Cass. sez. I, Ord. 18.10.2024, n. 27.043, rel. Parise:

Regola astratta

<Secondo il più recente orientamento di questa Corte, invero, l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa (Cass. S.U. 32198/2021 ; Cass. 14256/2022). Infatti, alla luce delle Sezioni Unite n. 18287/2018 e n. 32198/2021, la ricostruzione dell’assegno divorzile sulla base di un criterio non più soltanto assistenziale, ma anche compensativo-perequativo comporta un temperamento del principio della perdita “automatica ed integrale” del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova convivenza.

È stato altresì precisato che, ai fini della revoca dell’assegno divorzile, la convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche e reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, gravando l’onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023) [solo che con la convivenza di fatto non nasce alcun obbligo, nemmeno dopo la L. 76/2016!!!!]. Si è affermato che il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. 14151/2022).

La coabitazione, dunque, ai fini che qui interessano, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo”. Occorre, comunque, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729
c.c.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729
c.c. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche e, come si è detto, il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023citata)>>.

Applicata al caso de quo:

<<2.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è attenuta ai suesposti principi e, con motivazione congrua (Cass. S.U. 8053/2014), ha accertato che “gli elementi emersi, pacificamente assente la stabile convivenza (C.C. peraltro vive a R e non a P), non documentano con sufficiente certezza la formazione di una famiglia di fatto, non essendo prova sufficiente di una sostanziale comunione e condivisione di vita e di impegni economici i viaggi e le vacanze estive della coppia, la frequentazione domestica, documentata occasionalmente, né la dazione di somme di denaro nel periodo (marzo 2010 – 2018) in cui A.A. non le versava gli assegni (circostanza che aveva indotto la controparte ad iniziare azioni esecutive sulle quote delle società di famiglia del A.A., abbandonate dopo il pagamento da questi effettuato con denari provenienti da una eredità pervenutagli dalla madre), e che dopo tale pagamento la B.B. ha iniziato a parzialmente restituire come da documentazione prodotta già in primo grado”.

Dunque, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di merito non ha valorizzato solo la mancata coabitazione, ma ha valutato il compendio probatorio complessivo, pervenendo alla conclusione della mancata dimostrazione in causa della “famiglia di fatto”. Va ribadito che è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza, o della non ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. 1216/2006; Cass. 15219/2007; Cass. 656/2014; Cass. 1792/2017, che ha affermato come il risultato dell’ accertamento in merito alla valida prova presuntiva, se adeguatamente e coerentemente motivato, “si sottrae al sindacato di legittimità, che è invece ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante”; Cass. 19987/2018; Cass. 1234/2019, ove si è ribadito che il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 , comma 1, n. 5, c.p.c.). È stato altresì chiarito, a tale riguardo, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 , n. 3, c.p.c. per violazione della norma dell’art. 2729 c.c., la critica non può svolgersi mediante argomentazioni dirette ad infirmare la plausibilità della ricostruzione del fatto da parte del giudice di merito (Cass. 18611/2021), come, invece, è nella specie, poiché il ricorrente in buona sostanza si limita a criticare la valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di merito (secondo motivo)>>.