Valore probatorio della mail

Cass. sez. III, ord. 18/09/2024  n. 25.131, rel. Rubino:

<<La decisione di merito è coerente, peraltro, con le più recenti affermazioni di legittimità in ordine al valore da attribuire alle mail. Si è recentemente affermato che, in merito al valore da attribuire alle comunicazioni inviate mediante posta elettronica semplice, i principi desumibili dalla legge sono pochi e semplici, e possono così riassumersi: (a) il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c.; (b) se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate (così già Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11606 del 14/05/2018, Rv. 648375 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 30186 del 27.10.2021 (in motivazione, pag. 4); Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3540 del 6.2.2019; una conferma a contrario di tali principi si ricava anche da Sez. 2 – , Ordinanza n. 22012 del 24/07/2023, la quale ha negato che una e-mail priva di firma elettronica avanzata soddisfi il requisito della forma scritta, ma solo se tale forma sia richiesta ad substantiam negotii); (c) se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo in una con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità (da Cass. n. 14046 del 2024)

La mail semplice è dunque un documento informatico scritto che entra nel processo e che deve essere valutato dal giudice.

Quanto alla ricezione delle comunicazioni a mezzo mail, si è più volte affermato che il titolare dell’indirizzo mail ne è responsabile, nel senso che non può limitarsi a negare di aver mai ricevuto la comunicazione, ma deve controllare che la ricezione della posta non sia bloccata e che i messaggi non siano finiti nella spam, rimanendo nella sua responsabilità la mancata conoscenza di un messaggio che gli sia stato regolarmente inviato e del quale non abbia preso conoscenza per il malfunzionamento della sua casella di posta elettronica o perché finito nella spam. [errore: il punto probtorio è proprio capire quando sia raggiunta la prova e a chi incomba -al mittente, direi-  che il messaggio gli statao consegnato].

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha preso atto che esiste un documento, firmato dal ricorrente per ricezione, che contiene la firma non disconosciuta del ricorrente, con il quale questi riceve la comunicazione del dispositivo della decisione della CTR. Il ricorrente non è riuscito a provarne l’abusivo riempimento. Sulla base di questo, ha ritenuto accertato che la mail informativa fosse stata inviata al ricorrente [errore colossale: v. appunto precedente] , ed ha ritenuto assolto l’obbligo informativo>>.

Sulla prova del dolo testamentario (art. 624 cc)

Cass. sez. II, sent. 11/10/2024 n. 26.519, rel. Cricenti:

<<La sentenza impugnata si é uniformata all’insegnamento della Suprema Corte, secondo il quale “al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni; occorre, invece, la prova dell’avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sua età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata” (Cass. 31.8.2023 n. 25521; Cass. 28.2.2018 n. 4653), ed é opportuno rammentare che la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore (Cass. 31.8.2023 n. 25521; Cass. 17.10.2022 n. 30424), mentre nel caso di specie tutti i capitoli di prova testimoniale riproposti dal ricorrente, e ritenuti dalla Corte d’Appello di Venezia inidonei a provare la captazione della volontà del de cuius da parte di Gi.Ri., non avrebbero consentito di identificare e ricostruire attività specifiche di condizionamento della volontà del testatore ad opera del fratello Ri., difettando quindi della necessaria decisività>>.

Concorso di colpa del danneggiato nella responsabilità da cosa in custodia

Cass. sez. 3 , ord. 16.10.2024 n. 26.895, rel. Guizzi, sul’art. 2051 cc (caduta di un minorenne  in una buca nel marcipiede):

