Nel fondo patrimoniale, cade sul debitore l’onere di provare l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia

Cass. civ., sez. V, sent. 11 ottobre 2024, n. 26496, rel. Chieca:

<<Posto che l’iscrizione di ipoteca su beni conferiti nel fondo patrimoniale è legittima soltanto se il debito da garantire sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari o se il titolare del credito per il quale si procede non fosse a conoscenza di tale estraneità e considerato che il criterio identificativo dei crediti suscettibili di realizzazione in via esecutiva va ricercato nella relazione esistente fra il fatto generatore delle obbligazioni e il soddisfacimento delle esigenze familiari, l’estraneità ai bisogni della famiglia non può ritenersi dimostrata, né esclusa, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa, spettando, in ogni caso, al contribuente dimostrare i fatti che possono condurre all’illegittimità dell’ipoteca ovvero l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia e la consapevolezza di tale estraneità da parte del creditore>>

(massima di CEsare Fossati in Ondif)

Keyword advertising e avvedutezza del consumatore medio online nel diritto dei marchi

L’appello del 9 circuito n. 23-16060 del 22.10.2024, Lerner&Rowe v. Brown Engstrand&Shely decide una lite per violazione di marchio tra due studi legali avvenuta tramite keyword advertising (k.a.).

Il Panel non affronta le legittimità di quest’ultimo strumento secondo la legge marchi, limitandosi a dire che non ricorre confondibilità tra gli esiti della ricerca Google e il nome/i segno dello studio attore.

Rigetta quindi la domanda.

E’ infatti assai  fiducioso sull’avvedutezza dell’utente medio di internet:

<<Google’s search engine is so ubiquitous that we can be confident that the reasonably prudent online shopper is familiar with its layout and function, knows that it orders results based on relevance to the search term, and understands that it produces sponsored links along with organic search results. Moreover, in this case, the relevant consumers specifically typed in “Lerner & Rowe” as a search term, suggesting that they would be even more discerning of the results they received. Therefore, because this case involves shopping on Google by using the precise trademark at issue, this factor weighs in favor of ALG.>>

E poi:

<The district court was correct to conclude that this is one of the rare trademark infringement cases susceptible to summary judgment. The generally sophisticated nature of online shoppers, the evidence demonstrating that there is not an appreciable number of consumers who would find ALG’s use of the mark confusing, and the clarity of Google’s search results pages, convince us that ALG’s use of the “Lerner & Rowe” mark is not likely to cause consumer confusion.>>.

Del che c’è da dubitare, come avverte Eric Goldman (dal cui blog prendo notizia della e link alla sentenza)

L’opinione concorrente di  J. Desai invece esamina se il k.a. costituisca “uso del marchio”. Ricorda un importante precedente del 2011 del 9 ciruito, che rispose in senso affermativo: ma ora intende rovesciarlo,  perchè non esatto.

<<Whether an action, like bidding
on keywords, that involves no display or presentation of a
mark whatsoever satisfies the “use in commerce” definition.
In other words, does a buyer of advertising keywords who
bids on certain terms and phrases “use” its competitor’s
mark when bidding on it?
In Network Automation, we answered, yes. 638 F.3d at
1144–45. But we provided no analysis to support this
holding, id. at 1145, and we relied on cases with
meaningfully different facts. >>

Chiede quindi un riesame della questione.

Cass. sez. I, Ord. 18.10.2024, n. 27.043, rel. Parise:

Regola astratta

<Secondo il più recente orientamento di questa Corte, invero, l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa (Cass. S.U. 32198/2021 ; Cass. 14256/2022). Infatti, alla luce delle Sezioni Unite n. 18287/2018 e n. 32198/2021, la ricostruzione dell’assegno divorzile sulla base di un criterio non più soltanto assistenziale, ma anche compensativo-perequativo comporta un temperamento del principio della perdita “automatica ed integrale” del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova convivenza.

