Recensione negativa di professionista su piattaforma social: è diffamazione?

Il Tribunale Siena 20.03.2020, giudice unico Ciofetti,  ha deciso una lite diffamatoria tra un professionista (consulente del lavoro) e il suo cliente.

L’attore (il consulente del lavoro, AB) cita il convenuto (SA) perchè gli paghi la parcella (capitali euro 317,20) e risarcisca il danno da diffamazione cagionato da  recensione assai critica, pubblicata in internet, quantificandolo in euro 50.000,00 per danno non patrimoniale e euro 5.000 per quello patrimoniale forfettariamente (?) stimato.

L’espressione incriminata è << c’è sempre una fregatura da parte mia non lo consiglierei a nessuno!!! >> , pubblicata nel servizio <Google My Business>.

Il Tribunale (poi: T.) respinge la domanda.

Riporto i passi più significativi della sentenza. Il succo è che l’opinione espressa non è particolarmente offensiva e che nel diritto di critica è meno rigoroso il dovere di esattezza dei fatti rappresentati, rispetto al diritto di cronaca [NB: sottolineato, corsivo, colore rosso etc. sono stati da me aggiunti]

La causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p, dice il T. < sub specie dell’esercizio del diritto di critica, ricorre quando i fatti esposti siano veri o quanto meno l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorchè erroneamente, convinto della loro veridicità>

Il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica, <un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente oggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica>.

Non vi è dubbio -aggiunge il T.- <che le allusioni contenute nella recensione dell’ SA hanno lo scopo di porre in dubbio la correttezza dell’operato dell’attrice>

Si tratta tuttavia di allusioni in sé consentite dalla facoltà di critica <e che non si traducono in un attacco gratuitamente degradante della figura morale della AB , ma richiamano la forte insoddisfazione del SA sulle prestazioni ricevute. Ad un’attenta analisi, infatti, tali espressioni, valutate secondo il criterio della sensibilità dell’uomo medio, non appaiono dotate di un particolare grado di offensività intrinseco: il convenuto non ha, infatti, usato un linguaggio scurrile o comunque parole particolarmente dispregiative nei confronti della AB , ma si è limitato a descrivere ciò che lui aveva percepito>.

Ciò ovviamente non esclude , riconosce il T., <che le parole usate, benché non dotate di una particolare offensività intrinseca, abbiano comunque urtato in concreto la sensibilità del professionista, ma ciò non rileva in questa sede in quanto, per la giurisprudenza prevalente, “la mera suscettibilità o la gelosa riservatezza della parte asseritamente offesa” (Cass. pen. 24 marzo 1995, n. 3247) non possono rilevare perché, se rilevassero, la sussistenza della diffamazione finirebbe col dipendere dalla maggiore o minore suscettibilità dell’offeso>.

<Tuttavia, in tale ottica, non è consentito al giudice di merito sintetizzare un discorso assegnandogli il significato di un attacco alla persona (“dare fregature”) che lo stesso non ha, visto che nel post viene criticata l’attività professionale e non l’etica del soggetto privato, in quanto tale. Le espressioni utilizzate dal SA  infatti, si riferiscono alla qualità scadente dei servizi che il lavoratore ha ritenuto di ricevere dal consulente ed appare del tutto evidente che la critica alle modalità di svolgimento del lavoro professionale riguarda la percezione che il cliente ha avuto sull’utilità dei servizi ricevuti. La presenza di recensioni negative, del resto, è uno dei “pericoli” cui il professionista va incontro nel momento in cui inserisce il suo profilo professionale in una piattaforma internet, come Gmail My Business.>

In tema di diffamazione, ricorda il T., il requisito della continenza <postula una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione – ma non vieta l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti (Sez. 5, Sentenza n. 31669 del 1410412015 Ud. (dep – 21107/2015) Rv. 264442)>

Il rispetto del canone della continenza esige …. che <le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non si traducano, pertanto, in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticalo. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato (Sez. 5, Sentenza n. 18170 del 09/03/2015 Ud. (dep. 3010412015) Rv. 263460). L’interpretazione offerta dall’attrice, di fatto, finisce per ridurre la facoltà di critica alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta rappresentazione. Gli elementi a disposizione del tribunale, invece, consentono di riconoscere l’operatività della scriminante invocata dal convenuto> .

Di tutto rilievo il seguente passaggio: < Sussiste un interesse pubblico derivante dal fatto che si parla di uno studio di consulenza del lavoro e, in quanto tale, aperto al pubblico>. Ne segue che <il linguaggio, figurato e gergale, nonchè i toni, aspri e polemici, utilizzati dall’agente sono funzionali alla critica perseguita, senza trasmodare nella immotivata aggressione ad hominem. Il requisito della continenza non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo del quale occorre tenere conto anche alla luce del contesto complessivo e del profilo soggettivo del dichiarante (Sez. 5 n. 42570 del 20/06/0218, Concadoro, non massimata). Da ciò discende che la domanda risarcitoria è infondata e va rigettata>

Le spese processuali sono compensate in toto per la seguente (poco chiara) ragione: <Stante l’esito della controversia e, dunque, considerata l’infondatezza della domanda di risarcimento, ma che il convenuto ha pagato il compenso dovuto al professionista solo in corso di causa, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite> .

Resta il dubbio sull’esattezza della sentenza, laddove il T. non ha richiesto che il cliente spiegasse il motivo dell’insoddisfazione pubblicamente declamata: si può esprimere critica molto negativa senza dire il perchè? In altre parole, è ammessa una critica pesante ma del tutto generica?

