Interessi corrispettivi e interessi moratori: la disciplina dei primi per l’usura viene estesa ai secondi

Le sezioni unite della Cassazione estendono la disciplina sanzionatoria, posta dall’art. 1815 c. 2 cc per gl interessi usurati, a quelli moratori: così Cass. 19.597 del 18.09.2020, rel. Nazzicone, con ampia analisi e qualche suggerimento per soluzione dei problemi applicativi.

La ratio di eccessiva gravosità, che può inficiare il patto sugli interessi corrispettivi, vale pure per il patto relativo agli interessi da ritardo nell’adempimento: <Certamente esiste, infatti, l’esigenza primaria di non lasciare il debitore alla mercè del finanziatore: il quale, se è subordinato al rispetto del limite della soglia usuraria quando pattuisce i costi complessivi del credito, non può dirsi immune dal controllo quando, scaduta la rata o decorso il termine pattuito per la restituzione della somma, il denaro non venga restituito e siano applicati gli interessi di mora, alla cui misura l’ordinamento (cfr. art. 41 Cost.) e la disciplina ad hoc dettata dal legislatore ordinario non restano indifferenti>, § 6, p. 16.

A nulla vale il fatto che questi ultimi, in quanto rientranti nel concetto di clausola penale, siano riducibili dal giudice ex art. 1384 cc (p. 18): <Questa, invero, non sarebbe equivalente ove operata ex art. 1384 c.c.: il quale potrebbe sempre consentire una riduzione casistica e difforme sul piano nazionale, oltre che, verosimilmente, condurre al mero abbattimento dell’interesse pattuito al tasso soglia, pur integrato con quello rilevato quanto agli interessi moratori, e non al minor tasso degli interessi corrispettivi, come oltre, invece, si indicherà; mentre, poi, il diritto positivo non impedisce una interpretazione che riconduca anche gli interessi moratori nell’alveo della tutela antiusura, con maggiore protezione del debitore, che sembra anzi consigliare.>, § 6, pag. 16.

Ecco i principi di diritto ex art. 384/1 cpc:

“La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso”.

“La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perchè “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto””.

“Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista”.

“Si applica l’art. 1815 c.c., comma 2, onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224 c.c., comma 1, con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti” (passaggi logici svolti a p. 24) .

“Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento”.

“Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dall’art. 33, comma 2, lett. f) e art. 36, comma 1 codice del consumo, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c.”.

“L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto”.

L’intelligenza artificiale non può essere intestataria di brevetto inventivo: lo dice pure l’Alta Corte inglese (ancora sul caso DABUS/dr. Stephen Thaler)

Altro caso giudiziale sul se l’intelligenza artificiale (AI) possa essere intestataria di brevetto ivnentivo quando si tratti di invenzione appunto creata da AI.

Si è pronunciata la  HIGH COURT OF JUSTICE BUSINESS AND PROPERTY COURTS OF ENGLAND AND WALES PATENTS COURT (ChD) il 21.09.2020, nel caso DABUS realizzato dallo scienziato Stephen Thaler.

La presentazione della invenzione è questa:  <“A machine called “DABUS” conceived of the present invention –  The invention disclosed and claimed in this British patent application was generated by a specific machine called “DABUS”, which is a type of “Creativity Machine”. A Creativity Machine is a particular type of connectionist artificial intelligence. Such systems contain a first artificial neural network, made up of a series of smaller neural networks, that has been trained with general information from various knowledge domains. This first network generates novel ideas in response to self-perturbations of connection weights between neurons and component neural nets therein. A second “critic” artificial neural network monitors the first neural network for new ideas and identifies those ideas that are sufficiently novel compared to the machine’s pre-existing knowledge base. The critic net also generates an effective response that in turn injects/retracts perturbations to selectively form and ripen ideas having the most novelty, utility, or value.

In the case of the present invention, the machine only received training in general knowledge in the field and proceeded to independently conceive of the invention and to identify it as novel and salient. If the teaching had been given to a person, that person would meet inventorship criteria as inventor.

In some instances of machine invention, a natural person might qualify as an inventor by virtue of having exhibited inventive skill in developing a program to solve a particular problem, or by skillfully selecting data to provide to a machine, or by identifying the output of a machine as inventive. However, in the present case, DABUS was not created to solve any particular problem, was not trained on any special data relevant to the present invention, and the machine rather than a person identified the novelty and salience of the present invention.

A detailed description of how DABUS and a Creativity Machine functions is available in, among others, the following US patent publications: 5,659,666; 7,454,388 B2; and 2015/0379394 A1>.

Dunque , secondo la prospettazione del ricorrente,  l’artificial intelligence machine chiamata DABUS sarebbe l’inventore , mentre il dr. Thaler avrebbe solo acquired the right to grant of the patents in question by “ownership of the creativity machine DABUS.

Il giudice Marcus Smith conferma la decisione dell’ufficio brevettuale inglese: solo una persona può essere inventore presso l’ufficio brevetti.

Le disposizioni di riferimento  sono gli artt. 7 e 13 del Patents Act.

Precisamente dice il giudice al § 40 :

<<It is quite clear from the statutory scheme contained in the Patents Act 1977 that – whatever the meaning of the term “inventor” – a patent can only be granted to a person. I reach this conclusion explicitly without considering the meaning of the term inventor. In my judgment, a patent can only be granted to a person falling within Classes (a), (b) or (c) for the following reasons:

(1) First, and most fundamentally, only a person can hold property and an invention, an application for the grant of a patent and the patent itself are all property rights. Were the 1977 Act to contemplate a thing owning another thing, then I would expect extremely clear language to be used in the Act to compel such a conclusion.

(2) In fact, the language of the Patents Act 1977 makes clear that the holder of a patent must be a person:

(a) Since a patent is only granted on application, it follows from section 7(1) (“[a]ny person may make an application for a patent”) that the grant of a patent can only be to a person, because only a person may make an application for a patent.[23]

(b) Classes (b) and (c) explicitly refer to and define themselves by reference to the “person” that is the transferee of the inventor’s rights.[24]

(c) Class (a) does not – section 7(2)(a) refers only to “the inventor or joint inventors”. However, it seems to me that either an inventor must be a person or at section 7(2)(a) must be read as stating “primarily to the person(s) who are the inventor or joint inventors”, given the points made in paragraphs 40(1) and 40(2)(a) above.>>

Vedi anche miei precedenti post su copyright/brevetti e intelligenza artificiale.

Diritto dell’artista a compenso per gli usi del fonogramma: quale legame territoriale con la UE?

la Corte di Giustizia (CG) con sentenza 8 settembre 2020, causa  C‑265/19, Recorded Artists Actors Performers Ltd contro Phonographic Performance (Ireland) Ltd, Minister for Jobs, Enterprise and Innovation, Ireland, Attorney,  affronta la questione, posta dal gudice  a quo irlandese, del se una legge nazionale possa escludere dal compenso per gli artisti/interpreti/esecutori (AIE), riservandolo in toto al produttore, gli AIE appartenenti a stati esterni allo spazio eponomico euroep SEE (a meno che abbiano dentro il SEE domicilio, residenza o che abbiano qui contribuito alla realizzazione del fonogramma).

La disposizione di riferimento è l’art. 8/2 della dir. 2006/115 concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale: <Gli Stati membri prevedono un diritto per garantire che una remunerazione equa e unica sia versata dall’utente allorché un fonogramma pubblicato a scopi commerciali, o una riproduzione del medesimo, è utilizzato per una radiodiffusione via etere o per una qualsiasi comunicazione al pubblico, e che detta remunerazione sia suddivisa tra gli artisti interpreti o esecutori e i produttori del fonogramma in questione. In caso di mancato accordo tra artisti interpreti o esecutori e produttori di fonogrammi, gli Stati membri possono stabilire i criteri per ripartire tra i medesimi questa remunerazione> (oltre a disposizioni del Trattato WIPO sulle interpretazioni ed esecuzioni e sui fonogrammi, adottato a Ginevra il 20 dicembre 1996, detto <WPPT>).

