Impugnazione della chiusura dell’account Youtube per misleading informazioni sanitarie (sul Covid19): non ci sono speranze per questo tipo di azioni

Eric Goldman nel suo blog segnala Northern District della California S. Francisco Div. del 4 settrmbre 2023 Case 3:22-cv-05567-LB, Mercola v. Google etc., decide l’istanza di riapetura dell’account , poi corretta in mero accesso per il recupero dei dati, proposta da medico no-vax.

Decide e rigetta, naturalmente. Il modulo contrattuale preparato da Youtube le permette di far cessare senza problemi il rapporto quando c’è vioalazione delle clausole (terms of service o guidelines ) regolanti i contenuti

Nemmeno la buona fede può operare, dato che c’è violazione di un patto specifico

<<The covenant of good faith and fair dealing is implied in every contract and prevents one party from “unfairly frustrating the other party’s right to receive the benefits” of the contract. Guz v. Bechtel Nat’l Inc., 24 Cal. 4th 317, 349 (2000). To allege a claim for breach of the covenant of good faith and fair dealing, a plaintiff must allege the following elements: (1) the plaintiff and the defendant entered into a contract; (2) the plaintiff did all or substantially all of the things that the contract required her to do or she was excused from having to do; (3) all conditions required for the defendant’s performance had occurred; (4) the defendant unfairly interfered with the plaintiff’s right to receive the benefits of the contract; and (5) the defendant’s conduct harmed the plaintiff. Qingdao Tang-Buy Int’l Import & Export Co. v. Preferred Secured Agents, Inc., No. 15-cv-00624-LB, 2016 WL 6524396, at *5 (N.D. Cal. Nov. 3, 2016) (citing Judicial Council of California Civil Jury Instructions § 325 (2011); Oculus Innovative Scis., Inc. v. Nofil Corp., No. C 06-01686 SI, 2007 WL 2600746, at *4 (N.D. Cal. Sept. 10, 2007)).
Again, YouTube’s actions were permitted by the Terms of Service. The implied-covenant claim fails for this reason>>.

Di marchi numerici/alfabetici e di buona fede

Tre notazioni su Trib. Milano n. 6542/2021 del 27 luglio 2021, RG 32332/2016, rel. Fazzini E.:
1°)  <<. Il Collegio ritiene, comunque, che tale eccezione
sia anche infondata, atteso che essa si basa esclusivamente sul fatto che esso sarebbe formato da
semplici lettere dell’alfabeto, “senza alcuna caratteristica di fantasia”, dovendosi ritenere al riguardo
che i marchi numerici (o alfabetici) sono privi di tutela solo quando sono usati per esigenze di
comunicazione imprenditoriale, come per indicare la serie o il tipo di prodotto o la loro quantità, ma
non quando sono utilizzati, come nel caso di specie, in funzione distintiva, tenuto conto che l’art. 7
c.p.i. prevede espressamente che possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa
tutti i segni, in particolare, fra gli altri, le parole, compresi i nomi di persone, i disegni e le lettere. Si
ritiene, in particolare, che il marchio, rappresentato da lettere dell’alfabeto, non possa automaticamente
essere considerato nullo, o comunque debole, essendo, comunque, necessaria la prova contraria da
parte di chi ne contesti la validità come marchio, la quale, nel caso di specie, non è stata in alcun modo
fornita>>

2°)   <<Alla luce di tale motivazione, il Collegio ritiene, pertanto, tenuto conto della pluralità dei casi indicati
da parte attrice e non oggetto di specifica contestazione e del comportamento assunto dal Riva Faccio e
dalla società convenuta anche nelle more del giudizio, continuando a porre in essere atti in violazione
dell’accordo, che sia provata la reiterata violazione degli obblighi negoziali per la palese e insistita
inosservanza sia di quanto sancito specificatamente nel contratto, concluso tra le parti nel novembre
2012, sia del canone della buona fede nella sua esecuzione. Si ritiene, in particolare, alla luce del consolidato indirizzo interpretativo della Suprema Corte, che la buona fede nella esecuzione del
contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in
modo tale da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali,
quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo
limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti
gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte,
nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (cfr. per tutte Cass. 4
maggio 2009, n. 10182). Si ritiene, pertanto, come già affermato anche da questo tribunale, che un
compromesso negoziale fondato anche su particolari piccoli impone alle parti di uniformare i propri
comportamenti a un livello molto elevato di correttezza, tale da evitare che anche in via indiretta si
possano generare o anche solo avallare fraintendimenti ed equivoci (cfr. tribunale di Milano, sentenza
6454/2016, pubblicata il 26.05.2016). La violazione continuata e duratura delle disposizioni
contrattuali, nonché del canone di lealtà costituisce inadempimento contrattuale di indubbia rilevanza e
oggettiva gravità, tale, quindi, da giustificare l’accoglimento della domanda di risoluzione. Trattandosi
di contratto a esecuzione continuata, in conformità della previsione di cui all’art. 1458 c.c., l’efficacia
della pronuncia retroagisce al momento della litispendenza, con conseguente cessazione degli effetti
dei contratti alla data della notificazione dell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio,
effettuata in data 20.05.2016 (cfr. Cass. 20894/2014)>>.