Ancora su intelligenza artificiale e proprietà intellettuale: indagine dell’ufficio USA

Il tema dei rapporti tra proprietà intellettuale (PI) e intelligenza artificiale (AI) è sempre più al centro dell’attenzione.

L’ufficio brevetti e marchi statunitense (USPTO) ha appena pubblicato i dati di un’indagine (request for comments, RFC) su AI e diritti di PI (ci son state 99 risposte, v. Appendix I, da parte di enti ma anche di individuals) : USPTO’s report “Public Views on AI and IP Policy”, ottobre 2020 (prendo la notizia dal post 12.10.2020 di Eleonora Rosati/Bertrand Sautier in ipkat).

Il report (id est, le risposte riferite) è alquanto interessante. Segnalo:

1° – INVENZIONI

  • le risposte non ritengono necessarie modifiche al diritto brevettuale: alla domanda 3 (<Do current patent laws and regulations regarding inventorship need to be revised to take into account inventions where an entity or entities other than a natural person contributed to the conception of an invention?>), la maggiornza delle risposte < reflected the view that there is no need for revising patent laws and regulations on inventorship to account for inventions in which an entity or entities other than a natural person contributed to the conception of an invention.>, p. 5. Alla domanda 4 (<Should an entity or entities other than a natural person, or company to which a natural person assigns an invention, be able to own a patent on the AI invention? For example: Should a company who trains the artificial intelligence process that creates the invention be able to be an owner?>) , la larga maggiorahza ha detto che <no changes should be necessary to the current U.S. law—that only a natural person or a company, via assignment, should be considered the owner of a patent or an invention. However, a minority of responses stated that while inventorship and ownership rights should not be extended to machines, consideration should be given to expanding ownership to a natural person: (1) who trains an AI process, or (2) who owns/controls an AI system>, p. 7
  • sulla domanda 10 (<Are there any new forms of intellectual property protections that are needed for AI inventions, such as data protection? Data is a foundational component of AI. Access to data>), le risposte sono invece divise: <Commenters were nearly equally divided between the view that new intellectual property rights were necessary to address AI inventions and the belief that the current U.S. IP framework was adequate to address AI inventions. Generally, however, commenters who did not see the need for new forms of IP rights suggested that developments in AI technology should be monitored to ensure needs were keeping pace with AI technology developments.
    The majority of opinions requesting new IP rights focused on the need to protect the data associated with AI, particularly ML. For example, one opinion stated that “companies that collect large amounts of data have a competitive advantage relative to new entrants to the market. There could be a mechanism to provide access to the repositories of data collected by large technology companies such that proprietary rights to the data are protected but new market entrants and others can use such data to train and develop their AI.”>, p. 15

2 – ALTRI DIRITTI DI PI

  • domanda 1: la creazione da parte di AI è proteggibile come diritto di autore? No de iure condito e pure de iure condendo: <The vast majority of commenters acknowledged that existing law does not permit a non-human to be an author (outside of the work-for-hire doctrine, which creates a legal fiction for non-human employers to be authors under certain circumstances); they also responded that this should remain the law. One comment stated: “A work produced by an AI algorithm or process, without intervention of a natural person contributing expression to the resulting works, does not, and should not qualify as a work of authorship protectable under U.S. copyright law.”109 Multiple commenters noted that the rationale for this position is to support legal incentives for humans to create new works.110 Other commenters noted that AI is a tool, similar to other tools that have been used in the past to create works: “Artificial intelligence is a tool, just as much as Photoshop, Garage Band, or any other consumer software in wide use today … the current debate over whether a non-human object or process can be ‘creative’ is not new; the government has long resisted calls to extend authorship to corporations or entities that are not natural humans>, p. 20-21
  • domanda 2: quale livello di coinvolgimento umano serve allora per la proteggibilità [domanda molto rilevante nella pratica!!] ? Non si può che vederlo caso per caso:  <More broadly speaking, commenters’ response to this question either referred back to their response to the first question without comment (stating that human involvement is necessary for copyright protection) or referred back and made some further observations or clarifications, often pointing out that each scenario will require fact-specific, case-by-case consideration. Several commenters raised or reiterated their view that natural persons, for the foreseeable future, will be heavily involved in the use of AI, such as when designing models and algorithms, identifying useful training data and standards, determining how technology will be used, guiding or overriding choices made by algorithms, and selecting which outputs are useful or desirable in some way. The commenters thus predicted that the outputs of AI will be heavily reliant on human creativity>, p. 22.
  • dom. 7 sull’uso di AI nelle ricerche sui marchi: v. la distinzione tra uso dell’USPTO  e uso dei titolari di marchio, p. 31 ss.
  • dom. 9 sulla protezione dei database, p. 36 ss.: la normativa attuale è adeguata e non c’è bisogno di introdurne una ad hoc come in UE : <Commenters who answered this question mostly found that existing laws are adequate to continue to protect AI-related databases and datasets and that there is no need for reconsidering a sui generis database protection law, such as exists in Europe. Furthermore, one commenter cautioned “that AI technology is developing rapidly and that any laws proposed now could be obsolete by the time they are enacted>, p. 37

Il deepfake non va trattato come lo speech tradizionale

Ottimo articolo di Mary Anne Franks sul deepfake (A dangerous form of unanswerable speech,  bostonglobe, 12.10.2020).

Deepfake è la notizia falsa (bufala) nlla forma di audiovisivo: per questo più persuasiva e dunque pericolosa della notizia solo scritta

la giurista A.M. Franks ricorda che non si può a questo proposito seguire l’approccio dei giudici Holmes e Brandeis  (e di moltissimi altri) del marketplace of ideas per cui la verità sconfigge la falsità (o the best cure for bad speech is more speech): < but especially given the state of disinformation in America, such a belief can most charitably be described as willfully ignorant. Lies, especially those that serve the interests of those in power, have always had a competitive advantage over the truth, and truthful speech frequently gets drowned out by fake, misleading, and salacious content.