La lite pendeva tra le colleting societies degli AIE e quella dei produttori fonografici irlandesi, §§ 32 ss

La CG risponde negativamente: l’unico criterio ammesso di applicablità, relativo al luogo, è quello per cui il diritto sorge, quando l’uso o la riproduzione del fonogramma avvengono nella UE, p. 58,.

Il che si verifica <quando la comunicazione del fonogramma, quale fattore causale del diritto connesso summenzionato, si rivolge a un pubblico situato in uno o più Stati membri. Infatti, in mancanza di precisazioni in tale direttiva quanto al suo ambito di applicazione territoriale, quest’ultimo corrisponde a quello dei trattati, previsto dall’articolo 52 TUE (…). Fatto salvo l’articolo 355 TFUE, tale ambito di applicazione è costituito dai territori degli Stati membri>, p. 59

La Dir. invece non permette di discriminare tra AIE cittadini UE e AIE cittadini non UE ma di altri Stati membri WPPT (§ 62, § 68, § 71, § 75 , ma anche la terza questione, § 91).

La disposizione nazionale corrispondente è contenuta nell’art. 73 l. aut. che non contiene la distinzione presente nella legislazione irlandese.

Nuova questione interessante sulla comunicazione al pubblico in diritto d’autore: le conclusioni dell’avvocato generale

Il bravo avvocato generale Szpunar (di seguito: AG) ha depositato il 10.09.2020 le conclusioni nella causa C39 2/19, VG BildKunst contro Stiftung Preußischer Kulturbesitz.

Una collecting society chiedeva , per l’inserimento di opere del proprio catalogo in un database artistico gestito da una Fondazione, che questa si impegnasse ad adottare misure tecnologiche contro il framing da parte di terzi delle immagini in miniatura delle opere così rese accessibili, p. 25.

Il titolare del database non lo ritenne accettabile e chiese in via di accertamento giudiziale che la collecting fosse obbligata a dare licenza anche senza tale clausola.

La questione di rinvio proposta dalla Cassazione tedesca è la seguente: <Se l’incorporazione, mediante framing, di un’opera disponibile su un sito Internet liberamente accessibile con il consenso del titolare del diritto sul sito Internet di un terzo costituisca una comunicazione al pubblico dell’opera, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29, qualora ciò avvenga aggirando le misure di protezione contro il framing che il titolare del diritto ha adottato o ha fatto adottare>, p. 29.

I temi toccati dall’AG sono tra i più importanti del diritto d’autore contemporaneo, anche perchè intercettanti profili teorici.

L’AG ricorda tutta la giurisprudenza sul controverso tema della comunicazione al pubblico in internet , comprese le questioni relative alla liceità del linking.

Dà anche qualche notazione tecnica sui concetti di deep Linking, embedding, inline Linking, framing etc., pp. 8 ss

Ricorda ai paragrafi 35 seguenti la giurisprudenza sui link cioè sui collegamenti ipertestuali : se l’opera è stata messa on-line lecitamente, il link non costituisce violazione del diritto. Costituisce sì atto di comunicazione e comunicazione ad un pubblico, ma ad un pubblico “non nuovo”, dal momento che l’iniziale pubblicazione su internet è da intendersi rivolta non solo al pubblico, che frequenta quel sito, ma a tutti gli internauti, paragrafi 35-39

Analisi confermata anche per il framing dalla ordinanza Bestwater nel 2014.

L’AG conferma a sua volta che il collegamento ipertestuale costituisce comunicazione al pubblico, in quanto dà accesso diretto all’opera, paragrafo 49/51.

L’affermazione, pur consolidata in giurisprudenza UE, è però discutibile, perché il link semplicemente indica la localizzazione della pagina web di destinazione: si limita ad indicare l’indirizzo (come succede se il link non è attivo e bisogna ridigitare la stringa nel campo URL del browser). Il fatto che sia attivo non cambia qualificazione giuridica dell’attività di chi pone il link.

Facilmente l’intento delle istituzioni giudiziarie europee è quello di attrarre tale casistica entro l’orbita del diritto armonizzato UE: dal quale invece probabilmente fuoriuscirebbe se si trattasse (come parrebbe semmai più esatto)  di concorso nell’illecito altrui. Ma il tema è complesso (tocca nientemmeno che i rapporti tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali: si v. ad es. la potenzialmente distruttiva -dell’Unione-  sentenza 05 maggio 2020 della Corte Costituzionale tedeca sul Public Sector Purchase Programme (PSPP) della BCE di cui hanno parlato i media di tutta Europa e non solo) : si potrebbe infatti replicare (dando ragione alla Corte UE e all’AG) che in tale modo l’armonizzazione europea del copyright rischierebbe una forte compromissione.

L’AG conferma pure l’elemento soggettivo nella comunicazione al pubblico, ma riconosce che contrasta con la tradizione dei diritti su beni immateriali , p. 52-54: questi infatti normalmente hanno protezione, a prescindere dallo stato soggettivo (dolo, colpa)  di coloro che vi interferiscono.

L’AG contesta pure il concetto del pubblico nuovo e in particolare quello per cui il pubblico, avuto di mira da da chi pubblica, è costituito da tutti i possibili internauti, pp. 55 / 57.

Propone infatti un’interpretazione evolutiva , p. 59 con un § significativo, perché indica qual è l’ambito armonizzato di competenza dell’Unione Europea: <La Corte, pur operando nell’ambito dell’apparato terminologico classico del diritto d’autore, definendo gli atti soggetti al diritto esclusivo dell’autore e distinguendoli da quelli non soggetti ad esso, non fa un’opera di teoria del diritto d’autore. Chiamata a interpretare il diritto dell’Unione, nella fattispecie la direttiva 2001/29, certamente in modo astratto, quindi applicabile erga omnes, ma, comunque, sulla base di una controversia concreta sottopostale da un giudice nazionale, la Corte deve fornire una risposta che consenta a tale giudice di accertare la responsabilità di una parte per violazione del diritto d’autore. Essa deve quindi accertare le condizioni di tale responsabilità, il che va ben oltre la semplice definizione dei contorni dell’atto rientrante nel monopolio dell’autore. Un approccio più restrittivo rischierebbe di compromettere l’effetto utile dell’armonizzazione realizzata dalla direttiva 2001/29, lasciando gli elementi decisivi di tale responsabilità alla valutazione necessariamente eterogenea dei giudici nazionali>.

Data la sua importanza per i passaggi che seguono, avrebbe dovuto essere sviluppato in modo più chiaro.

Su questa base giustifica la teoria dell’inclusione nella comunuicazione al pubblico del peer to peer (sentenza Stichting Brein contro Ziggo BV e XS4All Internet BV, c.d. The Pirate bay) e della vendita di lettori multimediali con link preinstallati (sentenza Stichting Brein contro Jack Frederik Wullems),  § 60, e dell’elemento soggettivo, paragrafo 62

Il punto di maggior evidenza della nuova teoria proposta dall’AG è che, in adesione alla sentenza Renkhoff, <<si deve pertanto ritenere, come ha fatto la Corte nella sentenza Renckhoff , che il pubblico che è stato preso in considerazione dal titolare dei diritti d’autore al momento della messa a disposizione di un’opera su un sito Internet sia costituito dal pubblico che consulta detto sito. Siffatta definizione del pubblico preso in considerazione dal titolare dei diritti d’autore ben riflette, a mio avviso, la realtà di Internet. Infatti, sebbene un sito Internet liberamente accessibile possa essere, in teoria, visitato da qualsiasi utente di Internet, in concreto, il numero di utenti potenziali che possono accedervi è certamente più o meno elevato, ma è approssimativamente determinato. Il titolare dei diritti d’autore, autorizzando la messa a disposizione della sua opera, prende in considerazione l’ampiezza di tale cerchia di utenti potenziali. Ciò è importante, in particolare, quando tale messa a disposizione viene effettuata in base a una licenza, in quanto il numero potenziale di presunti visitatori può costituire un fattore rilevante nella determinazione del prezzo della licenza.>, paragrafo 73.