3°)  danno da royalties ipotetiche: 15% del fatturato (ammontare assai diffuso)

Il NFT su una blockchain è un bene diverso dall’uguale NFT su altra blockchain? L’account su un NFT , cessato e riascquistato da terzi, rimane uguale giuridicamente o no? bene o solo la rappresentazione digitale di un bene?

La US District Court of NY n° 22-CV-881 (JLC) del 17 marzo 2023, Free Holdings c. Mccoy-Sotheby’s, decide interessanti questioni, cui però non si possono fare osservazioni se non sommarie, data la tecnicità richiesta.

Un artista crea un’immagine digitale chiamandola “Quantum” e collocandola come  NFT su blockchain “Namecoin”  (vedila qui)

Poi, cessato per decorso del tempo il diritto sul relativo account (“burnt”), la sposta su Etehereum e poi la vende tramite Sotheby’s (per oltre 1,4 mln. di dollari !!). Qui se ne racconta la storia rappresentando la prima fase su Namecoin come estinta e l’account relativo appunto burnt.

Un terzo riattiva e riregistra l’account sul relativo nome/stringa . Egli poi agisce verso l’artista e Sothebys per aver usato espressioni fuorvianti nella presentazione del NFT su Eteherum, dicendo che l’account era stato burnt e simili.

L’interesse economico deriva dal fatto che pare si trattasse del primo NFT inassoluto al mondo.

Su suggerimento dell’artista, il giudice rigetta la domanda del terzo (Free Holdings) perchè -in breve, se ben capisco- una cosa è il diritto sull’account della piattaforma/blockchain, altra è quello sull’opera rappresentata nel/dal  file e chiamata Quantum.

In particolare:

<<Free Holdings does provide an adequate factual basis to support a plausible
proprietary interest in -709a—that is, assertions of title displayed on the -709a
Record Page and by Twitter user @EarlyNFT. See AC ¶¶ 38, 42–43. Free Holdings
has thus alleged a proprietary interest in -709a sufficient for standing. However,
Free Holdings has not articulated any facts to support its claim to ownership of
Quantum vis-à-vis its claim to -709a. As McCoy points out, Free Holdings “never
alleges that it can or could control” Quantum. McCoy Mem. at 5. As factual
support, Free Holdings provides only its own alleged statements on Namecoin that it “assert[ed] title to the file at the URL http://static.mccoyspace.com/gifs/quantum.gif” and that “[t]itle transfers to whoever controls this blockchain entry,” -709a Record Page, along with an article explaining that the significance of name ownership on Namecoin is open to debate. See Pl. Mem. McCoy at 8 n.5 (citing Defining NFT); Dkt. No. 66, Ex. C (same); McCoy Mem. at 5, 12. Even taken together, they are insufficient to give rise to a legally-protected interest in Quantum>>.

Questo l’articolo del New York Times citato dal giudice sugli artisti digitali che si esprimono creando NFTs.

(notizia e link da Paolo Maria Gangi in IPKat , ove interessanti dettagli tecnici).

Concessione abusiva di credito all’impresa poi fallita e responsabilità del finanziatore

Altro intervento della sez. I della Cass. sul tema (Cass. 24.725 del 14.09.2021, rel. Nazzicone, fall. Edilmorelli Costruzioni srl c. Banca popolare di Spoleto).

