Utilizzatore informato ed estensione della protezione nella valutazione di contraffazione di prodotti modulari (ancora sui mattoncini Lego)

L’AG Szpunar ha presentato le sue conclusioni 6 marzo 2025 in C-211/24 , Lego c. Pozitív Energiaforrás Kft.

<<48.  Tenuto conto delle informazioni incluse nella domanda di pronuncia pregiudiziale, proprio la preoccupazione di preservare l’obiettivo menzionato al paragrafo 46 delle presenti conclusioni ha indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’opportunità di applicare, per stabilire l’estensione della protezione dei disegni o modelli che rientrano nelle previsioni dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 6/2002, criteri specifici, che prendano in considerazione la specificità di tali disegni o modelli.

49. Come risulta dalle precedenti considerazioni, ritengo tuttavia che, al contrario, proprio l’applicazione rigorosa e integrale delle disposizioni del regolamento n. 6/2002, come interpretate dai giudici dell’Unione, permetta di raggiungere tale obiettivo, rispettando al contempo l’effetto utile dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento.

50. Propongo dunque di rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 10 del regolamento n. 6/2002 dev’essere interpretato nel senso che l’estensione della protezione di un disegno o modello rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento è determinata mediante riferimento all’impressione generale prodotta da tale disegno o modello in un utilizzatore informato che, senza essere un progettista o un esperto tecnico, conosce vari disegni o modelli esistenti nel comparto di riferimento, dispone di un certo grado di conoscenze quanto agli elementi che questi disegni o modelli comportano di regola e, a causa del suo interesse per i prodotti in questione, dà prova di un grado di attenzione relativamente elevato quando li utilizza in quanto elementi del sistema modulare di cui fanno parte. In sede di valutazione dell’estensione della protezione, si tiene conto del margine di libertà dell’autore del disegno o modello di cui trattasi, anche nell’elaborazione delle caratteristiche dell’aspetto del prodotto necessarie per l’interconnessione.

Conclusione

51. Alla luce dell’insieme delle precedenti considerazioni, propongo alla Corte di fornire la seguente risposta alla prima questione pregiudiziale sollevata dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest‑Capitale, Ungheria):

L’articolo 10 del regolamento (CE) n. 6/2002 del Consiglio, del 12 dicembre 2001, su disegni e modelli comunitari,

dev’essere interpretato nel senso che:

l’estensione della protezione di un disegno o modello rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento è determinata mediante riferimento all’impressione generale prodotta da tale disegno o modello in un utilizzatore informato che, senza essere un progettista o un esperto tecnico, conosce vari disegni o modelli esistenti nel comparto di riferimento, dispone di un certo grado di conoscenze quanto agli elementi che questi disegni o modelli comportano di regola e, a causa del suo interesse per i prodotti in questione, dà prova di un grado di attenzione relativamente elevato quando li utilizza in quanto elementi del sistema modulare di cui fanno parte. In sede di valutazione dell’estensione della protezione, si tiene conto del margine di libertà dell’autore del disegno o modello di cui trattasi, anche nell’elaborazione delle caratteristiche dell’aspetto del prodotto necessarie per l’interconnessione>>.

L’azione di petizione ereditaria (art. 533 ss. c.c.) non può riguardare beni già usciti dal patrimonio del de cuius prima del suo decesso

Esatto giudizio reso da Cass. sez. II, 21/03/2025 n. 7.577, rel. Giannaccari:

<< 5.1. Gli attori avevano, invero, chiesto dichiararsi “la nullità di due assegni bancari” emessi dalla de cuius in vita in favore del nipote Fa.Ra. perché frutto del reato di circonvenzione di incapace e, per l’effetto, avevano invocato la restituzione della somma incassata dal beneficiario e la sua devoluzione alla massa ereditaria.

Si tratta di un’azione di restituzione di somme che avrebbe potuto compiere lo stesso defunto – e per questo trasmissibile agli eredi – a titolo extracontrattuale, per circonvenzione di incapace>>.

Ecco perchè:

<<Trattandosi di un atto che la de cuius aveva posto mentre era in vita, è errata la qualificazione giuridica della domanda come petizione di eredità da parte della Corte d’Appello.

5.2. L’azione di petizione ereditaria richiede, infatti, tre presupposti di diritto: l’attore deve dimostrare la propria qualità di erede legittimo o testamentario, il possesso da parte del convenuto dei beni reclamati e l’appartenenza di tali beni all’asse ereditario.

Presupposto dell’azione è l’impossessamento da parte dei terzi o dell’erede dei beni ereditari sicché essa può avere ad oggetto beni riconducibili al momento dell’apertura della successione all’asse ereditario.

Con l’azione di petizione ereditaria, invero, l’erede può reclamare soltanto i beni nei quali egli è succeduto mortis causa al defunto mentre tale azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che il de cuius abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo di assegni bancari, senza un’apparente causa di giustificazione, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto in disponibilità in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del de cuius (Cass. 4 aprile 2024, n. 8942; Cass. 9 febbraio 2011, n. 3181; Cass. 19 marzo 2001, n. 3939; Cass. 23 ottobre 1974, n. 3067).

La petitio hereditatis, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è un’azione nella quale l’erede non subentra al de cuius ma che a lui viene attribuita ex novo al momento dell’apertura della successione (cfr. Cass. 2 agosto 2001, n. 10557; Cass. 16 gennaio 2009, n. 1074).

Nell’azione di petizione dell’eredità – che è un’azione reale, fondata sull’allegazione della qualità di erede e volta a conseguire il rilascio dei beni compresi nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione da chi li possiede senza titolo o in base a titolo successorio che non gli compete – legittimati attivamente e passivamente sono soltanto, rispettivamente, colui che adduce la sua qualità di erede e colui che sia in possesso dei beni di cui il primo chiede la restituzione (Cass. 9 febbraio 2001, n. 3181, cit.; Cass. 1 aprile 2008, n. 8440).