<<Errata è, poi, l’affermazione – censurata con il quarto motivo
di ricorso – secondo cui, quanto “rileva al fine di escludere del
tutto la responsabilità del custode (…) non è la mera condotta
colposa del danneggiato, ma la sua eccezionalità, imprevedibilità
e «imprevenibilità»”. Su tali basi, dunque, la sentenza impugnata
ha ritenuto che “nella fattispecie in esame, non può affermarsi
che la condotta dì un ragazzo appena dodicenne fosse
assolutamente imprevedibile e, allo stesso modo, non può
affermarsi che l’evento non fosse prevenibile mediante l’adozione
di idonee cautele, quali ad esempio la chiusura del lato aperto
della piattaforma con una staccionata, ovvero, la chiusura
provvisoria della buca ivi esistente, di talché deve escludersi che
la condotta del danneggiato e di che ne aveva l’onere della
vigilanza e del controllo possano avere reciso del tutto il nesso
eziologico tra il danno e la res custodita”.
Tale argomentare, per vero, contrasta con il principio
giurisprudenziale secondo cui, “in tema di responsabilità per cosa
in custodia, l’incidenza causale (concorrente o esclusiva) del
comportamento del danneggiato presuppone che lo stesso abbia
natura colposa, non richiedendosi, invece, che la condotta si
presenti anche come autonoma, eccezionale, imprevedibile e
inevitabile” (da ultimo, tra le molte, Cass. Sez. 3, sent. 24
gennaio 2024, n. 2376, Rv. 670396-01)>>

Il genitore ha legittimazione per chiedere l’assegno di mantenimento spettante al figlio con lui convivente

Cass. sez. I, ord., 11 ottobre 2024, n. 26.503,  Rel. Iofrida:

<<In tema di mantenimento dei figli, la legittimazione del genitore convivente con il figlio maggiorenne, in quanto fondata sulla continuità dei doveri gravanti sui genitori nella persistenza della situazione di convivenza, concorre con la diversa legittimazione del figlio, che trova invece fondamento nella titolarità del diritto al mantenimento, sicché si possono ritenere pertinenti i principi dettati in tema di solidarietà attiva. Ne consegue che, nel caso in cui ad agire per ottenere dall’altro coniuge il contributo al mantenimento sia il genitore con il quale il figlio medesimo continua a vivere, non si pone una questione di integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio diventato maggiorenne, non sussistendo in caso di mancato esercizio, da parte di quest’ultimo, del diritto di agire autonomamente nei confronti del genitore con cui non vive, alcun conflitto con la posizione assunta dal genitore con il quale continua a vivere>>

(massima di Cesare Fossati in Ondif)

Assegno di mantenimento da divorzio

Cass. sez. I ord. 11 ottobre 2024 n. 26.520,
Rel  Iofrida:

<<L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico – patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali – che il richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale>>.

(Nella fattispecie, il contributo dato dalla moglie alla formazione del patrimonio del marito e/o di quello comune è derivato dall’assunzione su di sé dell’onere di accudimento della casa e dei figli così da consentire al marito di dedicarsi alla propria carriera.

In punto quantificazione, considerato il testo della norma, la Corte d’appello si è riportata alla motivazione espressa in primo grado, integrandola correttamente con la considerazione della spettanza dello stesso in funzione perequativa – compensativa, tenuto conto della durata del matrimonio, dell’età dell’avente diritto, del contributo fornito dalla moglie alla condizione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale dell’ex coniuge, del venir meno dell’assegnazione della casa coniugale e così rispettando dunque i parametri di legge).

(massima e commento di Cesare Fossati in Ondif)

la responsabilità del coerede per i debiti ereditari e l’integrazione del contraddittorio

Cass. sez. II, sent . 16 ottobre 2024 n. 26.833, rel. Trapuzzano:

<<Il coerede che sia stato convenuto in giudizio per il pagamento di un debito ereditario è tenuto ad eccepire la propria qualità di obbligato “pro quota”, in virtù dell’esistenza di altri coeredi, mentre, laddove tale qualità sia sopravvenuta all’inizio di un processo originariamente introdotto nei confronti del “de cuius”, tra i coeredi si instaura una condizione di litisconsorzio necessario processuale, applicandosi conseguentemente la regola di cui all’art. 754 c.c., secondo la quale ciascuno di essi risponde, nei confronti del creditore, nei limiti della propria quota ereditaria.

