Per l’assegno di mantenimento dei figli, contano solo le condiizoni economiche dei genitori, non quelle dei nonni

Cass. sez. I, ord. 13 dicembre 2024, n. 32.365, rel. Tricomi:

In tema di assegno di mantenimento per i figli trova applicazione il principio secondo cui, in sede di separazione, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge, non rilevano le condizioni economiche dei genitori del soggetto obbligato, giacché questi, una volta che il figlio sia divenuto autonomo e abbia fondato un proprio nucleo familiare, non hanno più alcun obbligo giuridico nei suoi confronti; pertanto, eventuali elargizioni dei genitori, ancorché continuative, costituiscono atti di liberalità e non possono essere considerate reddito del coniuge obbligato, salva la possibilità, ove ricorrano lo stato di bisogno e i presupposti di legge, di proporre domanda per il riconoscimento degli alimenti ex art. 433 e ss c.c.

(massima di Cesare Fossati in Ondif)

Resposanbilità dell’avvocato e danno non patrimoniale per eccessiva durata del processo (legge Pinto)

Cass. sez. III, ord.  11/11/2024 n. 29.050, rel. Cirillo:
<<3.2. Tanto premesso in relazione al primo motivo, il Collegio ritiene opportuno ricordare che in tema di responsabilità professionale dell’avvocato la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito, con un orientamento ormai consolidato, che la valutazione sull’esistenza di una colpa professionale deve essere compiuta, con un giudizio ex ante, sulla base di una valutazione prognostica della possibile utilità dell’iniziativa intrapresa o omessa, non potendo comunque l’avvocato garantirne l’esito favorevole (viene di frequente richiamata, al riguardo, l’antica e ormai superata distinzione tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato). Questo principio è stato affermato per lo più in relazione alla responsabilità omissiva, cioè quando si deve valutare la conseguenza dannosa, per il cliente, derivante da un’attività processuale che poteva essere compiuta e non è stata compiuta (v., tra le altre, la sentenza 24 ottobre 2017, n. 25112, e le recenti ordinanze 19 gennaio 2024, n. 2109, e 6 settembre 2024, n. 24007).

Tale giudizio si svolge, seguendo le regole causali in materia di responsabilità civile, secondo il principio del più probabile che non, in base al quale può ritenersi, in assenza di fattori alternativi, che l’omissione da parte del difensore abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno. Si è detto, in particolare, che in questa materia occorre “distinguere fra l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio. In entrambi i casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile, ma nella prima ipotesi l’evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione; nell’altra, il danno (che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante) deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato” (così la citata sentenza n. 25112 del 2017, testualmente ripresa dalla successiva ordinanza 30 aprile 2018, n. 10320).

3.3. Il caso odierno rientra nella seconda delle due ipotesi ora tratteggiate, perché si discute di cinque diversi giudizi risarcitori (secondo le norme della legge n. 89 del 2001) che l’avv. Ve.An. ebbe a promuovere nell’interesse di Ra.An. e che si conclusero tutti con pronunce preliminari in rito, conseguenti ad una serie di omissioni procedurali imputabili al difensore. Giudizi, questi, riguardo ai quali non è ovviamente possibile stabilire con certezza quale esito avrebbero avuto.

In questi casi – come la suindicata giurisprudenza di questa Corte ha chiarito – il giudice di merito è chiamato a compiere un giudizio prognostico o controfattuale, nel senso che deve stabilire quale sarebbe stato, ragionevolmente, il possibile esito favorevole per il cliente ove la negligenza dell’avvocato non ci fosse stata.

