Tutelabilità col diritto d’autore dell’output da intelligenza artificiale secondo il US copyright office

dopo la parte 1, è uscita a fine gennaio la parte 2 sulla copyrightability dei lavori da IA da parte dll’Ufficio IUSA.

Qui la pagina e qui il link diretto al testo del Report (Copyright and Artificial IntelligencePart 2: Copyrightability-A REPORT Of The Register of CoPyRighTs January 2025).

Nessuna novità:

– i prompts sono insufficienti;

– la AI se usata come tool può dare protezione ma negli elementi riconoscibili come input umani (“As illustrated in this example, where a human inputs their own copyrightable work and that work is perceptible in the output, they will be the author of at least that portion of the output. Their own creative expression will be protected by copyright, with a scope analogous to that in a derivative work. Just as derivative work protection is limited to the material added by the later author,125 copyright in this type of AI-generated output would cover the perceptible human expression. It may also cover the selection, coordination, and arrangement of the human-authored and AI-generated material, even though it would not extend to the AI-generated elements standing alone”, p. 24).

La parte 3, di prossima uscita, riguarderà il problema specuilare e cioè la quialificaizone giuridica dell’uso da apret dellAI di opere protette per il suo training

Obbligo di analicità motivatoria per il giudice nel liquidare il danno da perdita del rapporto parentale

Cass. sez. III, ord. 12/01/2025 n. 761:

<<A prescindere dall’improprio riferimento agli artt. 115 e 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., nonché all’art. 1256 cod. civ., la ricorrente enuncia correttamente la violazione dell’art. 1226 cod. civ. in tema di liquidazione del danno di cui non sia possibile effettuare con esattezza la computazione, così da rispettare l’onere della specificità ex art. 366, comma primo, n. 4 c.p.c. basato sulla chiara esposizione delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta (v. Cass., sez. un., 17931/2013 cit.).

La Corte d’Appello ha ridotto l’importo liquidato alla Ri.An. a titolo di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale nei limiti del “valore medio di tariffa”, senza quindi precisare a quale edizione della tabella approntata dall’Osservatorio della Giustizia civile di Milano si sia fatto riferimento e senza spiegare la ragione valorizzata per la disposta riduzione. Dato, quest’ultimo, che stride con la riconosciuta intensità del legame familiare tra il defunto, la moglie ed i nuclei familiari dei figli.

In altri termini, la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione del potere di valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., perché non ha spiegato adeguatamente il modo di impiego del parametro prescelto in relazione alle due poste di danno incluse nel lemma “perdita del rapporto parentale”. La Corte d’Appello di Bari, pertanto, una volta individuato il corretto parametro tabellare per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (v. Cass. 21 aprile 2021, n. 10579; 10 novembre 2021, n. 33005, n. 33005; 23 giugno 2022, n. 20292; 16 dicembre 2022, n. 37009), provvederà alla riliquidazione della voce di danno in questione in favore della Ri.An. sulla base degli elementi di prova, anche di natura presuntiva, emersi nel corso del giudizio, esplicando nella motivazione gli elementi di calcolo.

2.2. In relazione al secondo motivo del ricorso deve essere enunciato il seguente principio di diritto: “Nella liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, al cui interno sono compresi il danno morale e la compromissione sul piano relazionale derivanti dalla morte del congiunto, il giudice nel ricorrere al potere di valutazione equitativa, quando fa uso dello strumento tabellare, deve indicare gli elementi di calcolo impiegati, al fine di rendere palese il percorso fatto per rendere la liquidazione aderente agli elementi di prova, anche di natura presuntiva, emersi nel corso del giudizio” >>.