(Nella fattispecie la morte della parte volta evocata in causa quale erede, è avvenuta nel corso del giudizio di primo grado, con l’effetto che tale evento interruttivo ha determinato la trasmissione della sua legittimazione processuale attiva e passiva agli eredi, che si sono venuti a trovare nella posizione di litisconsorti necessari per ragioni processuali, sicché, in fase di appello, doveva essere ordinata, d’ufficio, l’integrazione del contraddittorio)>>.

(preso da Valeria Cianciolo in Ondif)

La tutela del software copre solo i codici sorgente e oggetto, non le variabili ulteriori, sulle quali i concorrenti possono apportare modifiche con applicaizoni integrative

Importante (perchè non scontata) ed esatta precisazione di Corte Giust. 17/10/2027, C-159/23, Sony c. DAtel .

Il fatto:

<<15 La Sony commercializza, in qualità di licenziataria esclusiva per l’Europa, consolle per videogiochi Playstation nonché videogiochi per tali consolle. Fino al 2014, la Sony commercializzava, tra l’altro, la consolle PlayStationPortable (in prosieguo: la «consolle PSP») nonché taluni videogiochi per questa consolle, fra cui il videogioco MotorStorm Arctic Edge (in prosieguo: il «videogioco di cui trattasi»).

16 La Datel sviluppa, produce e distribuisce software, in particolare prodotti integrativi delle consolle per videogiochi della Sony, tra cui il software Action Replay PSP nonché un dispositivo, il Tilt FX, corredato di un software avente lo stesso nome, che consente di comandare la consolle PSP mediante movimento nello spazio. Tali software funzionano esclusivamente con i giochi originali della Sony.

17 L’esecuzione del software Action replay PSP avviene collegando la consolle PSP a un elaboratore ed inserendo in tale consolle una chiavetta USB che carica detto software. Dopo il riavvio di detta consolle, l’utilizzatore dispone, nell’interfaccia, di una funzione supplementare «Action replay» che offre all’utilizzatore opzioni di gioco non previste nell’attuale fase del videogioco da parte della Sony. In tale scheda figurano, ad esempio, per quanto riguarda il videogioco di cui trattasi, opzioni che consentono di eliminare qualsiasi restrizione nell’utilizzo del «turbo» (booster) o di disporre non soltanto di una parte dei conducenti, ma anche della parte di essi che, altrimenti, potrebbe essere attivata solo dopo aver ottenuto un determinato punteggio.

18 Per quanto riguarda il Tilt FX, l’utilizzatore dispone di un sensore che è collegato alla consolle PSP e che consente di comandare tale consolle grazie ai movimenti di quest’ultima nello spazio. In tale consolle deve essere introdotta anche una chiave USB allo scopo di predisporre l’intervento del sensore di movimento, il che rende disponibile, nell’interfaccia, una funzione supplementare che elimina, in particolare, talune restrizioni. Così, per il videogioco di cui trattasi, tale funzionalità consente un utilizzo illimitato del turbo>>.

La CG:

37  Risulta quindi dalla formulazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2009/24, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, che il codice sorgente e il codice oggetto rientrano nella nozione di «forma di espressione» di un programma per elaboratore, ai sensi di tale disposizione, in quanto consentono la riproduzione o la realizzazione di tale programma in una fase successiva, mentre altri elementi di quest’ultimo, quali in particolare le sue funzionalità, non sono tutelati da tale direttiva. Detta direttiva non tutela neppure gli elementi mediante i quali gli utilizzatori sfruttano tali funzionalità, senza tuttavia consentire una simile riproduzione o realizzazione del programma in una fase successiva.