L’AG potrebbe avere qualche ragione: realisticamente colui, che carica opere protette in un determinato sito, ne liberalizza l’accesso a tutti gli internauti del mondo?

In sintesi <la giurisprudenza della Corte relativa ai collegamenti ipertestuali, o più in generale alla comunicazione di opere al pubblico su Internet, deve, a mio avviso, essere intesa nel senso che, nell’autorizzare la messa a disposizione del pubblico della sua opera su una pagina Internet, in modo liberamente accessibile, il titolare dei diritti d’autore prende in considerazione tutto il pubblico che può accedere a tale pagina Internet, anche mediante collegamenti ipertestuali. Pertanto, tali link, pur costituendo atti di comunicazione, in quanto danno accesso diretto all’opera, sono in linea di principio coperti dall’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore rilasciata al momento della messa a disposizione iniziale e non richiedono un’ulteriore autorizzazione> p. 75

Queste le premesse generali.

Va poi al nocciolo della questione e cioè a quella del se sia lecito o no linkare tramite framing al sito di riferimento, paragrafi 76 seguenti

Qui fa una distinzione molto importante a livello pratico, tra collegamenti cliccabili e collegamenti automatici.

Per i collegamenti cliccabili -p. 81 ss.-  sostiene che non ci sia un ampliamento di pubblico, ma sia sempre quello del sito originario, cioè di quello puntato dai link,  paragrafi 87/88 e 91: per cui non serve ulteriore consenso.

Diversa la risposta per i collegamenti automatici , p. 93 ss. Qui non può dirsi che il pubblico, che acceda al sito originario tramite questo collegamento automatico, sia stato preso in considerazione da chi ha pubblicato sul sito originario, paragrafo 95-98.. Ne segue che serve specifico e nuovo consenso del titolare.

Ai paragrafi 99/105 con tre argomenti replica a chi rigettasse l’invocabiità del precedente Renckhoff per l’esistenza di una differenza tra i due casi : differenza consistente nel fatto che in Renckhoff si trattava di riproduzione, sulla quale il titolare del diritto nulla poteva (perdeva il controllo) , mentre invece nel caso del framing -essendo una riproduzione, che dipende da quella originaria, il titolare del diritto mantiene il controllo.

Ai paragrafi 114 seguenti titolati <<L’equilibrio tre diversi interessi in gioco>>, replica ad altra possibile obezione, secondo cui la distinzione tra collegamenti cliccabili e collegamenti automatici non ha giustificazione sufficiente.

Ed in effetti è proprio questa un’altra obiezione: ai fini dell’individuazione del pubblico nuovo nel caso di collegamento instaurato da terzi, è assai difficile sostenere che il relativo pubblico sia stato preso in considerazione se il link è clicccabile e che invece non lo sia stato se è automatico.

infine (paragrafi 121 seguenti) esamina l’ultima questione qui ricordata  relativa alle misure di protezione. Si chiede cioè se eludere il congegno tecnico, che impedidce il framing, costituisca violazione delle misure di protezione. La risposta è negativa, visto che si tratta solo di una diversa modalità di arrivo al sito originario e non di un allargamento o restrizione del pubblico che vi ha accesso (avrebbe infatti avuto accesso in ogni caso) (spt. §§ 128-129)

Bansky perde il marchio (decisione sul deposito in malafede)

Molti giornali anche non specialistici hanno riportato la notizia per cui l’Ufficio Europeo dei marchi ha dichiarato nullo il marchio di Bansky riproducente il suo celebre disegno <Flower thrower>:

Flower thrower (dal database EUIPO)

Si tratta della decisione 14.09.2020 sul marchio n° 012575155 , depositato il 07/02/2014.

La decisione può essere letta nel database dell’ufficio. Purtroppo non è divisa in §§ brevi per cui il resoconto può essere meno agevole del solito (mi riferirò dunque solo al numero di pagina)

Era stato chiesto per molte classi merceologiche.

La domanda di annullamento era fondata sia sull’art. 59.1.b (deposito in malafede) sia sull’art. 59.1.a riferito all’art. 7.1.b-c del reg. 2017/1001 c.d EUTMR. Viene accolta solo sul primo punto (malafade al momento del deposito), assorbita sul secondo.

In generale sulla buona fede l’Ufficio dice che ricorre <<where it is apparent from relevant and consistent indicia that the proprietor of an EU trade mark filed its application for registration without any intention of using the contested EUTM, or withoutthe aim of engaging fairly in competition, but with the intention of undermining the interests of third parties, in a manner inconsistent with honest practices, or with the intention of obtaining, without even targeting a specific third party, an exclusive right for purposes otherthan those falling within the functions of a trade mark, in particular the essential function of indicating origin>>, p. 9.

L’onere della prova <of the existence of bad faith lieswith the invalidity applicant; good faith is presumed until the opposite is proven>, p. 8.

Bansky (nome d’arte, l’artista è ancora anonimo) non commercializzava alcun bene al momento del deposito: anzi dichiarava che la cosa non lo interessava.

Iniziò ad operare commercialmente solo dopo aver ricevuto notifica della domanda di annullamento, aprendo un negozio (una mera vetrina, senza possibilità di acquisto) per indurre ad acquisti on line.

Ma anche questa attività, il punto è interessante a livello teorico, la pose in essere, dichiarando che non vi era interessato e che lo faceva solo per non decadere dal diritto di marchio : <From the evidence submitted Banksy had not manufactured, sold or provided any goods or services under the contested sign or sought to create a commercial market for his goods until after the filing of the present application for a declaration of invalidity. Only then, in October of 2019, he opened an online store (and had a physical shop but which was not opened to the public) but by his own words,reported in a number of different publications in the UK, he was not trying to carve out a portion of the commercial market by selling his goods, he was merely trying to fulfil the trade mark class categories to show use for these goods to circumvent the non-use of the sign requirement under EU law. Both Banksy and Mr. M.S, who is a Director of the proprietor, made statements that the goods were created and being sold solely for this cause>>, p. 11

Va notato che il registrante non era Bansky (allo scopo di restare anonimo) ma un suo rappresentante (the proprietor)

Il succo della decisione è qui: <<The EUTM was filed on 07/02/2014. The evidence shows that the proprietor did not sell any goods or provide any services under the sign until after the initiation of the present proceedings. In fact the evidence shows that Banksy repeatedly made statements that he was not making or selling any of these goods and that the third parties were doing this without his permission. The evidence also shows that from the time of filing of the EUTM until after the filing of the present application this position did not change. It was only during the course of the present proceedings (after the grace period had ended and after the present invalidity proceedings had been initiated) that Banksy started to sell goods but specifically stated that they were only being sold to overcome non-use for trade mark proceedings and not to commercialise the goods. Banksy by his own admission is clearly against intellectual property laws, but this does not mean that he is not afforded the same protection under these laws as everybody else. However, there are restrictions to the right to register a trade mark and that would be in the case where the mark is filed in bad faith>>

L’ufficio dice che la mala fede può ricorrere <if it transpires that the EUTM proprietor never had any intention to use the contested EUTM, for example, a trade mark application made without any intention to use the trade mark in relation to the goods and services covered by the registration constitutes bad faith if the applicant for registration of that mark had the intention either of undermining, in a manner inconsistent with honest practices, the interests of third parties, or of obtaining, without even targeting a specific third party, an exclusive right for purposes other than those falling within the functions of a trade mark>, p. 12.

