Interessante esame del tema (un pò complesso per chi non lo frequenti regolarmente) da parte di Cass. sez. III, sent. 09/01/2025 n. 486, rel. Saija:
<<Né può dubitarsi, infine e già sul piano astratto (tenuto anche conto di quanto sostenuto dalla ricorrente circa il fatto che la cessione del 26.4.2006 aveva ad oggetto tutti i crediti vantati dalla banca ed, espressamente, tutte le garanzie ipotecarie – v. memoria Tr.Di., p. 4), della facoltà del creditore di poter ad un tempo cedere il diritto di credito, ma non anche il diritto di garanzia che lo assiste (che, in ipotesi, seguirà ovviamente il suo corso; nel caso dell’ipoteca, salva rinuncia formale del cedente, in ogni caso con l’estinzione ex art. 28/8, n. 3, c.c., non essendo configurabile un diritto ipotecario astratto, ossia scollegato dal diritto di credito garantito – a quel punto non più esistente in capo al cedente per effetto della cessione -, stante anche il principio di accessorietà): il disposto dell’art. 1263 c.c. certamente non esprime norma inderogabile, restando evidentemente nella piena disponibilità delle parti definire gli inerenti rapporti, anche in ordine alla loro estensione.
D’altronde, ferma la validità ed efficacia della cessione del credito tra le parti, ex art. 1260 c.c., per effetto dello scambio dei consensi, il trasferimento del diritto ipotecario che eventualmente ad esso acceda dipende pur sempre dall’espletamento delle formalità di annotazione, posto che, ai sensi dell’art. 2843, comma 2, primo periodo, “la trasmissione o il vincolo dell’ipoteca non ha effetto finché l’annotazione non sia stata eseguita”.
Insomma, la tesi propugnata al riguardo dalla parte pubblica non è condivisibile, e si pone anch’essa in termini di incoerenza rispetto al decisum.>>
E poi:
<<4.2 – Si tratta di un percorso decisorio all’evidenza non sostenibile in iure, perché confonde e sovrappone il piano negoziale (ossia, cosa i vari soggetti coinvolti abbiano voluto o potuto – rispettivamente – trasferire ed acquistare, con le due cessioni in rilievo), con il piano che deriva dall’espletamento delle formalità ipotecarie, ed in particolare quello concernente gli effetti dell’annotazione ex art. 2843 c.c., pacificamente effettuati prima dalla Lithos Spa, e poi dalla Tr.Di., avente causa di quest’ultima.
In proposito, è indiscutibile che l’annotazione della cessione del vincolo ipotecario su un immobile abbia effetto costitutivo (ex multis, Cass. n. 16669/2008), similmente all’iscrizione ipotecaria tout court cui accede, sicché il relativo diritto in tanto esiste in quanto risulti dai RR.II. In altre parole, il cessionario che abbia annotato la vicenda traslativa del diritto d’ipoteca in proprio favore (eseguendo le relative formalità e presentando al conservatore i relativi documenti giustificativi, perché questi vi provveda) è da considerare a tutti gli effetti titolare del diritto di garanzia, a prescindere dalie vicende sottostanti e dalla stessa coerenza di una simile risultanza con il titolo di provenienza; gli effetti di una tale annotazione, dunque, non possono obliterarsi sulla base di valutazioni estemporanee circa la validità o efficacia dell’annotazione stessa (come, ad es., opina la Corte lagunare, laddove rileva che detta annotazione, in favore della Lithos, avvenne per “errore formale”, peraltro non meglio individuato, da tanto ritenendo di poter escludere, da un lato, la titolarità del diritto d’ipoteca in capo alla Tr.Di., dall’altro, ogni responsabilità della banca e del notaio per la cancellazione di detta formalità), perché tutti i consociati devono necessariamente attenersi alle risultanze dei RR.II.; ciò a meno che non si sia al cospetto di una formalità che neppure possa considerarsi quale vera e propria annotazione (si fa riferimento ad ipotesi sostanzialmente scolastiche, quale ad es. l’inesistenza). Non a caso, l’art. 2843, comma 2, secondo periodo, c.c. espressamente recita: “dopo l’annotazione l’iscrizione non si può cancellare senza il consenso dei titolari dei diritti indicati nell’annotazione medesima”.
Tutto quanto precede, quindi, implica che, qualora l’annotante non presti il consenso alla cancellazione dell’annotazione indebitamente eseguita, il soggetto che ne abbia interesse è tenuto a proporre, dinanzi alla competente A.G., la relativa domanda di accertamento dell’inesistenza del diritto di ottenere l’annotazione ex art. 2843 c.c. e la relativa declaratoria di nullità della formalità, giacché in caso di accoglimento della domanda gli effetti dell’annotazione stessa, una volta passata in giudicato la sentenza che quelle domande abbia accolto e che abbia disposto la relativa cancellazione (trattandosi di sentenza dichiarativa da una parte, e tanto espressamente prevedendo, ai fini dell’esecuzione dell’ordine, l’art. 2884 c.c.), dovranno considerarsi tamquam non essent.