È stato altresì precisato che, ai fini della revoca dell’assegno divorzile, la convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche e reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, gravando l’onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023) [solo che con la convivenza di fatto non nasce alcun obbligo, nemmeno dopo la L. 76/2016!!!!]. Si è affermato che il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. 14151/2022).

La coabitazione, dunque, ai fini che qui interessano, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo”. Occorre, comunque, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729
c.c.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729
c.c. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche e, come si è detto, il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023citata)>>.

Applicata al caso de quo:

<<2.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è attenuta ai suesposti principi e, con motivazione congrua (Cass. S.U. 8053/2014), ha accertato che “gli elementi emersi, pacificamente assente la stabile convivenza (C.C. peraltro vive a R e non a P), non documentano con sufficiente certezza la formazione di una famiglia di fatto, non essendo prova sufficiente di una sostanziale comunione e condivisione di vita e di impegni economici i viaggi e le vacanze estive della coppia, la frequentazione domestica, documentata occasionalmente, né la dazione di somme di denaro nel periodo (marzo 2010 – 2018) in cui A.A. non le versava gli assegni (circostanza che aveva indotto la controparte ad iniziare azioni esecutive sulle quote delle società di famiglia del A.A., abbandonate dopo il pagamento da questi effettuato con denari provenienti da una eredità pervenutagli dalla madre), e che dopo tale pagamento la B.B. ha iniziato a parzialmente restituire come da documentazione prodotta già in primo grado”.

Dunque, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di merito non ha valorizzato solo la mancata coabitazione, ma ha valutato il compendio probatorio complessivo, pervenendo alla conclusione della mancata dimostrazione in causa della “famiglia di fatto”. Va ribadito che è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza, o della non ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. 1216/2006; Cass. 15219/2007; Cass. 656/2014; Cass. 1792/2017, che ha affermato come il risultato dell’ accertamento in merito alla valida prova presuntiva, se adeguatamente e coerentemente motivato, “si sottrae al sindacato di legittimità, che è invece ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante”; Cass. 19987/2018; Cass. 1234/2019, ove si è ribadito che il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 , comma 1, n. 5, c.p.c.). È stato altresì chiarito, a tale riguardo, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 , n. 3, c.p.c. per violazione della norma dell’art. 2729 c.c., la critica non può svolgersi mediante argomentazioni dirette ad infirmare la plausibilità della ricostruzione del fatto da parte del giudice di merito (Cass. 18611/2021), come, invece, è nella specie, poiché il ricorrente in buona sostanza si limita a criticare la valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di merito (secondo motivo)>>.

Valore probatorio della mail

Cass. sez. III, ord. 18/09/2024  n. 25.131, rel. Rubino:

<<La decisione di merito è coerente, peraltro, con le più recenti affermazioni di legittimità in ordine al valore da attribuire alle mail. Si è recentemente affermato che, in merito al valore da attribuire alle comunicazioni inviate mediante posta elettronica semplice, i principi desumibili dalla legge sono pochi e semplici, e possono così riassumersi: (a) il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c.; (b) se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate (così già Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11606 del 14/05/2018, Rv. 648375 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 30186 del 27.10.2021 (in motivazione, pag. 4); Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3540 del 6.2.2019; una conferma a contrario di tali principi si ricava anche da Sez. 2 – , Ordinanza n. 22012 del 24/07/2023, la quale ha negato che una e-mail priva di firma elettronica avanzata soddisfi il requisito della forma scritta, ma solo se tale forma sia richiesta ad substantiam negotii); (c) se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo in una con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità (da Cass. n. 14046 del 2024)

La mail semplice è dunque un documento informatico scritto che entra nel processo e che deve essere valutato dal giudice.

Quanto alla ricezione delle comunicazioni a mezzo mail, si è più volte affermato che il titolare dell’indirizzo mail ne è responsabile, nel senso che non può limitarsi a negare di aver mai ricevuto la comunicazione, ma deve controllare che la ricezione della posta non sia bloccata e che i messaggi non siano finiti nella spam, rimanendo nella sua responsabilità la mancata conoscenza di un messaggio che gli sia stato regolarmente inviato e del quale non abbia preso conoscenza per il malfunzionamento della sua casella di posta elettronica o perché finito nella spam. [errore: il punto probtorio è proprio capire quando sia raggiunta la prova e a chi incomba -al mittente, direi-  che il messaggio gli statao consegnato].