Confondibilità di marchi calcistici presso l’EUIPO

Nella lite (amministrativa, per ora) tra l’allenatore (ex calciatore) Klinsmann (poi solo K.) e Panini spa (poi solo: P.),  l’EUIPO in appello dà ragione al primo.

Si tratta della decisione della 4° commissione di appello 28.09.2020 , Klinsmann c. Panini spa, caso R 640/2020-4, leggibile tramite il link offerto in ipkat.com, post di N. Malovic del 12.10.

P. fa opposizione alla registrazione di marchio depositato da K.

Il marchio di K. è

marchio Klinsmann

P. oppone anteriorità costitituite da una serie di marchi italiani ed europei (v. § 3, p. 2-3). Si veda nella decisione linkata la loro rappresentazione grafica

Il primo grado amministrativo  è favorevole a P., l’appello  invece a K.

Per il Board di 2° grado i marchi a-b-c-edi P.  non sono confondibili con quello di K. Quanto ai marchi d)-f), l’opposizione è respinta perchè non è stato provato l’uso , avendone K. fatta richiesta ex art. 47/2 reg. 2017/1001.

Ebbene, quanto ai marchi di P. indicati come a)-b)-c), l’Ufficio dice che non sono confondibili con quello di K., dato che quest’ultimo -in sostanza- non si capisce cosa rappresenti:

<< 31  Due to the black design no human traits are visible from the element inside the circle. It cannot be determined in the first place whether the black circular ele-ment on top is a ball at all and if so, whether or not it is a football. It cannot be determined either whether the upward stroke represents a leg or an arm. Having the leg above one’s body is certainly an unnatural movement for a human being, and would rather be expected from a gymnastic move, if at all. One possible interpretation is that the ball is held or thrown with the hand of the person. Then the scene would represent a movement in a handball game [!!!].
32 Three strokes go rather downwards. These are markedly thinner than the upward stroke. If the upward stroke represented a leg, one would wonder where the sec-ond leg is. One would wonder which of the three downward strokes is ‘the second leg’ (or the ‘second arm’) given that all three are almost as thick as the others. It is only with a very analytical view that one can find out which of the three points represents a hand and which one a shoed foot. One would also wonder where the thorax is. Unlike the earlier remark the younger sign does not offer any three-dimensional perspective. For example it cannot be determined whether what the opponent interprets as the human head is ‘behind’ or on the same level as what, according to the opponent, should be ‘the leg’. So the younger mark looks rather Spiderman-like >.

E ancora: <  41   However no clear concept can be attached to the contested sign. It cannot be said that it unambiguously represents a football player – a handball player, or even a human being at all. Any ‘concept’ to be derived from the younger sign would re-quire an analytical approach, a detailed comparison (side by side with the earlier mark, which is not the proper method) and/or a detailed knowledge about the var-ious movements or techniques possible to shoot a ball. In particular it cannot be said that the younger sign represents the so-called scissors shot.   42  As no clear concept can be attached to the younger sign, there is no conceptual similarity with the earlier marks.>.

Qui mi limito ad esprimere forti perplessità su tale giudizio. A chi ha un minimo di (passata …) pratica calcistica o anche solo di interesse per essa (elemento certamente presente nell’utente medio dei prodotti chiesti in registrazione), pare evidente che si tratti di rovesciata/sforbiciata calcistica. Il giudizio del Board risulta dunque incomprensibile.

Sull’ampiezza dell’esclusiva conferita da brevetto inventivo

Sull’annosa e complicata (a livello pratico-applictivo) questione dell’ampezza di tutela conferita dal brefetto inventivo, interviene la prima sezione della Cassazione (ord. 07.02.2020, n. 2977, Proras srl c. Ades srl).

La norma di riferimento è l’art. 52 cpi (spt. c. 2-3) , secondo cui:

((1.  Nelle  rivendicazioni  e' indicato, specificamente, cio' che si
intende debba formare oggetto del brevetto.))
  2.   I   limiti   della   protezione   sono  determinati  ((dalle))
rivendicazioni;  tuttavia,  la  descrizione  e  i  disegni servono ad
interpretare le rivendicazioni.
  3.  La  disposizione  del  comma  2  deve  essere intesa in modo da
garantire   nel  contempo  un'equa  protezione  al  titolare  ed  una
ragionevole sicurezza giuridica ai terzi.
((3-bis.  Per  determinare  l'ambito  della  protezione conferita dal
brevetto,  si  tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un
elemento indicato nelle rivendicazioni.))

(da Normattiva.it)

Tra le varie interpretazioni ricorre pure la c.d cosiddetta prosecution-history estoppel statunitense, <secondo la quale il richiedente che nel corso della procedura brevettuale abbia rilasciato dichiarazioni limitative del brevetto non può espandere la portata del brevetto oltre tali limiti, neppure giovandosi della dottrina degli equivalenti.>.

la Corte riconosce sì che <nel concedere spazio alla regola di contemperamento espressa dall’art. 52, commi 3 e 3 bis  non si può abbandonare il fondamentale criterio che attribuisce il principale rilievo al contenuto obiettivo delle rivendicazioni, espressione della volontà di protezione rappresentata dal richiedente del brevetto>, § 2.6.

Però affidarsi solo alla limitazione di parte applicando il prosecution-history estoppel  non è corretto.

