Le Sezioni Unite sul “prodotto finanziario implicito” in relazione alla facoltà di pagamento in euro di un leasing pattuito in franchi svizzeri, variabili in base al “Libor 3 mesi CHF”

Pregevole insegnamento in Cass. sez. un. n° 5657 del 23.02.2023, rel. Rossetti, sull’oggetto.

La chiarezza del dr. Rossetti è sempre apprezzabile, soprattutto su temi specialistici e quindi complessi, come quello sub iudice.

Allora subito evidenzio la bacchettata alla dottrina che complica troppo: <<Prima di stabilire se una clausola come quella oggetto del presente giudizio patto costituisca o meno uno “strumento finanziario derivato” reputa questa Corte doveroso premettere di non potere seguire le nimiae subtilitates con cui parte della dottrina ha proposto infinite distinzioni e sottodistinzioni in tema di strumenti finanziari derivati.

Compito del giudice di legittimità è infatti assicurare “l’esatta interpretazione della legge”, e l’esatta interpretazione consiste nel sussumere le nuove fattispecie concrete, fino a quando sia possibile, in categorie giuridiche note, piuttosto che partorirne continuamente di nuove>>. Difficile dissentire, anche se si trattasse di giudice del merito.

Il contratto:

<< 2. Il contratto di leasing prevedeva che:

a) la valuta nominale di riferimento del contratto fosse il franco svizzero;

b) la società utilizzatrice rimborsasse il finanziamento in Euro;

c) il rimborso dovesse avvenire in 15 anni, mediante pagamento di un anticipo, di 179 rate mensili di Euro 4.487,60 ciascuna (termine poi prorogato in corso di esecuzione del contratto), e di un prezzo finale di riscatto;

d) la rata dovuta dall’utilizzatrice alla concedente potesse aumentare o diminuire in funzione di due variabili:

d’) sia in funzione della variazione del tasso “LIBOR 3 mesi – CHF”; d’) sia in funzione delle variazioni del tasso di cambio tra l’Euro e il franco svizzero.

3. Il modo e la misura in cui il canone di leasing dovesse variare erano stabiliti dal contratto come segue:

a) la rata poteva variare sia in aumento che in diminuzione;

b) la variabilità del canone dipendente dalle fluttuazioni del tasso LIBOR era illimitata in aumento, e limitata in diminuzione (non oltre due punti in meno dell’indice di base), e si sarebbe applicata a partire dal canone in scadenza nel mese in cui si era verificata la variazione del tasso LIBOR;

c) la variabilità del canone dipendente dalle fluttuazioni del cambio franco/Euro era illimitata sia in aumento che in diminuzione;

d) la misura della variazione del canone dipendente dalle fluttuazioni del cambio franco/Euro doveva determinarsi con una formula matematica, pari al canone, diviso per il cambio al momento del pagamento della rata, e moltiplicato per la differenza tra cambio storico (cioè il cambio fissato convenzionalmente dalle parti alla stipula del contratto) e cambio alla scadenza del canone.

Unica differenza tra l’ipotesi di apprezzamento del franco e quella di apprezzamento dell’Euro in corso di contratto era che nel primo caso (apprezzamento del franco, e quindi variazione a favore del debitore) a base del calcolo si sarebbe dovuto porre l’importo della rata al netto dell’IVA, e nel secondo caso (deprezzamento del franco, e quindi variazione a favore del creditore) a base del calcolo si sarebbe dovuto porre l’importo della rata al lordo dell’IVA;

e) infine, il contratto prevedeva che eventuali variazioni del canone non avrebbero comportato l’aumento o la diminuzione della rata mensilmente dovuta, ma sarebbero state regolate a parte, con periodiche rimesse reciproche tra le parti.>>

– Motivo della rimessione per le SU:

<< La suddetta ordinanza, dopo aver ravvisato l’esistenza di contrastanti decisioni di questa Corte circa la validità di clausole come quella oggetto del presente giudizio, ha ritenuto non persuasivo l’orientamento che nega alle clausole suddette la qualificazione di “derivati impliciti”, e sollecita queste Sezioni Unite a stabilire, siccome questioni di massima di particolare importanza:

a) se la clausola di cui si discorre sia un mero meccanismo di indicizzazione, oppure costituisca una “scommessa”, o comunque abbia una finalità speculativa;

b) se la suddetta clausola muti la causa del contratto di leasing, “inquinandola”, ed in questo caso con quali effetti;

c) se la relativa pattuizione, a causa della sua oscurità, violi i doveri di correttezza e buona fede da parte del predisponente.>>

Alcuni passaggi significativi:

– << Questa Corte ha già stabilito che il giudizio di “meritevolezza” di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., non coincide col giudizio di liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa.