Il dilemma di Bansky è chiaro, dice l’ufficio: <To protect the right under copyright law would require him to lose his anonymity which would undermine his persona. Moreover, there are a number of legal issues which might even result in it being very difficult for him to actually claim copyright over the work although this can be left open for the present purposes. It is clear that when the proprietor filed the EUTM he did not have any intention of using the sign to commercialise goods or provide services. The use, which was only made after the initiation of the present proceedings, was identified as use to circumvent the requirements of trade mark law and thus there was no intention to genuinely use the sign as a trade mark. Banksy was trying to use the sign only to show that he had an intention of using the sign, but his own words and those of his legal representative, unfortunately undermined this effort. Thus it must be concluded that there was no intention to genuinely use the sign as a trade mark and the only eventual use made of the sign was made with the intention of obtaining an exclusive right to the sign for purposes other than those falling within the functions of a trade mark>, p. 12

Bisognerebbe però distinguere bene il caso della mancanza di uso da quello di uso presente ma finalizzato solo alla conservazione del diritto e nulla più: sul secondo si può discutere , costituendo il vero interesse teorico di questa vicenda. Va ricordato infatti che il registrante ha cinque anni a disposizione per iniziare l’uso, prima di decadere per non uso.

E’ noto che oggi in Italia non è necessario che il depositante sia già un imprenditore (art. 19 c.1 cpi) o che abbia da subito progetti di cessione a terzi che lo usino imprenditorialmente. C’è dottrina divergente sul punto (in Italia).

Potrebbe infatti parlarsi di uso <simulato>, che non vale l’uso <effettivo> chiesto dalla norma per evitare la decadenza.

Altro profilo interessante è quello dell’applicazione della malafede al caso in esame e cioè di chi lo chiede senza intenzione di usarlo ma al tempo stesso senza intenzione di ledere uno specifo concorrente. Il concetto di malafede infatti è di solito usato con riferimento a casi di intento lesivo verso soggetti determinati: il che non pare ricorresse nel caso Bansky o comunque bisognerebbe ragionarci.

Potrebbe in sintesi considerarsi una altra soluzione: attendere il quinquennio, ravvisandosi un uso solo simulato, invece che applicare subito la nullità per deposito in malafede (oppure -nel diritto italiano- dichiarare la nullità per violazione dell’art. 19 c.1: solo che nell’elenco di cause di nullità di cui all’art. 25 cpi, probabilmente tassativo, non è prevista, essendo prevista solo quella riferita al c.2 dell’art. 19  -malafade appunto- , per cui questa via pare preclusa)

la notorietà del titolare incide sul giudizio di confondibilità

La Corte europea si pronuncia nella lite tra Lione Messi e un produttore di prodotti simili  circa i rispettivi marchi, regolata dall’art. 8/1 reg. 207/2009.

Il calciatore depositò il marchio seguente:

marchio di Lionel Messi

L’opponente era titolare del marchio denominativo “MASSI”

la fase amministrativa fu sfavorevole al calciatore, che invece ottenne ragione davanti al Tribunale di 1 grado: il quale ritenne che la sua notorietà compensasse le somiglianze visive e fonetiche.

La C.G. concorda col Tribunale.

La Corte osserva che, al pari della notorietà del marchio anteriore, << l’eventuale notorietà della persona che chiede che il proprio nome sia registrato come marchio è uno degli elementi rilevanti per valutare il rischio di confusione, dal momento che tale notorietà può avere un’influenza sulla percezione del marchio da parte del pubblico di riferimento. Il Tribunale non è pertanto incorso in errore nel considerare che la notorietà del sig. Messi Cuccittini costituiva un elemento rilevante al fine di stabilire una differenza sul piano concettuale tra i termini «messi» e «massi»  >>(così il comunicato stampa 108/20 del 17.09.2020)

Conferma poi che la notorietà del calciatore costituisce <fatto notorio>, autonomamente accertabile dal giudice.

Si tratta della sentenxza Corte Giustizia 17.09.2020, C‑449/18 P et C‑474/18 P, EUIPO c. Messi ed altri, (solo in francese e spagnolo)

Dichiarazioni urbanistiche nell’azione di adempimento ex art. 2932 cc

Interessanti precisazioni di Cass. 25.06.2020 n. 12654 sull’azione di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre

DICHIARAZIONE SUGLI ESTREMI DI DELLA CONCESSIONE EDILIZIA:

<<34.1 Dal principio enunciato nel paragrafo precedente discende che, …, la presenza della dichiarazione sugli estremi della concessione edilizia integra una condizione dell’azione ex art. 2932 c.c. e non un presupposto della domanda, cosicchè la produzione di tale dichiarazione può intervenire anche in corso di causa e altresì nel corso del giudizio d’appello, purchè prima della relativa decisione, giacchè essa è sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti (in termini, con specifico riferimento alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, Cass. 6684/19)>>

Può provvedervi pure il promissario acquirente:

<< (34.3) ….  ed ha, conseguentemente, fatto corretta applicazione del principio, fissato dalla Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23825/09, che, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, nel caso in cui il promittente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti attestanti la regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, deve essere consentito al promissario acquirente di provvedere a tale produzione o di rendere detta dichiarazione al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c., dovendo prevalere la tutela di quest’ultimo a fronte di un inesistente concreto interesse pubblico di lotta all’abusivismo, sussistendo di fatto la regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile oggetto del preliminare di compravendita>>

DICHIARAZIONE DI COERENZA CATASTALE EX L. 52 DEL 1985 ART .29 C-1 BIS

il giudizio è analogo:

<§ 35.5.1 : Il Collegio ritiene quindi di dover dare attuazione, nell’interpretazione della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, al principio che la pronuncia giudiziale, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti, nè, comunque, un effetto che eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti; in altri termini, non può accogliersi una lettura del sistema che consenta alle parti di eludere la disposizione dettata L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, mediante la stipula di un contratto preliminare di immobile catastalmente non regolare seguita dalla introduzione di un giudizio che si concluda con sentenza di trasferimento dell’immobile medesimo.>

Ne segue  che: <35.5.3: Deve quindi conclusivamente affermarsi che la presenza delle menzioni catastali (l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, quest’ultima sostituibile da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale) deve considerarsi, al pari della presenza delle menzioni edilizie ed urbanistiche, condizione dell’azione di adempimento in forma specifica dell’obbligo di contrarre, cosicchè essa deve sussistere al momento della decisione e, per converso, la produzione di tali menzioni può intervenire anche in corso di causa ed è sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti.>

CIRCA LA MODALITà DOCUMENTATIVA IN SENTENZA DELLE MENZIONI/DICHIARAIZONI:

<§ 35.6 :Sulla scorta delle conclusioni enunciate nel paragrafo precedente, va ora esaminata l’ulteriore questione se dette menzioni catastali debbano semplicemente essere introdotte nel compendio delle risultanze processuali sottoposte all’esame del giudice o debbano essere riportate nella sentenza di trasferimento; detto altrimenti, se le menzioni richieste dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituiscano un requisito di contenuto-forma della sentenza di trasferimento, oppure se la loro presenza rappresenti un fatto che debba formare oggetto dell’accertamento del giudice.

E la conclusione è nel secondo senso:

<§ 35.6.4 : Deve quindi, conclusivamente, affermarsi, che il mancato riscontro, da parte del giudice investito di una domanda di adempimento del contratto in forma specifica ex art. 2932 c.c., della sussistenza della condizione dell’azione costituita dalla presenza in atti delle menzioni catastali di cui della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituisce un error in judicando censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e non un vizio di contenuto-forma produttivo di nullità della sentenza; con la conseguenza che gli effetti di tale errore si esauriscono all’interno del processo e non producono alcuna conseguenza sul piano della idoneità della sentenza ad essere trascritta nei registri immobiliari>>.