Il che, esattamente, è quanto ha fatto la Corte leccese, con un accertamento di merito ineccepibile sul quale questa Corte non ha ragione di interloquire. La sentenza impugnata, infatti, applicando l’art. 2 della legge n. 89 del 2001 nella versione antecedente a quella introdotta dall’art. 5 del D.L. n. 83 del 2012 – che ha introdotto il comma 2-bis nell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, norma non applicabile nella fattispecie ratione temporis – ed assumendo come parametri i criteri indicati dalla Corte EDU per la ragionevole durata dei procedimenti, ha stabilito che la durata dei procedimenti presupposti era tale che la domanda risarcitoria sarebbe stata con tutta probabilità accolta. Ragionamento, questo, perfettamente logico e coerente con la normativa ora citata; ed infatti il comma 2-bis dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 ha poi tradotto in legge quegli stessi criteri massimi di ragionevole durata stabiliti dalla Corte EDU (tre anni per il primo grado, due per il secondo grado e un anno per il giudizio di legittimità)>>.

Sul dannon non patrimoniale:

<<…  dando continuità al principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 26 gennaio 2004, n. 1338, correttamente richiamata dalla Corte d’Appello, in tema di equa riparazione ai sensi dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Ne consegue che, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione – il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (il principio è stato più volte confermato; v., tra le altre, la sentenza 17 ottobre 2008, n. 25365, e l’ordinanza 9 aprile 2019, n. 9919).

Sulla base di questo principio avrebbe dovuto essere, semmai, l’avv. Ve.An. a provare l’assenza di un danno risarcibile, eventualità che non è stata nemmeno prospettata>>.

Il minore è già erede con la dichiarazione di accettazione beneficiata, per cui una volta maggiorenne non può più rinunciarvi, anche se non è stato fatto l’inventario

Cass. sez. un., sent. 06/12/2024, (ud. 22/10/2024, dep. 06/12/2024), n.31310, rel. Bertuzzi:

<<8. Merita di essere qui confermato, in adesione alle motivate conclusioni del Procuratore Generale, l’indirizzo interpretativo che riconosce al minore la qualità di erede, per effetto della dichiarazione di accettazione del suo legale rappresentante, anche se non accompagnata dall’inventario, e nega per l’effetto la facoltà di una valida rinuncia successiva.

La ragione principale risiede nel rilievo, del tutto pacifico, che l’accettazione beneficiata è sempre accettazione dell’eredità, esprimendo la relativa dichiarazione la volontà del chiamato di succedere nel patrimonio del defunto. Come già detto, la legge ripudia l’idea che l’intenzione di avvalersi del beneficio di inventario possa essere trattata alla stregua di una condizione sospensiva dell’accettazione, tale da esprimere la volontà del dichiarante di essere erede solo se risponderà dei debiti del de cuius nei limiti del valore dei beni ricevuti. L’accettazione con beneficio d’inventario comporta, pertanto, l’acquisto della qualità di erede. Gli art. 485 e seguenti cod. civ. disciplinano le condizioni ed i casi in cui può ottenersi o meno il beneficio, ma non si interessano della condizione di erede, che danno per acquisita.

È noto, inoltre, che il negozio di accettazione dell’eredità è irretrattabile: chi accetta l’eredità l’acquista in modo definitivo, non essendo la relativa dichiarazione revocabile, in base al principio ” semel heres semper heres ” (Cass. n. 1735 del 2024; Cass. n. 15663 del 2020).

In applicazione di tale regola deve escludersi che, ad accettazione dell’eredità avvenuta da parte del legale rappresentante del minore, nella forma beneficiata come richiesto dalla legge, il minore stesso possa essere considerato, fino ad un anno dopo il compimento della maggiore età, mero chiamato all’eredità e non erede, e che gli sia concessa la facoltà di rinuncia, come se la dichiarazione di accettazione beneficiata del suo legale rappresentante non fosse mai stata resa, in base ad una non consentita equiparazione tra la dichiarazione di accettazione beneficiata non seguita dall’inventario e l’accettazione pura e semplice fatta dal legale rappresentante del minore.

La dichiarazione di accettazione ai sensi dell’art. 484 cod. civ., al contrario, in quanto accettazione dell’eredità, è atto idoneo e sufficiente a far acquistare al rappresentato la qualità di erede.