La petizione di eredità, quindi, non può essere esperita al fine di recuperare beni che, al momento dell’apertura della successione del de cuius, erano già fuoriusciti dal suo patrimonio e che, in ragione di ciò, non possono essere considerati quali beni ereditari.

5.3. Nel caso di specie, i due assegni, secondo la prospettazione condivisa dalle parti e l’accertamento svolto dalla Corte d’Appello, erano fuoriusciti dal patrimonio della de cuius quando era ancora in vita e le somme di denaro che costituivano il controvalore di detti assegni non facevano, quindi, parte dell’asse ereditario.

L’azione proposta, come risulta dalla sentenza del giudice di appello e dall’atto di citazione – che questa Corte ha il potere-dovere di esaminare in ragione del vizio dedotto, avente carattere processuale – era di natura extracontrattuale in quanto gli attori avevano lamentato che la de cuius aveva compiuto in favore di Fa.Ra. due atti di disposizione attraverso l’emissione di assegni per l’importo di Euro 433.300,00, approfittando delle precarie condizioni fisiche della medesima.

5.4. È, quindi, errata la qualificazione giuridica della domanda come petitio hereditatis, sulla quale la Corte d’Appello ha fondato la motivazione, pervenendo alla conferma della sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda degli attori (fatto salvo che per il profilo relativo agli interessi), riconducendola, per l’appunto, ad un’azione di petitio hereditatis.>>

L’assegnazione dell’immobilie in sede di separazione, non ripetuta in sede di divorzio, va considerata estinta

Esatto insegnamento in Cass. sez. II, 20/03/2025 n. 7.425, rel. Criscuolo, in un caso di immobile in comproprietà tra gli ex coniugi:

<<La tesi della ricorrente si fonda sul principio affermato da questa Corte secondo cui il diritto di abitazione assegnato al coniuge in sede di separazione può venire meno solo allorché ne vengano meno i presupposti, ma tale accertamento compete unicamente al giudice che lo ha inizialmente disposto, non potendo reputarsi che lo stesso perdi di efficacia in assenza di una statuizione giudiziale (così Cass. n. 15367/2015; Cass. n. 1744/2018, che ammettono un riconoscimento del venir meno del diritto solo laddove tale richiesta provenga da un terzo, e non anche nel caso in cui sia uno dei coniugi a sollecitare la verifica della perdurante sussistenza del diritto de quo).

Tuttavia, la tesi invocata non appare suscettibile di avere seguito nella fattispecie, alla luce del fatto che, come pacificamente riferito dalla stessa ricorrente, l’assegnazione della casa familiare è stata disposta in occasione della separazione dei coniugi pronunciata dal Tribunale di Siracusa con la sentenza del 21 gennaio 1978. Ha però fatto seguito la sentenza del 31 maggio 1985 con la quale il medesimo Tribunale ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza avere nulla disposto in ordine al diritto di abitazione, come confermato dal fatto che con il successivo provvedimento del 21 gennaio 2001 il Tribunale aveva rideterminato solamente l’assegno divorzile dovuto alla ricorrente, ordinando anche la corresponsione della quota di indennità di fine rapporto nel frattempo maturata dal Ca.El.

In mancanza, quindi, di una formale decisione assunta dal giudice in occasione della pronuncia della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, deve perciò ritenersi che il provvedimento di assegnazione della casa familiare sia già allora venuto meno.

Questa Corte ha, infatti, affermato che con la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio viene meno lo stato di separazione dei coniugi e, con esso, la regolamentazione dei rapporti tra i medesimi, anche per quanto riguarda l’eventuale assegnazione della casa familiare ad uno di loro; pertanto, il coniuge assegnatario della casa coniugale in sede di separazione, che sia anche comproprietario dell’immobile, qualora la sentenza di divorzio non ne preveda l’assegnazione, non ha più diritto all’utilizzo esclusivo del bene. (Cass. n. 9689/2000; conf. Cass. n. 12666/2004; Cass. n. 2210/2009).

In assenza quindi di una specifica previsione circa la casa familiare nella sentenza che ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, deve perciò ritenersi che il diritto de quo sia automaticamente venuto meno, risultato quindi non conferente rispetto al caso di specie il diverso principio invocato dalla ricorrente, che ha invece riguardo alla diversa ipotesi in cui il regime dei coniugi si fondi ancora sulla pronuncia emessa in occasione della separazione, senza che sia intervenuta la successiva sentenza di divorzio>>.

divisione ereditaria: preferenza per i beni in natura e automaticità dell’obbligo di collazione

Cass. sez. II, Sent. 23/01/2025 n. 1.686, rel. Fortunato:

<< Il motivo è fondato.    L’asse ereditario era composto da una pluralità di immobili che il giudice di merito ha ritenuto di accorpare nei singoli lotti in modo da rispettare una divisione in natura, anziché per equivalente.

A norma dell’art. 718 c.c. a ciascun condividente spetta, difatti, una parte in natura dei beni da dividere, siano essi mobili o immobili; in presenza di una pluralità di immobili, è rimesso al giudice di merito valutare, secondo il suo prudente apprezzamento, se il diritto dei singoli condividenti sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento di ciascuna entità immobiliare, oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ai singoli aventi diritto (Cass. 1816/1979) e, qualora i singoli beni consentano, da soli o insieme con altri beni, di comporre la quota di alcuno dei condividenti in modo che le altre possano formarsi con i restanti immobili, non può più farsi questione di indivisibilità o di non comoda divisibilità, essendo comunque ottenuta la ripartizione quantitativa e qualitativa dei vari cespiti compresi nella comunione, rispettando il valore di ciascuna quota (Cass. 2177/1966; Cass. 1816/1979; Cass. 7700/1994; Cass. 590/1961; Cass. 372/1957).

