Cass. sez. III, 11/03/2025 n.6517, rel. Porreca:
<<Se è vero che la perdita della capacità di procreare del genitore cagiona al figlio del danneggiato principale la lesione dell’interesse, costituzionalmente protetto dall’art. 29 Cost., a stabilire un legame affettivo con uno o più fratelli e, quindi, un danno non patrimoniale risarcibile, tuttavia è necessario che vi siano elementi, anche presuntivi, sufficienti a far ritenere che tale legame sarebbe stato acquisito e che la sua mancanza abbia determinato un concreto pregiudizio. Non viene in gioco, anche ai fini dell’emersione del “danno-conseguenza”, il numero dei fratelli o delle sorelle, come se la mancanza di una pluralità di questi significhi strutturalmente un pregiudizio; il pregiudizio, perché sia risarcibile, deve concernere la relazione parentale effettivamente risultata attesa e quindi persa nella singolare concretezza della vicenda di vita, ossia nel richiamato contesto specifico di famiglia nonché nella connessa dimensione individuale da illuminare in relazione a quello e alla plausibile evoluzione psicologica, per quanto si palesi ricostruibile al momento dell’accertamento (nella specie, i Giudici hanno escluso il risarcimento del danno, in favore della figlia, per la perdita della possibilità di avere uno o più fratelli a seguito di una infezione manifestatasi dopo il parto, a seguito della quale la madre aveva dovuto sottoporsi a un successivo intervento di isterectomia che l’aveva resa sterile, atteso che i ricorrenti non avevano effettuato le specifiche allegazioni richieste, che avrebbero potuto implicare valutazioni fattuali e presuntive, in chiave probabilistica)>> (massima in DeJure)
Dalla motivazione:
<< ritiene questo Collegio che vada in primo luogo sottolineato come la fattispecie di un rapporto parentale già instaurato e quello di un tale rapporto futuro ed eventuale, non siano paragonabili, perché la seconda ipotesi attiene al danno da perdita di chance, ovvero di un’apprezzabile e non prettamente aleatoria “possibilità” del rapporto parentale – come non a caso indicato dallo stesso precedente di questa Corte sopra richiamato – viceversa soggetto per natura a mutevoli accadimenti e intendimenti;
in secondo luogo, pur nell’ottica residuata da quanto ancora sub iudice, deve in ogni caso sussistere l’allegazione non solo del progetto di famiglia più numerosa, ma anche, inevitabilmente in termini di coerenza sistematica, del connesso tipo di pregiudizio i cui si chiede il ristoro, rispetto allo specifico soggetto familiare che lo domanda;
al riguardo i ricorrenti valorizzano il perfezionato matrimonio concordatario con finalità procreativa, e discorrono di “gioia di un fratello o una sorella germani”, con pregiudizio “più evidente allorquando la piccola Clara diverrà adolescente prima ed adulta poi, stante che le verrà a mancare quel rapporto di fratellanza e/o sorellanza, connotato da saldo, genuino ed unico sostegno emotivo, conforto personale, che sarebbe di certo un valido sostegno una volta che la stessa prenderà atto delle proprie condizioni e limitazioni personali in relazione al contesto sociale in cui dovrà confrontarsi, a maggior ragione quando un giorno, come è naturale che sia, perderà entrambi i genitori, la propria famiglia di origine” (pag. 17);
al riguardo occorre rimarcare che:
i) l’elemento dato dalla menzionata tipologia di matrimonio nulla di univoco può indicare rispetto all’allegazione e prova del progetto di vita in concreto sviluppato ovvero afferente alla comunità familiare a venire plausibilmente ipotizzabile nell’ipotesi specifica, idoneo, di conseguenza, a costituire indice del preteso pregiudizio relativo alla perdita di quel potenziale rapporto di fratellanza;
ii) come ancora una volta sottolineato dalla Procura Generale, neppure viene in gioco, anche ai fini dell’emersione del “danno-conseguenza”, il numero dei fratelli o delle sorelle, come se la mancanza di una pluralità di questi significhi strutturalmente un pregiudizio;
iii) rimanendo nella logica fatta propria dalla Corte distrettuale, e divenuta definitiva, secondo cui il danno in parola deve dirsi predicabile in astratto, una volta affermato quello da perdita della capacità di procreare, salva prova delle conseguenze da ristorare in concreto, il pregiudizio, perché sia risarcibile, deve concernere la relazione parentale effettivamente risultata attesa e quindi persa nella singolare concretezza della vicenda di vita, ossia nel richiamato contesto specifico di famiglia nonché nella connessa dimensione individuale da illuminare in relazione a quello e alla plausibile evoluzione psicologica, per quanto si palesi ricostruibile al momento dell’accertamento;
i ricorrenti, pertanto, con correlato profilo di aspecificità del ricorso, non indicano né dimostrano in quale atto processuale, ovvero quando e come sarebbero state effettuate queste necessarie quanto puntuali allegazioni – ossia quelle appena delineate oltre che complessivamente quelle stesse che la difesa istante in questa sede prospetta – le quali avrebbero potuto implicare appropriate valutazioni fattuali e presuntive, in chiave probabilistica, e che avrebbero, quindi, dovuto costituire il precisato perimetro della discussione davanti al giudice di appello, prima che del confronto con le censure da specificare davanti a questa Corte; il secondo motivo è logicamente assorbito; il terzo motivo è in parte assorbito, in parte infondato; la regolazione delle spese sull’assunto della fondatezza delle proprie istanze è logicamente assorbito prima che neppure definibile come tale, non integrando sul piano logico una censura; quanto al resto, va ribadito che la facoltà di disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale neppure è tenuto a dare ragione, con un’espressa motivazione, del mancato uso di tale sua facoltà, sicché la pronuncia di condanna alle suddette spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in sede di legittimità, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (v., ad esempio, Cass., 26/04/2019, n. 11329);>>