Secondo lo schema legale, il rappresentante del minore può rinunciare o accettare l’eredità, nella forma beneficiata. Se accetta, il minore è erede.

L’art. 489 cod. civ. è il logico sviluppo di questo presupposto. La disposizione stabilisce che il minore non decade dal beneficio di inventario se, entro un anno dal compimento della maggiore età, si conforma alle norme in materia, cioè provvede a redigere l’inventario ed osserva i relativi obblighi.

La previsione normativa presuppone che l’inventario non sia stato eseguito. In caso contrario, la concessione di un termine per porlo in essere non avrebbe senso, risolvendosi nell’obbligo di ripetere un adempimento già realizzato (Cass. n. 9142 del 1993). Né tale necessità sussisterebbe nel caso in cui l’inventario fosse stato eseguito dal legale rappresentante al di là del termine fissato dall’art. 485 cod. civ., essendo pacifico in giurisprudenza che tale ultima disposizione non si applica con riguardo all’eredità del minore.

L’art. 489 cod. civ. appare riferirsi sicuramente anche al caso in cui il legale rappresentante del minore abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario, ma non lo abbia eseguito. Tale inadempimento, per volontà della legge, non è causa di impedimento al prodursi degli effetti del beneficio, ripugnando alla legge che il minore sia destinatario di una eredità dannosa ovvero, per usare le parole della legge, si trovi nella posizione di erede puro e semplice. Lo strumento attraverso cui la legge persegue tale risultato, è, sostanzialmente, la sterilizzazione del termine per la redazione dell’inventario durante il periodo della minore età e l’allungamento ad un anno, dal raggiungimento della maggiore età, per predisporlo. In caso vi provveda, egli usufruirà del beneficio che limita la sua responsabilità, in caso contrario sarà considerato erede puro e semplice, essendo ogni ostacolo a considerarlo tale superato dal raggiungimento della maggiore età. Correttamente l’inoperatività nei confronti del minore della disposizione di cui all’art. 485 cod. civ. è stata motivata in ragione della deroga che, con riguardo al tempo dell’inventario, risulta introdotta dall’art. 489 cod. civ.

Appare coerente con tali premesse il mancato riferimento, in quest’ultima disposizione, alla possibilità per il minore, una volta raggiunta la maggiore età, in caso di mancata redazione dell’inventario, di rinunciare all’eredità. La citata disposizione prospetta i possibili epiloghi, in termini alternativi, esclusivamente sul piano della responsabilità per i debiti ereditari, senza interessarsi e quindi incidere sulla sua condizione di erede, che dà per acquisita in forza della precedente accettazione fatta dal suo legale rappresentante. Parlando la norma di decadenza dal beneficio, essa fa intendere che l’incapace è già erede. Lo spettro di efficacia dell’art. 489 cod. civ. è, pertanto, limitato al termine per conseguire il beneficio, non al termine per accettare o rinunziare all’eredità.

Non condivisibile appare, perciò, l’argomento prospettato dall’orientamento qui disatteso, secondo cui non potendo il minore, per la regola generale accolta dall’ordinamento, essere erede puro e semplice e non potendo, in mancanza di inventario, considerarsi erede beneficiato, l’unica conclusione possibile sarebbe quella di riconoscergli la posizione di mero chiamato all’eredità. Tale tesi non considera che il termine per l’inventario è prorogato fino ad un anno dalla maggiore età e che la legge ripropone, con riguardo ad esso, l’alternativa tra erede puro e semplice ed erede beneficiato, secondo il meccanismo già utilizzato dall’art. 485 cod. civ. La differenza tra l’art. 485 e 489 cod. civ. va pertanto ravvisata, per il tema che qui interessa, esclusivamente nel termine per la redazione dell’inventario, che, con una disposizione di indubbio favore, è prorogato per i minori fino ad un anno della maggiore età>>.