Tuttavia, per accertare la corretta formazione del progetto divisionale e della soluzione individuata dal c.t.u. non poteva prescindersi dal conferire il giusto rilievo all’entità dei conguagli.

La ridotta entità del conguaglio è criterio che deve sempre ispirare la scelta della soluzione più appropriata in materia di divisione in modo da evitare che sia alterata l’equilibrata distribuzione dei beni, che deve avvenire in natura, mentre il conguaglio ha la funzione di ristabilire l’equilibrio tra le quote e di superare eventuali differenze di valore (Cass. 7961/2003; Cass. 726/2018; Cass. 12965/2020).

(…)

8. Il quarto motivo denuncia che erroneamente la sentenza abbia ritenuto necessaria una domanda di parte per ottenere la collazione della donazione, che invece opera di diritto senza necessità di una specifica azione.

Il motivo è infondato poiché la richiesta di collazione implicava il previo accertamento della natura di donazione indiretta della consegna, mediante assegno, della somma impiegata per l’acquisto di un immobile.

La collazione, che, in presenza di donazioni fatte in vita dal “de cuius” e salva apposita dispensa di quest’ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del “relictum” e del “donatum” al momento dell’apertura della successione, sicché il relativo obbligo sorge automaticamente senza necessità di un’ espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l’esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione.

Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all’obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell’esistenza dell’atto di liberalità, nel rispetto delle preclusioni processuali (Cass. 23403/2022; Cass. 19833/2019)>>.

Revocatoria di pegno contestuale di danaro ex art. 67.c l. fall. o compensazione di quest’ultimo

Cass. sez. I, 16/03/2025 n. 7.013, rel. D’Aquino, in una fattispecie particolare (per il credito munito di prelaizone pignoratizia di di denaro):

fatti:

<<2. Il Fallimento – per quanto qui rileva – ha dedotto che la banca aveva erogato alla società debitrice in data 2 giugno 2012 un mutuo dell’importo di Euro 240.000,00, espressamente destinato all’estinzione di pregresse esposizioni chirografarie nei confronti della medesima banca derivanti da diverse linee di credito; al contratto di mutuo erano collegate sia l’accensione di ipoteca fondiaria su immobili della società mutuataria (opificio industriale e pertinenze), sia la costituzione in pegno dell’importo di Euro 240.000,00, posto a garanzia sia del perfezionamento dell’iscrizione ipotecaria, sia della stipula di polizza assicurativa a garanzia del rischio incendio nei limiti del valore dell’ipoteca sui fabbricati oggetto di iscrizione. La garanzia pignoratizia contestualmente creata doveva ritenersi, a giudizio del fallimento attore, stipulata nella consapevolezza dello stato di insolvenza della debitrice, dichiarata fallita in data 29 giugno 2012 dopo diciassette giorni dall’operazione in oggetto>>.

Sulla revocabilità della prelazione contestuale (ammessa per il pegno regolare, non ammessa per quello irregolare):

<<4. Per la ragione più liquida si esamina il secondo motivo, che è fondato, con assorbimento del primo. Caratteristica del pegno irregolare è il trasferimento in proprietà del creditore dei beni assoggettati a pegno, con eventuale restituzione del tantundem al momento dell’adempimento, ovvero dell’eccedenza rispetto a quanto garantito in caso di inadempimento (Cass., n. 26154/2006; Cass., n. 10000/2004). La natura giuridica del pegno irregolare – disciplinato dall’art. 1851 cod. civ. nell’ambito della anticipazione bancaria – comporta che le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano – diversamente che nell’ipotesi di pegno regolare – di proprietà del creditore stesso, che ha diritto a soddisfarsi non secondo il meccanismo di cui agli artt. 2796 – 2798 cod. civ. – norme che postulano l’altruità delle cose ricevute in pegno – bensì direttamente sulla cosa, al di fuori del concorso con gli altri creditori (Cass., n. 5111/2003; Cass., Sez. U., n. 202/2001).

5. Diversamente, nel pegno regolare il soddisfacimento avviene al momento dell’inadempimento dell’obbligazione garantita (Cass., n. 24137/2018). Ricorre il pegno regolare ove il cliente vincoli a garanzia del proprio adempimento verso la banca un titolo di credito o un documento di legittimazione che risultino “specificamente descritti ed analiticamente indicati” senza che venga attribuito al creditore pignoratizio il potere di disporre degli stessi (Cass., n. 18597/2011).

6. Ne consegue che, ove oggetto del pegno sia un bene determinato, per il quale non sia stato conferito al creditore pignoratizio il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall’ipotesi del pegno irregolare e si rientra nella disciplina del pegno regolare, per il quale il creditore ha l’obbligo, di regola, di restituire l’oggetto del pegno ed è obbligato a insinuarsi nel passivo del fallimento (Cass., n. 16618/2016; Cass., n. 18597/2011, cit.; Cass., n. 12964/2005).

7. Nella specie, il giudice di appello non ha accertato, al fine di ritenere irregolare la natura del pegno, l’esistenza nel contratto costitutivo della garanzia della facoltà del creditore di disporre del bene conferito in pegno, né dell’obbligo di restituire il tantundem, diversamente da quanto dispone l’art. 1851 cod. civ., così non facendo corretta applicazione dei suddetti principi>>.

