L’algoritmo di Deliveroo (per l’assegnazione degli slot delle consegne ai riders) è discriminatorio?

 Interessante sentenza del tribunale del lavoro di Bologna sul software di Deliveroo per l’assegnazione degli slot e delle zone di consegna ai riders, leggibile qui:    https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/algoritmo-discriminatorio-deliveroo-condannata-risarcire-sindacati-ADGYrbBB

Si tratta di Trib. bologna sez. lavoro RG 2949/2019 , ord. 31.12.2020, attori FILCAMS CGIL BOLOGNA-NIDIL CGIL BOLOGNA-FILT CGIL BOLOGNA.

Si applica la normativa del lavoro subordinato pur con lavori formalmente autonomi, quanto meno per le discriminazioni, se si tratta di <rapporti le cui modalità di esecuzione sono organizzati dal committente>> (decreto legislativo 81 del 2015 articolo 2, novellato dalla legge 2 novembre 19 n 128) (§ 2).

Viene poi al paragrafo 3 precisata la legittimazione dei sindacati attori

Entra nel merito al paragrafo 4  precisando l’onere della prova in tema di antidiscriminazione: incombe sul datore di lavoro , una volta che dalla domanda attorea si può presumere in base a dati statistici l’esistenza di condotte discriminatorie (articolo 28 comma 4 del decreto 150/2011).

Sempre nel medesimo paragrafo 4 è spiegato dove sta la discriminazione: sta nel fatto che, da un lato,  i primi riders a prenotarsi le fasce orarie penalizzano i successivi e, dall’altro, che il tempo a disposizione per la prenotazione è così ridotto che impedisce o pregiudica la posssibilità di svolgere attività sindacali. Quindi in pratica eventuali scioperi che cadessero nel periodo in cui vanno prenotati gli slot , penalizzano pesantemente i Riders che intendono parteciparvi.

Del resto la piattaforma Deliveroo non è riuscita a ribaltrea l’onere della  prova: <<sul punto anzitutto si osserva che la mancata allegazione e prova, da parte della società resistente, del concreto meccanismo di funzionamento dell’algoritmo che elabora le statistiche dei rider preclude in radice una più approfondita disamina della questione. Ed invero, in corso di causa la società – sulla quale evidentemente gravava l’onere della relativa prova, se non altro sulla base del generale principio di vicinanza della stessa – non ha mai chiarito quali specifici criteri di calcolo vengano adottati per determinare le statistiche di ciascuna rider, né tali specifici criteri vengono pubblicizzati sulla piattaforma, laddove si rinviene unicamente un generico riferimento agli ormai noti parametri della affidabilità e partecipazione>>

Pertanto <<ne discende logicamente che il rider che aderisca ad uno sciopero, e dunque non cancelli almeno 24 ore prima del suo inizio la sessione prenotata, può quindi subire un trattamento discriminatorio, giacché rischia di veder peggiorare le sue statistiche e di perdere la posizione eventualmente ricoperta nel gruppo prioritario, con i relativi vantaggi… Il sistema di profilazione dei rider adottato dalla piattaforma (…), basato sui due parametri della affidabilità e della partecipazione, nel trattare nello stesso modo chi non partecipa alla sessione prenotata per futili motivi e chi non partecipa perché sta scioperando (o perché è malato, è portatore di un handicap, o assiste un soggetto portatore di handicap o un minore malato, ecc.) in concreto discrimina quest’ultimo, eventualmente emarginandolo dal gruppo prioritario e dunque riducendo significativamente le sue future occasioni di accesso al lavoro.>>

Il tribunale quindi,  applicando la speciale regola di onere della prova vigente in materia, non ha avuto modo di ispezionare le istruzioni algoritmiche (che costituisce -il punto teoricametne più interessante sugli algoritmi guidanti l’attività dele piattatforme digitali). I due parametri decisivi (c.d. indice di affidabilità + c.d. indice di partecipazione nei picchi cioè nelle fascie orarie di maggior lavoro) sono infatti stati ammessi dalla convenuta.