Ancora sulla conclusione online del contratto del tipo “clickwrap”

Eric Goldman segnala Appello New York 25.11.2024, Wu v. Uber, sull’oggetto, naturalmente sempre sull’approvazione o meno della clausola arbitrale (qui predisposta da Uber).

Di seguito lo screenshot rappresentante la modalità richiesta di approvazione:

In generale , dice la corte, non c’è motivo per non applicare la disciplina comune:

<<There is no sound reason why the contract principles described above should not be
applied to web-based contracts in the same manner as they have long been applied to
traditional written contracts. Although this Court has not, until now, had the opportunity
to offer substantial guidance on the question, state and federal courts across the country
have routinely applied “traditional contract formation law” to web-based contracts, and
have further observed that such law “does not vary meaningfully from state to state”
(Edmundson v Klarna, Inc., 85 F4th 695, 702-703 [2d Cir 2023]). Case law from other
jurisdictions may therefore provide useful guidance>>.

Nello specifico, la proposta era sufficientemente chiara:

<< The headline and the larger text in the center of the screen—“We’ve updated our
terms” and “We encourage you to read our updated Terms in full”—clearly advised
plaintiff that she was being asked to agree to a contract with Uber. The terms themselves
were again made accessible by a hyperlink on the words “Terms of Use,” which were
formatted in large, underlined, blue text. A reasonably prudent user would have understood from the color, underlining, and placement of that text, immediately beneath the sentence
“encourag[ing]” users to “read [the] updated Terms in full,” that clicking on the words
“Terms of Use” would permit them to review those terms in their entirety. Finally, Uber
provided plaintiff with an unambiguous means of accepting the terms by including a
checkbox, “Confirm” button, and bolded text expressly stating that, “By checking the box,
I have reviewed and agree to the Terms of Use.” It is undisputed that plaintiff checked and box and clicked the “confirm” button.>>

Disciplina dei vizi della vendita per difetti o malattie degli animali

Cass. sez. II, ord. 06/12/2024 n. 31.288, rel. Giannaccari:

Fatto storico e processuale:

<<1. Con sentenza N. 149/2020 del 21.1.2020, la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda con la quale Ie.Al. e Ba.Pi. avevano chiesto la condanna di Ma.Ro. Roberto alla riduzione del prezzo di vendita del cane To. per vizi dell’animale, oltre al risarcimento dei danni.

Gli attori avevano esposto di aver acquistato da Ma.Ro., venditore di animali, il cane di nome To., che, al momento dell’acquisto era privo di coda e di un testicolo; dopo la consegna, avevano scoperto che il cane aveva anche altre gravi malformazioni genetiche ed avevano sostenuto consistenti spese per le sue cure.

1.1. La Corte d’Appello ha ritenuto che l’assenza di coda e di un testicolo fossero vizi manifesti, tanto più che l’animale non era stato acquistato per finalità riproduttive e, in relazione a tali vizi, ha rigettato la domanda; quanto alla malformazione a carico delle vertebre e dei tessuti molli, il giudice d’appello ha ritenuto che si trattasse di vizi occulti ed ha condannato il venditore alla riduzione del prezzo ed al risarcimento dei danni>>.

In diritto:

<<5.4. Il venditore era, pertanto, tenuto a garantire il compratore dai vizi della cosa, ai sensi dell’art. 1476, comma 1, n. 3 c.c. salvo che i vizi non fossero evidenti o facilmente riconoscibili; in applicazione di tale principio, la garanzia non è stata correttamente estesa dalla Corte d’Appello alla mancanza della coda o del testicolo, anomalie che erano evidenti ictu oculi al momento della vendita.

5.5. Si trattava non solo di vizi palesemente riconoscibili ma non rilevanti ai fini della garanzia perché il venditore non aveva garantito la capacità riproduttiva del cucciolo ed i compratori non avevano manifestato interesse alla capacità riproduttiva.