Secondo la Relazione al Codice civile la meritevolezza è un giudizio che deve investire non il contratto in sé, ma il risultato con esso avuto di mira dalle parti, cioè lo scopo pratico o causa concreta che dir si voglia (ex aliis, Sez. U -, Sentenza n. 4222 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4223 del 17/02/2017; Sez. U, Sentenza n. 4224 del 17/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 10506 del 28/04/2017).

Ed il risultato del contratto dovrà dirsi immeritevole solo quando sia contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico (così la Relazione al Codice, p. 603, II capoverso)>>.

Profilo importante però , in sostanza, immotivato.

– §§ 2.3 segg.: sul perchè la calusola de qua non è immeritevole. Ragionamento condivisibile.

§ 2.5: <<Tali considerazioni, svolte solo a mò d’esempio, corroborano la conclusione che il giudizio di “immeritevolezza” d’un contratto, ex art. 1322, comma 2, c.c., non può essere formulato in astratto ed ex ante, limitandosi a considerare il solo contenuto oggettivo dei patti contrattuali, ma va compiuto in concreto ed ex post, ricercando – beninteso, iuxta alligata et probata partium – lo scopo perseguito dalle parti>>.

Non è così: la valtuaizone non è mai ex post, è sempre ex ante, essendo un vizio genertico e non funzinale: vero è che deve considerare la  futura ipotetica esecuzione del contratto (il che è ovvio). Probabilmente una svista .

Questo sulla teoria del contratto. Poi passa allo specifico stipulato

– il § 5 distingue tra <derivato implicito> e <clausola di indicizzazione>. E’ la parte più interessante e per lo più condivisibile.

– secco al § 5.1: <<5.1. Una clausola inserita in un contratto di leasing, la quale faccia dipendere gli interessi dovuti dall’utilizzatore dalla variazione di un indice finanziario insieme ad un indice monetario, in un caso come quello di specie, non è uno strumento finanziario derivato, e tanto meno un “derivato implicito”>>. Ciò sia in base al testo del TUF ratione temporis applicabile sia in abase all’attuale, §§ 5.2 segg.

– il § 5.7  spiega il funzionamento economico del finanziamento in valuta estera:

<< 5.7. La corretta qualificazione giuridica di clausole come quella oggetto del presente giudizio deve muovere del rilievo che il contratto oggetto del contendere aveva ad oggetto una operazione reale (leasing); prevedeva che il valore del debito complessivo dell’utilizzatore fosse determinato in franchi svizzeri, e accordava all’utilizzatore la facoltà di pagare in Euro.

Il contratto di leasing ha ovviamente sempre una funzione (anche) di finanziamento, ed un finanziamento può legittimamente essere concesso in valuta nazionale od in valuta estera.

Un finanziamento in valuta estera ha lo scopo di evitare i rischi connessi alla svalutazione della moneta nazionale (e cioè il rischio della svalutazione per il creditore, e il rischio della rivalutazione per il debitore).

Un finanziamento in moneta estera può avvenire con due modalità:

a) la prima modalità è prevedere che l’indebitamento venga direttamente denominato ed erogato nella valuta estera (ad es., il concedente acquista l’immobile in franchi, e lo dà in locazione finanziaria all’utilizzatore, che avrà facoltà di pagare in franchi o in Euro, secondo la previsione dell’art. 1278 c.c.);

b) la seconda modalità è esprimere sia la provvista erogata dal concedente, sia le rate dovute dall’utilizzatore in valuta domestica, ma agganciarne il valore al rapporto di cambio con una valuta estera.

In questo modo si realizza indirettamente lo stesso risultato della pattuizione sub (a).

In conclusione, un finanziamento (non importa se in forma di mutuo o di leasing) il cui importo è parametrato ad un rapporto di cambio è un debito di valore e non di valuta.

