Contribuisce alla capacità di provvedere a sè stesso, rendendo così non necessaria l’amministrazione di sostegno, anche l’esistenza di aiuti familiari stabili

Cass. sez. I, 26/02/2025 n. 5.088, rel. Tricomi:

In generale:

<<L’amministrazione di sostegno, introdotta dalla legge n. 6 del 2004, art. 3 innovando il sistema delle tutele previste in favore dei soggetti deboli, persegue la finalità di offrire, a chi si trovi – all’attualità – nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica” non necessariamente di ordine mentale (Cass. n. 12998/2019), uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la “capacità di agire” e che – a differenze dell’interdizione e dell’inabilitazione – sostenga la libertà decisionale delle persone deboli, aiutandole a svolgere i compiti quotidiani senza sostituire la loro volontà, sulla base di un decreto adottato da un giudice, e sia idoneo a adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in ragione della sua flessibilità e della maggiore agilità della relativa procedura applicativa.

Secondo principi consolidati “In tema di amministrazione di sostegno, nel caso in cui l’interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore, e la sua protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (attivato autonomamente dall’interessato), il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione, ove difetti il rischio una adeguata tutela dei suoi interessi, pena la violazione dei diritti fondamentali della persona, di quello di autodeterminazione e la dignità personale dell’interessato.” (Cass. n. 22602/2017), ciò perché “L’amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido.” (Cass. n. 29981/2020) opposizione che deve essere opportunamente considerata, a meno che non sia provocata da una grave patologia psichica tale da rendere l’interessato inconsapevole del bisogno di assistenza (Cass. n. 325421/2022).

Inoltre, ove ricorrano i presupposti per disporre l’amministrazione di sostegno, la valutazione della congruità e conformità del contenuto dell’amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario, riservata all’apprezzamento del giudice di merito, richiede che questi tenga essenzialmente conto, secondo criteri di proporzionalità e di funzionalità, del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l’interessato, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie, in modo da assicurare che il concreto supporto sia adeguato alle esigenze del beneficiario senza essere eccessivamente penalizzante (v. Cass. n. 13584/2006, n. 22332/2011; Cass. n. 18171/2013; Cass. n. 6079/2020; nel senso che l’ambito dei poteri dell’amministratore debba puntualmente correlarsi alle caratteristiche del caso concreto, v. Corte Cost. n. 4 del 2007)>>.

Andando al punto specifico:

<<Ciò rende evidente che la censura, da un lato prospetta erroneamente, alla luce dei principi ricordati, una sovrapponibilità immediata e diretta tra una condizione di infermità e la sottoponibilità ad amministrazione di sostegno, sulla scorta della quale insiste a dolersi della mancata attivazione di poteri officiosi volti ad accertare la prospettata infermità, nonostante il Tribunale congruamente escluso la sussistenza di elementi da cui desumere la ricorrenza di una patologia; dall’altro – e ciò risulta decisivo per disattendere la doglianza – omette di considerare l’altro polo su cui si fonda la ratio decidendi, e cioè l’accertata insussistenza della impossibilità per Ve.Fr. a provvedere ai propri interessi, perché questi ha dimostrato di gestire i suoi interessi avvalendosi dell’assistenza di una rete familiare e professionale di sostegno da lui stesso individuata, in maniera non pregiudizievole per i suoi interessi. Questa specifica e decisiva ratio non viene presa in alcuna considerazione nella censura, con evidenti ricadute anche in termini di inammissibilità del motivo, atteso che, in assenza del pregiudizio per la possibilità di poter curare i propri interessi, non può trovare ingresso la misura di protezione.>>