5.6. Diversamente, la garanzia per vizi era operante per le altre patologie dell’animale, risultando che il cane era affetto da criptorchidismo e da malformazione genetica delle pelvi, da patologie a carico delle vertebre e dei tessuti molli.

5.7. Si trattava di vizi occulti che si erano manifestati dopo la vendita nonostante il venditore avesse garantito la qualità, sanità e purezza di razza del cane (pag. 7 della sentenza impugnata).

5.8. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di vendita di animali, le norme del codice civile si applicano in mancanza di leggi speciali o, in via gradata, degli usi locali; il venditore è tenuto alla garanzia per vizi per il solo fatto oggettivo della loro presenza, salvo che il compratore fosse a conoscenza dei vizi o che gli stessi fossero facilmente riconoscibili sempre che il venditore non abbia dichiarato che l’animale ne era esente (Cassazione civile sez. II, 17/05/2004, n. 9330)

5.9. Si tratta di vizi che rilevano anche in relazione all’art. 130 del Codice del Consumo, nella formulazione ratione temporis applicabile, sotto il profilo del “difetto di conformità” del bene.

5.10. Sussiste, pertanto, la responsabilità del venditore, il quale era tenuto ad una particolare diligenza in qualità di venditore professionale mentre aveva garantito la salute del cucciolo, senza assicurarsi delle reali condizioni patologiche in modo da porre gli acquirenti nella condizione di decidere se concludere il contratto, nella consapevolezza delle sofferenze che l’animale avrebbe dovuto sopportare, dei disagi da affrontare e delle spese per le cure.

5.11. Ne consegue che, sia ai sensi della normativa civilistica (art. 1492 c.c.) che del Codice del Consumo (art. 130, commi 2 e 7 del Codice del Consumo), gli acquirenti potevano chiedere, a loro scelta, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento dei danni>>

Nella separazione coniugale, l’assegno di mantenimento va parametrato al precedente tenore di vita (a differenza dal divorzio)

Cass. Civ., Sez. I, Ord. 26 novembre 2024, n. 30502, rel. Acierno:

<<Risulta, infine, pienamente condivisibile l’interpretazione dell’art. 156 c.c.
offerta dalla Corte d’Appello presta piena adesione alla consolidata
giurisprudenza di questa Corte per cui: “a norma dell’art. 156 cod. civ., il
diritto all’assegno di mantenimento sorge nella separazione personale a favore
del coniuge cui essa non sia addebitabile, quando questi non fruisca di redditi
che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello esistente
durante il matrimonio e sussista disparità economica tra i coniugi; il parametro
al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza è dato dalle potenzialità
economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento
condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del
richiedente, senza che occorra un accertamento dei redditi rispettivi nel loro
esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle
situazioni patrimoniali complessive di entrambi” (Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n.
3974 del 19/03/2002 )>>

Opinion della European Copyright Society sulla originalità del design a fini di protezione tramite copyright

Il 3 dicembre 2024 la ECS ha diffuso un suo dettagliato parere sul tema, titolato The Protection of Works of Applied Art under EU Copyright Law . Opinion of the European Copyright Society in MIO/konektra (Cases C-580/23 and C-795/23).

Parere assai articolato e documentato, che si porrà come testo importante per affrontare la non semplice questioni della tutela d’autore per il design.

Riporto solo un pezzo della parte IV Conclusion – Answers to the questions referred to the CJEU:

<<We have explained the approach above at [19]-[51]. As established in the Court’s jurisprudence, for there to be a protectable work, there must be expression (not merely ideas), and that expression needs to involve free and creative choices as a result of which the author has stamped their personality on the work. In general, in the case of works of applied arts, the presence of functional constraints will often severely limit the freedom of choice, and the
utilitarian goals may well mean that the designer will rarely make creative choices. Importantly, the mere presence of alternative choices is not of itself sufficient to show creativity. Even where there is freedom to choose the expressive elements, and that freedom is exercised creatively, it is also possible that the resulting designs will not bear the imprint of the author. As the Court
made clear in Cofemel, just because the production is aesthetically appealing or attractive does not imply either that creative choices have been made, or that the result bears the personal imprint of the author.
In assessing these elements, “factors surrounding the creative process” might offer indications as to what functional constraints existed, how much freedom there was, and whether the decisions made by the author were creative. As explained at [42]-[43], while the author’s explanation of the choices s/he/they made is not irrelevant (and could assist a tribunal in understanding the author’s perception of the design freedom and the character of the choices), it is also not determinative. Ultimately, the tribunal will need to decide whether, as a result of
making creative choices, the objective features of the resulting production reflect the author’s personal touch”

Libertà matrimoniale e dovere di informare il nubendo circa la propria visione del rapporto instaurando prima della celebrazione

Interessanti affermazioni in Cass. sez. III, ord. 05/11/2024  n. 28.390, rel. Scoditti:

<<Ciò premesso, deve considerarsi che la libertà matrimoniale è un diritto della personalità, sancito anche dall’art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Benché il matrimonio sia un atto di autonomia privata, non può esservi attribuito l’effetto impegnativo del vincolo di cui all’art. 1372 c.c. alla luce del diritto di chiedere la separazione giudiziale al cospetto di un fatto tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Come affermato da Cass. n. 18853 del 2011: “nel vigente diritto di famiglia, contrassegnato dal diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell’altro, di separarsi e divorziare, in attuazione di un diritto individuale di libertà riconducibile all’art. 2 Cost., ciascun coniuge può legittimamente far cessare il proprio obbligo di fedeltà proponendo domanda di separazione ovvero, ove ne sussistano i presupposti, direttamente di divorzio. Con il matrimonio, infatti, secondo la concezione normativamente sancita del legislatore, i coniugi non si concedono un irrevocabile, reciproco ed esclusivo “ius in corpus” – da intendersi come comprensivo della correlativa sfera affettiva – valevole per tutta la vita, al quale possa corrispondere un “diritto inviolabile” di ognuno nei confronti dell’altro, potendo far cessare ciascuno i doveri relativi in ogni momento con un atto unilaterale di volontà espresso nelle forme di legge””. Si tratta del diritto strettamente personale ed irrinunciabile, riconosciuto ai coniugi dall’ordinamento italiano, di far cessare gli stessi effetti civili, in attuazione di un diritto individuale di libertà riconducibile all’art. 2 Cost. Con riferimento ad altro profilo, ha affermato Cass. n. 6598 del 2019 che “l’ordinamento non tutela il bene del mantenimento della integrità della vita familiare fino a prevedere che la sua violazione di per sé possa essere fonte di una responsabilità risarcitoria per dolo o colpa in capo a chi con la sua volontà contraria o comunque con il suo comportamento ponga fine o dia causa alla fine di tale legame. L’ammissione di una tale affermazione incondizionata di responsabilità potrebbe andare a confliggere con altri diritti costituzionalmente protetti, quali la libertà di autodeterminarsi ed anche la stessa libertà di porre fine al legame familiare, riconosciuta nel nostro ordinamento fin dal 1970”.

L’atto di impegno matrimoniale è rimesso alla libera e responsabile scelta del soggetto, quale espressione della piena libertà di autodeterminarsi al fine della celebrazione del matrimonio. Tale libertà non può essere limitata da un obbligo giuridico di comunicare alla propria controparte uno stato soggettivo quale l’incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale, avvertendo il soggetto il rischio concreto della sua dissoluzione ed effettuando la scelta matrimoniale nella consapevolezza di tale rischio, ciò che in altri termini comporta un tentativo o prova di convivenza matrimoniale. Affinché tale libertà non sia compromessa dall’incombenza di una conseguenza quale la responsabilità risarcitoria derivante dall’inottemperanza ad un dovere giuridico, la comunicazione in discorso, in quanto relativa alla sfera personale affettiva, può comportare esclusivamente un dovere morale o sociale. Alla luce della libertà della scelta matrimoniale non emergono, dalla mancata comunicazione dello stato d’animo di incertezza in questione, un interesse della controparte meritevole di tutela da parte dell’ordinamento con il riconoscimento del rimedio risarcitorio e, dunque, un danno ingiusto.

