Importante insegnamento (anche se pianamente discendente dalla tutela della dignità di ogni persona) in Cass. sez. III, ord. 19/12/2024 n. 33.290, rel. Rubino:
<<6.6. – Va a questo proposito puntualizzato che la illegittima privazione della libertà personale e la sottoposizione contro la propria volontà a trattamenti sanitari non consentiti ed indesiderati, consistendo in una ingiustificata compressione del diritto inviolabile alla libertà personale costituzionalmente tutelato, può essere causa di danno risarcibile anche a prescindere dal fatto che essa si associ ad un apprezzabile danno alla salute della persona. (…)
6.7. – Va ulteriormente aggiunto che la condizione di eventuale fragilità psicologica o psichica del paziente illegittimamente sottoposto a TSO non costituisce, come sembra ritenere la Corte d’Appello, una condizione ostativa alla apprezzabilità da parte del danneggiato e alla valutabilità da parte del giudice delle conseguenze pregiudizievoli dell’illecito, né quanto alla componente di sofferenza pura, né per quanto riguarda il pregiudizio nella sfera dinamico relazionale.
La condizione di eventuale fragilità del danneggiato rileva solo sotto il profilo della maggior complessità dell’accertamento ovvero della necessità di procedere ad un accertamento del danno che tenga conto, nelle sue modalità, della particolare condizione del potenziale danneggiato, al fine di indagare con mezzi adeguati, pur nei limiti dei fatti allegati e dei mezzi di prova proposti, e non di escludere a priori, se la privazione della libertà personale ridondi in una particolare sofferenza o se al contrario venga limitatamente o non apprezzabilmente percepita come tale dal soggetto, come pure a verificare se e in che misura il rapporto già eventualmente difficoltoso con gli altri della persona psicologicamente fragile sia stato negativamente intaccato, nell’immagine e nella considerazione sociale, dalla sottoposizione a TSO, rivelatasi a posteriori illegittima.
L’equazione che si ricava dalla motivazione della sentenza impugnata, secondo la quale il fatto incontestato della forzata privazione della libertà personale della ricorrente, i trattamenti farmacologici subiti a forza, la destabilizzazione conseguente di un equilibrio già precario, la perdita di reputazione sociale fossero fatti sostanzialmente irrilevanti, proprio perché si trattava di una persona fragile e il cui rapporto con gli altri era comunque già problematico, prima che si verificassero i fatti per cui è causa, è errata e si traduce nella mancanza di una corretta verifica dell’esistenza e dell’entità dei danni conseguenza.
In altri termini, va ribadito, ove necessario, giacché la Corte d’Appello sembra non esserne stata consapevole, che i comportamenti illeciti possono rilevare sotto il profilo del danno conseguenza come danno non patrimoniale, nelle sue componenti della sofferenza pura e del danno dinamico relazionale, anche nei confronti di una persona psicologicamente fragile e che non goda di elevata considerazione sociale, perché ogni persona ha diritto a non essere coinvolta illegittimamente in episodi che mettano (ancor più) a repentaglio il suo equilibrio e la sua reputazione pubblica. Diversamente opinando si arriverebbe all’estrema, inaccettabile conseguenza, di affermare che gli episodi di violenza, di minaccia, di dileggio che si consumano a danno di persone psichicamente instabili o comunque che si collocano ai margini della società, e di illegittima privazione della libertà personale nei confronti di queste persone non producono mai alcun danno perché queste persone anche prima non godevano di elevata considerazione sociale o perché le stesse, avendo un equilibrio fragile e instabile, non sono in grado di avvertire il peso delle umiliazioni o di soffrire per la privazione della propria libertà.
È quindi del tutto errata e censurabile, perché priva di ogni riscontro e di una effettiva analisi dei fatti nonché della valutazione delle eventuali conseguenze subite dalla ricorrente, anche perché prescindente da ogni approfondimento clinico e psicologico, pur richiesti, l’affermazione (a pag. 15 della sentenza impugnata) secondo la quale, attesa la preesistente situazione di disagio psichico della signora, vissuta sia intimamente che nelle relazioni con il prossimo, non sia possibile “individuare un prima e un dopo rispetto a quanto accaduto nel maggio 2009”.
Ugualmente e correlatamente errata è, in siffatta situazione, la scelta di non ammettere la consulenza tecnica, pur richiesta, perché ritenuta meramente esplorativa, laddove nei casi in cui la comunicazione diretta con la parte e l’apprezzamento delle sue condizioni psicofisiche è problematica per il giudice, la consulenza tecnica (avvalendosi se del caso anche di specialisti in psicologia) diviene uno strumento istruttorio officioso necessario al fine di fornire il supporto tecnico adeguato per compiere la verifica delle conseguenze del fatto lesivo sul danneggiato; la sua richiesta non può, pertanto, essere ritenuta meramente esplorativa, dovendosi intendere come tale soltanto l’istanza rivolta a supplire le deficienze allegative ed istruttorie di parte, così da aggirare il regime dell’onere della prova sul piano sostanziale o i tempi di formulazione delle richieste istruttorie sul piano processuale>>.