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha preso atto che esiste un documento, firmato dal ricorrente per ricezione, che contiene la firma non disconosciuta del ricorrente, con il quale questi riceve la comunicazione del dispositivo della decisione della CTR. Il ricorrente non è riuscito a provarne l’abusivo riempimento. Sulla base di questo, ha ritenuto accertato che la mail informativa fosse stata inviata al ricorrente [errore colossale: v. appunto precedente] , ed ha ritenuto assolto l’obbligo informativo>>.

Sulla prova del dolo testamentario (art. 624 cc)

Cass. sez. II, sent. 11/10/2024 n. 26.519, rel. Cricenti:

<<La sentenza impugnata si é uniformata all’insegnamento della Suprema Corte, secondo il quale “al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni; occorre, invece, la prova dell’avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sua età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata” (Cass. 31.8.2023 n. 25521; Cass. 28.2.2018 n. 4653), ed é opportuno rammentare che la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore (Cass. 31.8.2023 n. 25521; Cass. 17.10.2022 n. 30424), mentre nel caso di specie tutti i capitoli di prova testimoniale riproposti dal ricorrente, e ritenuti dalla Corte d’Appello di Venezia inidonei a provare la captazione della volontà del de cuius da parte di Gi.Ri., non avrebbero consentito di identificare e ricostruire attività specifiche di condizionamento della volontà del testatore ad opera del fratello Ri., difettando quindi della necessaria decisività>>.

Concorso di colpa del danneggiato nella responsabilità da cosa in custodia

Cass. sez. 3 , ord. 16.10.2024 n. 26.895, rel. Guizzi, sul’art. 2051 cc (caduta di un minorenne  in una buca nel marcipiede):

<<Errata è, poi, l’affermazione – censurata con il quarto motivo
di ricorso – secondo cui, quanto “rileva al fine di escludere del
tutto la responsabilità del custode (…) non è la mera condotta
colposa del danneggiato, ma la sua eccezionalità, imprevedibilità
e «imprevenibilità»”. Su tali basi, dunque, la sentenza impugnata
ha ritenuto che “nella fattispecie in esame, non può affermarsi
che la condotta dì un ragazzo appena dodicenne fosse
assolutamente imprevedibile e, allo stesso modo, non può
affermarsi che l’evento non fosse prevenibile mediante l’adozione
di idonee cautele, quali ad esempio la chiusura del lato aperto
della piattaforma con una staccionata, ovvero, la chiusura
provvisoria della buca ivi esistente, di talché deve escludersi che
la condotta del danneggiato e di che ne aveva l’onere della
vigilanza e del controllo possano avere reciso del tutto il nesso
eziologico tra il danno e la res custodita”.
Tale argomentare, per vero, contrasta con il principio
giurisprudenziale secondo cui, “in tema di responsabilità per cosa
in custodia, l’incidenza causale (concorrente o esclusiva) del
comportamento del danneggiato presuppone che lo stesso abbia
natura colposa, non richiedendosi, invece, che la condotta si
presenti anche come autonoma, eccezionale, imprevedibile e
inevitabile” (da ultimo, tra le molte, Cass. Sez. 3, sent. 24
gennaio 2024, n. 2376, Rv. 670396-01)>>

Il genitore ha legittimazione per chiedere l’assegno di mantenimento spettante al figlio con lui convivente

Cass. sez. I, ord., 11 ottobre 2024, n. 26.503,  Rel. Iofrida:

<<In tema di mantenimento dei figli, la legittimazione del genitore convivente con il figlio maggiorenne, in quanto fondata sulla continuità dei doveri gravanti sui genitori nella persistenza della situazione di convivenza, concorre con la diversa legittimazione del figlio, che trova invece fondamento nella titolarità del diritto al mantenimento, sicché si possono ritenere pertinenti i principi dettati in tema di solidarietà attiva. Ne consegue che, nel caso in cui ad agire per ottenere dall’altro coniuge il contributo al mantenimento sia il genitore con il quale il figlio medesimo continua a vivere, non si pone una questione di integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio diventato maggiorenne, non sussistendo in caso di mancato esercizio, da parte di quest’ultimo, del diritto di agire autonomamente nei confronti del genitore con cui non vive, alcun conflitto con la posizione assunta dal genitore con il quale continua a vivere>>

(massima di Cesare Fossati in Ondif)

Assegno di mantenimento da divorzio

Cass. sez. I ord. 11 ottobre 2024 n. 26.520,
Rel  Iofrida:

<<L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico – patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali – reddituali – che il richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale>>.

(Nella fattispecie, il contributo dato dalla moglie alla formazione del patrimonio del marito e/o di quello comune è derivato dall’assunzione su di sé dell’onere di accudimento della casa e dei figli così da consentire al marito di dedicarsi alla propria carriera.

In punto quantificazione, considerato il testo della norma, la Corte d’appello si è riportata alla motivazione espressa in primo grado, integrandola correttamente con la considerazione della spettanza dello stesso in funzione perequativa – compensativa, tenuto conto della durata del matrimonio, dell’età dell’avente diritto, del contributo fornito dalla moglie alla condizione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale dell’ex coniuge, del venir meno dell’assegnazione della casa coniugale e così rispettando dunque i parametri di legge).

(massima e commento di Cesare Fossati in Ondif)

la responsabilità del coerede per i debiti ereditari e l’integrazione del contraddittorio

Cass. sez. II, sent . 16 ottobre 2024 n. 26.833, rel. Trapuzzano:

<<Il coerede che sia stato convenuto in giudizio per il pagamento di un debito ereditario è tenuto ad eccepire la propria qualità di obbligato “pro quota”, in virtù dell’esistenza di altri coeredi, mentre, laddove tale qualità sia sopravvenuta all’inizio di un processo originariamente introdotto nei confronti del “de cuius”, tra i coeredi si instaura una condizione di litisconsorzio necessario processuale, applicandosi conseguentemente la regola di cui all’art. 754 c.c., secondo la quale ciascuno di essi risponde, nei confronti del creditore, nei limiti della propria quota ereditaria.

(Nella fattispecie la morte della parte volta evocata in causa quale erede, è avvenuta nel corso del giudizio di primo grado, con l’effetto che tale evento interruttivo ha determinato la trasmissione della sua legittimazione processuale attiva e passiva agli eredi, che si sono venuti a trovare nella posizione di litisconsorti necessari per ragioni processuali, sicché, in fase di appello, doveva essere ordinata, d’ufficio, l’integrazione del contraddittorio)>>.

(preso da Valeria Cianciolo in Ondif)

La tutela del software copre solo i codici sorgente e oggetto, non le variabili ulteriori, sulle quali i concorrenti possono apportare modifiche con applicaizoni integrative

Importante (perchè non scontata) ed esatta precisazione di Corte Giust. 17/10/2027, C-159/23, Sony c. DAtel .

Il fatto:

<<15 La Sony commercializza, in qualità di licenziataria esclusiva per l’Europa, consolle per videogiochi Playstation nonché videogiochi per tali consolle. Fino al 2014, la Sony commercializzava, tra l’altro, la consolle PlayStationPortable (in prosieguo: la «consolle PSP») nonché taluni videogiochi per questa consolle, fra cui il videogioco MotorStorm Arctic Edge (in prosieguo: il «videogioco di cui trattasi»).

16 La Datel sviluppa, produce e distribuisce software, in particolare prodotti integrativi delle consolle per videogiochi della Sony, tra cui il software Action Replay PSP nonché un dispositivo, il Tilt FX, corredato di un software avente lo stesso nome, che consente di comandare la consolle PSP mediante movimento nello spazio. Tali software funzionano esclusivamente con i giochi originali della Sony.

