Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 03/12/2024) 09/04/2025, n. 9309, rel. Giannaccari:
<<La decisione della Corte d’Appello si pone in contrasto con i principi affermati da questa Corte in tema di comunione di azienda ereditaria.
Quest’ultima forma oggetto di comunione fin tanto che rimangano presenti gli elementi caratteristici della comunione, e cioè fino a quando i coeredi si limitino a godere in comune l’azienda relitta dal de cuius, negli elementi e con la consistenza in cui essa è caduta nel patrimonio comune, come può avvenire nel caso di affitto dell’azienda stessa.
Allorché, invece, quest’ultima viene ad essere esercitata con fine speculativo, con nuovi interventi e con nuovi utili derivanti dal nuovo esercizio, possono verificarsi due ipotesi o l’impresa è esercitata, d’accordo, da tutti i coeredi, i quali convengono di continuarne l’esercizio, apportando nuovi incrementi o sviluppando i precedenti, a fine speculativo, e, in tal caso, sussistono tutti gli elementi della società, sia pure irregolare o di fatto, e la comunione incidentale si trasforma in società tra i coeredi, ovvero la continuazione dell’esercizio dell’impresa è effettuata da uno o da alcuni dei coeredi soltanto, ed allora la comunione incidentale è limitata all’azienda come relitta dal de cuius, con gli elementi – materiali e immateriali – esistenti al momento dell’apertura della successione mentre il successivo esercizio, con gli incrementi personalmente apportati dal coerede o dai coeredi che lo effettuano e con gli utili e le perdite conseguenti, non può essere imputato che al coerede o ai coeredi predetti (cfr. Cass. n. 10188/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata).
È stato, infatti, osservato che la distinzione tra società di persone e comunione di godimento, quale risulta dal raffronto tra gli artt. 2247 e 2248 c.c., trova applicazione anche riguardo ad un’azienda compresa in un’eredità.
Ne deriva, in applicazione del richiamato principio di diritto, che
a) le consistenze, l’avviamento (v. Cass. n. 3775/1994) e, dunque, il complessivo valore aziendale devono essere fissati, ai fini divisionali, alla data di apertura della successione (fatta salva, ovviamente, la rivalutazione per il periodo successivo, trattandosi appunto di debito di valore cfr. Cass. n. 6931/2016);
b) le spese, gli incrementi o i decrementi aziendali successivi a tale data non possono essere considerati comuni ma ascrivibili all’attività di chi le gestisce>>.
Esatto, parrebbe.
Applicato al caso sub iudice:
<<Ne consegue che la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare se, al momento dell’apertura della successione, fosse sussistente una comunione ereditaria con riferimento all’azienda, tenendo conto che il Tribunale di Brindisi aveva accertato, con più volte indicata sentenza n. 994/2007, passata in giudicato, che solo A.A. e B.B. avevano esercitato l’attività di impresa.
In virtù di tali consolidati principi, ai quali il collegio intende dare continuità, la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare se, al momento della divisione dell’asse ereditario di D.D., la continuazione dell’esercizio dell’impresa fosse stata effettuata dalla de cuius o soltanto dai convenuti.
La Corte d’Appello ha, invece, erroneamente ritenuto che l’azienda fosse entrata nell’asse ereditario della de cuius sol perché alla stessa era stata attribuita una quota, pari a 54/126 del laboratorio artigianale e dell’attività commerciale di vendita, con riferimento alla consistenza che l’azienda aveva al momento dell’apertura della successione di E.E.
Si trattava di una quota dell’eredità del dante causa, stimata con riferimento al valore che l’azienda aveva al momento del decesso di E.E., aumentato del valore locativo per stimare il bene al momento della divisione, per tenere conto dell’apporto dei fratelli B.B. e A.A., che avevano gestito l’azienda.
La Corte d’Appello – dopo aver affermato che l’azienda, nella sua consistenza originaria, era stata assegnata a D.D., B.B. e A.A. sulla base del valore al momento dell’apertura della successione di E.E., accresciuta del valore locativo dal 1976 in poi – si è interrogata sul se “quella entità” fosse caduta in successione, quale patrimonio da dividere tra i suoi eredi, oppure se a D.D. fosse stata attribuita “una quota dell’azienda intesa nella sua consistenza dinamica”.
La Corte di merito giunge alla conclusione che l’azienda fosse stata assegnata nella sua “consistenza dinamica”, affermando, che “non vi fosse riscontro alla circostanza che la D.D. sia rimasta estranea all’esercizio dell’impresa, non essendo necessario l’apporto personale per configurarsi l’esercizio collettivo di un’impresa, opzione da cui deriva che la quota attribuita alla D.D. fu intesa in senso dinamico”, e, a conforto di tale tesi, richiama la sentenza del Tribunale di Brindisi n. 994/2007, che aveva determinato il valore del bene al momento della divisione.
Tale affermazione si pone in contrasto sia con il giudicato costituito da quest’ultima sentenza, che aveva accertato che la gestione dell’azienda era stata svolta da parte dei soli germani B.B. e A.A., sia con il principio di diritto (al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio) secondo cui l’azienda ereditaria forma oggetto di comunione fin tanto che rimangano presenti gli elementi caratteristici della comunione, e cioè fino a quando i coeredi si
limitino a godere in comune l’azienda relitta dal de cuius; allorché, invece, quest’ultima viene ad essere esercitata da uno o da alcuni dei coeredi la comunione incidentale è limitata all’azienda come relitta dal de cuius, con gli elementi – materiali e immateriali – esistenti al momento dell’apertura della successione.
Ha, quindi errato la Corte d’Appello nel determinare il valore dell’azienda con riferimento al momento della divisione dell’asse relitto di D.D., senza accertare, ai fini della persistenza della comunione, se ed in quale misura la de cuius avesse contribuito alla gestione dell’azienda>>.