Onere provatorio per escludere la condominialità di uin bene (art. 1117 cc: “se non risulta in contrario dal titolo”)

Cass. sez. II, ord. 21/11/2024 n. 30025, rel. Pirari, ribadisce insegnamenti consolidati:

<<7.1. Va, innanzitutto, premesso che, secondo quanto già reiteratamente statuito dalla giurisprudenza di questa Corte, per affermare la condominialità di un bene occorre gradatamente verificare dapprima che la res, per le sue caratteristiche strutturali, risulti destinata oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr. Cass. Sez. Unite, 7/07/1993, n. 7449 e, più recentemente, Cass., Sez. 2, 8/09/2021, n. 24189), e poi che [“non”: dimenticanza della SC…] sussista un titolo contrario alla “presunzione” di condominialità, facendo riferimento esclusivo al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto.

L’art. 1117 cod. civ., infatti, nel contemplare un elenco, non tassativo, di beni caratterizzati dalla loro attitudine oggettiva al godimento comune e dalla concreta destinazione dei medesimi al servizio comune (Cass., Sez. 2, 18/4/2023, n. 10269; Cass., Sez. 2, 23/08/2007, n. 17928), opera ogniqualvolta, nel silenzio del titolo, il bene, per le sue caratteristiche, sia suscettibile di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi (Cass., Sez. 2, 20/07/1999, n. 7764; Cass., Sez. 2, 30/03/2016, n. 6143), in quanto detta una presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini che non può essere vinta con qualsiasi prova contraria, ma soltanto alla stregua delle “opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali” (Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440). La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti cod. civ., si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto (Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440, cit.), la cui trascrizione, comprensiva pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, anche delle parti comuni, ne consente l’opponibilità ai terzi dalla data dell’eseguita formalità (Cass., Sez. 2, 17/2/2020, n. 3852; Cass., Sez. 2, 9/12/1974, n. 4119).

In presenza di tale presunzione legale, il condominio è, dunque, dispensato dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica, spettando invece al condòmino che rivendichi la proprietà esclusiva di uno dei beni di cui al suddetto elenco dare la prova delle sue asserzioni, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si era riservato l’esclusiva titolarità del bene (Cass., Sez. 2, 17/2/2020, n. 3852; Cass., Sez. 2, 7/6/1988, n. 3862).

Ciò comporta che è al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico proprietario e al conseguente frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali che occorre fare riferimento al fine di verificare la possibilità di superare la previsione di cui all’art. 1117 cod. civ., con la conseguenza che non può considerarsi dirimente, a tali fini, il contenuto del contratto di compravendita di colui che abbia acquistato in epoca successiva al primo atto di acquisto dall’originario unico proprietario, a meno che questi non si sia riservato la proprietà di alcune porzioni immobiliari che sarebbe altrimenti cadute nella presunzione di condominialità. Quanto al regolamento condominiale c.d. contrattuale, ossia quello contestuale alla nascita del condominio e accettato col consenso individuale dei singoli condomini (cfr. Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440, cit.; anche Cass., Sez. 2, 7/4/2023, n. 9951; Cass. Sez. 2, 03/05/1993, n. 5125; Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012), deve osservarsi come esso possa contenere, oltre alle norme relative all’amministrazione e alla gestione delle parti comuni, anche l’indicazione stessa delle parti comuni e perfino la previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva, dando luogo ad un vincolo di natura pertinenziale, siccome posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio, legittimato all’instaurazione e al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, secondo comma, e 818 c.c. (Cass., Sez. 2, 4/9/2017, n. 20712; Cass. Sez. 2, 04/06/1992, n.6892; ma si veda anche Cass. Sez. 2, 24/11/1997, n. 11717).

Tuttavia, proprio perché l’esclusione, dal novero delle parti condominiali, di alcune porzioni dell’edificio che altrimenti vi ricadrebbero alla stregua della presunzione di cui all’art. 1117 cod. civ. incide sulla costituzione o modificazione di un diritto reale immobiliare (con la conseguenza che l’esclusione stessa deve risultare ad substantiam da atto scritto), è necessario, per aversi titolo contrario, che dal negozio, così come dal regolamento c.d. contrattuale, emergano elementi tali da essere in contrasto con l’esercizio del diritto di condominio, e tale indagine, in quanto afferente all’interpretazione della volontà negoziale dei condomini, presuppone un accertamento di fatto demandato all’apprezzamento dei giudici del merito, rimanendo incensurabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, così come previsti negli artt. 1362 e seguenti cod. civ., oppure nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440 cit.), senza che rilevi il dato empirico che l’area in esame, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta ed utilizzata più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare adibita ad attività commerciale, piuttosto che dagli altri condomini (Cass., Sez. 2, 4/9/2017, n. 20712; anche Cass., Sez. 2, 3/05/2002, n. 6359)>>.