Infatti <tale criterio è estraneo al nostro ordinamento e al sistema brevettuale in cui le norme interpretative sono fissate dall’art. 69 del protocollo CBE e dall’art. 52 cod.propr.ind., con esclusione della rilevanza dell’intenzione soggettiva dell’inventore, dovendosi aver riguardo al significato oggettivo del brevetto, recepibile dalla collettività, espresso nelle rivendicazioni, interpretate alla luce delle descrizioni e dei disegni, a prescindere dall’iter amministrativo del procedimento di concessione e dovendosi negare rilevanza scriminante alle modifiche, ovvie e non originali, elusive della sua portata oggettiva> ,§ 2.7.

Il principio di diritto è dunque il seguente:

“In tema di contraffazione di brevetti per invenzioni industriali posta in essere per equivalenza ai sensi del D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 52, comma 3 bis come modificato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131 il giudice, nel determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, non deve limitarsi al tenore letterale delle rivendicazioni, interpretate alla luce della descrizione e dei disegni, ma deve contemperare l’equa protezione del titolare con la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi, e pertanto deve considerare ogni elemento sostanzialmente equivalente a un elemento indicato nelle rivendicazioni; a tal fine può avvalersi di differenti metodologie dirette all’accertamento dell’equivalenza della soluzione inventiva, come il verificare se la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti prive del carattere di originalità, perchè ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema; non può invece attribuire rilievo alle intenzioni soggettive del richiedente del brevetto, sia pur ricostruite storicamente attraverso l’analisi delle attività poste in essere in sede di procedimento amministrativo diretto alla concessione del brevetto” >.

Tuttavia non mancano decisioni che accolgono il criterio statunitense e la SC non si è confrontata in dettaglio con esse.

Contraffazione musicale: l’attore deve prima preoccuparsi che la propria opera sia proteggibile

la District Court, C.D. California, il 16 marzo 2020, decide la lite tra PKA Flame e Kate Perry (d ). Il primo, titolare dei diritti sulla canzone <Joyful noise>, asseriva che la seconda l’aveva contraffatta tramite la canzione <Dark Horse>: in particolare, avrebbe riprodotto solo il c.d. “ostinato” e cioè una breve sequenza ritmica (riff) ripetuta nel corso della canzone.

La giuria accolse la domanda , concedendo danni per 2,8 milioni di dollari.

La Corte però va di contrario avviso, poichè l’opera attorea non è originale: solo se lo è, naturalmente, il titolare può far valere il relativo diritto.

Secondo il diritto USA, l’attore deve provare << (1) “ownership of a valid copyright,” and (2) “copying of constituent elements of the work that are original.”>> (v. sub III).

Il copiaggio a sua volta va provato o <<(a) with direct evidence that the defendant actually copied the work, or (b) by showing that the defendant (i) had access to the work and (ii) that the works are “substantially similar.”>> , p. 5.

Nel caso de quo, gli attori allegarono la modalità sub b (accesso+substantial similarity).

A sua volta la substantial similarity richiede di superare il two-part test: extrinsic similarity (elementi oggettivamente somiglianti: <there are two steps to the analysis: the Court (1) identifies the protected elements of the plaintiff’s work, and then (2) determines whether the protected elements are objectively similar to the corresponding elements of the allegedly infringing work>) e intrinsic similarity (somiglianza per l’utente medio: anzi, esattamente, per la reasonable person): p. 5-7.

Provata la substantial similarity, l’attore deve provare l’accesso: << “Proof of access requires an opportunity to view or to copy plaintiff’s work…. “To prove access, a plaintiff must show areasonable possibility, not merely a bare possibility, that an alleged infringer had the chance to view the  protected work.” >>, p. 7

Gli attori non hanno fortuna in Corte: questa nega il superamento dell’extrinsic test.

In generale nella musica pop più che in altre arti il “prestito” tra autori è diffuso e gli elementi originalui e dunque proteggibili sono rari  (passaggio interessante per ragionare sulla tutelabilità di questo tipo di musica), p. 9-10.

Il perito di parte Decker spiegò i cinque o sei elemenri copiati: < “The length of the ostinato is similar, eight notes. The rhythm of the ostinato is similar. The melodic content, the scale degrees present. The melodic shape so the—the way the melody moves through musical space. Similar, the timbre or the quality and color of the sound is similar, and the use of the the placement of this material, this ostinato, in the musical space of the recording in the mix, that is also similar. So that’s five or six points of similarity between the two ostinatos.”> p’. 10

Anzi , se meglio individuati, gli elementi copiati sarebbero addirittura nove: < “(1) a melody built in the minor mode; (2) a phrase length of eight notes; (3) a pitch sequence beginning with ‘3, 3, 3, 3, 2, 2’; (4) a similar resolution to both phrases; (5) a rhythm of eighth notes; (6) a square and even rhythm; (7) the structural use of the phrase as an ostinato; (8) the timbre of the instrumentation; and (9) the notably empty and sparse texture of the compositions.”>, p.10.

Tuttavia per la Corte nessuno di questi è proteggibile, singolarmente preso, p. 11 ss (ed anzi pure il perito di parte Decker dice in pratica che molti di essi non sarebbero originali, p. 12: affermazione alquanto strana per un perito di parte…): < In fact, the nine individual elements that plaintiffs identify in their opposition (see JMOL Opp. at 8) are precisely the kinds of commonplace elements that courts have routinely denied copyright protection, at least standing alone, as a matter of law>, p. 13. (segue analisi di ciascuno).

Inevitabilmente dunque <for the foregoing reasons, the Court cannot conclude, pursuant to the extrinsic test, that any of the allegedly original individual elements of the “Joyful Noise” ostinato are independently [*23] protectable as a matter of law>, p .15.

