Gilberto Cavagna ci informa di un’interessante sentenza di appello, App. Bologna , Aceto Balsamico del Duca di Adriano Grosoli srl c. Min. Beni culturali, RG 162/2020, rel. Donofrio, relativo all’ormai importante tema dello sfruttamento commerciale (non autorizzato) della riproduzione di beni culturali (art. 106 ss TU 42/2004).
Si trattava dell’inserimento in un marchio della riproduzione del quadro di Velasquez, raffigurante il Duca Francesco I di Este.
In primo grado la domanda di danno del Ministero era stata accolta e la srl aveva appellato.
In appello la sentenza viene in sostanza confermata, anche se per alcuni anni viene affermata la prescrizione (quinquennale) del credito per canoni omessi.
I punti più importanti :
i) la privativa cit. è pubblicistica , per cui non avvicinabile a quelle privatistiche tipiche (autore, marchi etc.). Ne segue che non sottosta alla necessità di pubblico dominio confermata dall’art. 14 Dir. Copyright (nella stessa ottica la disposizione nazionale attuativa, art. 32 quater l. aut., esenta ilcod. beni culturali).
Ci si potrebbe naturalmente chiedere se la disciplina nazionale fosse compatibile con la cit. norma UE.
ii) la sua disciplina non contrasta con alcuna disposizione costituizionale interna (“Si deve inoltre ritenere totalmente infondata la questione di costituzionalità come prospettata dall’appellante in rapporto all’asserito contrasto tra la normativa in materia di beni culturali e gli articoli 3, 9 10, 41,76 e 77 della Costituzione, giacchè, come già sopra evidenziato, i beni sottoposti a vincolo culturale ricevono dall’ordinamento una tutela pubblicistica in quanto espressione di un’identità collettiva che l’ordinamento intende preservare. Pertanto, la durata temporale illimitata dei diritti relativi ai beni culturali non appare irragionevole, ma risponde a prevalenti ragioni costituzionali di valorizzazione e fruizione collettiva degli stessi, escludendo, di conseguenza, una qualsiasi disparità di trattamento tra enti pubblici e privati nella gestione di tali beni, poiché soltanto i primi possono assicurarne un uso compatibile con le esigenze dell’ordinamento“).
iii) essa è avvicianabile invece al diritto al nome e al ritratto, per cui è ammessa l’inibitoria.
Il punto iii) è però assai dubbio ed anzi errato: parificare un diritto sulla res (seppur per ragioni di pubblica utilità) ad un diritto personalissimo come nome ed immagine non ha fondamento. L’insistere sulla sua ratio pubblicistica impedisce di (e contasta col) ravvisare l’eadem ratio, necessaria per invocare l’analogia coi citt. diritto a nomne e immagine.
Grazie a Gilberto per l’utile aggiornamento.