C’è però da vedere se penalizzare il rider, quando intenda aderire a scioperi casualmente fissati proprio nelle ore in cui deve prenotarsi i turni, costituisca discriminazione. Spulciando l’art. 2 del d. lgs. 216 del 2003, potrebbe rientrare nel concetto di discrminazione basata su <convinzioni personali>.  Forse è un’intepretazione un pò tirata (ad es. già lo contestano Tosi P.-Puccenti E., Rider, fuori luogo invocare la disciplina antidiscriminatoria, Il sole 24 ore, 06.01.2021, p. 22), ma potrebbe starci. Mi domando se non sia più problematica l’assenza di qualunque intenzionalità: la tesi infatti presuppone che lo sciopero venga fissato proprio in quella fascia oraria (la quale è determinata a priori, a prescindere dalla collocazione temporale degli scioperi eventuali futuri): in tutte le altre fasce non vale. Per cui , mancando ogni intenzionalità “ostacolante”, è da vedere se si possa ravvisare “discrminzione” : può rispondersi positivamente, se si concorda che valga l’elemento oggettivo e non quello soggettivo. Mi domando se allora potrebbe dirsi che discriminazione non ci fosse quando l’ostacolo/pregiudizio è  minimo: nel caso specifico,  solo in quella ristretta fascia oraria del lunedì in cui il rider deve prenotare i propri slot .

Infine, potrebbe essere condotta antisindacale ex art. 28 Statuto lav.?

Gravità dell’inadempimento nella risoluzione del contratto di locazione

Cass. 07.12.2020 n. 27955, rel. Gorgoni, si pronuncia sul tema in oggetto, dando alcuni insegnamenti (parrebbe trattarsi di locazione commerciale, venendo richiamato l’art. 41 l. 392/78).

 1) il fatto che l’art. 41 cit. non richiami l’art. 5 L. 392/78 sui parametri per determinare la gravità dell’inadempmento del cobnduttore,  e che dunque imponga l’applicazione dell’art. 1455 cc, non esclude che la prima norma un qualche rilievo possa averlo in sede interpretativo-determinativa del grave inadampimento ai sensi della seconda norma

2) quanto al profilo soggetivo/oggettivo del giudizio di gravità, la SC osserva:  <<Il fatto che, con riferimento alla fattispecie in esame, il legislatore non abbia predeterminato ex lege i caratteri dell’inadempimento solutoriamente rilevante, impone di tener conto che la gravità dell’inadempimento sotto il profilo oggettivo –per la cui determinazione il giudice può ben avvalersi orientativamente dei parametri valevoli per sciogliere il contratto di locazione ad uso abitativo: la tipizzazione normativa contribuisce a dare concretezza ed oggettività alla valutazione del giudice che, altrimenti, in un ambito nel quale il suo potere discrezionale appare singolarmente ampio e la dialettica tra regole e principi si rivela particolarmente complessa, rischierebbe di restare pericolosamente priva di coordinamento con le direttive del sistema– non è sufficiente, occorrendo parametrarla all’interesse del contraente deluso, e che il fatto che quest’ultimo abbia agito per chiedere la risoluzione del contratto per l’altrui inadempimento o l’aver diffidato l’inadempiente non basterebbero; diversamente si otterrebbe il risultato di rimettere la risoluzione alla scelta dell’adempiente (per Cass. 13/02/1990, n. 1046, “l’interesse dell’altro contraente (…) non deve essere tanto inteso in senso subiettivo, in relazione alla stima che il creditore avrebbe potuto fare del proprio interesse violato, quanto in senso obiettivo in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune interesse>>;

Poi si legge <<Il punto di rottura del rapporto che giustifica la cancellazione del vincolo è dato dall’incrocio tra il grave inadempimento e l’intollerabile prosecuzione del rapporto>>: non chiarissimo il signficato, anche perchè il primo dei due concetti è subito dopo spiegato, mentre il secondo è solo enunciato ma senza spiegazione.

Il primo dunque (grave inadempimento) va sì applicato in base alle circostanze del caso [così come rappresentate alla controparte in trattatia o come documentate nel contratto], ma con parametro oggettivo (ciò che sarebbe “grave” per l’uomo medio: in quella stessa condizione, aggiungerei).

Nulla invece dice sulla intollerabilità della prosecuzione del rapporto.