Onere della prova delle azioni di accertamento della proprietà/do rivendica (a seconda che l’attore sia o meon nel possesso) e decisività della nota di trascrizione rispetto al titolo nella pubblicità immobiliare

Due punti trattati da Cass. sez. II ord. 25/02/2025, n. 4.874, rel. Pirari:

1° :

<<Occorre innanzitutto chiarire come la domanda di accertamento della proprietà e quella di rivendicazione, esercitate da chi non è nel possesso del bene, non divergono rispetto all’ampiezza e rigorosità della prova sulla spettanza del diritto, essendo entrambe azioni a contenuto petitorio dirette al conseguimento di una pronuncia giudiziale utilizzabile per ottenere la consegna della cosa da parte di chi la possiede o la detiene (vedi Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; si veda anche Cass. n. 1481/1973), diversamente da quanto accade per l’azione di accertamento esercitata da chi è nel possesso del bene, tendendo essa non già alla modifica di uno stato di fatto, ma soltanto all’eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito, attraverso la dichiarazione che esso risponde esattamente allo stato di diritto (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; Cass., Sez. 2, 29/3/1976, n. 1122; Cass., Sez. 2, 5/5/1973, n. 1182; Cass., Sez. 2, 9/10/1972, n. 2957).

Soltanto in quest’ultimo caso l’attore è soggetto a un minore onere probatorio, in quanto è tenuto ad allegare e provare esclusivamente il proprio titolo di acquisto, ma non anche i vari trasferimenti della proprietà sino alla copertura del tempo sufficiente ad usucapire (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 4/12/1997, n. 12300; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621), mentre con l’azione di rivendicazione ex art. 948 cod. civ. e con quella di accertamento in assenza di possesso, quand’anche non accompagnate dalla domanda di rilascio (in questi termini Cass., Sez. 2, 7/4/1987, n. 3340), è imposto all’attore di fornire la c.d. probatio diabolica della titolarità del proprio diritto – che costituisce un onere da assolvere ogniqualvolta sia proposta un’azione fondata sul diritto di proprietà tutelato erga omnes -, dimostrando il titolo di acquisto proprio e dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario ovvero il compimento dell’usucapione (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit.; Cass., Sez. 2, 19/1/2022, n. 1569; Cass., Sez. 2, 10/9/2018, n. 21940; Cass. n. 1210/2017; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 2, 13/8/1985, n. 4430; Cass., Sez. 2, 2/2/1976, n. 330; Cass., Sez. 2, 13/3/1972, n. 732).

L’assolvimento di tale rigoroso onere probatorio può avvenire con qualsiasi mezzo, non necessariamente documentale, ma anche mediante un consulente tecnico (purché, in tal caso, il convincimento del giudice si ponga come conseguenza univoca e necessaria dei fatti emersi dall’indagine tecnica) o mediante le risultanze dei registri catastali, le quali, pur non valendo a dimostrare con precisione la proprietà di un immobile, sono tuttavia utilizzabili dal giudice di merito come indizi suscettibili di convincimento, se presi in considerazione con rigore logico di ragionamento e convalidati da altri elementi di causa (Cass., Sez. 2, 14/4/1976, n. 1314; vedi anche Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit., Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 24/6/1971, n. 2000), sebbene il relativo rigore non possa che stabilirsi in relazione alla peculiarità di ogni singola controversia.

Infatti, il criterio di massima secondo cui l’attore deve fornire la prova rigorosa della sua proprietà e dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per l’usucapione, può subire opportuni temperamenti a seconda della linea difensiva adottata dal convenuto (Cass., Sez. 6-2, 19/1/2022, n. 1569), non nel senso che la mancata dimostrazione dell’usucapione da parte di quest’ultimo esoneri l’attore in rivendicazione dall’onere di provare il proprio diritto, ma nel senso che detto onere resta attenuato allorché il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2, 19/10/2021, n. 28865). Ne deriva che, ove il convenuto spieghi una domanda ovvero un’eccezione riconvenzionale, invocando un possesso ad usucapionem iniziato successivamente al perfezionarsi dell’acquisto ad opera dell’attore in rivendica (o del suo dante causa), l’onere probatorio gravante su quest’ultimo si riduce alla prova del suo titolo d’acquisto, nonché della mancanza di un successivo titolo di acquisto per usucapione da parte del convenuto, attenendo il thema disputandum all’appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell’invocata usucapione e non già all’acquisto del bene medesimo da parte dell’attore (Cass., Sez. 2, 22/04/2016, n. 8215).