Ai § 36 ss poi la SC  affronta la questione posta dalla sentenza impugnata: quella relativa alla disciplina di diritto transitorio relativament alla dichiarazione di coerenza ex L. 52/1985 art. 29 bis

Il tribunale UE su marchio costituito da tessuto ornamentale

Sul tema del marchio costituito da un disegno ripetuto (pattern), usato come rivestimento esterno (sulla cui disciplina non sempre c’è chiarezza), si pronuncia il tribunale UE con la sentenza 10 giugno 2020, T-105/19, Louis Vuitton Malletier c. Euipo.

Il motivo della stoffa di cui si chiedeva protezione era del tipo scozzese sulle tonalità del giallo e marron (v. foto in sentenza)

I prodotti indicati in domanda appartenevano alla classe 18 (borse, valigie etc.)

Il Tribunale dà alcuni utili insegnamenti. Ricorda ad es. la decisione del Board of  Appeal (poi <BoA>; del 22.11.2018, che è la decisione contestata) secondo cui a questi marchi si applicano le regole sui marchi tridimensionali , p. 16.

Inoltre, solo se si distanzia significativamente dalle regole e prassi del settore, può dirsi assolvere la funzione distintiva, p. 17.

Rleva poi che il BoA aveva basato il giudizio sul carattere distintivo (negandolo) su fatto notorio (well-known fact), ritenuto sufficiente dal Tribunale, trattandosi di operaizone logico-giuridica del tutto ammissibile,  §§ 19 e 29- 30.

Ecco la descrizione del marchio sub iudice: consisteva  <on the one hand, of a regular pattern of squares in two alternating colours, namely blue and beige, as confirmed by the parties during the hearing, which is reminiscent of a chequerboard pattern and, on the other hand, of a weft and warp structure, which constitutes a pattern within a pattern and appears on the inside of the squares in the manner of a weaving method shown by two interlacing threads> , p. 31.

il Tribunale concorda con il BoA sulla ordinarietà del motivo : <the chequerboard pattern is a basic and commonplace figurative pattern, since it is composed of a regular succession of squares of the same size which are differentiated by alternating different colours, one light and one dark, namely blue and beige. The pattern thus does not contain any notable variation in relation to the conventional representation of chequerboards and is the same as the traditional form of such a pattern>, p. 32.

infatti the <weft and warp [trama e ordito] pattern that appears on the inside of each of the chequerboard squares corresponds with the desired visual effect of interlacing two different fabrics, of whatever type they may be (wool, silk, leather, etc.), which is thus customary as regards goods such as those within Class 18>, § 33.

Perciò bene ha statuito il BoA quando ha detto che <the representation of a chequerboard in the alternating colours of blue and beige and the impression of interlacing threads did not, from a graphic point of view, contain any notable variation in relation to the conventional presentation of such goods, so that the relevant public would in fact perceive only a commonplace and everyday pattern>, p. 34,  e che <the juxtaposition of two elements that were not in themselves distinctive could not alter the perception of the relevant public as to the absence of distinctive character, ab initio, of the mark at issue as a whole. The juxtaposition of a chequerboard and of a weft and warp pattern does not give rise to any element that significantly diverges from the norm or customs of the sector concerned>, p. 35.

E’ dunque esatto affermare che <contrary to the applicant’s claims, the fact that the mark at issue was a basic and commonplace pattern that did not depart significantly from the norm or customs of the sector concerned was a well-known fact within the meaning of the case-law cited in paragraph 30 above>, p. 36.

Il secondo motivo di ricorso riguarda il profilo probatorio,  legato alla difesa di secondary meaning, p. 54 ss

Per accertare il secondary meaning, <the competent authority must carry out an examination by reference to the actual situation and make an overall assessment of the evidence that the mark has come to identify the goods or services concerned as originating from a particular undertaking (…) .   In that regard, account must be taken, inter alia, of the market share held by the mark, how intensive, geographically widespread and long-standing use of the mark has been, the amount invested by the undertaking in promoting the mark, the proportion of the relevant class of persons who, because of the mark, identify the product as originating from a particular undertaking, statements from chambers of commerce and industry or other professional associations as well as opinion polls (…)>, §§ 62-63.

Inoltre, in base al carattere unitario del marchio EU, <a sign must have distinctive character, inherent or acquired through use, throughout the European Union (…) .   Thus a sign may be registered as a European Union trade mark under Article 7(3) of Regulation 2017/1001 only if evidence is provided that it has acquired, through the use which has been made of it, distinctive character in the part of the European Union in which it did not, ab initio, have such character for the purposes of Article 7(1)(b). It follows that, with regard to a mark that is, ab initio, devoid of distinctive character across all Member States, such a mark can be registered pursuant to that provision only if it is proved that it has acquired distinctive character through use throughout the territory of the European Union (see, to that effect, judgment of 25 July 2018, Société des produits Nestlé and Others v Mondelez UK Holdings & Services, C‑84/17 P, C‑85/17 P and C‑95/17 P, EU:C:2018:596, paragraphs 75 and 76 and the case-law cited).> p. 65-66

Anche se il secondary meaning deve provato in tutti gli Stati in cui non c’è era ab initio, sarebbe irragionevole <to require proof of such acquisition for each individual Member State (judgment of 24 May 2012, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli v OHIM, C‑98/11 P, EU:C:2012:307, paragraph 62).>, p. 67

Una cosa sono i fatti da provare, altra cosa sono i mezzi adottati a questo scopo: <No provision of Regulation 2017/1001 requires that the acquisition of distinctive character through use be established by separate evidence in each individual Member State> p. 68.

Ci avviciniamo al punto più importante, almeno a fini pratici. E’ dunque possible che le prove dedotte <to establish that a particular sign has acquired distinctive character through use is relevant with regard to several Member States, or even to the whole of the European Union. In particular, it is possible that, for certain goods or services, the economic operators have grouped several Member States together in the same distribution network and have treated those Member States, especially for marketing strategy purposes, as if they were one and the same national market. In such circumstances, the evidence for the use of a sign within such a cross-border market is likely to be relevant for all of the Member States concerned. The same is true when, due to a geographic, cultural or linguistic proximity between two Member States, the relevant public of the first has a sufficient knowledge of the products and services that are present on the national market of the second> p. 69.

Ne segue che, sebbene non sia necessario a fini di registrazione di un marchio privo di distintività in tutti gli stati UE, <that evidence be submitted, in respect of each individual Member State, of the acquisition by that mark of distinctive character through use, the evidence submitted must be capable of establishing such acquisition throughout the Member States of the European Union. In the case of a mark that does not have inherent distinctive character throughout the European Union, the distinctive character acquired through use of that mark must be shown throughout that territory, and not only in a substantial part or the majority of the territory of the European Union, and consequently, although such proof may be produced globally for all the Member States concerned or separately for different Member States or groups of Member States, it is not, however, sufficient that the party with the burden of providing such evidence merely produces evidence of such acquisition that does not cover part of the European Union, even a part consisting of only one Member State >, p. 70.

A conferma di ciò il Trib. ricorda giurisprudenza della CG , per la quale <although it must be proved that the mark at issue has acquired distinctive character throughout the European Union, the same types of evidence do not have to be provided in respect of each Member State (see judgment of 28 October 2009, Combination of the colours green and yellow, T‑137/08, EU:T:2009:417, paragraph 39 and the case-law cited)>, p. 71.

In breve, se ne traggono due insegnamenti:

1) la prova del significato secodnario deve essere data per tutti gli Stati, non solo per una parte sostanziale della UE;

2) la prova può essere cumulativa nel senso che un medesimo mezzo di prova può riguardare più Stati.