Riprende Cass. 18.610 del 30 giugno u.s., stesso relatore, già ricordata qui: il ragionamento è del tutto analogo.

Due sole osservazioni.

1) non è chiara la fonte normativa dell’affermato dovere della banca di controllare l’utilità del finanziamento per il cliente, in mancanza di disposizione ad hoc (come ad es.:  – l’art. 124/5 TU credito; – svariati articoli del TUF , ad es. artt. 21, 24, 24 bis; – la tutela preventiva del cliente posta dalla disciplina c.d. product oversight&governance nell’ideazione e distribuzione dei prodotti assicurativi ex dir. UE 2016/97 e reg. deleg. UE 2358/2017, poi recepiti in cod. ass. priv. art. 30 decies, 121 bis e 121 ter ).

E’ però assai dubbio che dal dovere di <sana e prudente gestione> nascano pretese azionabili dal cliente verso la banca, consistenti in un fattivo contributo della seconda nel verificare l’appropriatezza per il primo dell’erogazione chiesta/proposta: come invece vorrebbe la SC (parla di <indissolubilità del legame tra la sana e prudente gestione dell’attività e la tutela della clientela> pure CAMEDDA, La product oversight and governance nel sistema dei governo societario dell’impresa di assicurazione, BBTC, 2021, 2, 238 , che sarebbe sancita dalla direttiva Insolvency II)

2) non è chiaro come la SC superi l’eccezione per cui l’impresa finanziata non può essere “nel contempo autore dell’illecito e vittima del medesimo”, § 2.6.2. Il finanaziamento era infatti stato stipulato senza errore/violenza/dolo nè operano altri titoli impugnatori (revocatoria). Ci sarà forse azione di danno verso gli amministratori; però disconoscere il contratto finanziatorio (così avviene in sostanza, anche se non si tratta tecnicamente di impugnazione, visto che i suoi effetti permangono; sottilizzare tra conseguenza reale e solo obbligatoria non giova) pare difficilmente giustificabile.

Responsabilità per concessione abisiva di credito: dovere del banchiere di prudente valutazione e legittimazione del curatore (Cass. 18.601 / 2021)

Cass. 16.810 del 30.06.2021, rel. Nazzicone, riepiloga lo stato dell’arte sul tema in oggetto.

Nella prima parte la SC discute in dettaglio il dovere del finanziatore (bancario spt.) di valutare con prudenza l’affidabilità di chi ha chiesto credito, § 3.1 ss.

Per cui difficile è la scelta del banchiere: <<Vero è che, di fronte alla richiesta di una proroga o reiterazione di finanziamento, la scelta del “buon banchiere” si presenta particolarmente complessa: astretto com’è tra il rischio di mancato recupero dell’importo in precedenza finanziato e la compromissione definitiva della situazione economica del debitore, da un lato, e la responsabilità da incauta concessione di credito, dall’altro lato.

Onde ogni accertamento, ad opera del giudice del merito, dovrà essere rigoroso e tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, secondo il suo prudente apprezzamento, soprattutto ai fini di valutare se il finanziatore abbia (a parte il caso del dolo) agìto con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’art. 43 c.p., o abbia viceversa, pur nella concessione del credito, attuato ogni dovuta cautela, al fine di prevenire l’evento.

Tale seconda situazione potrà, ad esempio, verificarsi ove la banca – pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa – abbia operato nell’intento del risanamento aziendale, erogando credito ad impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di razionale permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito allo scopo del risanamento aziendale, secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile.>>, § 3.5.3.

Nella seconda parte la SC applica l’interpretazione al caso concreto. Qui però deve affrotnare la questione, tipicametne concorsuale, del se tale azione competa alla curatela (legittimazione di questa). E sceglie la via della risposta positiva: il curatore ha legittimazione.

Infatti <<Tale azione – in effetti – spetta senz’altro al curatore, come successore nei rapporti del fallito, ai sensi dell’art. 43 L. Fall., che sancisce, per i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, la legittimazione esclusiva del predetto, trattandosi di lesione del patrimonio dell’impresa fallita e di un diritto rinvenuto dal curatore nel patrimonio di questa.

Nel contempo, tuttavia, occorre altresì considerare come, aperto sul patrimonio del fallito il concorso dei creditori, come prevedono gli artt. 51 e 52 L. Fall. questi non possono più agire individualmente in via esecutiva o cautelare sui beni compresi in quel patrimonio, ma solo partecipare al concorso.