17 L’esecuzione del software Action replay PSP avviene collegando la consolle PSP a un elaboratore ed inserendo in tale consolle una chiavetta USB che carica detto software. Dopo il riavvio di detta consolle, l’utilizzatore dispone, nell’interfaccia, di una funzione supplementare «Action replay» che offre all’utilizzatore opzioni di gioco non previste nell’attuale fase del videogioco da parte della Sony. In tale scheda figurano, ad esempio, per quanto riguarda il videogioco di cui trattasi, opzioni che consentono di eliminare qualsiasi restrizione nell’utilizzo del «turbo» (booster) o di disporre non soltanto di una parte dei conducenti, ma anche della parte di essi che, altrimenti, potrebbe essere attivata solo dopo aver ottenuto un determinato punteggio.

18 Per quanto riguarda il Tilt FX, l’utilizzatore dispone di un sensore che è collegato alla consolle PSP e che consente di comandare tale consolle grazie ai movimenti di quest’ultima nello spazio. In tale consolle deve essere introdotta anche una chiave USB allo scopo di predisporre l’intervento del sensore di movimento, il che rende disponibile, nell’interfaccia, una funzione supplementare che elimina, in particolare, talune restrizioni. Così, per il videogioco di cui trattasi, tale funzionalità consente un utilizzo illimitato del turbo>>.

La CG:

37  Risulta quindi dalla formulazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2009/24, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, che il codice sorgente e il codice oggetto rientrano nella nozione di «forma di espressione» di un programma per elaboratore, ai sensi di tale disposizione, in quanto consentono la riproduzione o la realizzazione di tale programma in una fase successiva, mentre altri elementi di quest’ultimo, quali in particolare le sue funzionalità, non sono tutelati da tale direttiva. Detta direttiva non tutela neppure gli elementi mediante i quali gli utilizzatori sfruttano tali funzionalità, senza tuttavia consentire una simile riproduzione o realizzazione del programma in una fase successiva.

38 Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 38 e 40 delle sue conclusioni, la tutela garantita dalla direttiva 2009/24 è limitata alla creazione intellettuale quale essa si riflette nel testo del codice sorgente e del codice oggetto e, pertanto, all’espressione letterale del programma per elaboratore in tali codici, che costituiscono rispettivamente una serie di istruzioni in base alle quali l’elaboratore deve svolgere i compiti previsti dall’autore del programma. (…)

50  Nel caso di specie, il giudice del rinvio osserva che il software della Datel è installato dall’utilizzatore sulla consolle PSP ed è eseguito contemporaneamente al software di gioco. Detto giudice aggiunge che tale software non modifica e non riproduce né il codice oggetto, né il codice sorgente, né la struttura interna e l’organizzazione del software della Sony, utilizzato sulla consolle PSP, ma si limita a modificare il contenuto delle variabili temporaneamente inserite dai videogiochi della Sony nella memoria RAM della consolle PSP, che sono utilizzate durante l’esecuzione del videogioco, cosicché quest’ultimo viene eseguito sulla base di tali variabili dal contenuto modificato.

51 Inoltre, come risulta dalla motivazione della decisione di rinvio, risulta che il software della Datel, modificando unicamente il contenuto delle variabili inserite da un programma per elaboratore tutelato nella memoria RAM di un elaboratore ed utilizzate da tale programma nel corso della sua esecuzione, non consente, in quanto tale, di riprodurre tale programma né una parte di esso, ma presuppone, al contrario, che tale programma sia eseguito in contemporanea. Come sostanzialmente sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, il contenuto delle variabili costituisce quindi un elemento di detto programma, attraverso il quale gli utilizzatori sfruttano le funzionalità di tale programma, elemento che non è protetto in quanto «forma di espressione» di un programma per elaboratore ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2009/24, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare>>.

La tutela concerne le forme diespressioone di unprogramma le quali << sono quelle che consentono di riprodurlo in diversi linguaggi informatici, quali il codice sorgente e il codice oggetto >>, § 34.