Segue poi un dettagliato esame  delle 68 prove (exhibits) , utile a fini pratici.

Il Tribunale , però, qui censura il BoA per aver irrazionalmente selezionato solo alcuni materiali probatori, relativi solo ad alcuni Stati (§§ 81-82 e segg.) e pertanto annnulla la decisione,  § 96

Sulla liquidazione del danno da violazione brevettuale, giunge una messa a punto della Corte d’Appello ambrosiana

Appello Milano del 14 maggio 2020, Rg 2667/2018 n. 1094/2020,  Caimi 1 spa contro Ima spa e Gima spa, decide l’impugnazione su una questione di violazioni brevettuali.

Qui non esamino il merito relativo alla validità e violazione del brevetto, ma solo quello su altre domande (risarcimento del danno spt.)

La sentenza è molto lunga e il relatore ha trovato una modalità grafico-espositiva chiara e comprensibile , nonostante la complessità delle questioni trattate e dei punti di vista da esporre (Tribunale, parte,  controparte, Corte d’Appello -in seguito anche solo <CdA>-)

La questione risarcitoria è trattata nella parte seconda, pagine 41 ss

i fatti di causaCama 1 produce macchine imballatrici e nel caso specifico macchine astucciatrici per cialde di caffè.   Viene contattata da una certa Mother Parkers (poi: MP) per una vendita sul mercato nordamericano. Cama 1  è però già legata contrattualmente ad una concorrente di MP , per cui declina la proposta commerciale. MP si rivolge quindi a Gima/Ima (l’una è la società operativa, l’altra la capogruppo) la quale fornisce le 5 linee complete di imballaggio contenenti la macchina astucciatrice su cui c’era il brevetto di Cama 1.

Ecco dunque alcuni passaggi interessanti

la royalty – Secondo il tribunale il tasso di royalty medio del settore machine tools è circa il 5% dei ricavi , p. 42 ss. Poi aggiunge (secondo quanto riferito dalla CdA):

<Il  criterio  della royalty media, ai fini dell’applicazione dell’art. 125 c. 2 D.Lvo 30/2005, in quanto criterio di risarcimento solo minimale, nel caso di violazione brevettuale, può e deve essere integrato al fine di garantire un’equa riparazione della violazione e di indennizzare tutte le perdite,  effettivamente subite  dalla  parte  lesa,  al  fine  di  evitare  che  il  risultato  del  calcolo  non  sia  economicamente  premiale per l’autore della contraffazione del brevetto. Pertanto  in  via  equitativa  la royalty, applicabile  al  caso  di  specie,doveva  essere determinata  nella misura dell’ 8% anziché  del  5%  dei  ricavi  complessivi  derivati  dalla  vendita  delle  astucciatrici,  così determinando il danno risarcibile a tale proposito nella misura di € 231.652>, p.42/3

Questo il Tribunale in primo grado

Interviene su ciò la CdA, sub B pagina 49

Secondo la Cda , Cama 1 non ha subito perdite di guadagno, visto che era comunque impegnata in esclusiva con un concorrente e non avrebbe potuto vendere la sua macchina astucciatrice a MP in quanto concorrente della sua controparte  nel Nord America.

Pertanto la vendita illecita ha procurato sì un utile a Gima/Ima ma non ha sottratto guadagni a Cama 1.

Sul recupero dei profitti   –   la Corte , ricordati l’articolo 125 CPI e la Direttiva, chiosa: <Con  riguardo  al  contraffattore  inconsapevole  il  risarcimento  può  essere  determinato solo in  misura pari al recupero dei profitti o ai danni che possono essere predeterminati;pare evidente, però,che tale risarcimento non può mai essere superiore a quello posto a carico del contraffattore consapevole>, p. 51 in fondo.

Subito dopo aggiunge:

<Pare altresì evidente  che anche l’ipotesi di risarcimento di cui alla lettera a) del  suddetto  art.  13  c.  1 della  Direttiva 2004/48/CE per  il  caso  di  violazione  commessa  dal  contraffattore  consapevole possa avere ad oggetto anche i profitti realizzati dall’autore della violazione (visto il riferimento a “i benefici realizzati  illegalmente  dall’autore  della  violazione”) senza  alcuna specifica limitazione;  pertanto, secondo   la   disciplina   contenuta   nella direttiva   europea, il   profitto   realizzato   dal   contraffattore consapevole (che  costituirebbe  il  danno  da  risarcire  al  titolare  del  diritto  leso)  potrebbe  anche  essere maggiore rispetto al lucro cessante effettivo (cioè al mancato guadagno subito dalla parte lesa)> p.52

Secondo Gima/IMA invece la dir. consente il trasferirmento dei profitti solo se il contrattaffattore è incolpevole,  p. 52.

La Corte non è d’accordo e sostiene che è fruibile anche da parte del contraffattore consapevole: <il comma 3 dell’art. 125 D.Lvo 30/2005 introduce, come detto, la possibilità, per il titolare del diritto leso, di  ottenere, a  sua  esplicita  richiesta, a  carico  del  contraffattore  anche  consapevole, anziché  il risarcimento  commisurato  al  lucro  cessante  (determinato  in  misura  pari  alla royalty ragionevole, previsto  dal  comma  2  dello  stesso  articolo,  ovvero in  misura  pari al  suo  mancato  guadagno  effettivo, previsto dal comma 1), il risarcimento  commisurato all’importo dei profitti realizzati dall’autore della violazione, quand’anche superiore all’importo del suo mancato guadagno>,  p. 52

Qui la CdA non brilla per chiarezza concettuale (parzialmente scusabile per l’opacità del dettato normativo). Innantitutto dovremmo distinguere tra interpetazione della direttiva e intereptazione della norma nazionale, per vedere se la seconda ha attuato correttamente la prima.

Soprattutto la Corte equivoca tra risarcimento del danno (funzione compensativa)  e trasferimenot dei profitti (funzione restitutoria, se non -come pare- punitiva).

Secondo l’art. 13 dir. al c. 1 sub a)  (autore consapevole) , dir., i profitti son considerati si ma solo per determinare il lucro cessante, cioè come uno dei possibili parametri di liquidazione del danno cagionato. Non si esce dalla compensazione.

Invece secondo il c. 2 (autore inconsapebole) gli Stati possono disporre il trasferimento dei profitti (o danni predeterminati).

Ogni tentativo, di dire quale sia misura più gravosa tra il risarcimento del danno e il traswferimento dei profitti, non andrà a buon fine: dipende dalle circostanze del caso e  in particolare dal ruolo di vittima o di aggressore della parte economicamente più forte.

in ogni caso per la Corte che il trasferimento dei profitti è chiedibile anche da parte del contraffattore consapevole e ciò anche se superiori al mancato guadagno (dato che il colpevole non può reicevere un trattamento migliore del non colpevole, parrebbe di capire) .

Effettivamente il c. 3 del nostro art. 125 c.p.i. è muto sul profilo soggettivo (grave difetto del legislatore nazionale!) per cui la tesi della Cda è in prima battuta sostenibile.

Recupero dei profitti totali o solo di una loro parte (apportionment)?  –  Inoltre dice la Corte che Cama 1 avrebbe  avuto  diritto  al  trasferimento  degli  utili  complessivi  conseguiti  da  Gima/IMA dall’intera commessa (cioè dalla vendita per tutte e cinque le linee di imballaggio di tutti i macchinari e i servizi che ne facevano parte) <solo nel caso in cui fosse risultato provato che i contratti di vendita in questione  erano  stati  conclusi  esclusivamente  perché  Gima/IMA  aveva  promesso  di  fornire  a  Mother Parkers anche le macchine astucciatrici, incorporanti i trovati oggetto dei brevetti di Cama1> p. 53.

Toccava però a Cama1 dare la prova di ciò ma non lo ha fatto.

