Cass. sez. I, ord. 09/12/2024 n. 31.555, rel. Parise:
<<2.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa, sicché, ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabile, di trovarsi un’occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata (Cass.21572/2006). È stato altresì precisato (Cass. 11889/2015; Cass. 33789/2022) che lo stato di bisogno deve essere connotato da una oggettiva impossibilità di soddisfare i bisogni primari con proprie fonti o attingendo anche da una rete solidale, per quanto non giuridicamente vincolante e però sostanzialmente fruibile e continuativa [NB: è il passaggio più ibnteressnte] e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie (così anche Cass.25248/2013).
2.2. Nel caso di specie la Corte di merito, sulla scorta dell’accertamento peritale effettuato in primo grado e degli elementi probatori acquisiti, ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi, e, dopo aver dato conto delle complesse patologie fisiche da cui era affetta la controricorrente e della situazione anche psicologica in cui si trovava, ha affermato che la Bo.Ma. non era, allo stato, “concretamente in grado di attivarsi per reperire (e per mantenere) una occupazione lavorativa, seppur astrattamente compatibile con la propria formazione universitaria e con le proprie condizioni e limitazioni fisiche (ad esempio riprendendo le traduzioni a domicilio)”. In particolare la Corte di merito ha condiviso la valutazione effettuata dal Tribunale, secondo cui la malattia rara (“displasia neuronale viscerale, interessante il tubo digerente, con sintomatologia insorta nell’infanzia, con stipsi ostinata”) da cui è affetta la figlia del ricorrente aveva comportato, a partire dal 2013, interventi chirurgici e cure costanti. Era inoltre emersa «, pur a fronte di una pregressa istruzione universitaria ed attività lavorativa come traduttrice per alcune case editrici e privati, una attuale (dal 2013 ad oggi) situazione di ritiro sociale, assenza di occupazione, continua necessità di dedicarsi a specifiche manovre fisiologiche derivanti dalla patologia, con impossibilità di uscire di casa se non per poco tempo ed in dipendenza dalle condizioni fisiche del momento; la signora è risultata di umore deflesso, con note ansiose, affetta da “attendibile disturbo alimentare in magrezza grave”. Il consulente ha riconosciuto alla stessa una riduzione della capacità lavorativa generica, in rapporto ai quadri morbosi coesistenti, del 67%»>>.
Interessanti le circostanze fattuali, come sempre in casi del genere:
<<Sulla base di tali risultanze, la Corte di merito ha quindi concluso ritenendo “sussistente, quantomeno ad oggi, di fatto, uno stato di bisogno dovuto ad una incolpevole capacità di provvedere al proprio sostentamento”.
A fronte di tale congruo percorso motivazionale, la censura espressa con il primo motivo non coglie nel segno, poiché con la locuzione “incolpevole incapacità di provvedere al proprio sostentamento” la Corte di merito non ha affatto inteso, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, valorizzare un elemento soggettivo, ma proprio, invece, l’impossibilità concreta dell’alimentanda, allo stato, “di attivarsi per reperire (e per mantenere) una occupazione lavorativa” , così come previsto dall’art. 438 c.c.
2.3. Le doglianze espresse con gli altri motivi sono inammissibili perché non si confrontano compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata o sollecitano impropriamente il riesame del merito.
Nello specifico, la Corte d’Appello ha dato atto che la controricorrente non ha più lavorato, come traduttrice a domicilio, solo da quando le sue condizioni di salute sono peggiorate e ha subito una serie ravvicinata di interventi chirurgici (e non da venti anni come si assume in ricorso) e non ha affatto basato il proprio convincimento sulla sola sussistenza di una riduzione parziale della capacità lavorativa generica (secondo motivo), ma sulla complessiva situazione fisica e psichica riscontrata dal C.T.U. e valutata all’attualità, ed anzi ha auspicato che l’alimentanda trovi un supporto “in quelle difficoltà collaterali (ad esempio nell’alimentazione, che la stessa ha riferito essere attualmente solo liquida), anche di natura verosimilmente psicologica, che le hanno reso sino ad oggi concretamente non spendibile neppure quella residua capacità lavorativa alla stessa riconosciuta dal consulente”.
I motivi terzo (ingenti disponibilità economiche della controricorrente), quarto (CTU “referente” ) e quinto (convincimento basato su mere deduzioni) denunciano la violazione degli artt. 428 c.c. e 115 e 116 c.p.c., ma in realtà si tratta di doglianze impropriamente dirette al riesame dei fatti. La Corte d’Appello ha preso in considerazione la situazione economica della controricorrente, in particolare l’aiuto anche economico consistente datole negli anni dallo zio materno, ma ne ha escluso motivatamente la rilevanza ai fini che qui interessano, così affermando “Il lodevole aiuto, di carattere materiale e non solo, fornito alla sig.ra Bo.Ma., da circa 20 anni (sostanzialmente dal decesso della madre) dallo zio materno non può essere utilizzato né per escludere lo stato di bisogno dell’appellata (atteso che le somme erogate sono ovviamente soggette ad inevitabile erosione in assenza di redditi periodici) né per esonerare il padre dal proprio onere di solidarietà familiare”.
Le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio hanno consentito di accertare la reale condizione fisica e psichica dell’alimentanda e le conclusioni peritali sono state condivise dalla Corte d’Appello e, prima, dal Tribunale in quanto basate su riscontri oggettivi e documentati. La motivazione della sentenza impugnata è congrua e pienamente comprensibile, nonché ancorata a dati di riscontro e sorretta da un ragionamento logicamente argomentato>>.