Sulla non compensabilità:

<<8. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67, secondo comma, L.Fall. nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di verificare che il contratto costitutivo del pegno avrebbe permesso la soddisfazione del creditore tramite compensazione tra oggetto della garanzia e obbligazione garantita, mancando omogeneità tra l’una e l’altra. Osserva parte ricorrente che la costituzione del pegno avrebbe garantito due distinte obbligazioni (l’iscrizione dell’ipoteca sull’immobile e la stipula della polizza antincendio sull’immobile), circostanza che avrebbe precluso l’incameramento della somma costituita in pegno.

9. Il terzo motivo è fondato. Nel caso di specie, il pegno non garantisce obbligazioni pecuniarie della società debitrice, bensì obbligazioni accessorie alla stipulazione del contratto di mutuo, quali l’iscrizione dell’ipoteca sull’immobile oggetto di garanzia e la stipula della polizza antincendio sull’immobile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la compensazione è possibile anche tra crediti illiquidi, ancorché uno dei crediti sia indeterminato nel suo ammontare, ma purché sia di facile e pronta liquidazione (Cass., n. 7018/2020), nonché ove il credito, ancorché indeterminato nel suo ammontare, sia liquidabile dal giudice che procede (Cass., n. 23225/2016). Analogamente, la compensazione è consentita in sede concorsuale anche ove i presupposti di liquidità maturino dopo l’apertura della procedura, purché i fatti genetici delle rispettive obbligazioni siano preesistenti alla stessa (Cass., n. 2005/2025; Cass., n. 20063/2023). Nessuna compensazione può, invero, operarsi – né in sede ordinaria, né in sede fallimentare ex art. 56 L.Fall. – ove una delle reciproche obbligazioni – come nella specie – non sia una obbligazione pecuniaria>>.

La prova del preuso e cioè della notorietà del marchio non registrato, ostativa alla registrazione del marchio successivo (art. 12.1.a) c.p.i.)

Molte utili precisaizoni per l’operatore in EUIPO 5° Comm. di ricorso 27.01.2025, proc. R 1470/2024-5, caso FAEG.

In particolare qui ricordo il riferimento alla prova di uso, costituita da pagine web e relativi hiperlink:

<<46    Con un numero limitato di eccezioni (come un collegamento ipertestuale o un URL alla banca dati ufficiale di uno degli uffici della PI degli Stati membri, alle banche dati ufficiali gestite dalle istituzioni dell’UE e agli organismi o alle organizzazioni internazionali), i collegamenti ipertestuali o gli URL, di per sé, non possono essere considerati prove sufficienti (05/09/2023, R 2232/2022-2, KENZO, § 72; 10/08/2023, R 125/2023-1, ParkOne, § 59; 01/03/2022, R 940/2021-2, BlefOX (fig. / Blefa baby, § 33). Blefa baby, § 33-34; 13/06/2022, R 1505/2021-2, MEGA SPLITS / SPLITZ et al, § 61). Questo perché le informazioni accessibili tramite un collegamento ipertestuale o un URL potrebbero essere modificate o cancellate in una fase successiva. Inoltre, potrebbe essere difficile identificare il contenuto pertinente (08/12/2021, T-294/20, 27/01/2025, R 1470/2024-5, FAEG / FAEG et al. Kaas keys as a service, EU:T:2021:867, § 23; 10/08/2023, R 125/2023-1, ParkOne, § 60).
47 Pertanto, l’autenticità e la completezza delle informazioni citate non possono essere verificate fornendo semplicemente un collegamento ipertestuale a un sito web o un indirizzo URL (10/08/2023, R 125/2023-1, ParkOne, § 60). Di conseguenza, la semplice presentazione di una lista di collegamenti ipertestuali e URL a siti web non può essere considerata una prova valida e non può essere presa in considerazione (07/02/2007, T-317/05, Guitar, EU:T:2007:39, § 59).
48 Pertanto, i collegamenti ipertestuali e gli URL devono essere integrati da prove
aggiuntive, come una stampa o una schermata delle informazioni pertinenti contenute.
Questo approccio è in linea con la “Comunicazione comune CP10 – Criteri di
valutazione della divulgazione di disegni e modelli su Internet” (sezione 2.4.4, pag. 29) e con la “Comunicazione comune CP12 – Prove nei procedimenti di ricorso in materia di marchi: presentazione, struttura e disposizione delle prove e trattamento delle prove riservate” (sezione 3.1.2.8, pag. 14). Queste comunicazioni sono state redatte dagli uffici di PI dell’Unione europea nell’ambito della Rete dell’Unione europea dei marchi e dei disegni e modelli, al fine di fornire indicazioni sulle fonti, l’affidabilità e la presentazione delle prove online. Entrambe le comunicazioni congiunte tengono conto della giurisprudenza consolidata dei tribunali europei e riflettono pertanto la situazione giuridica attuale (10/08/2023, R 125/2023-1, ParkOne, § 64).
49 Alla luce delle obiezioni mosse nella decisione impugnata in merito a questa lista di collegamenti ipertestuali e URL, sarebbe stato facile per l’opponente fornire stampe o schermate corrispondenti ai contenuti a cui presumibilmente rimandano i collegamenti ipertestuali e URL in questione. Tuttavia, nulla di tutto ciò è stato fornito dal titolare, pertanto la Commissione conferma la conclusione della Divisione di Opposizione secondo cui l’elenco di collegamenti ipertestuali e URL a contenuti internet fornito come Allegato 4 non fornisce informazioni utili sull’uso dei marchi anteriori>>

Predivulgazione del disegno o modello che non distrugge il “carattere individuale” ex art. 6 reg. n. 6/2002

Il Trib. UE 12.03.2025, T-66/24, Lidl. v. EUIPO, si impegna per motivare il fatto che che la previdulgazione, non distruttiva del carattere individuale ex art. 7.2 reg. 6/2002, riguarda anche modelli non identici purchè “suscitanti la stessa impressione generale”, secondo la disciplina del precedente art. 6.