Al curatore, invero, spetta la legittimazione per le c.d. azioni di massa, volte alla ricostituzione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., di cui tutti creditori beneficeranno; così, al curatore spettano le azioni revocatorie di cui all’art. 2901 c.c. e art. 66 L. Fall., nonchè le azioni di responsabilità contro gli organi sociali, ivi compresa quella dei creditori per “l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” (art. 2394-bis c.c. e art. 146 L. Fall.).

In definitiva, è pur vero che il curatore non è legittimato all’azione di risarcimento del danno diretto patito dal singolo creditore per l’abusiva concessione del credito quale strumento di reintegrazione del suo patrimonio singolo, ove quest’ultimo dovrà dimostrare lo specifico pregiudizio a seconda della relazione contrattuale intrattenuta con il debitore fallito, e ciò con specifico riguardo al diritto leso a potersi determinare ad agire in autotutela, oppure ad entrare in contatto con contraenti affidabili – posto che la concessione del credito bancario lo abbia indotto, ove creditore anteriore, a non esercitare i rimedi predisposti dall’ordinamento a tutela del credito, e, ove creditore successivo a quella concessione, a contrattare con soggetto col quale altrimenti non avrebbe contrattato – in quanto si tratta di diritto soggettivo afferente la sfera giuridica di ciascun creditore.

E, tuttavia, la situazione muta, ove si prospetti un’azione a vantaggio di tutti i creditori indistintamente, perchè recuperatoria in favore dell’intero ceto creditorio di quanto sia andato perduto, a causa dell’indebito finanziamento, del patrimonio sociale, atteso che il fallimento persegue, appunto, l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori nel rispetto della par condicio.

Si tratta di un danno al patrimonio dell’impresa, con la conseguente diminuita garanzia patrimoniale della stessa, ai sensi dell’art. 2740 c.c., scaturita dalla concessione abusiva del credito, che abbia permesso alla stessa di rimanere immeritatamente sul mercato, continuando la propria attività ed aumentando il dissesto, donde il danno riflesso ai tutti i creditori.

Ecco dunque che il curatore che agisce per il ristoro del danno alla società tutela nel contempo la massa creditoria dalla diminuzione patrimoniale medesima.

Un simile danno riguarda tutti i creditori: quelli che avevano già contrattato con la società prima della concessione abusiva del credito de qua, perchè essi vedono, a cagione di questa, aggravarsi le perdite e ridursi la garanzia ex art. 2740 c.c.; quelli che abbiano contrattato con la società dopo la concessione di credito medesima, perchè (se è vero che a ciò possa aggiungersi pure la causa petendi di essere stati indotti in errore, ed allora individualmente, dall’apparente stato non critico della società, è pur vero che) del pari avranno visto progressivamente aggravarsi l’insufficienza patrimoniale della società, con pregiudizio alla soddisfazione dei loro crediti.>> § 3.6.2.

Canoni locatizi non richiesti per sette anni e poi richiesti ex abrupto: perdita del relativo diritto per abuso (o Verwirkung) del diritto?

Cass. 14.06.2021 n. 16.743, Bellini e Chiari srl c. Bellini, rel. Fiecconi, decide sulla qualificazione di una condotta omissiva del locatore (una s.r.l.) che per sette anni non aveva chiesto i canoni al conduttore e poi glieli chiede tutto all’improvviso .

Si trattava di srl a base famigliare ,che aveva inviato l’intimazione di pagamento, prima mai inviata, solo dopo la rottura dei rapporti tra soci/parenti (genitore/figlio)

La sentenza inquadra la richiesta nell’abusto del diritto , ricondubicile alla buona fede contrattuale : il silenzio per anni ha creato un affidamento di non dovutezza dei canoni, per cui l’improvvisa richiesta è abusiva.

La SC discute anche la introducibilità nel ns. ordinamento dell’istituto della Verwirkung (perdita) del diritto a seguito di silenzio o altra condotta concludente del creditore, ritenendola problematica.

La sentenza  è ricca di passaggi interessanti (talora forse eccesivi rispetto alla necessità del decidere) e sarà oggetto di ampi commenti.