Ma, nella specie, non risulta che una simile domanda sia stata proposta da alcuno, con riguardo alle vicende per cui è processo.
(…)
4.4.1 – Discende da quanto precede che l’operato del BANCO BPM, allorché si è attivato prestando “l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca pur inidoneo a conseguire l’annotazione della cancellazione” (così il BANCO BPM, p. 16 del controricorso), ben può costituire fatto illecito rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c., perché ha innescato la serie causale che ha condotto alla illegittima cancellazione della formalità in parola, i cui effetti sono irrimediabili, non essendo possibile, neppure a seguito di ordine giudiziale, ripristinare con effetto ex tunc l’ordine originario della garanzia ipotecaria, ma solo eventualmente ottenere, ove possibile, una nuova iscrizione (con grado basato sulla data di quest’ultima formalità) ed agire – comunque – per ottenere la tutela risarcitoria (si veda, sul punto, la recente Cass. n. 33740/2022).
A nulla rileva, pertanto, la circostanza per cui detto assenso venne prestato “perché costituiva adempimento di un obbligo assunto per un’iscrizione mai trasferita ai soggetti indebitamente annotati come surrogati nel diritto” (così ancora il BANCO BPM, ibidem), perché il Banco non era affatto abilitato a chiedere la cancellazione di alcunché, in quanto non più titolare del diritto d’ipoteca e, dunque, non legittimato ai sensi dell’art. 2882 c.c.: al tempo dell’operazione in discorso, l’unico creditore ipotecario sull’immobile del Ce.An. a S. era solo e soltanto Tr.Di..
Al fine di adempiere agli obblighi a suo tempo contrattualmente assunti con i soggetti interessati al noto trasferimento immobiliare, dunque, il BANCO BPM, preso atto delle vicende del diritto ipotecario più volte descritte, avrebbe solo potuto agire in sede giudiziaria per ottenere la declaratoria della invalidità e/o dell’inefficacia di entrambe le annotazioni in discorso, non certo attivarsi per ottenere direttamente la cancellazione da parte del conservatore, come invece avvenuto, in assenza del consenso del soggetto legittimato, ossia della Tr.Di..
4.4.2 – Né può sostenersi – come pure ha ribadito il BANCO BPM anche nel corso dell’udienza pubblica, con tesi invero singolare – che l’assenso alla cancellazione da esso prestato riguardava la sola ipoteca originaria in suo favore, non anche l’annotazione in favore di Tr.Di., sicché detto assenso “non poteva essere considerato dagli uffici competenti come titolo per ottenere la cancellazione dell’ipoteca iscritta a favore della signora Tr.Di.” (così ancora il BANCO BPM, ibidem; ma v. anche la memoria, p. 5, ove si afferma claris verbis che “il conservatore dei registri non avrebbe potuto annotare l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca iscritta a favore della Signora Tr.Di. sulla base dell’assenso alla cancellazione dell’ipoteca iscritta a proprio favore”). A tacer d’altro, la tesi esposta postula la possibilità di una sorta di gemmazione del diritto d’ipoteca, in caso di cessione del credito con connessa cessione della garanzia, sicché ciascuno dei danti causa dell’ipotetica catena traslativa del diritto stesso ne conserverebbe la titolarità, quantomeno, ai fini della prestazione del consenso alla cancellazione.
Il che è chiaramente insostenibile, posto che l’annotazione ex art. 2843 c.c. concerne le vicende traslative del diritto di garanzia, sicché questo non può che essere uno e uno solo: se l’originario creditore ipotecario lo ha ceduto e se tanto emerga dai RR.II. a seguito di annotazione (si ripete, non importa se indebitamente effettuata), quegli non è più titolare di nessuna potestà al riguardo, perché – stanti anche i principi di accessorietà e di specialità – l’unico titolare dell’ipoteca è necessariamente il cessionario del credito, che abbia proceduto all’annotazione stessa; tanto è vero che, a mente del già citato art. 2843, comma 2, secondo periodo, c.c., è previsto, ai fini della cancellazione della formalità, il solo “consenso dei titolari dei diritti indicati nell’annotazione medesima”, non certo dei loro danti causa.