La riserva mentale circa la concreta possibilità della dissoluzione del matrimonio è così improduttiva di effetti per l’ordinamento italiano, sia dal lato del coniuge portatore della riserva, che non può avvantaggiarsene fino a conseguire la nullità del matrimonio (in conformità del resto alla generale irrilevanza della riserva mentale in materiale negoziale), sia dal lato dell’altro coniuge, che non è titolare di un interesse meritevole di tutela risarcitoria per l’ordinamento, per avere fatto affidamento sulla mancanza di quella riserva.

Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto: “non rappresenta fatto costitutivo di responsabilità risarcitoria l’omessa comunicazione da parte di uno dei due coniugi, prima della celebrazione del matrimonio, dello stato psichico di concreta incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale e della scelta di contrarre matrimonio con la riserva mentale di sperimentare la possibilità che il detto vincolo non si dissolva”.

La sentenza della Corte di Giustizia nel caso italiano Jamendo sulle collecting societies nel diritto d’autore UE

C. Giust. C-10/22 del 21.03.2024, Liberi editori e autori LEA c. Jamendo SA., avv. gen. Szpunar, affronta il complicato tema della equiparazione tra organismi di gestione collettiva (OGC; SIAE da noi)  e entità di gestione indipendenti (EGI)  secondo la duplice possibilità offerta dalla direttiva 2014/25.

La radicale esclusione degli EGI non è compatbile con la direttiva, mentre una differenza disciplinare può esserlo (più vincolante per le EGI), in ragione della più lasca disciplina per esse prevista dalla direttiva.

Sintesi finale:

<<96  Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve ritenere che il trattamento differenziato, operato dalla normativa nazionale di cui trattasi, delle entità di gestione indipendenti rispetto agli organismi di gestione collettiva risponda all’intento di conseguire l’obiettivo di protezione del diritto d’autore in modo coerente e sistematico, dal momento che la direttiva 2014/26 assoggetta le entità di gestione indipendenti ad obblighi meno rigorosi rispetto a quelli degli organismi di gestione collettiva per quanto riguarda, in particolare, l’accesso all’attività di gestione dei diritti d’autore e dei diritti connessi, la concessione delle licenze, le modalità di governance nonché il quadro di sorveglianza cui sono soggette. In dette circostanze, tale trattamento differenziato può essere considerato idoneo a garantire il conseguimento di detto obiettivo.

97 Tuttavia, per quanto concerne, sotto un secondo profilo, la questione se la restrizione consistente nell’escludere le entità di gestione indipendenti dall’attività di intermediazione dei diritti d’autore non vada oltre quanto è necessario per garantire il conseguimento dell’obiettivo di interesse generale connesso alla protezione del diritto d’autore, occorre rilevare che una misura meno lesiva della libera prestazione di servizi potrebbe consistere, segnatamente, nel subordinare la prestazione di servizi di intermediazione dei diritti d’autore nello Stato membro interessato a obblighi normativi specifici che sarebbero giustificati riguardo all’obiettivo di protezione del diritto d’autore.

98 Pertanto, occorre constatare che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, nella misura in cui preclude, in modo assoluto, a qualsiasi entità di gestione indipendente, a prescindere dagli obblighi normativi cui essa è soggetta in forza del diritto nazionale dello Stato membro in cui è stabilita, di esercitare una libertà fondamentale garantita dal Trattato FUE, risulta andare oltre quanto è necessario per proteggere il diritto d’autore.