Poi precisa che:

i) non è necessaria la previa intimazione in mora,

ii) la regola della cristallizzazione delle posizioni delle parti non è applicabile ai rapporti di durata,

iii) va valutata anche la condotta successiva ala proposizione della domanda,  <<giacchè in tal caso, come in tutti quelli di contratto di durata in cui la parte che abbia domandato la risoluzione non è posta in condizione di sospendere a sua volta l’adempimento della propria obbligazione, non è neppure ipotizzabile, diversamente dalle ipotesi ricadenti nell’ambito di applicazione della regola generale posta dall’art. 1453 c.c. (secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento comporta la cristallizzazione, fino alla pronunzia giudiziale definitiva, delle posizioni delle parti contraenti, nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la sua prestazione, così non è consentito all’attore di pretenderla), il venir meno dell’interesse del locatore all’adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore ed è tenuto, ai sensi dell’art. 1591 c.c., a dare al locatore il corrispettivo convenuto (salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno) fino alla riconsegna>>

Risoluzione del contratto e contrapposti inadempimenti

Su questo caso , frequente nella pratica, ecco cosa (sinteticamente) dice Cass. 14.12.2020 n. 28391, rel. Abete:

<<Ed in pari tempo questa Corte spiega, sia ai fini della decisione circa la fondatezza della domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. (cfr. Cass. 20.4.1982, n. 2454; Cass. 30.3.1989, n. 1554; Cass. 16.9.1991, n. 9619; Cass. 9.6.2010, n. 13840; Cass. 30.3.2015, n. 6401), sia ai fini della decisione circa la fondatezza della domanda di accertamento della legittimità del recesso ex art. 1385 c.c. (cfr. Cass. (ord.) 8.8.2019, n. 22209), che, in caso di inadempienze reciproche, non solo si impone un giudizio di comparazione in ordine ai comportamenti delle parti, allo scopo di stabilire quale di esse si sia resa responsabile delle trasgressioni che, per numero o per gravità ovvero per entrambe le cause, si rivelino idonee a turbare il sinallagma contrattuale, e si impone ancora la verifica dell’importanza dell’inadempimento, tenuto conto della sua efficacia causale rispetto alla finalità economica complessiva.

Ma spiega altresì che siffatta indagine – in entrambe le direzioni – costituisce accertamento “di fatto” demandato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità solo se viziato nei principi di diritto applicabili e nella logica del ragionamento, recte, a tal ultimo proposito, al cospetto del novello disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti>>.

Lascia perplessi l’affermazione per cui  costituisce giudizio di fatto la comparazione tra inadempimenti.

Norme civili e norme fiscali: il caso del canone locatizio “sottodichiarato”

Cass. 13.10.2020 n. 22.126 interviene sul caso del canone dichiarato inferiore al canone reale (la fattispecie concreta è più complessa, implicando pure una novazione)

Qui ricordo solo due passaggi: 1) prova della simulazione relativa (sull’ammontare del canone); e 2) effetti civilsitici della violazione di norme tributarie.

Sul punto 1) il panorama è abbastanza pacifico; il punto 2) spesso solleva dubbi per gli operatori.

1)    PROVA DELLA SIMULAZIONE (§ 10.2) – In tema di prova della simulazione nei rapporti tra le parti , <<(arg. a contrario dall’art. 1417 c.c., che la prova per testi senza limiti ammette solo se la domanda è proposta da creditori o da terzi ovvero quando essa, anche se proposta dalle parti, sia diretta a far valere l’illiceità del contratto), se il negozio è stato redatto per iscritto vale la regola generale della limitazione dell’ammissibilità delle prove testimoniali (e dunque anche di quella per presunzioni, giusta il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 2), onde, sia per la simulazione assoluta che per quella relativa, la prova può essere data – ove, come nella specie, si assuma che si tratti di patto coevo -soltanto in base a controdichiarazioni (art. 2722 c.c.; v., in tema di simulazione relativa del contratto di locazione, con riferimento al canone, Cass. 15/01/2003, n. 471)>>.  e poi circa il <principio di prova scritta> ex art. 2724 n. 1 cc: <Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tema di simulazione del contratto, il principio di prova scritta che, ai sensi dell’art. 2724 c.c., n. 1, consente eccezionalmente la prova per testi (e, quindi, presuntiva) deve consistere in uno scritto, proveniente dalla persona contro la quale la domanda è diretta, diverso dalla scrittura le cui risultanze si intendono così sovvertire e contenente un qualche riferimento al patto che si deduce in contrasto con il documento (Cass. 03/06/2016, n. 11467; 22/03/1990, n. 2401).>

2) EFFETTI CIVILI DELLA VIOLAZIONE TRIBUTARIA (§ 10.3.1, lett. g-l) :