38 Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 38 e 40 delle sue conclusioni, la tutela garantita dalla direttiva 2009/24 è limitata alla creazione intellettuale quale essa si riflette nel testo del codice sorgente e del codice oggetto e, pertanto, all’espressione letterale del programma per elaboratore in tali codici, che costituiscono rispettivamente una serie di istruzioni in base alle quali l’elaboratore deve svolgere i compiti previsti dall’autore del programma. (…)

50  Nel caso di specie, il giudice del rinvio osserva che il software della Datel è installato dall’utilizzatore sulla consolle PSP ed è eseguito contemporaneamente al software di gioco. Detto giudice aggiunge che tale software non modifica e non riproduce né il codice oggetto, né il codice sorgente, né la struttura interna e l’organizzazione del software della Sony, utilizzato sulla consolle PSP, ma si limita a modificare il contenuto delle variabili temporaneamente inserite dai videogiochi della Sony nella memoria RAM della consolle PSP, che sono utilizzate durante l’esecuzione del videogioco, cosicché quest’ultimo viene eseguito sulla base di tali variabili dal contenuto modificato.

51 Inoltre, come risulta dalla motivazione della decisione di rinvio, risulta che il software della Datel, modificando unicamente il contenuto delle variabili inserite da un programma per elaboratore tutelato nella memoria RAM di un elaboratore ed utilizzate da tale programma nel corso della sua esecuzione, non consente, in quanto tale, di riprodurre tale programma né una parte di esso, ma presuppone, al contrario, che tale programma sia eseguito in contemporanea. Come sostanzialmente sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, il contenuto delle variabili costituisce quindi un elemento di detto programma, attraverso il quale gli utilizzatori sfruttano le funzionalità di tale programma, elemento che non è protetto in quanto «forma di espressione» di un programma per elaboratore ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2009/24, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare>>.

La tutela concerne le forme diespressioone di unprogramma le quali << sono quelle che consentono di riprodurlo in diversi linguaggi informatici, quali il codice sorgente e il codice oggetto >>, § 34.

Nel keyword search advertisement il mero acquisto del nome altrui non è violazione di marchio

App. del 2 circuito 08.10.2024, 1-800 contacts inc. d. Jand inc. afferma quanto nel titolo.

<<As outlined above, three components to a search advertising campaign are
relevant for our analysis of whether 1-800 has sufficiently alleged trademark
infringement by Warby Parker: first, the defendant’s purchase of a competitor’s
marks as keywords; second, the ads placed on the search results page for the
competitor’s marks; and third, the defendant’s landing webpage to which its ads
are linked. Thus, the central question in this case is whether 1-800 has sufficiently alleged a likelihood of confusion arising from Warby Parker’s use of 1-800’s Marks (i.e., 1800 Contacts,” “1 800 Contacts,” “1800contacts.com,” and “1800contacts”) in the keyword bidding process, the search ads, and/or the linked landing webpage. (….)
Further, in the search advertising context, an alleged infringer’s
purchase of a keyword comprising a competitor’s trademark constitutes a “use in
commerce” of such trademark under the Lanham Act. See Rescuecom Corp., 562
F.3d at 127 (holding that complaint regarding Google’s AdWord’s
recommendation of plaintiff’s trademark to plaintiff’s competitors “adequately
plead[ed] a use in commerce” under the Lanham Act)
(…)
1-800 alleges that Warby Parker made an infringing use of 1-800’s Marks in
the first component of its search advertising campaign: the keyword purchase.
However, as described above, the mere act of purchasing a competitor’s
trademarks as keywords in the search advertising context does not constitute
trademark infringement or unfair competition. See id. at 130. Warby Parker’s
purchase of 1-800’s Marks, standing alone, does not infringe 1-800’s Marks because “a defendant must do more than use another’s mark in commerce to violate the Lanham Act.” Id. The statute requires a showing that the defendant’s use caused consumer confusion. (….)

we conclude that 1-800 has failed to sufficiently plead that Warby Parker’s advertising plan was likely to confuse consumers at any point in the sales process because 1-800 does not claim that Warby Parker actually used the former’s Marks other than by buying them as keywords in the search engine auctions, and such use alone does not create a likelihood of consumer confusion>>

analoga soluzione probabilmente anche in base al nostro art. 20.2 cpi.-

La sentenza poi passa ad esaminare la confondibilità delle “landing pages”, negandola.