Anche se individualmente non sono proteggibili, i vari elementi potrebbero esserlo se considerati assieme (Protection For Combination Of Unprotected Elements, sub ii., p. 15 ss), ma l’esito è ancora una volta negativo: < in view of these decisions, the Court now turns to whether the musical elements that comprise the 8-note ostinato in “Joyful Noise” are “numerous enough” and “arranged” in a sufficiently original [*32] manner to warrant copyright protection. .. The Court concludes that they do not>, p. 19

Pertanto, <because the sole musical [*36] phrase that plaintiffs claim infringement upon is not protectable expression, the extrinsic test is not satisfied, and plaintiffs infringement claim—even with the evidence construed in plaintiffs’ favor fails as a matter of law> p. 22.

Ma anche se la combinazione di elementi (singolarmente non originali) fosse originale , non ci sarebbe substantial similarity (sub  iii, p,. 22 ss): <The evidence in this case does not support a conclusion that the relevant ostinatos in “Dark Horse” and “Joyful Noise” are virtually identical>, p. 23

Quanto all’intrinsic test, la Corte si attiene ai precedenti , secondo cui la decisione è lasciata alla giuria, p. 24.

SULL’ACCESSO: sotto tale aspetto <The question presented by this posttrial motion is therefore “not whether Plaintiff has proven access by a preponderance of evidence, but whether reasonable minds could find that Defendants had a reasonable opportunity to have heard Plaintiffs song before they created their own song.>, p. 25.

E la Corte ritiente che le prove effettivamenTe permettano di ritenere provato l’accesso, dato che gli attori ha dato prova <at trial that “Joyful Noise” was played more than 6 million times on YouTube and MySpace,  hat “Joyful Noise” was nominated for a Grammy, that “Joyful Noise” was performed at hundreds of concerts across the country, and that “Joyful Noise” ranked highly on the Billboard charts for popular music.> p. 25.

SUI DANNI E SULL’APPORTIONMENT:

la giuria decide che il 22.5% del profitto netto di ciascun convenuto, tratto dalla canzone censurata, derivasse dall’uso dell’ostinato della canzone attorea , sulla base del fatto che l’ostinato ricorre per il 45 % della canzone contraffattrice, p. 29 : la giuria evidentemente  <decided to divide plaintiffs’ requested amount in half—either as a result of defendants’ evidence, or some other reason—and award damages in the amount of 22.5% of total profits>, p. 29/30.

Qui va ricordata la disciplina sull’onere probatorio, specifica del diritto di autore USA: <The copyright owner is entitled to recover the actual damages suffered by him or her as a result of the infringement, and any profits of the infringer that are attributable to the infringement and are not taken into account in computing the actual damages. In establishing the infringer’s profits, the copyright owner is required to present proof only of the infringer’s gross revenue, and the infringer is required to prove his or her deductible expenses and the elements of profit attributable to factors other than the copyrighted work> US code, tit. 17, § 504 (b). Sarebbe opportuno valutarne l’introduzione anche nella proprietà intellettuale italiana (ed europea, laddove armonizzata).

La Corte ritiene però esatta la quantificazione della giuria, p. 29-30.

Quanto alla deduzione delle spese generali, questione spesso aperta e importante nella pratica, i conveuti censurarono la decisione della giuria. La Corte però rigetta la censura e ricorda la prassi del 9° circuito: < To determine the defendants’ net profits, the Court instructed the jury to “deduc[t] all appropriate expenses incurred by that defendant from that defendant’s gross revenue.” …. In the Ninth Circuit, appropriate expenses are only those which “contributed to the production, distribution or sales of the infringing goods,” including “fixed  overhead” costs, provided that the overhead “contributed” to the infringing good >.

La Corte ricorda più volte il precedente (di pochi giorni prima) Skidmore c. Led Zeppelin, ricordato in precedente post.

Le scienze comportamentali non sono scienze esatte: un pò di cautela prima di applicarle in modo esteso!

Le scienze sociali vanno di moda e soprattutto quelle comportamentali.

Un gruppo di ricercatori  (“mostly consisting of empirical psychologists who conduct research on basic, applied and meta-scientific processes”) ha pubblicato un breve lavoro in cui evidenziano i rischi di errori che le social and behavioural sciences possono produrre se applicate indiscriminatamente nelle policies pubbliche.

Si tratta del saggio  <Use caution when applying behavioural science to policy> e a firma di Hans IJzerman, Neil A. Lewis Jr., Andrew K. Przybylski, Netta Weinstein, Lisa DeBruine, Stuart J. Ritchie, Simine Vazire, Patrick S. Forscher, Richard D. Morey, James D. Ivory and Farid Anvari, in Nature Human Behaviour, 9 ottobre 2020.

I loro dubbi riguardano i seguenti sei profili:

<< First, study participants, mainly students, are drawn from populations that are in Western (mostly US), educated, industrialized, rich and democratic (WEIRD) societies. Second, even with this narrow slice of population, the effects in published papers are not estimated with precision, sometimes barely ruling out trivially small effects under ostensibly controlled conditions. Third, many studies use a narrow range of stimuli and do not test for stimulus generalisability. Fourth, many studies examine effects on measures, such as self-report scales, that are infrequently validated or linked to behaviour, much less to policy-relevant outcomes. Fifth, independently replicated findings, even under ideal circumstances,are rare. Finally, our studies often fail to account for deeper cultural, historical, political and structural factors that play important moderating roles during the process of translation from basic findings to application. Together, these issues produce empirical insights that are more heterogeneous than might be apparent from a scan of the published literature>>

Propongono quindi un percorso a nove livelli per arrivare alla evidence readiness della loro scienza, sintetizzato nella figura 2 dell’articolo (sulla scia dei nove technology readiness levels della NASA, come si legge ivi).