In ragione di ciò, l’attore in rivendicazione è tenuto ad allegare i fatti storici su cui fonda la proprietà, in guisa da consentire all’avversario di prendere consapevolmente posizione al riguardo, anche ai fini dell’eventuale delimitazione della catena probatoria dei titoli di acquisto, non potendo la relevatio ab onere probandi correlata al principio di non contestazione ex art. 115, primo comma, cod. proc. civ., prescindere da essa (Cass., Sez. 2, 27/11/2023, n. 32820)>>.

2°:

<<Come noto, l’istituto della trascrizione attua una forma di pubblicità a tutela della circolazione dei beni, finalizzata alla soluzione di conflitti fra più acquirenti dello stesso diritto dal medesimo dante causa, ma non incide sulla validità e sull’efficacia dell’atto, ancorché non trascritto, salvo la concorrenza con altri atti trascritti, senza avere alcuna influenza sulla validità e sull’efficacia dell’atto, anche se non trascritto, salvo la concorrenza con altri atti trascritti (Cass., Sez. 2, 09/09/2013, n. 20641; Cass., Sez. 2, 05/07/1996, n. (…)52; Cass., Sez. 2, 02/06/1993, n. 6159), sicché, configurandosi come un onere, è un quid pluris rispetto all’atto trascrivendo (Cass., Sez. 3, 12/12/2003, n. 19058).

In quanto finalizzata a risolvere il conflitto tra soggetti che hanno acquistato lo stesso diritto dal medesimo titolare, la trascrizione può essere provata soltanto a mezzo della produzione in giudizio – in originale o in copia conforme – della nota di trascrizione, la quale ha la funzione di fonte della pubblicità immobiliare, improntata al principio di autoresponsabilità, secondo il quale, essendo la nota di trascrizione un atto di parte, gli effetti connessi alla formalità della trascrizione si producono in conformità ed in stretta relazione al contenuto della nota stessa (Cass., Sez. 1, 05/07/2000, n. 8964).

Solo le indicazioni in essa riportate consentono, infatti, di individuare, senza possibilità di equivoci ed incertezze, gli elementi essenziali del negozio, i beni ai quali esso si riferisce e il soggetto al quale la domanda sia rivolta, senza che possa essere surrogata né dai contenuti dei titoli presentati o depositati con la nota stessa, né dalla confessione della controparte (Cass., Sez. 3, 19/02/2019, n. 4726; Cass., Sez. 1, 27/12/2013, n. 28668; Cass., Sez. 3, 01/06/2006, n. 13137; Cass., Sez. 3, 11/01/2005, n. 368).

L’autonomia della nota di trascrizione rispetto al titolo è data proprio dai suoi contenuti, tant’è che l’inesattezza nella nota di cui all’art. 2659 cod. civ., ad esempio, dell’indicazione della data di nascita del dante causa di un trasferimento immobiliare, con conseguente annotazione del titolo nel conto di diverso soggetto, determinando incertezza sulla persona a cui si riferisce l’atto, nuoce, ai sensi dell’art. 2665 cod. civ., alla validità della trascrizione stessa, da considerarsi, in concreto, occulta ai terzi, i quali non sono posti in grado, secondo gli ordinari criteri nominativi di tenuta dei registri immobiliari, di conoscere l’esistenza di tale atto (Cass., Sez. 2, 07/06/2013, n. 14440).

