Cass. 14.06.2021 n. 16.743, Bellini e Chiari srl c. Bellini, rel. Fiecconi, decide sulla qualificazione di una condotta omissiva del locatore (una s.r.l.) che per sette anni non aveva chiesto i canoni al conduttore e poi glieli chiede tutto all’improvviso .
Si trattava di srl a base famigliare ,che aveva inviato l’intimazione di pagamento, prima mai inviata, solo dopo la rottura dei rapporti tra soci/parenti (genitore/figlio)
La sentenza inquadra la richiesta nell’abusto del diritto , ricondubicile alla buona fede contrattuale : il silenzio per anni ha creato un affidamento di non dovutezza dei canoni, per cui l’improvvisa richiesta è abusiva.
La SC discute anche la introducibilità nel ns. ordinamento dell’istituto della Verwirkung (perdita) del diritto a seguito di silenzio o altra condotta concludente del creditore, ritenendola problematica.
La sentenza è ricca di passaggi interessanti (talora forse eccesivi rispetto alla necessità del decidere) e sarà oggetto di ampi commenti.
Ad es.: <<Va rilevato che, in virtù di tale accezione dell’ obbligo solidaristico in sede contrattuale, negli ordinamenti di area continentale europea tende vieppiù ad affermarsi il principio, basato appunto sulla clausola di buona fede, di matrice romanistica, secondo cui, anche prima del decorso del termine prescrizionale, il mancato esercizio del diritto, protrattosi per un conveniente lasso di tempo, imputabile al suo titolare e che abbia fatto sorgere nella ontroparte un ragionevole ed apprezzabile affidamento sul definitivo non esercizio del diritto medesimo, porta a far considerare che un successivo atto di esercizio del diritto in questione possa integrare un abuso del diritto, nella forma del ritardo sleale nell’esercizio del diritto, con conseguente negazione della tutela. Al di là delle definizioni teoriche, pertanto, la Verwirkung nel senso appunto di abuso del diritto nel senso di subitaneo e ingiustificato revirement rispetto a una sua protratta opposta modalità di esercizio (a ben guardare, anche la remissione è una forma di esercizio del diritto, potendo concederla solo chi ne è titolare) costituisce un istituto idoneo a venire in gioco, anche nel nostro ordinamento, allorché appunto si prospetti un abusivo esercizio del diritto dopo una prolungata inerzia del creditore o del titolare di una situazione potestativa che per lungo tempo è stata trascurata e ha ingenerato un legittimo affidamento nella controparte. In tal caso, a seconda delle circostanze, può ravvedersi, nel tempo, un affidamento dell’altra parte nell’abbandono della relativa pretesa, idoneo come tale a determinare la perdita della situazione soggettiva nella misura in cui il suo esercizio si riveli un abuso.>, § 16,
Il canone generale della buona fede che regola infatti anche la dinamica contrattuale, cioè l’intrecciarsi degli opposti diritti/interessi nella esecuzione di quanto si è cristallizzato nel patto negoziale, <<impedisce che i diritti siano esercitati in modalità astratte, imponendo invece il rispetto dell’affidamento che questa ha acquisito proprio in conseguenza della modalità esecutiva fino ad allora praticata, l’affidamento costituendo una species di interesse insorto da una specifica percezione della dinamica contrattuale in atto. Dinamica che peraltro l’insorgenza di tale affidamento conduce ad una stabilizzazione favorevole, che può essere infranta dalla controparte soltanto, appunto, con un abuso, che concretizza, nel fondo della sua sostanza, la violazione del canone di solidarietà che, pur essendo contrapposti gli interessi delle parti contrattuali, costituisce il background della confluenza di detti interessi nel negozio stipulato, e permane quindi, come regola fondante, nella sua esecuzione, id est nel suo reciproco adempimento>>, § 17.
Molto interessante poi è la precisazione per cui l’eccezione di abuso è rilevabile d’ufficio, non essendo invocabile la disposizione sulla prescrizione, art. 2938 cc, § 18.