Confortante che un gruppo di scienziato condivida in pubblico le preoccupazioni per errori  nel metodo o nella prassi seguiti nel loro settore di attività.

Marchio di servizio e sua apposizione diffusa sui beni usati per il servizio

Dai giudici svedesi giunge alla Corte di giustizia (CG) un caso interessante sui marchi tridimensionali, nella modalità di marchi che vanno a ricoprire il prodotto (cioè ne costituiscono il rivestimento). Nulla sposta che si tratti di marchio apposto non su prodotti realizzati dall’imprenditore ma su beni usati per la prestazione di servizi.

Si tratta di Corte di Giustizia 8 ottobre 2020, C-456/19, Aktiebolaget Östgötatrafiken contro Patent – och registreringsverket.

Nel caso specifico si trattava di marchio apposto su mezzi di trasporto usati per la prestazione di servizi appunto di trasporto (v. le numerose figure in sentenza).

La domanda posta dai giudici verte in sostanza sul se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 [cioè la norma che richiede la distintività del segno chiesto in registrazione] debba essere interpretato nel senso che <il carattere distintivo di un segno per il quale venga richiesta la registrazione come marchio relativo ad un servizio, consistente in motivi colorati e destinato ad essere apposto esclusivamente e sistematicamente in un determinato modo ricoprendo gran parte dei beni utilizzati ai fini della prestazione del servizio medesimo debba essere valutato in relazione ai beni medesimi, esaminando se tale segno si discosti in modo significativo dalla norma o dalle consuetudini del settore economico interessato>, § 31.

In particolare, come noto a chi si occupa di marchi, conta l’ultima parte del quesito e cioè se debba distaccarsi dalle consuetudini del settore.

Il giudice ricorda che è essenziale la percezione del pubblico di riferimento circa l’apposizione del segno sui beni, secondo le regole generali, dato che il marchio verrà  apposto sistematicamente e sempre in un certo modo, §§ 31 e 34.

Ed allora il requisito di distintività sarà soddisfatto <qualora da tale esame risulterà che le combinazioni di colori, apposte sui veicoli da trasporto della ricorrente nel procedimento principale, consentano al consumatore medio di distinguere, senza possibilità di confusione, tra i servizi di trasporto forniti da tale impresa e quelli forniti da altre imprese>, § 37.

Ma a questo proposito -ecco il punto più interssante-  <non occorrerà esaminare se i segni richiesti ai fini della registrazione come marchio differiscano in modo significativo dalla norma o dalle consuetudini del settore economico interessato>, § 39.

Infatti il criterio di valutazione, relativo all’esistenza di una significativa divergenza dalla norma o dalle abitudini del settore economico interessato, <si applica ai casi in cui il segno sia costituito dall’aspetto del prodotto per il quale la registrazione come marchio venga richiesta, dato che il consumatore medio non ha l’abitudine di immaginare quale sia l’origine dei prodotti basandosi, in assenza di qualsiasi elemento grafico o testuale, sulla loro forma o su quella del loro confezionamento> § 40; oppure anche <qualora il segno sia costituito dalla rappresentazione dell’allestimento di uno spazio fisico in cui siano forniti i servizi per i quali la registrazione come marchio venga richiesta>, § 41 (il noto caso degli interni dei negozi Apple, citato dalla CG).

Situazioni, che non ricorrono nel caso delle colorazioni apposte su autobus o treni: <se è pur vero che i beni utilizzati per la fornitura dei servizi oggetto del procedimento principale, ossia veicoli da trasporto, compaiono tratteggiati nelle domande di registrazione, al fine di indicare sia le parti in cui i marchi richiesti sono destinati ad essere apposti sia i loro contorni, i segni di cui viene richiesta la registrazione come marchi non si confondono tuttavia con la forma o l’imballaggio dei beni medesimi, né sono volti a rappresentare lo spazio fisico in cui i servizi vengono forniti. I segni de quibus consistono, infatti, in composizioni di colori disposte sistematicamente e circoscritte nello spazio. Le domande di registrazione riguardano quindi elementi grafici ben determinati che, contrariamente ai segni contemplati dalla giurisprudenza richiamata supra ai punti 40 e 41, non sono diretti a rappresentare un prodotto o uno spazio di prestazione di servizi mediante la semplice riproduzione delle sue linee e dei suoi contorni>, § 43.

La risposta al questito interpretativo è allora la seguente: <l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 dev’essere interpretato nel senso che il carattere distintivo di un segno, del quale sia richiesta la registrazione come marchio relativo ad un servizio, composto da motivi colorati e destinato ad essere apposto esclusivamente e sistematicamente in un determinato modo su gran parte dei beni utilizzati ai fini della prestazione del servizio medesimo, dev’essere valutato tenendo conto della percezione da parte del pubblico interessato dell’apposizione sui beni stessi del segno in questione, senza che occorra esaminare se tale segno si discosti in modo significativo dalla norma o dagli usi del settore economico interessato>, § 44.

Resta da vedere se veramente la colorazione quasi per intero degli automezzi (impiegati da un prestatore di servizi) differisca ai nostri fini dall’imballaggio dei prodotti (immessi sul mercato da un prestatore di beni).

Diritto di difesa versus diritto d’autore: interessante questione portata davanti al giudice europeo

Proviene dalla Svezia una fattispecie molto interessante (anche se di non frequente realizzabilità): si può riprodurre in giudizio  a fini difensivi un’opera dell’ingegno altrui?

In una lite tra due soggetti, titolari ciascuno di un sito web, uno dei due si difendeva in giudizio producendo un file reperito nel sito dell’avversario, file che conteneva una fotografia.