Orbene, la decisione assunta dai giudici di merito non si conforma affatto ai suddetti principi, avendo essi ritenuto provata la trascrizione del contratto del 1990, pur in assenza della relativa nota, alla stregua della sola indicazione della data di trascrizione contenuta nel contratto del 2003, così ponendosi in contrasto col principio di diritto che di seguito si formula:

“in tema di trascrizione, il conflitto fra più acquirenti dello stesso diritto dal medesimo dante causa si risolve sulla base della priorità delle rispettive trascrizioni, la quale può essere provata in giudizio soltanto attraverso la produzione – in originale o in copia conforme – della nota di trascrizione, siccome improntata al principio di autoresponsabilità, secondo il quale, essendo la stessa un atto di parte, gli effetti connessi alla relativa formalità si producono in conformità e in stretta relazione al contenuto della nota stessa, che contiene gli elementi essenziali del negozio, i beni ai quali esso si riferisce e il soggetto al quale la domanda sia rivolta”  >>.

Un solo episodio di violenza sul coniuge è di per sè titolo per ottenere una separazione con l’addebito

Cass. sez. I, Ord. 16/02/2025, n. 3.946, rel. Tricomi:

<<Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che il Collegio intende qui convintamente ribadire, in tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall’altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo, comunque, a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona (Cass. 817/2011; Cass. 433/2016).

È stato altresì precisato che le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole – quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse-, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale (Cass. 7388/2017; Cass. 35249/2023).

Le violenze, infatti, integrano atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei e pertanto ad esse va riconnessa incidenza causale preminente rispetto a preesistenti cause di crisi dell’affectio coniugalis (Cass. 3925/2018; Cass. 31351/2022).

Il criterio di valutazione seguito dalla Corte di appello per accertare la eventuale sussistenza della responsabilità del marito ai fini della domanda di addebito della separazione è in netto contrasto con la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata. Nel caso di specie la Corte di appello, pur riconoscendo la gravità dell’episodio che aveva dato luogo ad un procedimento penale a carico del marito definito con la sentenza di patteggiamento e le conseguenze che ne sono derivate sul piano fisico alla vittima costretta a ricorrere al pronto soccorso, non ha attribuito rilievo all’episodio ritenendo non provato il nesso causale di quell’episodio così violento con la fine dell’unione.

In tal modo non si è conformata ai principi sopra esposti secondo cui, come si è detto, resta irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale. La decisione impugnata va, pertanto, cassata sul punto e rinviata alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà a liquidare le spese della presente fase>>.

Il marchio di posizione si conferma difficile da registrare per la sua scarsa distintività

Marcel Pemsel in IPKat ci notizia di Trib. UE 05.02.2025, T-195/24, VistaJet c. EUIPO (ingl./franc.). Il segno chiesto in registrazione era la linea rossa sul fianco dell’areo per servizi di trasporto aereo (v. disegno sotto).

L’istante è risultato soccombente sia presso l’Ufficio che davanti al Trib.

Il passaggio pertinente:

<< 21   In the present case, first, it must be noted that the services covered by the mark applied for are transportation and private aircraft flight planning services, intended primarily for very rich members of the general public, the ‘ultra-wealthy’, who are likely to display a high level of attention, since the factors of safety, punctuality and reliability are all important for the services in question.

22 Second, it must be noted, as the Board of Appeal did, that the mark applied for will not be perceived by the relevant public as having a distinctive character.

23 As the Board of Appeal correctly stated, the mark applied for consists of a red line along the side of a silver aeroplane fuselage, which curves slightly as it follows the line of the fuselage and tapers to a thin point at the front end of the aeroplane.

24 However, a line, which is defined as a continuous set of points or an unbroken elongated line the extent of which is virtually reduced to the single dimension of length, is a simple geometric form, which is not, in itself, capable of conveying a message which consumers will be able to remember. That line and its colour red will be perceived by the relevant public as nothing more than banal decorative devices, as will the choice of a silver fuselage.