<<  g) ne consegue che “se tale norma tributaria si ritiene essere stata elevata a “rango di norma imperativa“, come sembra suggerire l’evoluzione normativa e giurisprudenziale più recente e come precisato dalla stessa Corte costituzionale, deve concludersi che la convenzione negoziale sia intrinsecamente nulla, oltre che per essere stato violato parzialmente nel quantum l’obbligo di (integrale) registrazione, anche perchè ab origine caratterizzata da una causa illecita per contrarietà a norma imperativa (ex art. 1418 c.c., comma 1) tale essendo costantemente ritenuto lo stesso art. 53 Cost., la cui natura di norma imperativa (come tale, direttamente precettiva) è stata, già in tempi ormai risalenti, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5 del 1985; Cass. ss. uu. n. 6445 del 1985)”;

h) ne discende ulteriormente che, “trattandosi di un vizio riconducibile al momento genetico del contratto, e non (soltanto) ad un mero inadempimento successivo alla stipula… deve allora ravvisarsi la diversa ipotesi di una nullità virtuale, secondo la concezione tradizionale di tale categoria – e, quindi, tradizionalmente insanabile ex art. 1423 c.c.: in tal caso, infatti, la nullità deriva non dalla mancata registrazione (situazione suscettibile di essere sanata con il tardivo adempimento), ma, a monte, dall’illiceità della causa concreta del negozio, che una tardiva registrazione non appare idonea a sanare”;

i) se in caso di omessa registrazione del contratto contenente la previsione di un canone non simulato ci si trova di fronte ad una nullità testuale n. 311 del 2004, ex art. 1, comma 346, sanabile con effetti ex tunc a seguito del tardivo adempimento all’obbligo di registrazione, nel caso di simulazione relativa del canone di locazione, e di registrazione del contratto contenente la previsione di un canone inferiore per finalità di elusione fiscale, si è in presenza, quanto al c.d. “accordo integrativo”, di una nullità virtuale insanabile, ma non idonea a travolgere l’intero rapporto – compreso, quindi, il contratto reso ostensibile dalle parti a seguito della sua registrazione (v. sentenza citata, par. 25);

l) in tale contesto ricostruttivo n. 392 del 1978, art. 79, assume rilievo di norma speculare a quella di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, previa analoga revisione dell’esegesi tradizionale (secondo cui la sanzione di nullità in essa prevista ha riguardo alle sole vicende funzionali del rapporto, colpendo, pertanto, le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege, e non anche quelle convenute al momento della conclusione dell’accordo) nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto>> .

Dichiarazioni urbanistiche nell’azione di adempimento ex art. 2932 cc

Interessanti precisazioni di Cass. 25.06.2020 n. 12654 sull’azione di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre

DICHIARAZIONE SUGLI ESTREMI DI DELLA CONCESSIONE EDILIZIA:

<<34.1 Dal principio enunciato nel paragrafo precedente discende che, …, la presenza della dichiarazione sugli estremi della concessione edilizia integra una condizione dell’azione ex art. 2932 c.c. e non un presupposto della domanda, cosicchè la produzione di tale dichiarazione può intervenire anche in corso di causa e altresì nel corso del giudizio d’appello, purchè prima della relativa decisione, giacchè essa è sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti (in termini, con specifico riferimento alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, Cass. 6684/19)>>

Può provvedervi pure il promissario acquirente:

<< (34.3) ….  ed ha, conseguentemente, fatto corretta applicazione del principio, fissato dalla Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23825/09, che, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di un immobile, nel caso in cui il promittente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti attestanti la regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile ovvero di rendere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, deve essere consentito al promissario acquirente di provvedere a tale produzione o di rendere detta dichiarazione al fine di ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c., dovendo prevalere la tutela di quest’ultimo a fronte di un inesistente concreto interesse pubblico di lotta all’abusivismo, sussistendo di fatto la regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile oggetto del preliminare di compravendita>>

DICHIARAZIONE DI COERENZA CATASTALE EX L. 52 DEL 1985 ART .29 C-1 BIS

il giudizio è analogo:

<§ 35.5.1 : Il Collegio ritiene quindi di dover dare attuazione, nell’interpretazione della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, al principio che la pronuncia giudiziale, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti, nè, comunque, un effetto che eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti; in altri termini, non può accogliersi una lettura del sistema che consenta alle parti di eludere la disposizione dettata L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, mediante la stipula di un contratto preliminare di immobile catastalmente non regolare seguita dalla introduzione di un giudizio che si concluda con sentenza di trasferimento dell’immobile medesimo.>