Controparte eccepiva l’illegittimità della produzione, contenente la riproduzione fotografica, fondandola non tanto sulla violazione della privacy (come spesso succede in tema di prove cosiddetti illecite; anche se qui la fotografia era stata pubblicamente esposta dall’autore nel proprio sito , sorgendo dunque  il solito dilemma del se detta esposizione tiene conto tutti gli internauti del mondo oppure solo dei frequentatori del sito), quanto piuttosto e sorprendentemente sulla violazione del diritto di autore sulla fotografia stessa

Sorge quindi il problema del se  la produzione in giudizio di un’opera protetto (o meglio di una sua riproduzione) costituisca comunicazione al pubblico.

C’è poi una particolarità nel caso specifico: nel sistema giudiziario svedese, una volta prodotto un documento in giudizio, chiunque può chiederne copia e cioè accedervi.

Si tratta del caso BY c. CX, C-637/19 per il quale sono state depositate il 3 settembre 2020 le conclusioni dell’avvocato generale Hogan (poi solo “AG”).

La risposta suggerita dall’AG è nel senso che tale produzione giudiziaria di (riproduzione della) opera protetta non costituisce comunicazione al pubblico: <sebbene la comunicazione di materiale protetto a terzi che svolgono funzioni amministrative o giudiziarie possa perfettamente superare «una certa soglia de minimis», dato il numero di persone potenzialmente coinvolte , a mio avviso essa non costituisce, in circostanze normali, una «comunicazione al pubblico» nel senso previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, proprio perché tali persone, pur non costituendo, di per sé, un gruppo privato, sono comunque vincolate dalla natura delle loro funzioni ufficiali. In particolare, esse non avrebbero il diritto di trattare il materiale protetto dal diritto d’autore come se fosse esente da tale protezione. Ad esempio, la comunicazione di tale materiale ad opera di una parte nel corso di un procedimento giudiziario ai funzionari giudiziari o ai titolari di un funzione giudiziaria, oltre a non possedere alcuna rilevanza economica autonoma, non consentirebbe ai destinatari di tale materiale di farne uso a loro piacimento. Del resto, in questo esempio, il materiale è comunicato a tali persone nell’ambito delle loro funzioni amministrative o, a seconda dei casi, giudiziarie e l’ulteriore riproduzione, comunicazione o distribuzione di tale materiale da parte loro è soggetta a certe restrizioni giuridiche ed etiche, espresse o implicite, ivi compresa la legge sul diritto d’autore, previste dal diritto nazionale>, § 42-43.

Aggiunge che <nonostante il numero potenzialmente elevato di funzionari giudiziari coinvolti, la comunicazione non sarebbe quindi diretta a un numero indeterminato di potenziali destinatari, come richiesto dalla Corte al punto 37 della sua sentenza del 7 dicembre 2006, SGAE (C‑306/05, EU:C:2006:764). La comunicazione sarebbe invece rivolta a un gruppo chiaramente definito e limitato, o chiuso, di persone, che esercitano le loro funzioni nell’interesse pubblico e che sono, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, vincolate da norme giuridiche ed etiche concernenti, tra l’altro, l’uso e la divulgazione delle informazioni e delle prove ricevute nel corso di un procedimento giudiziario>, § 44.

Ed ancora: <A mio avviso, la comunicazione di materiale protetto dal diritto d’autore a un giudice come prova nell’ambito di un procedimento giudiziario non pregiudica, in linea di principio, i diritti esclusivi del titolare del diritto d’autore su tale materiale, ad esempio, privandolo della possibilità di rivendicare un compenso adeguato per l’utilizzo della sua opera. La possibilità di presentare materiale protetto da diritto d’autore come prova in un procedimento civile serve, piuttosto, ad assicurare il diritto a un ricorso effettivo e il diritto a un giudice imparziale, come garantiti dall’articolo 47 della Carta. I diritti di difesa di una parte sarebbero gravemente compromessi se essa non potesse presentare prove a un giudice nel caso in cui un’altra parte di tale procedimento o un terzo invocassero la tutela del diritto d’autore in relazione a tali prove>,§ 45.

Le ragioni parebbero allora tre :

i) il fatto che i destinatari (giudici cancellieri avvocati in causa) non sarebbero legittimati a disporre dell’esemplare/copia prodotta;

ii) il fatto che i destinatari sono in numero determinato e non indeterminato.

iii) il fatto che uno deve pur difendersi: se la difesa giudiziale comporta la necessità (o anche solo l’opportunità, aggiungerei io) di produrre un documento sottoposto a diritto di autore, tale produzione deve essere per questo solo motivo lecita (anche perchè non  danneggia economicamente controparte).

Il reciproco rapporto tra queste tre ragioni, però, non è chiarito, dato che ciascuna di essere dovrebbe essere sufficiente. Perciò non è chiaro quale sia quella fondante il suggerimento dell’AG di rigettare le istanze del titolare del diritto di autore  .

Il tema è assai interessante a livello teorico (anche se , come detto, probabilmente di rara riscontrabilità). In particolare interessa la ragione sub 3 e cioè l’eccezione al diritto d’autore consistente nella necessità difensiva

Nella disciplina d’autore non c’è una disposizione che regoli espressamente questo conflitto di interessi.