25 It is clear from settled case-law that a sign which is excessively simple and is constituted of a basic geometrical figure, such as a circle, a line, a rectangle or a conventional pentagon, is not, in itself, capable of conveying a message which consumers will be able to remember, with the result that they will not regard it as a trade mark unless it has acquired distinctive character through use (see, to that effect, judgments of 15 September 2005, BioID v OHIM, C‑37/03 P, EU:C:2005:547, paragraphs 72 and 74, and of 29 September 2009, The Smiley Company v OHIM (Representation of half a smiley smile), T‑139/08, EU:T:2009:364, paragraph 26 and the case-law cited).

26 In any event, the fact that it could be argued that the mark applied for does not merely represent a basic geometrical figure does not suffice, as such, to support the view that it has the minimum distinctive character necessary for registration as an EU trade mark. There must also be certain characteristics of the sign which may be easily and instantly memorised by the relevant public and which would make it possible for the sign to be perceived immediately as an indication of the commercial origin of the goods and services in question (see, to that effect, judgment of 15 December 2016, Novartis v EUIPO (Representation of a grey curve and representation of a green curve), T‑678/15 and T‑679/15, not published, EU:T:2016:749, paragraphs 40 and 41 and the case-law cited).

27 It has also already been held that, whilst colours are capable of conveying certain associations of ideas and of arousing feelings, they possess little inherent capacity for communicating specific information. That is all the more the case since they are commonly and widely used, because of their appeal, in order to advertise and market goods and services without any specific message (see judgment of 6 September 2023, Groz-Beckert v EUIPO (Position of the colours white, red and dark green on cuboid packaging), T‑276/22, not published, EU:T:2023:497, paragraph 20 and the case-law cited; see also, by analogy, judgment of 24 June 2004, Heidelberger Bauchemie, C‑49/02, EU:C:2004:384, paragraph 38).

28 In the present case, in the absence of elements capable of distinguishing it in such a way that it does not appear as a simple geometrical figure, the red line cannot fulfil an identifying function with respect to the services in question. The colour red is, by its very nature, highly visible and striking and is used primarily for decorative purposes, or to attract attention. Accordingly, it is, in itself, devoid of distinctive character. As for the silver fuselage, the Court considers that that colour does not particularly stand out from the colour white, which is traditionally used in the aviation sector.

29 The Court concludes that, taken as a whole, the mark applied for is excessively simple>>.

Marcel ci notizia nel medesimo post di altra sentenza del Trib. UE (29.01.2025,T‑147/24, Doorinn GmbH v. EUIPO, Franc./ted.) che pure affossa un altro marchio di posizione qui riprodotto (etichetta rossa nell’angolo del materasso).

In entrambi i casi la decisione mi pare esatta (con maggior sicurezza nel secondo).

Invalidità della delbera condominiale per errato riparto spese, tra annullabilità (se relativa ad una specifica spesa) e nullità (se relativa a tutte le eventuali spese future)

Cass. sez. II, ord. 19/02/2025 n. 4.301, rel. Caponi:

<<Quanto al merito, la Corte di appello ha ritenuto correttamente che la delibera impugnata si era limitata a ripartire concretamente le spese per un singolo intervento senza modificare i criteri generali di riparto, mantenendosi nell’ambito delle attribuzioni dell’assemblea, risultando quindi meramente annullabile e, in quanto tale, soggetta al termine di decadenza di cui all’art. 1137 c.c., rimasto pacificamente inosservato (sul punto si rinvia a Cass. SU 9839/2021, e a successive pronunce conformi, con cui è stato statuito che sono nulle le delibere che, a maggioranza, stabiliscono o modificano i criteri generali di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.)>>.

Comunione di brevetto e sfruttamento indipendente da parte del contitolare

Intervento della Cassazione sul (sempre un pò ostico) tema in oggetto.

Si tratta di Cass. sez. I, sent. 18/02/2025 n. 4.131, rel. Marulli.

