Permuta di bene presente con bene futuro e conversione della mancanza del secondo in risarcimento del danno (ai fini della insinuazione al passivo)

Cass. sez. I, ord. 12/11/2024 n. 29.097, rel. Vella:

<<Nel caso in esame si è infatti di fronte ad un contratto di “permuta di bene presente con bene futuro”, tale essendo la corretta qualificazione giuridica dei contratti che hanno ad oggetto il trasferimento di un immobile (ad es. area fabbricabile) in cambio del trasferimento di altro immobile (ad es. parti dell’edificio da costruire a cura e mezzi del cessionario), sicché l’effetto traslativo ex art. 1472 c.c. (applicabile ai sensi dell’art. 1555 c.c.) si verifica quando la cosa viene a esistenza, momento che si identifica nella conclusione del processo edificatorio nelle sue componenti essenziali, ossia nella realizzazione delle strutture fondamentali (Cass. 13398/2024, 24172/2013).

Se dunque in simili casi il trasferimento della cosa presente avviene immediatamente, mentre rimane sospeso l’acquisto della proprietà della cosa futura, una volta divenuto impossibile l’acquisto predetto per il fallimento del contraente che avrebbe dovuto eseguire la costruzione, il relativo diritto si trasforma in un credito, corrispondente al valore dell’immobile futuro dedotto in permuta, da insinuarsi al passivo fallimentare (Cass. 934/1973).

È invece da escludersi che ricorra la fattispecie del “contratto pendente”ex art. 72, comma 1, L.Fall., pacificamente configurabile solo quando le prestazioni del sinallagma siano ancora ineseguite o non compiutamente eseguite da entrambe le parti (cfr. Cass. Sez. U, 12505/2004), mentre nel caso in esame è pacifico che l’odierna ricorrente aveva adempiuto la propria obbligazione.

Di qui l’applicabilità dell’art. 59 L.Fall., poiché la ricorrente vantava il diritto ad una prestazione di “facere” (trasferimento immobile), non coercibile, e dunque un credito “non pecuniario”, ammesso al concorso in base al suo valore alla data del fallimento>>.

Purtroppo la SC non spiega il meccanismo giuridico per cui il credito ad un bene futuro si trasformi in un credito pecuniario al valore.

La violenza fisica e verbale costituisce di per se motivo di intollerabilità della prosecuzione della convivenza e di addebito della separazione

Cass. sez. I, ord. 29/11/2024 n. 30.721, rel. Acierno:

<<Certamente, l’orientamento consolidato di questa Corte ritiene che la pronuncia di addebito non possa fondarsi unicamente sul mero riscontro della violazione dei doveri che discendono dal vincolo matrimoniale, che sia invece necessario l’accertamento dell’effettiva idoneità della condotta a essere causa, non necessariamente unica, ma comunque determinante dell’intollerabilità della prosecuzione del rapporto (Cass. civ. 12.05.2017, n. 11929) e che il nesso possa escludersi presuntivamente allorquando la violazione intervenga nel contesto di una globale e consolidata crisi del rapporto (Cass. civ. 07.12.2007 n. 25618).

Pertanto, in capo a chi lamenta la violazione dei doveri coniugali e domanda la dichiarazione di addebito della separazione al coniuge, incombe un doppio onere di prova: un primo concernente l’esistenza della violazione e un secondo riferito alla efficacia causale della stessa a determinare la domanda di separazione. Quanto affermato non contrasta, tuttavia, con il particolare orientamento sviluppato dal giudice di legittimità, che la Corte d’Appello non ha tenuto in considerazione, e che ha ad oggetto la valutazione dell’onere probatorio in tema di violazione dei doveri coniugali mediante condotte violente perpetrate ai danni del coniuge. Dette condotte, a motivo della particolare gravità della violazione dei doveri di cui all’art. 143 c.c., sono idonee non solo a fondare la pronuncia di separazione, ma anche a fondare per sé sole, quand’anche concentratesi in un unico episodio di violenza, la dichiarazione di addebitabilità all’autore. Sono altresì insuscettibili di essere poste a fondamento del giudizio di comparazione con le condotte dell’altro coniuge e non rileva, neanche, la posteriorità delle stesse alla situazione di globale conflittualità fra coniugi. L’onere della prova, ai soli fini della pronuncia della separazione e della dichiarazione di addebito, si affievolisce, pur non esaurendosi, in favore di una presunzione relativa di idoneità (Cass. Civ. n. 7388 del 22 marzo 2017; Cass. civ. n. 27324 del 16 settembre 2022).

Neppure può condividersi il rilievo secondo cui “Ve pretese violenze…, anche se in ipotesi fossero state provate, sono state per parte agite molti anni prima della separazione, e quanto all’episodio più recente, databile al 2017, lo stesso è collocabile in epoca in cui per stessa ammissione della parte appellante, esisteva già tra i coniugi separazione di fatto”, incorrendo il giudice di merito in un duplice errore logico: da un lato, escludendo il nesso causale per il solo decorrere del tempo dalle violenze presunte (fattore che non può, di per sé, escludere ragionevolmente la rilevanza delle stesse ai fini della pronuncia di addebito) e dall’altro, ritenendo non provati fatti che erano oggetto dei capitoli di prova non ammessi e per questo rigettare la domanda della ricorrente. >>

Nella determinazione dell’assegno divorzile, la possibilità di critica dell’omessa disposizione di indagini economico-patrimoniali vale anche per l’omesso esame di contestazioni sull’esito delle indagini disposte

Cass. sez. I, ord. 27/11/2024n. 30.537, rel. Reggiani:

<<3.3. Nei giudizi di divorzio, inoltre, ai sensi dell’art. 5, comma 9, L. cit. (abrogato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, che ha introdotto l’art. 473-bis.2 c.p.c., ma applicabile al presente giudizio ratione temporis) i coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al Presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune, con la precisazione che, in caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi se del caso, anche della polizia tributaria.

Questa Corte ha precisato che il potere di disporre indagini sui redditi è un potere senza dubbio discrezionale, il cui mancato esercizio può essere sindacato per vizio di motivazione, ove non venga attivato a fronte di richiesta fondata su fatti concreti e circostanziati, di cui non sia spiegata l’irrilevanza ai fini della decisione (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21603 del 20/09/2013).

Tale principio opera anche nel caso in cui le indagini siano state effettuate, ma a fronte di contestazioni circostanziate sull’esito e la completezza delle stesse venga richiesto al giudice di discostarsi dall’elaborato peritale o di effettuare delle integrazioni.>>