<in conclusione, resta del tutto escluso che Gima/IMA avesse ottenuto la  commessa solo perché aveva offerto anche la fornitura della macchina astucciatrice, dotata dei trovati oggetto dei brevetti di Cama 1. Pertanto Cama 1 ha diritto alla retroversione degli utili, ma solo di quelli conseguiti da Gima/IMA dalla vendita a Mother Parkers delle cinque macchine astucciatrici contraffattori> p. 57

Calcolo degli utili – Secondo la corte gli utili vanno identificati nel margine operativo lordo, p. 57 ss

In particolare, <l’utile conseguito  dal contraffattore(oggetto  quindi  del  diritto  di  restituzione  del titolare del diritto leso) sia “rappresentato dal  confronto  fra  i  soli  ricavi  e  i  soli  costi incrementali”relativi alle  macchine  astucciatrici,“escludendo  dal  calcolo  gli  eventuali costi  comuni  ad  altre  produzioni  (in  prevalenza  costi  fissi)che l’azienda  avrebbe  comunque  sostenuto;la  grandezza  da  ricercare  ha  natura incrementale  rispetto  al MOL (margine  operativo  lordo) complessivo  aziendale  ed  è  il risultato  algebrico  della  somma  dei ricavi realizzati dalla vendita dei prodotti oggetto di contraffazione, dedotti i solicosti diretti sostenuti per  la  specifica produzione/commercializzazione  di  quei  prodotti,  ed  esclusi quindi  tutti  i  costi  di struttura,  di  servizi,  gli  oneri finanziari  e  i  costi  del  personale,non  specificamente  imputabili alla produzione/commercializzazione dei prodotti contenenti l’oggetto della contraffazion>, p.58.

Anzi, nel caso specifico , <“l’indagine….deve  essere  condotta….riferendone  i risultati  alle tre  società  indicate coinvolte (Gimas.p.a.,  I.M.A.  Industria  Macchine  Automatiche s.p.a.e  I.M.A.Industries s.r.l.,  ora  incorporata  in  IMA)  e  quindi procedendo  alla stima  di  una  figura  speciale  di “MOL di Gruppo”, in ragione della posizione di capogruppo della società I.M.A. Industria Macchine Automatiche  SpA,  cui  “risalgono”  in  tale  sua  qualità tutti  i  risultati  economici  delle  società appartenenti al Gruppo.”>, p. 58

Il danno emergente: la domanda è rigettata –  <il  danno  emergente  non  può  che  consistere  nella  perdita  di  valore, provocata dal fatto illecito del contraffattore, di un bene materiale o immateriale, posseduto dal titolare del diritto leso. Cama 1, con argomentazioni in verità piuttosto confuse, ha sostenuto, come sopra esposto, che, a causa della contraffazione oggetto della presente controversia, dell’esposizione della macchina contraffattoria a un’importante  fiera di  settore  e  della  pubblicazione della  stessa,  da  parte  di  Gima, sul  proprio  sito Internet, i  brevetti  violati  avrebbero  subito  una  perdita  di  valore  e  conseguentemente  sarebbero  stati, almeno  in  parte, vanificati  i  relativi  investimenti;  in  particolare, la  somma  spesa  per  la  ricerca  e  lo sviluppo dei trovati per € 328.882, la somma spesa per la tutela brevettuale per € 74.883 e le spese sostenute per la promozione pubblicitaria della macchina con i relativi brevetti per non meno di € 9.000.00>, p. 63

Contraria la CdA: <Nella  fattispecie  in  esame, peraltro,  risulta  provata  una  serie  di  circostanze da  cui  può invece ragionevolmente presumersi che nessun danno emergente abbia subito Cama 1:

– il CTU ha accertato che, anche dopo l’episodio di contraffazione in questione,Cama 1 non ha subito nessuna diminuzione di fatturato;. 

– il  fatto  illecito,  pur  certamente  commesso  in  Italia,  si  è  concretizzato  in  Canada, mercato in  cui  non hanno efficacia i brevetti azionati da Cama 1 nella presente  controversia e in cui, a causa del patto di esclusiva che la legava a Keurig, Cama 1 non avrebbe potuto vendere la sua macchina astucciatrice;

– Cama  1,  come  accertato  dal  CTU,  non  ha  ritenuto  di  ricorrere  ad  alcuna  azione  pubblicitaria riparatoria;

– l’investimento per la ricerca e lo sviluppo dei trovati poi brevettati è stato avviato al fine di effettuare la fornitura della macchina a Caffita s.p.a., quindi è presumibile che fosse stato già, se non totalmente almeno in parte, ammortizzato dalla vendita conclusa con tale cliente°> p. 63

il danno morale  –   <Premesso che il danno morale, per una persona giuridica che svolge attività di impresa, si identifica con il  danno  alla  sua  reputazione  commerciale,  di  persé  considerata,  a  prescindere  cioè  dalle  eventuali conseguenze economiche che ne siano derivate, nella fattispecie in esame Cama 1 non ha fornito alcuna prova  dell’esistenza di un dannodi  tale  natura,  tanto  più  che  la  violazione  del  suo  diritto  si  è concretizzata  con  la  vendita  della  macchina  contraffattoria  a  un  unico  cliente,  estraneo  al  mercato europeo  (dove  hanno  efficacia  i  brevetti  contraffatti),  esi  è  immediatamente  esauritain  seguito  alla reazione  di  Cama  1,  con  la  promozione  del  ricorso  perdescrizione  del  24.1.2013,  e  alla  conclusione dell’accordo  con  Mother  Parkers  del  10.3.2013 (con cui Cama 1 ha acconsentito a quest’ultima di ottenere la consegna di quanto già ordinato); pertanto apparecomunque verosimile che nessuna lesione della reputazione commerciale di Cama 1 si sia verificata>,  p. 64

L’effetto sulla lite della transazione conclusa da Cama1 con MP –  il quantum percepito da Cama1 va detratto dalla condanna inbase al principio della compensatio lucri cum damno:

<come  sopra  esposto, il  diritto  di  Cama  1  ad  ottenere  una  somma  commisurata  agli  utili  conseguiti  da Gima/IMA  trova  il  suo fondamento nel fatto che quest’ultima ha prodotto, venduto e si  apprestava  a consegnare a Mother Parkers le cinque macchine astucciatrici FTB 549-C, incorporanti i trovati di cui ai brevetti EP ‘612 e EP ‘151 di cui era titolare Cama 1; ebbene quest’ultima ha acquisito il diritto di ottenere il  pagamento  da  Mother  Parkers della somma di € 288.000 proprio con  la  stipulazione  della transazione del 10.3.2013, che trova il suo fondamento esclusivamente nel fatto che Gima/IMA aveva prodotto,  venduto  e  si  apprestava a  consegnare  a  Mother  Parkers  le  suddette  cinque  macchine astucciatrici FTB 549-C. Pertanto dal medesimo fatto, l’avvenuta vendita da parte di Gima/IMA a Mothers Parkers di cinque macchine astucciatrici, incorporanti i trovati di cui ai brevetti violati, sono derivati, da un lato, il danno che deve essere risarcito da Gima/IMA (che Cama1 ha chiesto venisse commisurato agli utili da quella conseguiti  dalla  vendita  illecita),  e, dall’altro lato,  il  guadagno,  consistente  nella  somma pagatada Mother  Parkers,  guadagno  che  Cama  1  non  avrebbe  mai  potuto  conseguire,  in  assenza  dell’attività illecita  posta  in  essere  da  Gima/IMAper  aver  venduto  a  Mother  Parkers  le  macchine  contraffattorie,  che Cama1 non avrebbe mai potuto vendere (per i motivi più volte richiamati>, p. 68.

Qui il concetto decisivo per procedere alla compensazione  è naturalmente quello di <medesimo fatto> , che da solo richiederebbe esame ad hoc.