E ciò a differenza dall’art. 5 sulla novità, in cui invece è chiesta l’identità del modello.

Il giudizio è esatto, anche tutto sommato ovvio; però,  dato che l’art. 7.2 è muto in proposito, è stato bene chiarirlo.

Riporto un passo sulla ratio del termine di grazia (di tolleranza) dei 12 mesi:

<< 37 Peraltro, occorre ricordare che, conformemente al considerando 7 del regolamento n. 6/2002, il sistema di protezione dei disegni e modelli comunitari mira a incoraggiare i processi innovativi e l’emergere di nuovi prodotti e gli investimenti produttivi.

38 Orbene, il perseguimento degli obiettivi ricordati ai punti 18, 36 e 37 supra sarebbe compromesso se, dopo aver sottoposto alla prova del mercato un disegno o modello, l’autore o il suo avente causa che intendesse beneficiare del periodo di tolleranza fosse tenuto, in ogni caso, a chiedere la registrazione del disegno o modello come inizialmente sottoposto alla prova del mercato, senza poter prendere in considerazione i risultati concreti di tale prova, per apportare a detto disegno o modello gli eventuali adeguamenti necessari al fine di garantirne il successo commerciale, e senza poter, quindi, chiedere la registrazione di un disegno o modello che, senza essere identico, susciterebbe la stessa impressione generale di quello inizialmente sottoposto alla prova del mercato.

39 Infatti, l’interpretazione difesa dalla ricorrente implicherebbe che, registrando un disegno o modello che non sia identico al disegno o modello sottoposto alla prova del mercato, l’autore o il suo avente causa rischierebbe di vedersi opporre, in un procedimento di dichiarazione di nullità, la divulgazione, da parte sua, durante il periodo di tolleranza, di tale disegno o modello anteriore.

40 Infatti, una tale interpretazione sarebbe contraria all’obiettivo dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 6/2002 e, più in generale, del sistema di protezione dei disegni o modelli comunitari, volto a consentire all’autore di sottoporre alla prova del mercato un disegno o modello e a incoraggiare i processi innovativi e l’emergere di nuovi prodotti.

41 Da tutto quanto precede deriva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 6/2002, in combinato disposto con l’articolo 6 del medesimo regolamento, non richiede che il disegno o modello anteriore, la cui divulgazione può non essere presa in considerazione, sia identico al disegno o modello contestato>>

Proprietà fondiaria: distanza tra costruzioni e distanza dal confine e le rispettive diverse discipline

Cass. sez. II, 19/03/2025 n. 7.290, rel. Picaro:

<< Gli originari attori, infatti, hanno agito in giudizio, contro l’attuale ricorrente, lamentando che il muro di contenimento di un terrapieno artificiale realizzato sul confine con la loro proprietà ed il garage di quest’ultima, erano lesivi della distanza dal confine di cinque metri imposta dalla normativa locale (individuata negli articoli 32 e 33 delle norme tecniche di attuazione del PRG del Comune di Osimo e nell’art. 61 sub 2 e sub 3 del regolamento edilizio del Comune di Osimo in vigore), chiedendone l’arretramento, e domandando altresì il risarcimento dei danni subiti a causa della violazione di tale distanza legale, ed hanno ottenuto l’accoglimento di tali loro richieste, dal giudice di primo grado, con la motivazione dell’inapplicabilità del criterio codicistico della prevenzione, perché derogato dalla normativa locale sulla distanza dal confine da osservare, e dal giudice di secondo grado, con la motivazione della mancata prova in concreto della prevenzione da parte di Sp.Lo., senza che mai sia stato attribuito rilievo al fatto se i fabbricati delle parti fossero, o meno frontistanti.

La ragione del mancato rilievo attribuito a tale accertamento, va individuata nella giurisprudenza consolidata di questa Corte, che riconosce che le norme dei regolamenti edilizi che stabiliscono le distanze tra le costruzioni, e di esse dal confine, sono volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini nocive tra edifici frontistanti, ma anche a tutelare l’assetto urbanistico di una data zona e la densità edificatoria in relazione all’ambiente, sicché, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che le costruzioni si fronteggino e dall’esistenza di un dislivello tra i fondi su cui esse insistono (Cass. 26.4.2024 n.11193; Cass. 11.9.2018 n. 22054; Cass. 18.2.2014 n. 3854; Cass. 24.9.2008 n. 24013; Cass. 4.10.2005 n. 19350; Cass. 28.9.2004 n. 19449; Cass. 23.9.1989 n. 1517). Era quindi necessario accertare, trattandosi di distanza dal confine prevista dalla normativa locale, e non di distanza tra costruzioni, la violazione della distanza legale di cinque metri dal confine delle costruzioni della ricorrente, senza che avesse rilievo verificare se le costruzioni delle parti fossero o meno frontistanti>>.

Poi:

<< La ricorrente richiama, a sproposito, la giurisprudenza di questa Corte, che in materia di violazione di distanze tra costruzioni, ascrive all’attore l’onere di provare la preesistenza del suo fabbricato rispetto a quello del convenuto (Cass. 8.1.2016 n. 144; Cass. 7.8.2002 n. 11899; Cass. 16.5.1991 n. 5472), mentre nel caso in esame si tratta di violazione della distanza di costruzioni dal confine, per cui una volta accertata la violazione da parte dei fabbricati della attuale ricorrente della distanza assoluta dal confine imposta (cinque metri), non doveva essere fornita prova della preesistenza della costruzione degli originari attori da parte degli stessi, essendo tale manufatto ininfluente sulla violazione lamentata.