La clausola di cui si discorre dunque non è che una normale clausola-valore, attraverso la quale le parti individuano il criterio al quale commisurare la prestazione del debitore.

Pertanto:

-) l’aleatorietà del contratto, lungi dal costituire un indice della presenza d’un “derivato implicito”, non è che un effetto naturale d’una altrettanto normale clausola-valore;

-) la previsione che eventuali conguagli a favore dell’una o dell’altra parte fossero regolati a parte, e non incidessero sul valore della rata (che restava costante) non è che una modalità esecutiva delle reciproche obbligazioni, insuscettibile di riverberare effetti di sorta sulla qualificazione del contratto. Il titolo dell’obbligazione infatti non muta solo perché cambi il termine di adempimento. Del resto, il creditore ha facoltà di accettare un adempimento parziale (art. 1181 c.c.) o di rinunciare al termine stabilito a suo favore (art. 1185 c.c.), e ciò dimostra che la possibilità di regolare a parte alcune delle obbligazioni e non altre, oppure una aliquota dell’unica obbligazione, è un effetto normale dello statuto delle obbligazioni civili.>>

– § 6 : la clausola <rischio di cambio> non snatura il tipo astrattamente pattuito (leasing)

  • principi di diritto: << 8. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, in differente composizione, la quale tornerà ad esaminare l’appello proposto dalla RPS applicando il seguente principio di diritto:”il giudizio di “immeritevolezza” di cui all’art. 1322, comma 2, c.c. va compiuto avendo riguardo allo scopo perseguito dalle parti, e non alla sua convenienza, né alla sua chiarezza, né alla sua aleatorietà“.

9. Va, infine, formulato nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c. il seguente principio di diritto:

La clausola inserita in un contratto di leasing, la quale preveda che: a) la misura del canone varii in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera; b) l’importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte; non è un patto immeritevole ex art. 1322 c.c., né costituisce uno “strumento finanziario derivato” implicito, e la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del d. lgs. 58/98″ >>.

Sentenza importante, che tocca  temi di vertice nel diritto dei contratti,  già oggetto di pregevoli commenti (ad es. D’Amico in I contratti, 2023/3, 260 ss.)

La residualità/sussidiarietà dell’azione di arricchimento ex art. 2042 cc

Cass. ordin. interloc. n° 5.222 del 20.02.2023, rel., Cricenti, affronta l’oggetto e, ritenendolo di notevole importanza, sugerisce la rimessione alle sezioni unite.

Si trattava della frequente fattispecie per cui un’impresa esegue lavori ad una PA, contando su promessa verbale di successivo miglioramento del regime urbanistico del proprio terreno (in claris: di successiva trasformazione da agrigolo ad edificabile).

La promessa non viene mantenuta e allora l’impresa agisce per vioalazione dell’affidamento (trattativa in malafede) e in subordine per ingiusto arricchimento .

Non si tratta solo della nota alternativa tra residualità in astatto/in concreto, ma pure di quella relativa al se l’azione primaria sia fondata su legge/contratto oppure su clausola generale (di buona fede, come nel caso specifico : art. 1337 cc)

La seconda alternativa è ritenuta poco sensata dalla ordinanza: in tutti i casi (o meglio: anche quando si fa valere la violazione della buona fede) non è vero che, per decidere se sia data l’azione primaria, si entri nel merito,  potendosi (dovendosi) eseguire una valutazione in astratto.

Conciliazione lavorativa impugnata per violenza/minaccia

Fattispecie (forse) inusuale quella decisa da Trib. Napoli -sez. lavoro, n° 6262/2022 del 30.11.2022, RG 14836/2021, giudice Molè.

fatto:

<<In punto di fatto, è opportuno evidenziare che la Napoli Sociale con verbale di assemblea dell’11.4.2016 disponeva lo scioglimento e la liquidazione volontaria della società, e la Giunta del Comune di Napoli in data 14-4-2016 proponeva al Consiglio Comunale la presa d’atto della attivazione della procedura di liquidazione, per cui il Comune disponeva l’affidamento dei servizi di welfare già erogati dalla Napoli Sociale, alla Napoli Servizi.
A seguito dell’avvio del conseguente processo di mobilità del personale, in data 26-10-2016, la Napoli Servizi comunicava al Comune di Napoli ed alle organizzazioni sindacali partecipanti, la sua conclusione attraverso il passaggio dei 514 lavoratori ex Napoli Sociale in liquidazione, alle proprie dipendenze con contratto a tempo indeterminato ed il mantenimento, per tutti i lavoratori, del livello retributivo di provenienza, il tutto attraverso la sottoscrizione degli stessi di un verbale di accordo sindacale presso la DTL di Napoli.
Quindi, in data 3-11-2016 la Napoli Servizi, la Napoli Sociale in liquidazione e la ricorrente sottoscrivevano dinanzi alla DTL un processo verbale di conciliazione a carattere novativo, nell’ambito del quale la Napoli Servizi disponeva l’assunzione della stessa alle proprie dipendenze con contratto di lavoro a tempo indeterminato e inquadramento della dipendente nel III livello del CCNL Multiservizi a tempo pieno (40 ore settimanali), rinunciando al contempo (cfr. capo Uno dei verbale) alla applicazione della normativa di cui al D. Lgs n.23/2015 (cd “Jobs act”) e riconoscendo al lavoratore l’applicazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori nel testo antecedente al 7-3 2015.
Al capo Due del verbale la lavoratrice, attraverso la sottoscrizione del verbale di conciliazione, dichiarava di rinunciare ai diritti, alle azioni di rivalsa c/o di solidarietà che avrebbe potuto proporre ai sensi delI’art.2112 c.c., nei confronti della Napoli Servizi spa. Nel medesimo capo, dichiarava inoltre di rinunciare, nei confronti della Napoli Servizi, al diritto ed all’azione nei suoi confronti per il riconoscimento di qualsivoglia obbligazione, sia di natura contrattuale che extracontrattuale, connessa alle modalità di costituzione, svolgimento e risoluzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della Napoli sociale in liquidazione volontaria: tra gli emolumenti oggetto di rinuncia le parti operavano al riguardo l’esplicito riferimento all’art.2120 c.c. relativo al TFR ed alla risoluzione del rapporto con la Napoli Sociale spa>>

e popi:

<<Orbene, come affermato dalla Corte d’appello nei suindicati precedenti, sussiste il vizio invalidante il consenso, in quanto la documentazione versata in atti prova la  coazione ad estorcere il consenso della lavoratrice alla sottoscrizione della conciliazione.
Si ritiene fondamentale il contenuto della comunicazione di Napoli Servizi in vista della futura stipula del contratto di assunzione, in cui si legge che la proposta di assunzione è subordinata all’accettazione da parte della lavoratrice di determinate condizioni, tra cui la rinuncia ad azioni dirette e/o di natura solidaristica relative al rapporto intercorso con Napoli Sociale e che l’assunzione stessa e le condizioni ivi indicate sarebbero dovute essere trasposte in un verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c.>>

Non è specificata la disposizione ma dovrebbe trattarsi dell’annullamento per viuolenza.

Non vi osta il fatto cjhe la conciliazione fosse stata stipulata nella sede c.d protetta ex art. 2113 ult. co. cc

La violazione di norma imperativa non genera neecssariamente nullità del contratto

Cass. sez. I n° 2176 del 24.01.2023 , rel. Mercolino:

<<In tema di nullità del contratto, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che, in assenza di una norma che vieti in via generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito, sicché la sua conclusione non comporta una nullità per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l’ordinamento appresta rimedi speciali, i quali comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia (cfr. Cass., Sez. III, 31/10/2014, n. 23158; Cass., Sez. II, 11/10/2013, n. 23158; Cass., Sez. I, 4/10/2010, n. 20576).         Tale principio, correttamente richiamato dal decreto impugnato, è stato ribadito anche in riferimento all’ipotesi di stipulazione di un mutuo ipotecario in violazione della L. Fall., art. 216, comma 3, , che punisce il reato di bancarotta preferenziale: in linea generale, si è infatti osservato che la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, dal momento che l’art. 1418 c.c., comma 1, facendo salva l’ipotesi in cui la legge disponga diversamente, impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso d’inosservanza del precetto, abbia voluto salvaguardare la validità del negozio, mediante la predisposizione di un meccanismo alternativo idoneo a realizzare gli effetti della norma; nel caso in cui il debitore abbia effettuato pagamenti o simulato titoli di prelazione con l’intento di favorire uno o più creditori a danno di altri, il predetto meccanismo è stato poi individuato nell’esercizio dell’azione revocatoria, la quale, comportando la dichiarazione d’inefficacia dell’atto, in quanto lesivo della par condicio creditorum, consente di escludere l’applicabilità della sanzione di nullità per illiceità della causa, ai sensi dell’art. 1344 c.c. (cfr. Cass., Sez. I, 22/02/2021, n. 4694 e 4695; 28/09/2016, n. 19196).>>, § 11.