Ad es.: <<Va rilevato che, in virtù di tale accezione dell’ obbligo solidaristico in sede contrattuale, negli ordinamenti di area continentale europea tende vieppiù ad affermarsi il principio, basato appunto sulla clausola di buona fede, di matrice romanistica, secondo cui, anche prima del decorso del termine prescrizionale, il mancato esercizio del diritto, protrattosi per un conveniente lasso di tempo, imputabile al suo titolare e che abbia fatto sorgere nella ontroparte un ragionevole ed apprezzabile affidamento sul definitivo non esercizio del diritto medesimo, porta a far considerare che un successivo atto di esercizio del diritto in questione possa integrare un abuso del diritto, nella forma del ritardo sleale nell’esercizio del diritto, con conseguente negazione della tutela. Al di là delle definizioni teoriche, pertanto, la Verwirkung nel senso appunto di abuso del diritto nel senso di subitaneo e ingiustificato revirement rispetto a una sua protratta opposta modalità di esercizio (a ben guardare, anche la remissione è una forma di esercizio del diritto, potendo concederla solo chi ne è titolare) costituisce un istituto idoneo a venire in gioco, anche nel nostro ordinamento, allorché appunto si prospetti un abusivo esercizio del diritto dopo una prolungata inerzia del creditore o del titolare di una situazione potestativa che per lungo tempo è stata trascurata e ha ingenerato un legittimo affidamento nella controparte. In tal caso, a seconda delle circostanze, può ravvedersi, nel tempo, un affidamento dell’altra parte nell’abbandono della relativa pretesa, idoneo come tale a determinare la perdita della situazione soggettiva nella misura in cui il suo esercizio si riveli un abuso.>, § 16,

Il canone generale della buona fede che regola infatti anche la dinamica contrattuale, cioè l’intrecciarsi degli opposti diritti/interessi nella esecuzione di quanto si è cristallizzato nel patto negoziale, <<impedisce che i diritti siano esercitati in modalità astratte, imponendo invece il rispetto dell’affidamento che questa ha acquisito proprio in conseguenza della modalità esecutiva fino ad allora praticata, l’affidamento costituendo una species di interesse insorto da una specifica percezione della dinamica contrattuale in atto. Dinamica che peraltro l’insorgenza di tale affidamento conduce ad una stabilizzazione favorevole, che può essere infranta dalla controparte soltanto, appunto, con un abuso, che concretizza, nel fondo della sua sostanza, la violazione del canone di solidarietà che, pur essendo contrapposti gli interessi delle parti contrattuali, costituisce il background della confluenza di detti interessi nel negozio stipulato, e permane quindi, come regola fondante, nella sua esecuzione, id est nel suo reciproco adempimento>>, § 17.

Molto interessante poi è la precisazione per cui l’eccezione di abuso è rilevabile d’ufficio, non essendo invocabile la disposizione sulla prescrizione, art. 2938 cc, § 18.

Problema centrale è la prorzionalità dei mezzi usat (§ 24) e cioè se ricorra un interessa apprezzabile del creditore, § 25

Ma nel caso, se non c’è rinuncia tacita, § 26, l’esercizio <<repentino del diritto installatosi in una circostanziata situazione di maturato affidamento della sua intervenuta abdicazione, correlata a un assetto di interessi pregresso, ha integrato un abuso del diritto per quanto detto sopra e ha comportato, altresì, la negazione di tutela dell’interesse di controparte in considerazione di sopravvenute circostanze nelle quali il giudice di merito – illustrando ciò con adeguata motivazione – ha riscontrato un conflitto tra le parti determinatosi per altre questioni, pacificamente non collegate al contratto> § 28