Ne segue  che: <35.5.3: Deve quindi conclusivamente affermarsi che la presenza delle menzioni catastali (l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, quest’ultima sostituibile da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale) deve considerarsi, al pari della presenza delle menzioni edilizie ed urbanistiche, condizione dell’azione di adempimento in forma specifica dell’obbligo di contrarre, cosicchè essa deve sussistere al momento della decisione e, per converso, la produzione di tali menzioni può intervenire anche in corso di causa ed è sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti.>

CIRCA LA MODALITà DOCUMENTATIVA IN SENTENZA DELLE MENZIONI/DICHIARAIZONI:

<§ 35.6 :Sulla scorta delle conclusioni enunciate nel paragrafo precedente, va ora esaminata l’ulteriore questione se dette menzioni catastali debbano semplicemente essere introdotte nel compendio delle risultanze processuali sottoposte all’esame del giudice o debbano essere riportate nella sentenza di trasferimento; detto altrimenti, se le menzioni richieste dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituiscano un requisito di contenuto-forma della sentenza di trasferimento, oppure se la loro presenza rappresenti un fatto che debba formare oggetto dell’accertamento del giudice.

E la conclusione è nel secondo senso:

<§ 35.6.4 : Deve quindi, conclusivamente, affermarsi, che il mancato riscontro, da parte del giudice investito di una domanda di adempimento del contratto in forma specifica ex art. 2932 c.c., della sussistenza della condizione dell’azione costituita dalla presenza in atti delle menzioni catastali di cui della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, costituisce un error in judicando censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e non un vizio di contenuto-forma produttivo di nullità della sentenza; con la conseguenza che gli effetti di tale errore si esauriscono all’interno del processo e non producono alcuna conseguenza sul piano della idoneità della sentenza ad essere trascritta nei registri immobiliari>>.

Ai § 36 ss poi la SC  affronta la questione posta dalla sentenza impugnata: quella relativa alla disciplina di diritto transitorio relativament alla dichiarazione di coerenza ex L. 52/1985 art. 29 bis

Interviene la Cassazione a sezioni unite sulla forma del patto di intestazione fiduciaria (n. 6459 del 6 marzo 2020)

la Cassazione a sezioni unite del 6 marzo 2020 n. 6459, relatore Giusti, interviene sul tema in oggetto.

In particolare affronta due questioni: – la forma nel patto obbligatorio di ritrasferimento; – la valenza giuridica della dichiarazione di riconoscimento dell’obbligo di (ri-)trasferire al fiduciante rilasciata dal fiduciario

Nella parte motiva (a partire da <<Ragioni della decisione>>), i paragrafi 31-33 danno un resoconto delle principali questioni in tema di negozio fiduciario. Si tratta però di obiter dicta, visto che non rilevano per la soluzione delle questioni sottoposte alla Ccorte (ne dà atto anche il relatore, § 4).

Al paragrafo 5 ricorda gli orientamenti principali circa il problema della forma da dare al pactum fiduciae e in particolare dell’obbligo di successivo trasferimento.

Un  primo indirizzo giurisprudenziale (dominante) lo assimila al contratto preliminare e quindi applica articolo 1351 cc : stessa forma  del successivo negozio di trasferimento e dunque la forma scritta, paragrafo 5.1

Un altro indirizzo afferma invece la non necessità  di forma scritta, bastando anche l’impegno orale al pactum fiduciae, paragrafo 5.2

Ci sono infine altre due posizioni espresse da due Cassazioni del 2005 e del 2012, di ciascuna delle quali è riportato un passaggio: qui le tralascio, non essendovi ragionamenot su di esse,  paragrafo 5.3

Al paragrafo 6 il collegio affronta l’indirizzo dominante e ricorda che questo muove dalla equiparazione del pactum fiduciae al contratto preliminare, ma dice che va rimeditato, paragrafo 6.1. E’ infatti preferibile l’assimilazione del pactum fiduciae al mandato senza rappresentanza (ad acquistare) invece che al preliminare, dal momento che si tratta sempre di figure di interposizione reale di persona

Sempre al paragrafo 6.1 è ricordata la differenza tra preliminare e contratto fiduciario.  Si legge così: <<Nel preliminare, infatti, l’effetto obbligatorio è strumentale all’effetto reale, e lo precede; nel contratto fiduciario l’effetto reale viene prima, e su di esso s’innesta l’effetto obbligatorio, la cui funzione non è propiziare un effetto reale già prodotto, ma conformarlo in coerenza con l’interesse delle parti. Ne consegue che, mentre l’obbligo di trasferire inerente al preliminare di vendita immobiliare è destinato a realizzare la consueta funzione commutativa, la prestazione traslativa stabilita nell’accordo fiduciario serve, invece, essenzialmente per neutralizzare il consolidamento abusivo di una situazione patrimoniale vantaggiosa per il fiduciario a danno del fiduciante>>.