Occorre poi ricordare che, secondo la sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 10318 del 19.5.2016, la portata integrativa delle norme locali sulle distanze legali è estesa anche alla prevenzione, ma i regolamenti locali possono escludere l’operatività della prevenzione prescrivendo una distanza minima dal confine, o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio, o in aderenza.

Nel caso di specie, le norme tecniche di attuazione del PRG del Comune di Osimo, da ritenersi integrative dell’art. 873 cod. civ., nella zona di ubicazione dei fabbricati delle parti, prescrivevano una distanza dal confine pari ad un mezzo dell’altezza dell’edificio ma non meno di 5,00 ml “salvo il caso di costruzioni a confine conformi a quanto previsto al punto C4 del D.M. n. 39/1975”.

Il suddetto punto C4 del D.M. n. 39/1975, intitolato “Edifici contigui”, stabilisce che due edifici non possono essere costruiti a contatto, a meno che essi non costituiscano un unico organismo statico realizzando la completa solidarietà strutturale, e che nel caso in cui due edifici contigui formino organismi distaccati, essi dovranno essere forniti di giunto tecnico.

Ne deriva che, ricadendo il Comune di Osimo in zona sismica di seconda categoria, l’unica deroga consentita all’osservanza della distanza minima delle costruzioni dal confine di cinque metri prevista, era quella dell’esistenza sul confine di due edifici costituenti un unico organismo statico dotato della necessaria solidità strutturale, o dell’esistenza di due edifici contigui forniti di un giunto tecnico, mentre nella normativa locale applicabile nella zona B2-3 del PRG non era prevista una generalizzata facoltà di costruire in aderenza, o sul confine, che consentisse di ritenere compatibile la distanza di cinque metri dal confine imposta, con l’applicazione del principio codicistico della prevenzione (ricavato dagli articoli 873,874,876 e 877 cod. civ.), e per tale ragione la sentenza del Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Osimo, emessa in primo grado, sulla base della CTU espletata, che aveva escluso l’esistenza sul confine di edifici contigui aventi le caratteristiche strutturali indicate dal D.M. n.39/1975, costituente l’unica deroga consentita alla distanza di cinque metri dal confine imposta, aveva correttamente ritenuto non invocabile l’istituto della prevenzione (vedi nel senso dell’inapplicabilità del criterio della prevenzione in ipotesi di distanza dal confine imposta dalla normativa locale, che preveda la possibilità di costruire in aderenza solo col consenso del confinante, quando manchi la prova di tale consenso Cass. 11.7.2016 n. 14139; Cass. 28.3.1988 n. 2607).

La giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, ritiene che mentre nei casi in cui la normativa locale si limiti ad imporre una distanza tra costruzioni più severa rispetto a quella di tre metri sempre tra costruzioni prevista dall’art. 873 cod. civ., non devono ritenersi derogate la facoltà di costruire in aderenza, o sul confine ed il connesso principio della prevenzione (vedi Cass. sez. un. 19.5.2016 n. 10318), la facoltà di costruire in aderenza debba essere specificamente autorizzata da una norma del piano regolatore locale ove quest’ultimo stabilisca anche o soltanto la distanza minima dei fabbricati dal confine (in tal senso, Cass. 26.4.2024 n.11193; Cass. 14.5.2018 n. 11664; Cass. 6.11.2014 n.23693; Cass. 9.4.2010 n. 8465; Cass. 30.10.2007 n.22896; Cass. 20.4.2005 n. 8283), ed in assenza di una specifica previsione ad opera della normativa locale della facoltà di costruire in aderenza, o sul confine, che deroghi alla distanza imposta dal confine, non possono applicarsi le regole ed i principi previsti dal codice civile per la disciplina delle distanze su fondi finitimi, ivi compreso il principio della prevenzione.>>

Assegno di mantenimento da separazione

Cass. sez. I, 17/03/2025 n. 7.123, rel. Caprioli:

<<Com’è noto, l’art. 156, comma 1, c.c., dispone che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.

Ciò che rileva, ai fini della determinazione dell’assegno in questione è l’accertamento del tenore di vita condotto dalle parti quando vivevano insieme, da rapportare alle condizioni reddituali e patrimoniali esistenti al momento della separazione.

Ai fini del compimento di entrambi gli accertamenti (le condizioni economico-patrimoniali durante la convivenza e quelle attuali di entrambi i coniugi) non è sufficiente guardare solo al reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma si deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9915 del 24/04/2007; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22616 del 19/07/2022).

La stessa valutazione deve essere compiuta con riferimento alle condizioni di vita di ciascuno dei coniugi successive alla separazione.

In tale ottica, l’attitudine dei coniugi al lavoro proficuo, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, dovendosi verificare la effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di tale attività, e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24049 del 06/09/2021)>>.

Ciò in genrale. Applicandolo al caso de quo:

<<Nel caso di specie, la Corte di merito, dall’esame delle dichiarazioni reddituali del ricorrente in atti, ha potuto rilevare che, durante la convivenza matrimoniale, le entrate familiari erano tutte provenienti dai redditi del Pe.Gi. che disponeva di un considerevole patrimonio frutto di un’attività di intermediazione immobiliare esercitata da parecchi anni fonte di guadagni significativi in un mercato locale di nicchia che notoriamente non aveva subito flessioni di particolare rilievo.

Ha poi messo in evidenza le partecipazioni societarie Cortina Snc di cui l’appellante è legale rappresentante e socio al 45% assieme alla madre) e della Saura Srl di cui lo stesso possiede una partecipazione del 32,5% dedita agli investimenti immobiliari in una località turistica di notevole pregio ambientale e di prestigio internazionale come Cortina d’Ampezzo.

Ha poi messo in luce che non aveva formato oggetto di contestazione il fatto che la famiglia era vissuta sulle molteplici disponibilità facenti capo a Pe.Gi.