In altre parole, questa è <<l’esatta identificazione dell’istituto da applicarsi: i diritti disponibili in quanto tali possono essere oggetto di rinuncia anche se sono stati inseriti in un sinallagma contrattuale, e la rinuncia può essere effettuata a mezzo di fatti concludenti, vale a dire come forma specifica di esecuzione del contratto dalla parte del creditore. Dove il comportamento inerte di quest’ultimo non è ascrivibile a rinuncia, come nel caso concreto è risultato, ma a un – ben protratto – prodromo di un esercizio abusivo del diritto, il decorso di un tale spiccato periodo di tempo di oggettiva apparenza remittente non può non assumere valore ai fini dell’estinzione/consumazione del diritto per il periodo de quo, trattandosi di diritto a esecuzione continuata e periodica. Pertanto, indipendentemente dall’indagine sulla volontà di rinunciare al diritto o dal decorso del termine di prescrizione del medesimo, il repentino esercizio del diritto, dopo una situazione di durevole inerzia non altrimenti giustificata, può costituire esso stesso una violazione del principio di affidamento circa la oggettiva abdicazione. (…)  In siffatto contesto, collegato alla causa del contratto di locazione e alla protratta inerzia del locatore nel richiedere il pagamento del corrispettivo di locazione per oltre sette anni, la repentina richiesta di adempimento per la parte del credito eventualmente non caduta in prescrizione è da valutarsi alla stregua dell’esercizio abusivo del diritto, e dunque in violazione di obblighi solidaristici collegati alla salvaguardia dell’interesse del conduttore a non perdere una acquisita situazione di vantaggio determinatasi a suo esclusivo favore, laddove non si dimostri di avere sino a quel tempo comportato un apprezzabile sacrificio per il locatore, rimasto inerte sin dall’origine, a fronte del grave onere imposto repentinamente sulla controparte >>, §§ 29 e 31.

Importante poi la precisazione dell’interferenza (sotto il profilo causale, direi) del rapporto locatizio con quello societario/familiare: <<L’accertamento fattuale della eventuale violazione della fondamentale obbligazione solidaristica in un caso come quello di cui si tratta, laddove si consideri che il rapporto negoziale si era formalmente instaurato tra una società commerciale con accentuato carattere personalistico e una naturale flessibilità dell’organizzazione sociale – come è oggi intesa la società a responsabilità limitata – , proprietaria del bene locato, e un socio, non può d’altronde – si nota peraltro ad abundantiam – non tener conto della mutazione di comportamento della società creditrice non appena il socio è, nei fatti, forzosamente uscito dalla compagine sociale e i rapporti con il socio di riferimento, il padre, si sono incrinati per vicende estranee alla conduzione della società e del contratto di locazione; pertanto, la iniziativa della società di attivarsi, tra l’altro in un contesto di accesa conflittualità tra soci, appartenenti a un medesimo contesto familiare, dopo che la società per anni era rimasta inerte senza fornire adeguata giustificazione, è da ritenersi un comportamento certamente innaturale in un contesto societario ove le questioni interne tra i soci non sono normalmente in grado di mutare l’assetto degli interessi sottesi al contratto sociale, se non cristallizzati in altrettanti reciprochi impegni tra la società e i soci (Sez. 1, Sentenza n. 12956 del 22/06/2016; Sez. 1, Sentenza n. 14629 del 21/11/2001)>>, § 32.

Ragionando secondo questi principi, quindi, <<è sostenibile che un credito nascente da un rapporto ad esecuzione continuata, mai preteso sin dall’origine del rapporto negoziale, anche se formalmente menzionato nelle scritture contabili di una società a responsabilità limitata per più esercizi, in assenza di altri indici di segno contrario, possa ugualmente costituire un fattore di generazione di un affidamento di oggettiva rinuncia del credito sino ad allora maturato nei confronti del socio. Pertanto, la repentina richiesta di adempimento dell’obbligazione di pagamento, indipendentemente dalla presenza di indici idonei a denotare una volontà di rinuncia del medesimo, se corrispondente a una situazione di palese conflittualità tra socio (allora ex socio) e gli altri soci, non giustificata da altri fattori, costituisce un abuso del diritto ove riveli l’intento di arrecare un ingiustificato nocumento>>, § 34.

Ed allora ecco il principio di diritto: <«il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175 e 1375 cod.civ. legittima in punto di diritto l’insorgenza in ciascuna parte dell’affidamento che, anche nell’esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive ed esecuzione continuata, ciascuna parte si comporti nella esecuzione in buona fede, e dunque rispettando il correlato generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere generale del “nerninem laedere”; ne consegue che in un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo l’assoluta inerzia del locatore nell’escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del corrispettivo sino ad allora maturato, protrattasi per un periodo di tempo assai considerevole in rapporto alla durata del contratto, e suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei a ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del locatore per facta concludentia, la improvvisa richiesta di integrale pagamento costituisce esercizio abusivo del diritto>>, § 36.