Che la commutatività sia diversa (sempre che ci sia nel mandato) è vero. Ma che nel contratto fiduciario l’effetto obbligatorio segua quello reale è errato: l’effetto reale segue sempre il patto fiduciario. Prima di far procedere il fiduciario con l’acquisto, o meglio prima di dotarlo delle ricorse economiche necessarie, il fiduciante avrà concordato le condizioni del’operazione tramite un pactum fiduciae.

La Corte prosegue sempre al § 6.1: <<Inoltre, l’obbligo nascente dal contratto preliminare si riferisce alla prestazione del consenso relativo alla conclusione di un contratto causale tipico (quale la vendita), con la conseguenza che il successivo atto traslativo è qualificato da una causa propria ed è perciò improntato ad una funzione negoziale tipica; diversamente, nell’atto di trasferimento del fiduciario – analogamente a quanto avviene nel mandato senza rappresentanza (art. 1706 c.c., comma 2) – si ha un’ipotesi di pagamento traslativo, perchè l’atto di trasferimento si identifica in un negozio traslativo di esecuzione, il quale trova il proprio fondamento causale nell’accordo fiduciario e nella obbligazione di dare che da esso origina.>>. Il che escluderebbe <<la possibilità di equiparare le due figure ai fini di un eguale trattamento del regime formale.>>

Anche qui la Corte è un pò  frettolosa.

Che il contratto definitivo abbia causa propria non è da tutti ammesso. In particolare è contestato dal maggior studioso del preliminare (Gazzoni), per il quale trattasi di pagamento traslativo. Va però detto che questa tesi alla fine risulta non del tutto persuasiva: per cui la soluzione dipenderà, direi, dal regolamento del caso specifico, non esistendone una sola sempre valida (v. il mio saggio https://www.academia.edu/10267514/Esecuzione_del_preliminare_di_vendita_con_atto_unilaterale_e_tutela_del_promissario_acquirente_contro_i_vizi_del_bene_acquistato).

Del resto le ragioni  a favore del controllo del bene prima dell’acquisto possono sussistere anche per il mandato (non quella del reperimento delle risorse, tipica dei preliminari ad esecuzione anticipata, essendo già state date al fiduciario al momento della stipula del pactum per il successivo acquisto dal terzo; anche se, a ben pensare, una dilazione non è totalmente impensabile, per cui potrebbe tornare l’equiparazione al preliminare).

Di conseguenza può ricorrere anche qui l’esigenza di un rinnovo dell’espressione della volontà, alla luce dell’esito di tale controllo: il che indurrebbe in tal caso ad attribuirle natura negoziale.

Una volta preso l’abbrivio della riconducibilità al mandato senza rappresentanza, la Corte applica la relativa disciplina della forma: la quale, stante il principio di libertà delle forme, potrà essere anche la forma orale, paragrafo 6.3

Qui è interessante esaminare le ragioni addotte dalla giurisprudenza per questa conclusione (come riportate in sentenza, § 6.3). Le quali sostanzialmente consistono: i) nel fatto che le esigenze di responsabilizzazione del consenso e di certezza dell’atto, proprie della forma scritta per i trasferimenti immobiliari, non ricorrono nel mandato senza rappresentanza, dal quale sorgono effetti solo obbligatori; ii) nel fatto che la articolo 1351 +è norma eccezionale.

Sub i) , il ragionamento non è persuasivo, dal momento che nel mandato l’effetto è sì obbligatorio ma azionabile poi tramite l’esecuzione in forma specifica ex articolo 2932 e dunque suscettibile di portare all’effetto traslativo.  Per cui le esigenze ivi indicate paiono rimanere.

Sub ii) , si apre un discorso molto ampio dato che l’eccezionalità dell’art. 2351 è sì affermata da molti ma anche seriamente contrastata da altri.

Comunque in sede interpretativa va tenuto conto di quanto appena detto e cioè che l’obbligo può diventare anche trasferimento e alla luce di ciò ampliare l’area semantica del concetto di “contratto preliminare”.