Ha rilevato che in ragione dei numerosi cespiti che facevano capo al marito il tenore di vita goduto dalla famiglia non poteva considerarsi modesto.

Conclusione questa rafforzata dagli esiti dell’indagine affidata alla Guardia di Finanza di Belluno che certificava la consistenza del variegato e cospicuo patrimonio di Pe.Gi., il quale “non era riuscito a smentire e neppure a mettere in dubbio che le sue svariate disponibilità (diretto e/o indirette) abbiano sempre soddisfatto a pieno tutte le necessità familiari, essendo ben superiori ai redditi formalmente dichiarati (almeno nel periodo 2017-2020)”.

Ora nella specie il ricorrente intende confutare il convincimento della Corte territoriale, formatosi su una serie di elementi documentali e sugli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza, contrapponendo ad essi varie argomentazioni nell’ambito di una complessiva diversa valutazione del compendio istruttorio.

Il Giudice distrettuale ha altresì rilevato che l’appellante non aveva contestato il suo consolidato ruolo attivo nel mercato immobiliare di Cortina oggettivamente idoneo a garantire una redditività importante non scalfita da alcuna recessione.

Quanto alla posizione della moglie la Corte ha messo in luce che durante il matrimonio la stessa non aveva mai lavorato , non disponeva di beni immobili, ed aveva un’ età (v. 49 anni all’epoca della separazione del 2018) che non le consentiva un utile inserimento nel mondo lavorativo con una retribuzione piena capace di soddisfare i bisogni essenziali, seppure in presenza di una capacità lavorativa che avrebbe potuto essere messa a frutto perlomeno a livello stagionale in una realtà come quella ampezzana.

Il giudice di merito ha pertanto considerato l’effettiva possibilità per la richiedente di reperire un’adeguata attività lavorativa, le caratteristiche specifiche del soggetto (età, condizione fisica), il grado di istruzione, l’avere prestato attività lavorativa in precedenza ed il fattore ambientale.

In particolare si è tenuto conto in una prospettiva concreta che nella realtà ampezzana la maggior parte delle attività presenti, hanno un andamento stagionale e quindi le professionalità richieste sono quelle legate all’attività alberghiera (camerieri, cuochi, barman, facchini) oppure all’attività commerciale che rendono particolarmente complicato per una donna di circa 50 anni, per di più affetta da serie patologie tumorali (all 4 del controricorso doc 101,102 e 103) l’inserimento nel mercato del lavoro.

Pertanto nell’ottica di garantire nell’immediato il tenore di vita di cui la stessa di cui la stessa godeva in costanza di matrimonio, è stato ritenuto congruo l’importo di Euro 500,00, per sostenere esborsi di importanza primaria nella quotidianità, quali vitto, utenze della casa, spese sanitarie in ragione della durata non modesta del matrimonio e del principio solidaristico verso il coniuge di derivazione costituzionale.

Per quanto riguarda il quantum dell’assegno in favore delle figlie la Corte ha giustificato la misura in considerazione del fatto che con un menage familiare improntato senz’altro al benessere (viste le possibilità del padre e della sua famiglia d’origine e dal momento che non è stato dedotto nulla in senso contrario) nonché in un contesto socio-economico dove i costi per vitto, istruzione, abbigliamento, sport, intrattenimento sono più elevati dei livelli medi nazionali.

La Corte ha quindi vagliato con ampia motivazione ben al di sopra del minimo costituzionale le posizioni delle parti alla luce dei principi di diritto sopra illustrati senza incorrere violazione del riparto dell’onere della prova.

Il Giudice di merito ha esaminato le risultanze acquisite al processo e, sulla base di quelle, ha valutato gli elementi di prova relativi al periodo di convivenza dei coniugi, così acquisendo elementi per ricostruire il tenore di vita matrimoniale, rapportandolo alla situazione attuale delle parti, dando rilievo al fatto incontroverso della dedizione per della moglie alla famiglia per tutta la durata del matrimonio.

Le doglianze in esame, nel lamentare l’apparenza della motivazione”, non adducono che le spiegazioni offerte dalla Corte di merito non fossero idonee a rappresentare l’iter logico-intellettivo seguito dal collegio giudicante per arrivare alla decisione sotto i vari profili in contestazione, ma intendono confutare la fondatezza e la plausibilità degli argomenti sviluppati dai giudici di merito, ripercorrendoli passo passo e muovendo critiche alle ragioni offerte sui singoli punti oggetto di censura.

Simili censure non evidenziano, quindi, alcuna criticità dell’apparato argomentativo presente all’interno della decisione impugnata nei limiti attualmente ammissibili (v. Cass., Sez. U., 8053/2014), ma sono espressione di un mero dissenso motivazionale rispetto a un apprezzamento di fatto – assunto, in tesi, “contra alligata et probata”, discostandosi dalle risultanze istruttorie ed anzi contraddicendole – che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte>>.

L’appello del Columbia District conferma che l’opera prodotta con AI non è registrabile come opera dell’ingegno

Dopo il rigetto del Tribunale di Washington del 2023 (v. mio post), dr.  Thaler subisce altra sconfitta nella sua indefessa battaglia per far riconoscere la privativa d’autore alla sua intelligenza artificiale per l’opera  “A Recent Entrance to Paradise”.  V.la qui sotto:

.

Si tratta di US C. of appeals, Dist. of Columbia Circuit, n° 23-5233, 18.03.2025.

la Corte ricorda che secondo il diritto usa la ratio è la diffusione delle opere nel pubblico, più che la ricompensa per l’autore, e che la necessità di intervento umano  non impedisce la protezione.