Non senza evidenziare, infine, l’intrinseca illogicità della tesi sopra esposta: se davvero il BANCO BPM era pienamente consapevole che l’assenso prestato non avrebbe comunque giustificato la cancellazione della formalità con riguardo alla posizione della Tr.Di., resta incomprensibile perché mai esso avrebbe dovuto incaricare un notaio (è pacifico, tra tutte le parti, che la dr.ssa Cu.La. era stata incaricata proprio dal Banco anche per quanto era necessario richiedere al conservatore dei RR.II. – v., in particolare, controricorso Cu.La., pp. 18-19) per annotare lo stesso assenso con le ventilate limitazioni, posto che, ove mai tanto fosse stato possibile, il Banco non avrebbe comunque potuto ritenersi adempiente rispetto ai propri richiamati obblighi, in quanto il bene immobile in questione non avrebbe comunque potuto considerarsi libero da formalità. Anche per tal verso, dunque, la tesi propugnata dal BANCO BPM si rivela completamente destituita di fondamento>>
C’è pure resposnabilità del notario per avcer rogato e poi fatto annotae un atto che pur se valido era palesam,ente dannoso per i terzi. Nè interrompe il nesso di causalitòà che la decisione sia stata presa dal Cosnervcatore.
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5.3 – Ciò posto, non v’è dubbio che la condotta complessivamente tenuta dal notaio Cu.La. sia ben suscettibile di essere valutata ai fini che occupano. Il notaio, infatti, pur tenuto (in base allo status notarile) a rogare gli atti che gli vengano richiesti, col solo divieto inerente agli atti nulli (artt. 27 e 28 legge n. 89/1913), non può comunque rogare l’atto richiesto ove consapevole che detto atto, benché non nullo, sia potenzialmente idoneo ad arrecare danno a terzi.
La vicenda che occupa è esemplare in tal senso: la dr.ssa Cu.La., accortasi della carenza di legittimazione ex art. 2882 c.c. in capo al BANCO BPM, avvertì il cliente del rifiuto pressoché certo del conservatore (e, dunque, dell’inutilità del rogito, manifestando il proprio iniziale dissenso); il cliente, però, insistette per procedere, incaricando il notaio anche per la cura delle formalità pubblicitarie. A tal punto, è evidente come l’operato del notaio, che comunque procedette nel senso voluto dalla cliente, esuli dal cono d’ombra degli artt. 27 e 28 della legge notarile: non si tratta di individuare la sussistenza o meno della violazione di tali disposizioni, dettate eminentemente a fini disciplinari/deontologici (v. Cass. n. 2033/2023), ma del generale dovere di astensione da comportamenti produttivi di danni a terzi.
In altre parole, non viene in rilievo il rispetto, da parte del notaio, delle regole deontologiche, né tampoco la valutazione circa l’espletamento del c.d. dovere di consiglio in favore del cliente, ma la verifica del parametro della condotta del notaio stesso rispetto al generale dovere del neminem laedere: se il notaio è consapevole che l’atto richiestogli si pone in violazione di una o più norme giuridiche, quand’anche queste non ne comportino la nullità, deve evidentemente interrogarsi su quali possano esserne le conseguenze, specialmente nei confronti di quei soggetti terzi che, inequivocamente, sono individuabili ex ante quali destinatari degli effetti dell’atto, benché non vi abbiano partecipato, sì da restare potenzialmente danneggiati dal compimento dell’atto stesso.
Per passare al concreto: a seguito della richiesta del BANCO BPM per la restrizione di una formalità ipotecaria di cui non era più titolare, per esserlo divenuta (in base alle risultanze dei RR.II., correttamente acquisite dal notaio stesso) Tr.Di., è del tutto evidente che il notaio Cu.La. avrebbe dovuto porsi il problema – anche al lume della diligenza professionale quam in suis – della potenziale dannosità del rogito, non potendo certo di per sé confidare nell’operato del conservatore, peraltro richiesto a più riprese dell’annotazione di una simile restrizione (benché, asseritamente, destinata con certezza al suo rifiuto), né potendo limitarsi a sconsigliare il Banco stesso dal procedere oltre, per poi cedere alle sue insistenze. Nessun dovere di rogare l’atto può mai configurarsi ove esso sia potenzialmente pregiudizievole nei confronti di terzi estranei e, conseguentemente, anche dello stesso notaio, chiamato se del caso a risarcire il danno arrecato. (…)
uanto poi alle considerazioni sulla sequenza causale, che secondo la stessa controricorrente (nonché il Procuratore Generale) sarebbe rimasta interrotta per effetto dell’operato del conservatore dei RR.II., che ha disposto la cancellazione tout court, anziché rifiutare l’adempimento, sarà il giudice di rinvio a valutare quanto necessario, sulla base degli elementi istruttori acquisiti, trattandosi di questione allo stesso riservata (Cass. n. 13096/2017). Nel far ciò, il giudice del rinvio si atterrà al seguente consolidato principio: “Con riguardo all’illecito civile, si ha interruzione del nesso di causalità soltanto quando la causa sopravvenuta (che può identificarsi anche con la condotta dello stesso danneggiato) sia da sola sufficiente a provocare l’evento, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, sì da assorbire sul piano giuridico ogni diverso antecedente causale e ridurlo al ruolo di semplice occasione” (così, Cass. n. 21563/2022, alla cui motivazione si rinvia, anche per richiami)>>.