Problema centrale è la prorzionalità dei mezzi usat (§ 24) e cioè se ricorra un interessa apprezzabile del creditore, § 25
Ma nel caso, se non c’è rinuncia tacita, § 26, l’esercizio <<repentino del diritto installatosi in una circostanziata situazione di maturato affidamento della sua intervenuta abdicazione, correlata a un assetto di interessi pregresso, ha integrato un abuso del diritto per quanto detto sopra e ha comportato, altresì, la negazione di tutela dell’interesse di controparte in considerazione di sopravvenute circostanze nelle quali il giudice di merito – illustrando ciò con adeguata motivazione – ha riscontrato un conflitto tra le parti determinatosi per altre questioni, pacificamente non collegate al contratto> § 28
In altre parole, questa è <<l’esatta identificazione dell’istituto da applicarsi: i diritti disponibili in quanto tali possono essere oggetto di rinuncia anche se sono stati inseriti in un sinallagma contrattuale, e la rinuncia può essere effettuata a mezzo di fatti concludenti, vale a dire come forma specifica di esecuzione del contratto dalla parte del creditore. Dove il comportamento inerte di quest’ultimo non è ascrivibile a rinuncia, come nel caso concreto è risultato, ma a un – ben protratto – prodromo di un esercizio abusivo del diritto, il decorso di un tale spiccato periodo di tempo di oggettiva apparenza remittente non può non assumere valore ai fini dell’estinzione/consumazione del diritto per il periodo de quo, trattandosi di diritto a esecuzione continuata e periodica. Pertanto, indipendentemente dall’indagine sulla volontà di rinunciare al diritto o dal decorso del termine di prescrizione del medesimo, il repentino esercizio del diritto, dopo una situazione di durevole inerzia non altrimenti giustificata, può costituire esso stesso una violazione del principio di affidamento circa la oggettiva abdicazione. (…) In siffatto contesto, collegato alla causa del contratto di locazione e alla protratta inerzia del locatore nel richiedere il pagamento del corrispettivo di locazione per oltre sette anni, la repentina richiesta di adempimento per la parte del credito eventualmente non caduta in prescrizione è da valutarsi alla stregua dell’esercizio abusivo del diritto, e dunque in violazione di obblighi solidaristici collegati alla salvaguardia dell’interesse del conduttore a non perdere una acquisita situazione di vantaggio determinatasi a suo esclusivo favore, laddove non si dimostri di avere sino a quel tempo comportato un apprezzabile sacrificio per il locatore, rimasto inerte sin dall’origine, a fronte del grave onere imposto repentinamente sulla controparte >>, §§ 29 e 31.
Importante poi la precisazione dell’interferenza (sotto il profilo causale, direi) del rapporto locatizio con quello societario/familiare: <<L’accertamento fattuale della eventuale violazione della fondamentale obbligazione solidaristica in un caso come quello di cui si tratta, laddove si consideri che il rapporto negoziale si era formalmente instaurato tra una società commerciale con accentuato carattere personalistico e una naturale flessibilità dell’organizzazione sociale – come è oggi intesa la società a responsabilità limitata – , proprietaria del bene locato, e un socio, non può d’altronde – si nota peraltro ad abundantiam – non tener conto della mutazione di comportamento della società creditrice non appena il socio è, nei fatti, forzosamente uscito dalla compagine sociale e i rapporti con il socio di riferimento, il padre, si sono incrinati per vicende estranee alla conduzione della società e del contratto di locazione; pertanto, la iniziativa della società di attivarsi, tra l’altro in un contesto di accesa conflittualità tra soci, appartenenti a un medesimo contesto familiare, dopo che la società per anni era rimasta inerte senza fornire adeguata giustificazione, è da ritenersi un comportamento certamente innaturale in un contesto societario ove le questioni interne tra i soci non sono normalmente in grado di mutare l’assetto degli interessi sottesi al contratto sociale, se non cristallizzati in altrettanti reciprochi impegni tra la società e i soci (Sez. 1, Sentenza n. 12956 del 22/06/2016; Sez. 1, Sentenza n. 14629 del 21/11/2001)>>, § 32.
Ragionando secondo questi principi, quindi, <<è sostenibile che un credito nascente da un rapporto ad esecuzione continuata, mai preteso sin dall’origine del rapporto negoziale, anche se formalmente menzionato nelle scritture contabili di una società a responsabilità limitata per più esercizi, in assenza di altri indici di segno contrario, possa ugualmente costituire un fattore di generazione di un affidamento di oggettiva rinuncia del credito sino ad allora maturato nei confronti del socio. Pertanto, la repentina richiesta di adempimento dell’obbligazione di pagamento, indipendentemente dalla presenza di indici idonei a denotare una volontà di rinuncia del medesimo, se corrispondente a una situazione di palese conflittualità tra socio (allora ex socio) e gli altri soci, non giustificata da altri fattori, costituisce un abuso del diritto ove riveli l’intento di arrecare un ingiustificato nocumento>>, § 34.
Ed allora ecco il principio di diritto: <«il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175 e 1375 cod.civ. legittima in punto di diritto l’insorgenza in ciascuna parte dell’affidamento che, anche nell’esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive ed esecuzione continuata, ciascuna parte si comporti nella esecuzione in buona fede, e dunque rispettando il correlato generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere generale del “nerninem laedere”; ne consegue che in un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo l’assoluta inerzia del locatore nell’escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del corrispettivo sino ad allora maturato, protrattasi per un periodo di tempo assai considerevole in rapporto alla durata del contratto, e suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei a ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del locatore per facta concludentia, la improvvisa richiesta di integrale pagamento costituisce esercizio abusivo del diritto>>, § 36.