<<Copyright law incentivizes the creation of original works
so they can be used and enjoyed by the public. Since the
founding, Congress has given authors short term monopolies
over their original work. See Act of May 31, 1790, ch. 15, 1st
Cong., 1 Stat. 124. This protection is not extended as “a special
reward” to the author, but rather “to encourage the production
of works that others might reproduce more cheaply.” Google
LLC v. Oracle Am., Inc., 593 U.S. 1, 16 (2021). By ensuring
that easily reproducible work is protected, individuals are
incentivized to undertake the effort of creating original works
that otherwise would be easily plagiarized. (…)

Dr. Thaler also argues that the human-authorship
requirement wrongly prevents copyright law from protecting
works made with artificial intelligence. Thaler Opening Br. 38.
But the Supreme Court has long held that copyright law is
intended to benefit the public, not authors. Copyright law
“makes reward to the owner a secondary consideration. * * *
‘[T]he primary object in conferring the monopoly lie[s] in the
general benefits derived by the public from the labors of
authors.’” United States v. Loew’s, Inc., 371 U.S. 38, 46-47
(1962) (quoting Fox Film Co. v. Doyal, 286 U.S. 123, 127
(1932)). (…)

Contrary to Dr. Thaler’s assumption, adhering to the
human-authorship requirement does not impede the protection
of works made with artificial intelligence. Thaler Opening Br.
38-39.
First, the human authorship requirement does not prohibit
copyrighting work that was made by or with the assistance of
artificial intelligence. The rule requires only that the author of
19
that work be a human being—the person who created,
operated, or used artificial intelligence—and not the machine
itself. The Copyright Office, in fact, has allowed the
registration of works made by human authors who use artificial
intelligence. See Copyright Registration Guidance: Works
Containing Material Generated by Artificial Intelligence, 88
Fed. Reg. 16,190, 16,192 (March 16, 2023) (Whether a work
made with artificial intelligence is registerable depends “on the
circumstances, particularly how the AI tool operates and how
it was used to create the final work.”).
To be sure, the Copyright Office has rejected some
copyright applications based on the human-authorship
requirement even when a human being is listed as the author.
See Copyright Office, Re: Zarya of the Dawn (Registration #
VAu001480196) (Feb. 21, 2023), https://perma.cc/AD86-
WGPM (denying copyright registration for a comic book’s
images made with generative artificial intelligence). Some
have disagreed with these decisions. See Motion Picture
Association, Comment Letter on Artificial Intelligence and
Copyright at 5 (Oct. 30, 2023), https://perma.cc/9W9X-3EZE
(This “very broad definition of ‘generative AI’ has the potential
to sweep in technologies that are not new and that members use
to assist creators in making motion pictures.”); 2 W. P ATRY,
C OPYRIGHT § 3:60.52 (2024); Legal Professors Amicus Br. 36-
37 (“The U.S. Copyright Office guidelines are somewhat
paradoxical: human contributions must be demonstrated within
the creative works generated by AI.”).
Those line-drawing disagreements over how much
artificial intelligence contributed to a particular human author’s
work are neither here nor there in this case. That is because Dr.
Thaler listed the Creativity Machine as the sole author of the
work before us, and it is undeniably a machine, not a human
being. Dr. Thaler, in other words, argues only for the
20
copyrightability of a work authored exclusively by artificial
intelligence. Contrast Rearden LLC v. Walt Disney Co., 293
F. Supp. 3d 963 (N.D. Cal. 2018) (holding that companies may
copyright work made with motion capture software).
Second, Dr. Thaler has not explained how a ban on
machines being authors would result in less original work
because machines, including the Creativity Machine, do not
respond to economic incentives.
Dr. Thaler worries that the human-authorship requirement
will disincentivize creativity by the creators and operators of
artificial intelligence. Thaler Opening Br. 36. That argument
overlooks that the requirement still incentivizes humans like
Dr. Thaler to create and to pursue exclusive rights to works that
they make with the assistance of artificial intelligence.
Of course, the Creativity Machine does not represent the
limits of human technical ingenuity when it comes to artificial
intelligence. Humans at some point might produce creative
non-humans capable of responding to economic incentives.
Science fiction is replete with examples of creative machines
that far exceed the capacities of current generative artificial
intelligence. For example, Star Trek’s Data might be worse
than ChatGPT at writing poetry, but Data’s intelligence is
comparable to that of a human being. See Star Trek: The Next
Generation: Schism (Paramount television broadcast Oct. 19,
1992) (“Felis catus is your taxonomic nomenclature, an
endothermic quadruped, carnivorous by nature”). There will
be time enough for Congress and the Copyright Office to tackle
those issues when they arise.
Third, Congress’s choice not to amend the law since 1976
to allow artificial-intelligence authorship “might well be taken
to be an acquiescence in the judicial construction given to the
21
copyright laws.” White-Smith Music Pub. Co. v. Apollo Co.,
209 U.S. 1, 14 (1908). The human-authorship requirement is
not new and has been the subject of multiple judicial decisions.
The Seventh Circuit has squarely held that authors “of
copyrightable works must be human.” Kelley v. Chicago Park
Dist., 635 F.3d 290, 304 (7th Cir. 2011). And the Ninth Circuit
has strongly implied the same when deciding that an author
must be a “worldly entity,” Urantia Foundation v. Maaherra,
114 F.3d 955, 958 (9th Cir. 1997), and cannot be an animal,
Naruto v. Slater, 888 F.3d 418, 426 (9th Cir. 2018).
Finally, even if the human authorship requirement were at
some point to stymy the creation of original work, that would
be a policy argument for Congress to address. U.S. C ONST. Art.
I, § 8, cl. 8. “Congress has the constitutional authority and the
institutional ability to accommodate fully the varied
permutations of competing interests that are inevitably
implicated by such new technology.” Sony, 464 U.S. at 431>>