In altre parole si potrebbe pensare ad un’interpretazione estensiva nel senso di riferire la regola posta dal  1351 a tutti i negozi preparatori, che poi possono portare all’effetto traslativo tramite un obbligo giuridicamente sanzionato

La Corte non si confronta con simili riflessioni e al paragrafo 6.4 applica questa disciplina al negozio fiduciario: precisa infatti che per la validità del pactum fiduciae concernente i trasferimenti immobiliari non è necessaria ad substantiam la forma scritta.

A conferma di ciò, aggiunge, starebbe la prassi contrattuale: nel senso -se ben capisco- che le ragioni (di opportunità, di lealtà e di fiducia), che stanno alla base della scelta della fiducia cum amico, sarebbero incompatibili con l’onere della documentazione scritta. Il che può anche essere vero a livello fattuale, ma allora il discorso andrebbe probabilmente esteso a molte altre negoziazioni; la sua rilevanza in sede ermeneutica è però dubbia, anche per l’incertezza che genera (e senza appigli  normativi, quale ad es. una clausola generale). Valorizza invece il passaggio Lipari N., Oltre la fiducia, Per una teoria della prassi, nota alla sentenza, Il foro it., 2020/6, 1951 ss, favorevole al recepimento delle istanze della prassi , propositore di un’ottica degli <atti di ricoscimento> invece che solo degli <atti di posizione>.

Al paragrafo 7 la Corte affronta il secondo problema e cioè quale sia la rilevanza della dichiarazione del fiduciario in cui si riconosce debitore dell’obbligo di trasferire l’immobile al fiduciante. La Corte parla di <<posteriore dichiarazione scritta>> e sembra di capire che la intenda come <<posteriore all’acquisto che il fiduciario ha fatto dal terzo>>.

Le sezioni unite ritengono che si tratti di una dichiarazione solo ricognitiva, priva di  valore costitutivo. Infatti una volta ammessa la validità del patto fiduciario immobiliare verbale, l’obbligo di trasferire è già sorto, per cui la documentazione scritta di questi impegno, rilasciata successivamente, non può che essere ricognitiva.

Su questo punto il pensiero della Corte non è contestabile, alla luce della soluzione data alla prima questione.

La Corte precisa al § 7.3 che si tratta di promessa di pagamento ai sensi dell’articolo 1988 cc e che -cosa di non poco conto-  che la dichiarazione è valida anche se non titolata: cioè non è richiesto il riferimento al titolo dell’obbligazione (non è necessaria la c.d. l’expressio causae).

La Corte infine ricorda che, anche se fosse titolata, non diventerebbe una confessione, rimanendo invece una promessa di pagamento.

l’atto esecutivo (divisionale/apporzionativo) di trust costituisce atto tra vivi e non mortis causa

La Corte di Casszione in sede di regolamento di giurisdizione insegna che l’atto apporzionativo di trust tra trustee e beneficiari è atto inter vivos, non mortis causa (Cass. sez. un., 18.831 del 12 luglio 2019, rel. Giusti)

Nel caso specifico tale atto fu stipulato nella forma di  Deed of agreement, indemnity, release and covenant not to sue tra il trustee e le due figlie del settlor, che erano state nominate beneficiaries in sede istitutiva (anche se in via successiva rispetto al primo beneficario, che era lo stesso disponente) . La legge del trust era neozelandese.

dopo la firma di detto deed, una delle due sorelle citò l’altra in giudizio cheidendo l’annullamneot per dolo ex art. 761 c.c. e ub subordine la rescisione pe lesione ultrea dimidiume ex art. 763.

Venne eccepita la mancanza di giursdizione italiana per clausola di arbitrato estero (svizzero) e proposto dalla concvenuta ricroso per giurisdizione.

