, T‑823/19, Bobby pins, EU:T:2021:718, § 33-34).
24 As correctly pointed out by the design holder, the indication of a hyperlink in the invalidity applicant’s observations cannot suffice in this respect. Hyperlinks or URL addresses per se cannot be considered sufficient evidence for proving the disclosure of a prior design. Even if these are active, they should be supplemented with additional evidence, such as a printout or a screenshot of the relevant information contained therein (07/02/2007, T 317/05, Guitar, EU:T:2007:39, § 43) including the full URL address. This is because information accessible through a hyperlink or URL address may later be altered, removed or difficult to identify. Even assuming that the URL link would display the screenshot, as shown in Annex 3, it is impossible for the Board to ascertain whether the content to be found under the hyperlink has been changed or removed over time.
25 In this regard, the Board notes that this assessment aligns with the ‘CP 10 Common Practice – Criteria for assessing disclosure of designs on the internet’ (Section 2.4.4, p. 29) established by the IP offices of the European Union in the framework of the European Union Trade Mark and Design Network, with the purpose of offering guidance on the sources, reliability, presentation, and assessment of online evidence. Accordingly, when the screenshot does not contain all relevant information, namely source, date, and depiction of the invoked prior design, additional evidence should be submitted. Although these texts are not binding for the Board, it may take it into account in its decision-making process.
26 Considering that the screenshots provided do not show the source of disclosure, and that the event of disclosure cannot be proved by means of probabilities or suppositions but must be demonstrated by solid and objective evidence (09/03/2012, T-450/08, Phials, EU:T:2012:117, § 24-25), the Board finds that the invalidity applicant failed to submit sufficient proof of disclosure of the prior design D1 within the meaning of Article 7(1) CDR>>.

La decisione va condivisa; solo che un difensore, minimamente prudente e pratico della rete, lo sa e lo fa d’istinto

La Cassazione sull’assegno di mantenimento nell’unione civile

Cass. sez. I, ord. 17/09/2024  n. 24.930, rel. Tricomi:

<<In caso di unioni civili, cui si applica l’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, richiamato dall’art. 1, comma 25, l. n. 76/2016, il riconoscimento dell’assegno di mantenimento in favore dell”ex partner, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell”ex partner istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno, come chiarito da Cass. Sez. U. n. 18287 del 11/07/2018. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto>>

(massima da De Jure)

Azione per l’adempimento e onere nella prova nell’appalto

Cass. sez. II, ord. 23/09/2024  n. 25.410, rel. Giannaccari:

<<Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento (Cass., Sez. Un., 30/10/2001 n.13533).

L’applicazione di tale principio al contratto di appalto – cui per giurisprudenza costante si estende la disciplina generale dell’inadempimento del contratto – comporta che l’appaltatore che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto ha l’onere di provare di avere esattamente adempiuto la propria obbligazione, cioè di avere eseguito l’opera conformemente al contratto ed alle regole dell’arte, integrando tale adempimento il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa (Cass., Sez. II, 13/02/2008 n.3472). Con l’effetto che la sua domanda non può essere accolta nel caso in cui l’altra parte contesti il suo adempimento, come avvenuto nel caso di specie, in cui il committente ha contestato che la prestazione non era stata integralmente eseguita e che alcune piante non erano attecchite.

A fronte di tale contestazione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare se la prestazione dell’appaltatore fosse stata integralmente e correttamente eseguita e, solo in caso positivo, avrebbe potuto condannare il committente al pagamento del prezzo.

La Corte d’Appello ha omesso di considerare che Bo.Ro. aveva eccepito l’inadempimento dell’appaltatore per inesattezza qualitativa e quantitativa della prestazione e, ribaltando l’onere della prova, ha erroneamente condannato il committente al pagamento del prezzo, senza accertare se la prestazione dell’appaltatore fosse stata adempiuta>>.

Interessante pure il prosieguo:

<<Non è pertinente, ai fini dell’obbligo di pagamento del corrispettivo da parte del committente, il richiamo all’art. 1181 c.c., secondo cui il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile; nel caso di specie, nessuna delle parti ha chiesto la risoluzione del contratto, sicché non è applicabile il principio statuito da Cass., Sez. II, 17/02/2010 n. 3786, in forza del quale, nel contratto d’appalto, il committente può rifiutare l’adempimento parziale oppure accettarlo e, anche se la parziale esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione, può trattenere la parte di manufatto realizzata e provvedere direttamente al suo completamento, essendo, poi, legittimato a chiedere in via giudiziale che il prezzo sia proporzionalmente diminuito e, in caso di colpa dell’appaltatore, anche il risarcimento del danno>>.

Il fondo intercluso può essere tale anche per disposto di legge o della PA e non solo per ostacolo fisico

Cass. sez. II, ord. 18/09/2024 n. 25.088, rel. Grasso, esprime i seguenti principi di diritto:

” (1) In materia di costituzione di servitù coattiva di passaggio, ai sensi del primo comma dell’art. 1051 cod. civ., costituisce impedimento ad usufruire d’uscita sulla via pubblica la circostanza che un tale accesso risulti precluso dalla legge o dalla pubblica amministrazione.

(2) Spetta a colui che richiede la costituzione della servitù dimostrare la giuridica impossibilità di accesso alla via pubblica; tuttavia, ove il consulente del giudice abbia escluso, sulla base degli accertamenti e delle informazioni ricevute dalla pubblica amministrazione, che dell’accesso l’interessato possa legittimamente fruire, non costituisce argomento che possa ribaltare una tale valutazione tecnica la circostanza che non consti essere stata presentata istanza per l’autorizzazione al passo carrabile”.

Sussidiarietà dell’obbligazione di mantenimento a carico dei nonni ex art. 316 bis c.c.

Cass. sez. I, 18/09/2024, ord. n. 25.067, rel. Tricomi:

<<2.5. – Invero, questa Corte nell’impugnata ordinanza n. 13345-2023, ha – sulla base di una valutazione delle risultanze processuali del giudizio di merito – ritenuto corretta la sentenza della Corte d’appello che aveva applicato la responsabilità sussidiaria dei nonni, ex art. 316-bis c.c., in considerazione del fatto che il padre della minore si era reso irreperibile, cambiando di continuo abitazione e lavoro, in modo da non consentire di agire nei suoi confronti, e che il medesimo era stato perfino condannato ai sensi dell’art. 570 c.p. L’impugnata sentenza è, peraltro, conforme alla giurisprudenza di questa Corte circa l’obbligo sussidiario dei nonni (Cass. n.10419-2018), che ha ritenuto sussistente, con valutazione in diritto insindacabile in questa sede>>.