Concorrenza sleale  –  <In ordine agli asseriti atti di concorrenza sleale, di cui all’art. 2598 n. 3 c.c. (secondo cui “compie atti di concorrenza sleale chiunque…. si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”),  il  fatto della contraffazione dei  brevetti, di  cui  è  causa, non  costituisce  di  per  sé  un  atto  di  concorrenza  sleale,   in assenza  della  prova  di  una sua specifica e  autonoma rilevanza in  tal  senso,   tanto  più  che  nella  fattispecie in esame, per  tutte le ragioni sopra esposte (vale a dire la sussistenza del patto di esclusiva con Keurig, che impediva a Cama1 di vendere le proprie macchine nel mercato nordamericano), Cama 1, non avrebbe in ogni caso potuto lecitamente svolgere l’attività svolta da Gima/IMA, che quindi non può essere considerata quale attività concorrenziale con la sua. In  ordine  agli  asseriti atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 n. 2 c.c., il fatto che  Gima/IMA abbia pubblicato  nel  proprio  sito  web  la  macchina astucciatrice  FTB  549-C,  incorporante  anche  i ritrovati  dei  brevetti  di  cui  è  causa,  non  costituisce  di  per  sé,  come  già  rilevato  dal  Tribunale, appropriazione  di  pregidei  prodotti  di  un  concorrente,  essendo  del  tutto  mancata  la  prova  della sussistenza  di  una  qualunque  attività  concreta,  svolta  da  Gima/IMA,  diretta  ad  attribuireal  proprio prodotto, dinanzi al mercato di riferimento, le caratteristiche innovative del prodotto della concorrente>,  p. 70/1

Pubblicazione della sentenza –  <La  pubblicazione  della  sentenza,  che, per quanto riguarda l’accertamento della validità dei brevetti azionati e la loro contraffazione, conferma quella pronunciata dal Tribunale di Milano, non è necessaria e  neppuredi  alcuna concreta utilità  riparatoria  del  danno  subito  da  Cama  1 in  conseguenza  della contraffazione accertata, in considerazione del fatto che la contraffazionerisulta attuata da Gima/IMA con riguardo al mercato nordamericano (in cui i brevetti contraffatti, azionati nel presente giudizio, non avevano alcuna efficacia), del  fatto che con l’accordo transattivo del 10.3.2013 Cama 1 ha  comunque autorizzato Mother Parkers a ricevere (e quindi ad utilizzare) le macchine contraffattorie edel fatto che, una volta eseguita la commessa in questione, la contraffazione non ha più avuto alcunulteriore seguito>, p. 73

Decadenza per non uso: altro grande marchio che vi incappa

anche la Ferrari non evita nua decadenza per non uso per uno de isuo imarchi, come era già successo per il marchio Big Mac su cui v. mio post 17.01.2019.

Nel caso de quo si trattava del marchio di forma rappresentante quella che poi sarà chiamata Ferrari 250 GTO.

Il marchio era il seguente:

(rappresentazione del marchio tratta dal database EUIPO)

La domanda di regitrazione era stata presentata il 24.12.2007 e accolta il 29.9.2008 (marchio N. 6 543 301). Il contestante osserva però che questo marchio è stato usato solo tramite 36 modelli di Ferrari 250 GTo prodotti tra il 1960 e il 1962.

L’ufficio europeo però accoglie la domanda di decadezna (dcisione 29.05.2020 della Cancellation division, proc. direvoca n° C 30 743,  leggibile nel data base EUIPO).

La norma pertinente è l’art. 58.1.a dell’ EUTMR (p. 4), reg. 2017/1001, v. la pag. sui testi normativi  nel sito dell’EUIPO),  secondo cui <<Il titolare del marchio UE è dichiarato decaduto dai suoi diritti su domanda presentata all’Ufficio o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione:

a) se il marchio, per un periodo ininterrotto di cinque anni, non ha formato oggetto di un uso effettivo nell’Unione per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione; tuttavia, nessuno può far valere che il titolare è decaduto dai suoi diritti se, tra la scadenza di detto periodo e la presentazione della domanda o della domanda riconvenzionale, è iniziata o ripresa l’utilizzazione effettiva del marchio; peraltro, l’inizio o la ripresa dell’utilizzazione del marchio, qualora si collochi nei tre mesi precedenti la presentazione della domanda o della domanda riconvenzionale, a condizione che il periodo di tre mesi cominci non prima dello scadere del periodo ininterrotto di cinque anni di mancata utilizzazione, non vengono presi in considerazione qualora si effettuino preparativi per l’inizio o la ripresa dell’utilizzazione del marchio solo dopo che il titolare abbia appreso che la domanda o la domanda riconvenzionale potrà essere presentata; (..)>>

La decisione è interessante per i dettagliati profili fattual-probatori  e in particolare per i disperati tentativi di Ferrari di dare prova dell’uso. Però l’esito  è sfavorevole almeno per classe 12 , relativa a veicoli.

Il punto più rilevante è il paragrafo Class 12 della sezione Assessment of genuin use-Factors, p. 17/18

E’  vero che era stata ammessa la possibilità di uso salvifico avvenuto anche in una sola occasione: <In the Minimax judgment, the Court held that, in certain circumstances, use of the mark may be considered genuine also for ‘registered’ goods that had been sold at one time and were no longer available (11/03/2003, C-40/01, Minimax, EU:C:2003:145, § 40 et seq.).

This may apply where the proprietor of the trade mark under which such goods had been put on the market sells parts that are integral to the make-up or structure of the goods previously sold. The same may apply where the trade mark proprietor makes actual use of the mark for after-sales services, such as the sale of accessories or related parts, or the supply of maintenance and repair services>.

Tuttavia nel caso su iudice <the EUTM proprietor did not prove use of the mark in the course of trade for any of the goods in Class 12. The evidence demonstrates that a vehicle model in the shape of the mark used to be built between 1962 and 1964, but there is no evidence of use for these goods, or any of the other goods covered in Class 12, by the proprietor in the relevant period of time.

In this regard, it should be noted that reputation or goodwill of the contested EUTM on the part of the public, as attested by affidavit and confirmed by the press articles, are irrelevant in the case at hand.

As claimed by the EUTM proprietor, the evidence shows that a few vintage (second-hand) models of ‘Ferrari 250 GTOs’, the shape of which corresponds to the contested EUTM, have changed owners at auctions, private transactions, and some through specialist dealers. Furthermore, considering the nature of the goods concerned, which are very rare and highly expensive sports cars, as well as the structure of the relevant market, it is true that the number of vehicles sold under the mark does not, in principle, have to be extensive. However, such sales do not constitute genuine use attributable to the EUTM proprietor, because the latter does not have any influence on these resales.>

Si badi: le rivendite da parte degli acquirenti (cioè il mercato dell’usato) non valgono uso per il gruppo Ferrari. Ineccepibile: si tratta di condotte di terzi e non del titolare del marchio.

Inoltre l’assistenza postvendita era stata effettuate sotto il marchio Ferrari, non con quello contestato, p.  17/18.

Perciò <an overall assessment must be made taking account of all the relevant factors in the particular case. That assessment implies a certain interdependence between the factors taken into account. Thus, a low volume of goods marketed under that trade mark may be compensated for by high intensity of use or a certain constancy regarding the time of use of that trade mark or vice versa (08/07/2004, T-334/01, Hipoviton, EU:T:2004:223, § 36).
In the present case, the Cancellation Division considers that genuine use of the contested EUTM has been sufficiently demonstrated for the relevant factors in relation to toy vehicles, scale-model vehicles, whereas no use of the mark or proper reasons for non-use have been demonstrated in relation to any of the other goods for which it is registered.> p. 18.

Vedremo se Ferrari accetterà o meno la decisione .