99 Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 56 TFUE, in combinato disposto con la direttiva 2014/26, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro che esclude in modo generale e assoluto la possibilità per le entità di gestione indipendenti stabilite in un altro Stato membro di prestare i loro servizi di gestione dei diritti d’autore nel primo di tali Stati membri>>.

L’art. 180 l. aut. però è stato modificato nel settembre/novembre 2024, nel senso di equiparare i due tipi di enti.

Nel maggio 2024 è stato emanato il regolamento AGCOM sulla rappresentatività e sui doveri delle collecting , delibera 95-24 (v. pag. web del provvedimento  e il link diretto al regolamento, allegato A).

Nel febbraio 2023  il Consiglio di Stato  aveva rigettato il ricorso di SIAE nell’opposiizone da questa fatta all’accertamento AGCM di abuso di posizione dominante (sentenza 15.02.2023, sez. 6, N. 01580/2023 REG.PROV.COLL.) che esamina fra le altre l’ambito soggettivo ed oggettivo di applicaizone dell’art. 180 l. aut. prima e dopo lke modifiche del 2017 (§ 17 ss , p. 732 ss del file).

Della ponderosa sentenza ricordo solo l’affermata natura eccezionale dell’esclusiva SIAE , oggi delle collecting in generale (p. 74/5)

Seconda bocciatura del mega compenso di Musk accordatogli dal board di Tesla da parte del medesimo giudice della corte del Delaware

Richard J. Tornetta v. Elon Musk et al.Court of chancery of Delaware 2 dicembre 2024m C.A. No. 2018-0408-KSJM, giudice McCORMICK, C.

Ecco i quattro motivi supportanti la decisione, come li riassume all’inizio della stessa il giudice:

<<The motion to revise is denied. The large and talented group of defense firms
got creative with the ratification argument, but their unprecedented theories go
against multiple strains of settled law. There are at least four fatal flaws. First, the
defendants have no procedural ground for flipping the outcome of an adverse post-trial decision based on evidence they created after trial. Second, common-law ratification is an affirmative defense that must be timely raised, which means that, at a minimum, it cannot be raised for the first time after the post-trial opinion. Third, what the defendants call “common law ratification” has no basis in the common law— a stockholder vote standing alone cannot ratify a conflicted-controller transaction. Fourth, even if a stockholder vote could have a ratifying effect, it could not do so here due to multiple, material misstatements in the proxy statement. Each of these defects standing alone defeats the motion to revise>>

Quelli interssanti sono il 3 ° (sub C, p. 34 ss) e soprattutto il 4° (sub D, P. 41 SS) : ratifica invalda perchè senza basi nel common law e comunque perchè i soci erano disinformati (inesattezze nella delega di voto)

Riporto solo ciè che Tesla aveva detto ai suoi soci:

<<• Their vote could “extinguish claims for breach of fiduciary duty by
authorizing an act that otherwise would constitute a breach.”166
• “[T]he deficiencies, including disclosure deficiencies, procedural
deficiencies, and breaches of fiduciary duty, identified by the Delaware
Court in connection with the Board and our stockholders’ original
approval of the 2018 CEO Performance Award should be ratified and
remedied and any wrongs found by the Delaware Court in connection
with the 2018 CEO Performance award should be cured.”167
• “[I]f the 2018 CEO Performance Award is ratified, those options will be
restored to Mr. Musk. As a result, Mr. Tornetta may not be considered
to have rendered the ‘benefit’ to Tesla through his lawsuit that is
claimed by his attorneys.”168
• And “a new stockholder vote allows the disclosure deficiencies found by
the Tornetta court to be corrected, among other things>>.

Ebbene, dice il giudice, “All of this is materially false or misleading”.

Importasnti studiosi di diritto societario usa pensano che i giudici del Delaware siano diventasti un pò troppo pro minoranze e troppo poco pro amministratori:  ad es. Jonathan Macey e Stephen M. Bainbridge.

Di quest’ultimo v. il suo post 2 dicembre 2024 sulla seconda sentenza qui ricordata.