(notizia e link da Eric Goldman blog)

La malafede dell’utilizzatore posteire nella convalida del marchio ex art.- 28 cpi

Sorprendente interpretazione del concetto di “malafede” nell’art. 28 da parte di Trib. Milano rel. Bellesi, r.g. 26866/2020 , 07.09.23-27.03.24, FIORENTINA S.P.A. c. Zaffiro srl.

<<Benché debba ritenersi non sufficiente a integrare la malafede prevista dalla norma la semplice conoscenza dell’esistenza del marchio anteriore altrui, essendo anche necessaria l’intenzione di approfittare dell’accreditamento presso il pubblico da quello conseguito (in tal senso, Cass. civ. Sez. I Ord., 13/7/2018, n. 18736), va tenuto presente che l’istituto della convalidazione ha natura eccezionale e presuppone il rigoroso accertamento dei suoi presupposti.
Considerata la notorietà dei marchi della Fiorentina, che sono celebri e conosciuti in Italia e all’estero, per effetto dei successi sportivi della squadra, che è il simbolo della città di Firenze, può ritenersi provato che la dante causa della convenuta Zaffiro fosse a conoscenza dell’esistenza e dell’uso del marchio “Fiorentina”.
Non è ipotizzabile neppure che la stessa, pur essendo a conoscenza dei marchi dell’attrice, ritenesse senza sua colpa che fra i rispettivi segni non sussistesse confondibilità o che fra i rispettivi prodotti o servizi non vi fosse affinità.
Al contrario, la diffusione, la notorietà e l’affermazione presso il pubblico del segno anteriore consentono di affermare che vi fosse, in capo alla titolare del marchio posteriore, la volontà di confondersi o di agganciarsi a un segno anteriore precedentemente affermatosi sul mercato.
Del resto, la somiglianza fra i marchi di cui si controverte è incontestabile; si potrebbe parlare di identicità, se non fosse per la presenza del top level domain “.it” che è comunque irrilevante sotto il profilo distintivo>>.

Interpretazione soprendente dato che la mala fede è la consapevolezza di ledere l’altrui diritto e null’altro (argomenta dalla definizione di buona fede posta dall’art. 1147 cc sul possesso)

Corresponsabilità (contributory infringement) nella violazione del copyright a carico dell’internet provider

L’appello del 5 Distretto 09.10.2024, No. 23-50162, UMG Recordings, Capitol Records ed altre majorts della musica c. Grande Communications Network, decide un caso di corrsponsabilità di tipo P2P, confermando la condanna di prim grado (nell’an, non nel quantum),

Nel caso specifico la correpopnsabilità non era contestabile, dato che l’ISP era stato notiziato della violazione e nulla ha fatto.

Ma cìè staa battaglia comunque su due dei quattro requisiti di legge (<< Plaintiffs had to show (1) that Plaintiffs own or have exclusive control over valid copyrights and (2) that those copyrights were directly infringed by Grande’s subscribers. See BWP Media USA, 852 F.3d at 439. To further prove that Grande was secondarily liable for its subscribers’ conduct, Plaintiffs had to demonstrate (3) that Grande had knowledge of its subscribers’ infringing activity and (4) that Grande induced, caused, or materially contributed to that activity>>): precisamente sul 2 e sul 4. Nessuna invece sul n. 3, implicitamente ammmettendosi la willful blindness.

Qui contano spt. le tattiche di forensics: (1) ad es col software Audible Magic: Plaintiffs’ trade association, the Recording Industry Association of America, Inc.
(“RIAA”), used an industry-standard software program called Audible
Magic—which forensically analyzes the contents of digital audio files to
determine if those files match the contents of files in a database that contains
authorized authentic copies of Plaintiffs’ sound recordings—to verify that
Rightscorp in fact downloaded each work at issue,.

(2) Oppure col soggetto terzo incaricato da esse di indagini, Rightscorp: .