Lo sfruttamento autonomo e diretto (non tramite licenza, parrebbe) da parte del contitolare non è ammesso, poichè deprezza il valore della privativa e ne altera la destinazione economica.

<<16. Ora, se di ciò si fa estensione al nostro campo non è difficile credere che lo sfruttamento incondizionato del brevetto, sia pure se solo nella forma del sfruttamento produttivo, che in regime di comunione si concedesse al singolo contitolare non finirebbe per pregiudicare il valore del brevetto in sé, atteso che, potendo disporre dei diritti brevettuali apparentemente senza limiti, il singolo contitolare sarebbe libero di determinare a propria discrezione modi e forme di sfruttamento del trovato. Se si guarda, cioè, la cosa dal punto di vista dell’art. 6, comma 1, cod. prop. ind. e, sulla scorta del rinvio che esso fa alle norme sulla comunione, dal punto di vista dell’art. 1102 cod. civ. e del principio secondo cui l’uso consentito al singolo comunista del bene comune non può alterarne la destinazione, lo sfruttamento uti singulus del brevetto ne altera indubbiamente la destinazione perché la tutela che esso poteva accordare quando lo sfruttamento era conferito collegialmente e collegialmente esercitato, laddove per intenderci il mercato accordava un certo valore al trovato, viene inesorabilmente meno quando allo sfruttamento di più si sostituisca lo sfruttamento da parte di uno solo. Sicché se anche a questo titolo si volesse continuare a parlare di lesione del diritto di esclusiva, essa non sarebbe ravvisabile nel fatto che il contitolare non possa fare uso del bene comune perché ciò andrebbe in urto all’uso degli altri contitolari, ma andrebbe ravvisata nel fatto che lo sfruttamento individuale del brevetto deprime il valore intrinseco di esso, ne altera la destinazione e pregiudica il diritto degli altri contitolari di ritrarre dal brevetto i benefici che l’esclusiva loro concessa era in grado di assicurare.

17. Su questo punto la pur commendevole sentenza di merito oggetto qui di impugnazione non tiene e va, come detto, debitamente cassata affinché si attenga al seguente principio di diritto: “In materia di brevetto di cui siano contitolari due o più soggetti, il rinvio contenuto nell’art. 6, comma 1, cod. propr. ind. alle norme sulla comunione dei diritti reali deve essere inteso nel senso, che in difetto di convenzione contraria, a mente dell’art. 1102, comma 1, cod. civ. è precluso al singolo comunista lo sfruttamento produttivo del trovato a cui voglia procedere uti singulus in quanto ciò, riflettendosi sulla tutela accordata con il brevetto, altera la destinazione della cosa e lede in tal modo il diritto di esclusiva dell’altro o degli altri contitolari” >>.

L’esattezza del giudizio però è dubbia.

Che l’uso non concertato da parte del singolo deprezzi il valore economico della privativa è assai probabile, quasi certo. Che questo costituisca “alterazione della destinazione economica”, vietata dall’art. 1102 cc, è invece assai dubbio, pur adattando il concetto dalle res alle privative.  Andava comnunque argomentato ben più a fondo.

Anzi la SC pare confondere i citt.  due aspetti, senza poi nemmeno distinguere tra i possibili tipi di sfruttamento: – in proprio, su quali mercati e/o per quali prodotti; – oppure  indirettamente tramite licenza a terzi e con quale tipo di licenza (esclusiva /non esclujsiva, su quali territori …).

Ringrazio Paolo Cuomo per la segnalazione della sentenza.

Danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale: è un concetto unitario oppure no?

Cass. sez. III, ord. 21/01/2025 n. 1.473, rel. Condello, dice di no, dovendosi distinguere secondo che sia o meno qualificabile come danno cd biologico:

<<3.4. Con riguardo al primo profilo, è incontestato, e neppure disconosciuto dalla odierna ricorrente, che il danno da perdita parentale, che è il danno subito iure proprio dai congiunti per la venuta meno della relazione parentale che li legava rispettivamente al defunto, ha natura autonoma e si differenzia dai pregiudizi dai congiunti superstiti subiti iure hereditatis.