Secondo l’attrice (controricorrente in Cassazione) si trattava di materia ereditaria e non di invalidazione del Deed, così sfuggendo [parrebbe] all’ambuto applictivo della clausola arbitrale_: <<ad avviso della controricorrente, la materia del contendere verte (…) non sulla caducazione del Deed, ma sull’attuazione della divisione della massa ereditaria secondo il criterio dell’eguale beneficio dettato dal de cuius P.S., cittadino italiano, deceduto a (OMISSIS). Le singole attribuzioni dei cespiti ereditari non infirmerebbero la natura successoria della controversia di scioglimento della comunione tra coeredi: la clausola per arbitrato estero (..) inerente all’attribuzione di un singolo cespite che compone l’asse ereditario, non osterebbe alla giurisdizione italiana in materia successoria, quale sancita dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 50. Difatti il Deed avrebbe assolto la sola funzione di attribuire un cespite dell’asse da dividere, nel quadro e nel contesto del complessivo scioglimento della comunione ereditaria ancora in corso sotto le cure dell’esecutore testamentario M.C.; la lesione subita da P.E. attraverso il Deed ben potrebbe e dovrebbe essere conosciuta incidenter tantum in funzione del complesso oggetto successorio e divisionale della controversia di cui il Deed costituirebbe soltanto una singola parte; e sussisterebbe controversia divisionale ereditaria anche quando, come nella specie, ferme le quote testamentarie fissate dal de cuius, si controverta sui valori dei beni rispettivamente attribuiti, qui manifestamente distanti rispetto alla volontà del testatore di ripartire il suo patrimonio tra le due figlie in eguale misura>>. (§ 4 Fatti di causa).

Il punto non è chiaro, poichè la difesa svolta dalla controricorrente pare confondere due piani che invece sono distinti: i) se la materia sia o meno ereditaria per decidere quale sia la norma regolatrice la giurisdizione (art. 3 o art. 50 L. 218/1995); ii) se le domande proposte rientrino o meno nella sfera aplicativa della clausola arbitrale (a prescindere dal fatto che, in caso negativo, la questione sia o meno successoria a fini giurisdizionali).

la SC così imposta la qyuestione: << si tratta di stabilire, innanzitutto, se vi siano criteri di collegamento che consentano di ricondurre alla giurisdizione dello Stato italiano la controversia riguardante l’apporzionamento tra i beneficiari del bene conferito in trust e, in particolare, se la detta controversia sia suscettibile di essere ricompresa tra quelle concernenti la divisione ereditaria, per le quali la giurisdizione del giudice italiano è regolata dalla L. n. 218 del 1995, art. 50.>> (§ 2 Reg. della decis.).

Forse però la SC avrebbe anche dovuto porsi a monte la questione della devolvibilità in arbitrato delle liti sucessorie, che è il prius logico. Se la risposta fosse positiva, infatti, domandarsi se fosse o meno materia successoria a fini giusridionali non servirebbe a nulla: qualunque fosse la risposta, opererebbe sempre la clausola arbitrale (se la domanda vi rientrasse ratione materiae).

La risposta è stata nel senso che non si tratta di materia ereditaria, dato che il trasferimento, contenuto nel deed, tra trustee e beneficiarie, in esecuzione dell’atto istitutivo, è atto tra vivi , come tra vivi era l’atto istitutivo di cui il deed  è l’attuaizone. Nè l’uno nè l’altro corrono dunque il rischio di essere interpretati come patto successorio (nelle due fasi obbligatoria ed esecutiva) ex art. 458 cc

infatti <<deve tuttavia escludersi che il consenso espresso dalle beneficiarie all’apporzionamento tra le stesse, ad opera del trustee, dei beni conferiti in vita dal disponente P.S. nel Pale Trust (il Gruppo P.), integri un atto avente ad oggetto un bene caduto in successione ereditaria. Invero, sotto quest’ultimo profilo, va rilevato – in conformità delle conclusioni alle quali è pervenuto il pubblico ministero con la requisitoria depositata il 13 maggio 2019 – che con il Pale Trust non si è realizzata una devoluzione mortis causa di sostanze del disponente P.S..>> (§ 5.1 Rag. della dec.)

Del resto <<tali beni non sono caduti in successione perchè essi si trovavano, al tempo dell’apertura della stessa, già fuori del patrimonio del disponente, avendone costui trasferito la proprietà in via definitiva e per atto inter vivos al trustee; i beneficiari finali – le figlie E. e P. hanno acquistato i beni direttamente dal trustee e non già per successione mortis causa dal de cuius.>> (ivi)

Il Colelgio condivide il giudizio sull’atto attributivo/apporzionativo di trust come avente natura di donazione indiretta : <<Va quindi esclusa la natura mortis causa del trasferimento dal trustee ai beneficiari finali, che costituisce il secondo segmento dell’operazione, perchè – come è stato rilevato – tale atto traslativo ha investito ormai sfere giuridiche diverse da quelle dell’originario disponente: rispetto a tale trasferimento, la morte del settlor non ha alcuna rilevanza causale, potendo al più individuare il momento di esecuzione dell’attribuzione finale>>.

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