“To crack down on copyright infringement, third-party companies
have developed technologies to infiltrate BitTorrent and identify infringing
users by their IP addresses. One such company is Rightscorp, Inc.
(“Rightscorp”). Rightscorp’s proprietary technology:
• Interacts with BitTorrent users and obtains their agree-
ment to distribute unauthorized copies of copyrighted
works
• Records the relevant available details of that agreement,
such as the user’s IP address and what the infringed
content is
• Cross-references the user’s IP address against publicly
available databases to identify which ISP is affiliated
with that IP address
• Generates and sends infringement notices to the rele-
vant ISPs so that they can identify their infringing sub-
scribers and take appropriate action; and
• Frequently reconnects with the identified infringing IP
addresses and downloads copies of the copyrighted
works at issue directly from those users
In other words, Rightscorp identifies infringing conduct on
BitTorrent by engaging with BitTorrent users, documents that conduct, and
uses the information available to it to notify ISPs of its findings so that the
ISP can take appropriate action”.

Sintesi finale:

<< The evidence at trial demonstrated that Grande provided its
subscribers with the tools necessary to infringe (i.e., high-speed internet
access) and that Grande’s subscribers used those tools to infringe Plaintiffs’
copyrights.14 See BMG, 881 F.3d at 306-08. Based on the consistency of the
trial evidence, the district court determined that there was “no question that
[Grande] intentionally continued to provide Internet service” to its
infringing subscribers.
Grande’s affirmative choice to continue providing its services to
known infringing subscribers—rather than taking simple measures to
prevent infringement—distinguishes this case from Cobbler Nevada, LLC v.
Gonzales, 901 F.3d 1142 (9th Cir. 2018), on which Grande relies. There, the
Ninth Circuit considered a claim alleging that a subscriber of internet
services who received infringement notices failed to “secure, police and protect” his account from third parties who used his internet access to
infringe. Cobbler, 901 F.3d at 1145-46. The direct infringers were never
identified. See id. at 1145 n.1. Because the pleading premised liability
exclusively on the subscriber’s failure to take action against unknown third-
party infringers, it was insufficient to state a claim. See id. at 1147-49. Here,
Plaintiffs proved at trial that Grande knew (or was willfully blind to) the
identities of its infringing subscribers based on Rightscorp’s notices, which
informed Grande of specific IP addresses of subscribers engaging in
infringing conduct. But Grande made the choice to continue providing
services to them anyway, rather than taking simple measures to prevent
infringement. Additionally, Cobbler addressed only inducement liability
under Grokster; it did not opine on the evidence required for establishing
material contribution. See id. The court in Cobbler rejected the plaintiff’s
invitation to create “an affirmative duty for private internet subscribers to
actively monitor their internet service for infringement,” id. at 1149; it did
not absolve ISPs like Grande that continue providing services to known
infringing subscribers.
The evidence at trial demonstrated that Grande had a simple measure
available to it to prevent further damages to copyrighted works (i.e.,
terminating repeat infringing subscribers), but that Grande never took it. On
appeal, Grande and its amici make a policy argument—that terminating
internet services is not a simple measure, but instead a “draconian
overreaction” that is a “drastic and overbroad remedy”—but a reasonable
jury could, and did, find that Grande had basic measures, including
termination, available to it. See Amazon.com, 508 F.3d at 1172. And because
Grande does not dispute any of the evidence on which Plaintiffs relied to
prove material contribution, there is no basis to conclude a reasonable jury
lacked sufficient evidence to reach that conclusion.

In sum, because (1) intentionally providing material contribution to
infringement is a valid basis for contributory liability; (2) an ISP’s continued
provision of internet services to known infringing subscribers, without taking
simple measures to prevent infringement, constitutes material contribution;
and (3) the evidence at trial was sufficient to show that Grande engaged in
precisely that conduct, there is no basis to reverse the jury’s verdict that
Grande is liable for contributory infringement >>.

Interessante infine è la riduzine del quantum, dovendosi determinare il danno statutory non per singolo brano ma per albums., Ma ciò dipende da specifica norma del 17 US Code § 504 (“for the purposes of this subsection, all the parts of a compilation or derivative work constitute one work”).

 

(Notizia e link dal blog di Eric Goldman)