Come questa Corte ha avuto più volte modo di sottolineare (in particolare Cass., sez. 3, 19/10/2016, n. 21059; Cass., sez. 3, 17/01/2018, n. 901; Cass, sez. 3, 13/04/2018, n. 9196), le voci di danno non patrimoniale non rientranti nell’ambito del danno biologico, in quanto non conseguenti a lesione psico-fisica, ben possono essere definiti come danno parentale, attenendo alla sfera relazionale della persona, autonomamente e specificamente configurabile allorquando la sofferenza e il dolore non rimangano più allo stato intimo ma evolvano, seppure non in “degenerazioni patologiche” integranti il danno biologico, in pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita, ovvero lo sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di un congiunto, poiché il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2,29 e 30 Cost.). Il danno da perdita del rapporto parentale, infatti, viene definito come quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti (così Cass. civ., sez. 3, 09/05/2011, n. 10107).

L’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, favorita dagli spunti ricostruttivi offerti dalla dottrina, ha dimostrato la fallacia della nozione di danno riflesso o “da rimbalzo”, evidenziando come la genesi dei pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dai congiunti della vittima non si configuri come propagazione alle vittime secondarie delle conseguenze dell’illecito e, dunque, del primo e unico evento lesivo, ma, piuttosto, come causazione di una pluralità di eventi dannosi coincidenti con la lesione di altrettanti interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico in titolarità di diversi soggetti; come osservato in dottrina, l’illecito plurioffensivo è il risultato di un’indagine condotta in punto di rapporto di causalità: non è una prima lesione a riflettersi sulla persona di altri, ma un unico illecito che colpisce più soggetti (in questo senso si esprime Cass., sez. 3, 08/04/2020, n. 7748).

Ne discende, come ben rilevato dalla Corte d’Appello, che impropriamente la ricorrente, a supporto delle censure, fa leva sul concetto di danno riflesso e sulla distinzione fra vittima primaria e vittima secondaria>>.

In tema si v. ora: – Rossetti, La liquidazione equitativa del danno, vol. 1, art. 1226, in Il cod. civ. Comm. coord. da Busnelli-Ponzanelli, Giuffrè, 2025, 297 ss, spt. sub E) a p. 307 ss; – Spera, Responsabilità civile e danno alla persona, Giuffrè, 2025, 909 ss.

Prova della capacità di intendere e volere del testatore

Cass. sez. II, ord. 23/01/2025  n. 1.632, rel. Fortunato:

<<L’accertamento delle condizioni di capacità della testatrice si basa sulle risultanze delle cartelle cliniche che descrivevano, nel periodo del ricovero durante il quale era stato redatto il testamento, ricovero esitato nel decesso, una persona vigile, cosciente, consapevole, capace di volere e di autodeterminarsi.

Appare svolto un giudizio di prevalenza di tali elementi documentali rispetto agli elementi contrari, svalutando le deduzioni del ricorrente circa la condizione di angoscia e di annullamento della volontà per effetto della malattia e delle cure, dando rilievo all’autenticità dello scritto quale ulteriore riscontro che le condizioni cliniche non erano tali da comportare un totale annullamento della capacità.

Nessuna anomalia o elemento indiziario utile ha ritenuto di poter dedurre il giudice dal contenuto della scheda o dalla pretesa inadeguatezza dell’erede ad occuparsi dei figli.

La mancata ammissione della prova è dipesa dalla valutazione di sufficienza ed esaustività delle risultanze già acquisite, piuttosto che da una prognosi di fallimento del mezzo istruttorio, in relazione alla puntualità delle risultanze, alla loro convergenza e al carattere tecnico del giudizio espresso dai medici, non essendo il giudice di merito tenuto a respingere espressamente e motivatamente le richieste istruttorie ove i fatti risultino già accertati e i mezzi istruttori formulati appaiano inidonei a vanificare, anche solo parzialmente, detto accertamento (Cass. 14611/2005; Cass. 15502/2009; Cass. 23780/2014; Cass. 14682/2018; Cass. 30855/2019; Cass. 21289/2023).

