Sono contrari al buon costume anche i finanziamenti ad impresa già decotta

Cassazione civile sez. I, ord. 19/02/2024 n. 4.376, rel. Amatore:

Premessa generale:

<<Occorre invero ricordare che, secondo la giurisprudenza incontrastata espressa da questa Corte di legittimità, la disciplina unitaria della condictio indebiti trova il suo completamento nella norma di cui all’art. 2035 cod. civ. la quale funge da limite legale all’applicabilità del precedente art. 2033, di modo che il giudice di merito, chiamato a pronunziarsi su una “condictio ob iniustam causam”, deve procedere d’ufficio, e sulla base delle risultanze acquisite, alla ulteriore valutazione dell’atto o del contratto di cui abbia ravvisato l’illegalità o la contrarietà all’ordine pubblico, sul diverso piano della sua contrarietà al buon costume, tenendo presente, da un lato, che la nozione di negozio contrario al buon costume comprende (oltre ai negozi che infrangono le regole del pudore sessuale e della decenza) anche i negozi che urtano contro i principi e le esigenze etiche della coscienza collettiva, elevata a livello di morale sociale, in un determinato momento ed ambiente, e per altro verso che sono irripetibili, ai sensi dell’art. 2035 cod. civ. i soli esborsi fatti per uno scopo contrario al buon costume, ma non pure le prestazioni fatte in esecuzione di un negozio illegale per contrarietà a norme imperative (cfr. anche: Cass. 783/87; 2081/85; Cass. 4414/81, Cass. 1035/77)>>.

E sul punto specifico;

<<Da qui la valutazione di immoralità delle prestazioni eseguite dal ricorrente e la loro irripetibilità, sulla scorta proprio di un consolidato (e qui condiviso) indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità e puntualmente richiamato nel provvedimento del Tribunale.

È stato infatti affermato da questa Corte, in termini sovrapponibili alla fattispecie concreta in esame, che “ai fini dell’applicazione della “soluti retentio” prevista dall’art. 2035 c.c., le prestazioni contrarie al buon costume non sono soltanto quelle che contrastano con le regole della morale sessuale o della decenza, ma sono anche quelle che non rispondono ai principi e alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico, dovendosi pertanto ritenere contraria al buon costume, e come tale irripetibile, l’erogazione di somme di denaro in favore di un’impresa già in stato di decozione integrante un vero e proprio finanziamento, che consente all’imprenditore di ritardare la dichiarazione di fallimento, incrementando l’esposizione debitoria dell’impresa trattandosi di condotta preordinata alla violazione delle regole di correttezza che governano le relazioni di mercato e alla costituzione di fattori di disinvolta attitudine “predatoria” nei confronti di soggetti economici in dissesto” (così espressamente: Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16706 del 05/08/2020; v. anche: Sez. L, Sentenza n. 2014 del 26/01/2018; Sez. 3, Sentenza n. 9441 del 21/04/2010; Sez. 3, Sentenza n. 5371 del 18/06/1987).   (…)

1.2.8 A ciò va aggiunto che, come risulta documentato nel giudizio di merito, nella fattispecie il finanziamento è stato effettuato in favore di una società già caratterizzata da grave ed irreversibile insolvenza, e non già da uno stato di mero squilibrio finanziario, come richiesto dall’art.2467, comma 2, cod. civ., con la conseguenza che i richiami al predetto dettato normativo da parte del ricorrente risultano completamente fuori fuoco.

1.2.9 Va ulteriormente precisato che nulla vieta – contrariamente a quanto invece opinato dal ricorrente – che un contratto giudicato illecito e, come tale, nullo ai sensi dell’art.1418 cod. civ., possa essere soggetto anche alla sanzione civilistica dell’irripetibilità sancita dall’art.2035 cod. civ., ove si ravvisino – proprio come accertato nella fattispecie in esame – prestazioni dettate da finalità per l’appunto immorali. Ed invero, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che un atto negoziale giudicato in contrasto con una norma imperativa o con l’ordine pubblico possa essere, al contempo, suscettibile di una valutazione in termini di contrarietà al buon costume, proprio per gli effetti di cui al citato art. 2035 cod. civ., con la conseguenza che “chi abbia versato una somma di denaro per una finalità truffaldina o corruttiva non è ammesso a ripetere la prestazione, perché tali finalità, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume” (Cass. 9441/2010, 25631/2017). Si tratta infatti di indirizzo consolidato (Cass. s.u. 4414/1981, Cass. 5371/1987) che, inquadrando la disciplina unitaria della condictio indebiti, ne precisa il completamento con la norma di cui all’art. 2035 c.c., “la quale funge da limite legale all’applicabilità del precedente art. 2033, di modo che il giudice di merito, chiamato a pronunziarsi su una condictio ob iniustam causam, deve procedere d’ufficio, e sulla base delle risultanze acquisite, alla ulteriore valutazione dell’atto o del contratto di cui abbia ravvisato l’illegalità o la contrarietà all’ordine pubblico, sul diverso piano della sua contrarietà al buon costume, tenendo presente … che sono irripetibili, ai sensi dell’art. 2035 c.c., i soli esborsi fatti per uno scopo contrario al buon costume, ma non pure le prestazioni fatte in esecuzione di un negozio illegale per contrarietà a norme imperative” (Cass. 5 agosto 2020 n. 16706; Cass. 6 dicembre 2019 n. 31883). Detto altrimenti, “la contemporanea violazione, da parte di una medesima prestazione, tanto dell’ordine pubblico quanto del buon costume, attingendo ad un livello di maggiore gravità, deve ricevere il trattamento previsto per la prestazione che sia soltanto lesiva del buon costume” (v. Cass. 3 aprile 2018 n. 8169; Cass. 27 ottobre 2017 n. 25631), con la conseguenza che detta prestazione non può essere suscettibile di ripetizione, imponendosi l’applicazione dell’art. 2035 cod. civ., secondo il noto brocardo per cui in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis>>.

(notizia da ilcaso.it)