Licenza di marchio quando il licenziante è una comunione (anzichè una titolarità singolare): il caso Acanfora/Legea torna in Cassazione dopo la pausa alla Corte di Giustizia

Acanfora/Legea è il leading case sul tema in oggetto.

Dopo la sosta europea , torna in Italia presso il giudice remittente e viene deciso da  Cass. sez. I, sent. 19/04/2024  n. 10.637, rel. Terrusi, che, applicando l’interpretazione della CGUE, cassa con rinvio alla corte di appello napoletana.

<<XI. – Sennonché la sottostante questione di diritto va risolta in senso esattamente opposto, in base alla considerazione – di matrice dottrinale ma in certo qual senso già presente in giurisprudenza – per cui la concessione di licenze esclusive a terzi è un atto dispositivo del marchio, poiché, alterando la destinazione della cosa e impedendo agli altri partecipanti alla comunione di farne uso, incrina l’esclusività del diritto che è tipica della privativa.

Invero, se disposta a maggioranza, la concessione di licenze esclusive sul marchio è lesiva dei diritti di esclusiva dei dissenzienti.

La concessione in licenza implica infatti uno sfruttamento indiretto del bene immateriale. E lo sfruttamento indiretto è idoneo a vulnerare l’esclusiva che i titolari dissenzienti avrebbero diritto a mantenere integra.

Ne segue che quale che sia la durata della concessione (infra o ultranovennale o a tempo indeterminato) e la modalità (gratuita o meno) dell’attribuzione a terzi del diritto di utilizzazione in via esclusiva del marchio, quell’attribuzione, proprio perché esclusiva, implica un atto di disposizione giuridica suscettibile di un medesimo unico trattamento.

Poiché ogni decisione inerente allo sfruttamento del diritto comune di proprietà industriale è astrattamente idonea a pregiudicare l’interesse di ciascuno dei contitolari a preservare l’integrità del proprio diritto, la regola che viene in rilievo è quella posta dall’art. 1108, primo e terzo comma, cod. civ. per il modello degli atti pregiudizievoli; quegli atti che – come per es. l’alienazione o la costituzione di diritti reali, o anche la locazione ultranovennale -segnando il limite di compromissione del diritto “di alcuno dei partecipanti”, richiedono l’unanimità dei consensi.

Considerando poi che nella concessione del marchio a terzi è normalmente radicata proprio la concessione del diritto di esclusiva, essendo codesto un predicato della funzione del segno, il principio non può che comportare – nell’ottica dell’art. 6 del c.p.i. – una soluzione opposta a quella sostenuta dalla corte d’appello di Napoli>>.

Poi i principi affermati:

<<XIII. – Vanno quindi affermati i seguenti principi:

– in caso di comunione sul marchio, il contratto di licenza d’uso a terzi in via esclusiva richiede, per il suo perfezionamento, il consenso unanime dei contitolari, perché la concessione al licenziatario dell’esclusiva priva i contitolari del godimento diretto dell’oggetto della comunione, e dunque rileva secondo il disposto dell’art. 1108, primo e terzo comma, cod. civ.;

– ove la licenza sia stata concessa in via esclusiva con l’accordo unanime dei titolari è sempre possibile il venir meno della volontà di prosecuzione di uno dei medesimi, il quale non è vincolato in perpetuo alla manifestazione originaria; tale circostanza implica la necessità di rinegoziare l’atto mediante una nuova concessione, da concordare ancora una volta con unanimità dei consensi>>.

Il primo principio è esatto. Il secondo invece suscita serie perplessità: anzi pare errato, trascurando nella sua assolutezza la regole negozialmente pattuite, che non possono venire caducate dal ripensamento di un contitolare licenziante.