Resta escluso che il mancato utilizzo del ragionamento presuntivo possa risolversi nella proposta di una diversa soluzione, senza far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio del giudice (Cass. 15737/2003; Cass. 5279/2020; Cass. 22366/2021).

Inoltre, pur potendo la parte dolersi che il giudice non abbia fatto ricorso al ragionamento presuntivo sulla base di fatti noti emersi in istruttoria, il vizio, non denunciabile come violazione dell’art. 2729 c.c. (secondo le istruzioni della sentenza delle S.U. n. 8053/2014), può integrare l’omesso esame di un fatto secondario ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. (Cass. 17720/2018)

Nel caso in esame, non emerge con evidenza la decisività degli elementi indiziari cui si appella il ricorrente, a fronte di contrarie risultanze processuali provenienti dal personale medico munito di specifiche competenze nella valutazione clinica della paziente. Inoltre, le circostanze esposte in ricorso sono state valutate e ritenute irrilevanti e – comunque – è preclusa in questa sede la possibilità di censurare la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., norma che contempla un vizio della sentenza la cui deducibilità non si sottrae ai limiti che discendono dalla preclusione imposta dall’art. 348 ter, comma IV e V, c.p.c. in caso di cd. doppia conforme, dato che la sentenza di appello appare fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado (Cass. 706/2024; Cass. 14211/2024; Cass. 14944/2024)>>.

Il danno morale per la figlia va sempre presunto in caso di decesso del padre, anche se non convivente

regola pacifica riaffermata da Cass. Sez. III, Ord. 16/02/2025, n. 3.904, rel. Graziosi, a seguito di rigetto della domanda risarcitoria in appello:

<<1. l’unico motivo presentato nel ricorso denuncia violazione ed erronea interpretazione degli articoli 1223 e 2059 c.c., nonché violazione “dei precetti costituzionali dedicati alla famiglia”, ex articoli 29, 30 e 31 Cost.;

si osserva che Cass. sez. 3, ord. 14 ottobre 2019 n. 25774 insegna che per i membri della c.d. famiglia nucleare la perdita può essere sempre presunta, salva la prova contraria di controparte, “solo in base alla loro appartenenza al medesimo nucleo familiare minimo”; si richiama pure Cass. sez. 6-3, ord. 15 febbraio 2018 n. 3767 – per cui “l’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del “quantum debeatur”)”, essendo in tali casi “onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo” -, oltre alla non massimata, più recente Cass. sez. 6-3, 28 febbraio 2020 n. 5452;

si sostiene, quindi, che la cessazione della convivenza non significa “porre fine al forte, peculiare e duraturo legame affettivo” dei figli verso i genitori, per cui non sussisterebbe nel caso in esame l’asserita carenza probatoria affermata dalla Corte territoriale, che ha dato una sentenza “del tutto priva di motivazione”>>.

La SC aggiunge:

<< l’unico motivo del ricorso è manifestamente fondato;

le sue argomentazioni hanno correttamente smontato le singolari ragioni che il giudice d’appello ha posto alla base del diniego risarcitorio, del tutto difformi dalla giurisprudenza ormai consolidata; oltre a quella invocata dalle ricorrenti, da intendersi come qui richiamata, non si può omettere di ricordare l’ancor più prossima Cass. sez.3, 15 luglio 2022 n. 22397: “L’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del “quantum debeatur”): in tal caso, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo” (cfr. pure Cass. sez. 3, 30 agosto 2022 n. 25541 e Cass. sez. 3, ord. 4 marzo 2024 n. 5769);>>