Il punto della Cassazione sull’amministrazione di sostegno

Cass. sez. I, ord. 17/09/2024  n. 24.878, rel. Russo R. E. A.:

<<Deve qui ricordarsi che l’amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere la persona in tutto o in parte priva di autonomia, in ragione di disabilità o menomazione di qualunque tipo e gravità, senza mortificarla e senza limitarne la capacità di agire se non -e nella misura in cui- è strettamente indispensabile; la legge chiama il giudice all’impegnativo compito di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, così da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile con il minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione (Cass. sez. un., 30/07/2021, n.21985Cass., sez. I 27 settembre 2017, n. 22602, Cass. sez. I, 11 maggio 2017, n. 11536; Cass. civ. sez. I 26 ottobre 2011, n. 22332; Cass. civ. sez. I 29 novembre 2006, n. 25366; Cass. civ. sez. I 12 giugno 2006, n. 13584; Cass. civ, sez. I, 11 settembre 2015, n. 17962).

Introducendo l’amministrazione di sostegno, il legislatore ha dotato l’ordinamento di una misura che può essere modellata dal giudice tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilità. Così l’ordinamento mostra una maggiore sensibilità alla condizione delle persone con disabilità, è più attento ai loro bisogni e allo stesso tempo più rispettoso della loro autonomia e della loro dignità di quanto non fosse in passato, quando il codice civile si limitava a stabilire una netta distinzione tra soggetti capaci e soggetti incapaci, ricollegando all’una o all’altra qualificazione rigide conseguenze predeterminate. Nell’assolvere a questi compiti di protezione della persona, non è la gravità della malattia o menomazione che deve orientare il giudice, ma piuttosto la idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Corte Cost. 10/05/2019 n.114; Cass. civ. sez. I 4/03/ 2020, n. 6079; Cass. sez. I del 12 /06/ 2006 n. 13584).

La flessibilità è il tratto distintivo di questa misura di protezione, che non ha una disciplina legale predeterminata in ogni suo aspetto, posto che la normativa lascia ampi spazi di regolamentazione e di adattamento della misura al caso concreto (il c.d. vestito su misura). Il giudice verifica, da un lato, le competenze della persona e cioè le sue capacità e abilità, e, dall’altro, le sue carenze, muovendo dal presupposto che la persona potrebbe essere in grado di autodeterminarsi e di esercitare con sufficiente avvedutezza taluni diritti, ovvero operare in taluni ambiti della vita sociale ed economica, mentre potrebbe non essere abile e competente in altri settori. In esito a tale verifica il giudice, oltre a decidere l’an della misura, deve anche definire e perimetrare i compiti e i poteri dell’amministratore, in termini direttamente proporzionati all’incidenza degli accertati deficit sulla capacità del beneficiario di provvedere ai suoi interessi, di modo che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona (Cass. 02/11/2022, n.32321).

La disciplina legale della misura, come si è detto, si caratterizza per una maggiore attenzione alla dignità della persona, il che significa che la sua volontà, nei limiti del possibile, deve essere rispettata. L’opinione del beneficiario non può essere considerata minusvalente solo perché espressa da un soggetto fragile, disabile, affetto da malattia psichica, poiché in tal modo si riproporrebbe uno schema rigido fondato su regole predeterminate, spesso desunte da dogmi indimostrati e talora discriminatori; invece di valutare, come richiede un approccio orientato al rispetto dei diritti umani, se nel caso concreto è possibile ed in quale misura rispettare la volontà dell’interessato senza pregiudizio per i suoi interessi (Cass. n. 7414 del 20/03/2024, in motivazione).

3.- In sintesi, la misura si giustifica in quanto, in primo luogo, si accerti un deficit e cioè che la persona non è in grado di provvedere, da sola o eventualmente con il supporto della rete familiare, ai suoi interessi, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica (art 404 c.c.), tenendo conto, nei limiti del possibile, della volontà del beneficiario, ovvero, se deve disporsi diversamente, motivando adeguatamente sul punto.

La misura può avere finalità di mero supporto, oppure, ove il giudice tutelare ritenga di estendere al beneficiario le limitazioni e decadenze previste per l’interdetto o l’inabilitato (art 411 c.c.) comportare il conferimento all’amministratore di specifici poteri di rappresentanza o di assistenza, analoghi rispettivamente a quelli del tutore o del curatore, e nei limiti strettamente necessari a proteggere gli interessi del beneficiario, ma non può essere essa stessa un mezzo istruttorio e di monitoraggio, poiché l’accertamento del deficit di competenze deve precedere e non seguire la misura>>.