Cass. sez. II, Sent. 17/10/2024, n. 26.951, rel. Pirari:
<<Orbene, la questione proposta attiene, nella specie, agli effetti che conseguono alla proposizione di una domanda di scioglimento della comunione ereditaria e alla configurabilità dell’efficacia recuperatoria della stessa in assenza di relativa domanda, posto che, secondo il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero potuto includere nella massa dividenda una somma di denaro in assenza di domanda di condanna e, correlatamente, di pronuncia in tal senso. A ben vedere, però, questa ricostruzione degli istituti non convince, poiché si pone in contrasto con il significato stesso del giudizio di divisione ereditaria e gli effetti da esso scaturenti. E’ ben noto, invero, che il recupero, da parte dell’erede, dei beni ereditari di cui sia nel possesso un terzo, sia in qualità di erede, sia senza titolo, avviene con l’esercizio dell’azione di petizione ereditaria ex art. 533 cod. civ., la quale, oltre ad avere natura reale e non contrattuale, è fondata sull’allegazione della qualità di erede con la finalità, giustappunto, di conseguire il rilascio dei beni compresi nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione da chi li possiede senza titolo o in base a titolo successorio che non gli compete, ma non quelli che, al momento dell’apertura della successione del de cuius, erano già fuoriusciti dal suo patrimonio e che, in ragione di ciò, non possono essere considerati quali beni ereditari (in tal senso, Cass., Sez. 2, 4/4/2024, n. 8942).
Orbene, la petizione dell’eredità, che consente, ai sensi dell’art. 533 cod. civ., di chiedere sia la quota dell’asse ereditario sia il suo valore, potendo così assumere tanto natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria (Cass., Sez. 6-2, 24/9/2020, n. 20024 ), quanto di condanna al rilascio dei beni ereditari posseduti dal convenuto a titolo di erede (Cass., Sez. 2, 19/1/1980, n. 461), si configura anche quando sia proposta domanda di divisione dell’asse ereditario, in quanto quest’ultima, al pari della prima, postula l’accertamento dell’esistenza, nell’attivo ereditario, del credito di cui il de cuius era titolare nei confronti di altro coerede per le somme da questi illegittimamente prelevate dal conto cointestato prima della sua morte (Cass., Sez. 6-2, 24/9/2020, n. 20024; Cass., Sez. 2, 2004, n. 24034). Ciò comporta che nell’azione di scioglimento della comunione ereditaria può dirsi insita l’azione di petizione ereditaria allorché si chieda la ricostruzione dell’asse relitto e l’inclusione, in esso, di beni sottratti da altro erede o da un terzo, ivi compresi, dunque, i crediti vantati dal de cuius o le somme di denaro illecitamente prelevate da altro erede, come nella specie, tanto più che la sentenza contenente l’assegnazione dei beni ai condividenti costituisce titolo esecutivo, idoneo a consentire a ciascuno di costoro di acquistare non soltanto la piena proprietà dei beni facenti parte della quota toccatagli, ma anche la potestà di esercitare tutte le azioni inerenti al godimento del relativo dominio, ivi compresa quella diretta ad ottenere, in via esecutiva, il rilascio dei beni in essa inclusi, rispetto ai quali gli altri condividenti non hanno più alcun titolo giustificativo per protrarre ulteriormente la detenzione proprio per effetto della compiuta divisione (sull’efficacia di titolo esecutivo dello scioglimento della comunione vedi Cass., Sez. 2, 22/8/2018, n. 20961; Cass., Sez. 2, 27/12/2013, n. 28697).
E’ allora evidente come nessuna ultrapetizione possa dirsi verificata nella specie, derivando dall’accertamento dell’esatta consistenza del patrimonio relitto prima e dall’attribuzione delle quote poi, presupponente evidentemente l’accertamento della qualità di erede, gli stessi effetti sostanziali che derivano dalla petizione ereditaria, che, in ragione di ciò, può dirsi insita nella domanda di scioglimento della comunione>>.