C’è  si l’art. 5/3 lettera e) dir. 29/2001, che legittima l’uso <allorché si tratti di impieghi per fini di pubblica sicurezza o per assicurare il corretto svolgimento di un procedimento amministrativo, parlamentare o giudiziario>. Però la correttezza dello svolgimento processuale/procedurale è concetto altamente ambiguo, potendo essere altro dalla necessità difensisa (v. da noi l’art. 71 quinquies c.1 <I  titolari  di  diritti  che  abbiano  apposto   le   misure tecnologiche  di  cui  all’articolo  102-quater  sono   tenuti   alla rimozione delle stesse, per consentire l’utilizzo delle opere  o  dei materiali protetti, dietro richiesta dell’autorita’  competente,  per fini di sicurezza pubblica o per assicurare il  corretto  svolgimento di un procedimento amministrativo, parlamentare o giudiziario>, l. aut.).

Forse con buona interpretazione analogica anche altre disposizioni dell’art. 5/3 dir. 29 potrebbero soccorrere: come la lett. f) <quando si tratti di allocuzioni politiche o di estratti di conferenze aperte al pubblico o di opere simili o materiali protetti, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo informativo e sempreché si indichi, salvo in caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell’autore;> oppure la lettera   h) <quando si utilizzino opere, quali opere di architettura o di scultura, realizzate per essere collocate stabilmente in luoghi pubblic> (la messa on line costituisce una stabile collocazione in luoghi che si vogliono aperti al pubblico).

Ci vorrebbe perà una disposizione che espressamente prevedesse l’uso a fini difensivi, trattandosi di diritto costituzionalmente protetto (art. 24 Cost.; artt .47 e 48 Carta dir. fondametnali UE).

Da noi c’è già una disposizione interessante, che dovrebbe bastare allo scopo : art. 67 l. aut. per cui <Opere o brani di opere possono essere  riprodotti  a  fini  di pubblica  sicurezza,  nelle  procedure  parlamentari,  giudiziarie  o amministrative, purche’ si indichino la fonte e,  ove  possibile,  il nome dell’autore>.

L’art. 67 anzi è probabilmente più utile di quella del GDPR, per cui il trattamento dati è lecito se <è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l’interessato è un minore> (art. 6/1 lett. f): magari si potrebbe in casi estremi invocare pure l’art. 6/1 lettera d): <il trattamento è necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell’interessato o di un’altra persona fisica>).

Il nostro art. 67 è piu utile del GDPR perchè sembra dare tutela assoluta al diritto di difesa, mentre il GDPR lo bilancia col diritto dell’interssato (anche se nel caso nostro il diritto di difesa certamente prevale sul diritto patrimoniale di autore)

Successivamente l’AG si domanda se la risposta debba cambiare, quando si consideri la citata pubblica accessibilità dei documenti prodotti in giudizio, secondo l’ordinamento processuale svedese

La risposta è negativa, ma la ragione desta perplessità.

Infatti così dice l’AG al paragrafo 48: <A mio avviso, e come indicato sia dalla Commissione (21), sia dal governo svedese (22), la comunicazione di materiale protetto da diritto d’autore a un giudice ad opera di una parte non costituisce, in tali circostanze, una comunicazione al pubblico ad opera della parte, dato che, in ultima analisi, è il giudice stesso (o i funzionari giudiziari) a poter eventualmente concedere accesso al materiale ai sensi delle norme nazionali sulla libertà di informazione o sulla trasparenza>.  La perplessità sta nel fatto che,  se c’è un diritto di accesso, nulla possono i funzionari di cancelleria (per loro è atto dovuto): è sempre la parte processuale il motore della comunicazione pubblica.

Poi l’AG su questo secondo aspetto precisa che: < 52.    Inoltre, e forse, aspetto ancora più importante, il governo svedese ha dichiarato che, mentre l’articolo 26b, paragrafo 1, della legge sul diritto d’autore disciplina la divulgazione di documenti pubblici, esso non attribuisce il diritto di utilizzare tali documenti. Secondo tale governo, «chiunque abbia ricevuto una copia dell’opera ai sensi di tale disposizione non può quindi disporne in violazione della [legge sul diritto d’autore]. Ogni ulteriore utilizzo richiede l’autorizzazione dell’autore o deve essere basato su una delle eccezioni alla tutela del diritto d’autore previste dalla [legge sul diritto d’autore]».  53.      Sembrerebbe quindi che il materiale protetto dal diritto d’autore non diventi di pubblico dominio per effetto delle disposizioni relative alla libertà di informazione contenute nella legge sulla libertà di stampa semplicemente per il fatto di essere stato divulgato o esibito, o comunque, reso disponibile come prova nel corso di un procedimento giudiziario.  54.      In altri termini, la divulgazione di tale materiale protetto dal diritto d’autore ai sensi delle norme sulla trasparenza non produce l’effetto sostanziale di privare tale materiale del suo status di materiale tutelato dal diritto d’autore e renderlo, quindi, di pubblico dominio.  55.      È quindi chiaro, con riserva, naturalmente, di verifica, in ultima istanza, da parte del giudice nazionale, che il diritto svedese non prevede né consente che la tutela del diritto d’autore venga meno per il mero fatto che una delle parti abbia esibito tale materiale nel corso di un procedimento civile e che un terzo possa successivamente ottenere accesso a tale materiale in virtù della legge svedese sulla libertà di informazione.>>

Anche qui, ragioni plurime, il cui reciproco rapporto logico non è chiarito: – o la comunicazione non è imputabile alla parte ma alla Cancelleria; – oppure non c’è nemmeno comuncazione, perchè il diritto di autore permane e non viene meno  anche in caso di accessibililità pubblica ai documenti.

Questa seconda ragione, poi,  è irrilevante, dato che, da un lato, la comunicazione proverrebbe non dal titolare del diritto ma da un terzo e, dall’altro, che anche quella prodotta dal titolare non esaurirebbe il diritto (art. 3/3 dir 29).

Stiamo a vedere cosa dirà la Corte.