Il contratto era un mutuo fondiario concesso alla soc. fallita da un pool di banche

Preliminare ed errore sulle qualità edificatorie del terreno

Cass. 12.01.2023 n. 639, sez. II, rel. Falaschi:

<<Va pertanto applicato il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui l’errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto non incide sull’identità o qualità della cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo ed al rischio che il contraente si assume, nell’ambito dell’autonomia contrattuale, per effetto delle proprie personali valutazioni sull’utilità economica dell’affare” (Cass. n. 20148 del 2013).
Tale complessiva valutazione delle risultanze processuali, nel caso di specie, non risulta essere stata effettuata dalla Corte territoriale, la quale ha fondato la esistenza dell’errore su un unico elemento che da solo appare risulta privo di decisività.
In assenza di specifiche indicazioni sulla riconoscibilità in concreto delle ragioni abitative manifestate dalla promissaria acquirente – e conosciute dai prominenti venditori – la sola circostanza che il terreno pacificamente non è edificabile non costituisce elemento univoco, né decisivo da cui desumere che l’effettivo interesse perseguito dalla stessa riguardava il terreno per la sua capacità edificatoria.
A parte, inoltre, la formulazione letterale dell’oggetto del contratto, in cui parrebbe non risultare alcuna clausola o pattuizione accessoria, né alcun elemento estrinseco, quale la particolare destinazione urbanistica della zona in cui si trovava il terreno de quo, o una valutazione comparativa del corrispettivo pattuito rispetto all’effettivo valore del suolo, anche in relazione al minor valore rispetto alle aree edificabili circostanti, sintomatici della riconoscibilità dell’errore e della rilevanza essenziale attribuita dalla promissaria acquirente alla capacità edificatoria dell’area.>>

Attenzione dunque quando si negozia un bene con certe caratteristiche desiderate: vanno specificate ed anche nel preliminare!

Content moderation, hate speech e risoluzione del contratto di social network per inadempimento dell’utente

Trib. Roma.,  sez. dir. della persona e immig. civile, n° 17909/2022 del 5 dicembre 2022, RG 10810/2020, giud. monocr. Albano Silvia, decide nel merito la nota lite tra Casapoound e Facebook (ora Meta Platforms ireland ltd.: poi “FB), già oggetto di decisione cautelare alla fine del 2019.

Non ci sono ragionamenti particolarmente interessanti in diritto, ma un fattualmente importante accertamento di <organizzazione di odio> a carico di Casapound, secondo gli Standard di condotta di FB.

Purtroppo la lunga e fitta sentenza non è divisa in brevi paragrafi, per cui le lettura è poco agevole.

Il § 2 dà conto del quadro normativo e di applicazioni giurisprudenziali, anche estere.

Riporto il § 2.5 Conclusioni :

<<Dal complesso quadro di fonti normative sopra delineato, alcune delle quali aventi valore di fonti sovraordinate (come le norme costituzionali, o quelle sovranazionali in base all’art 117 della Costituzione), emerge con chiarezza che tra i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, nel bilanciamento con altri diritti fondamentali della persona, assume un particolare rilievo il rispetto della dignità umana ed il divieto di ogni discriminazione, a garanzia dei diritti inviolabili spettanti ad ogni persona.
La libertà di manifestazione del pensiero non include, pertanto, discorsi ostili e discriminatori (vietati a vari livelli dall’ordinamento interno e sovranazionale).
Gli obblighi imposti dal diritto sovranazionale impongono di esercitare un controllo; obbligo imposto agli stati ed anche, entro certi limiti (come si è visto), ai social network come Facebook, che ha sottoscritto l’apposito Codice di condotta.
Nel caso di specie, peraltro, non si tratta di una generalizzata compressione per via giudiziaria della libertà di espressione di singoli individui o gruppi, ma della possibilità di accedere ad uno specifico social network (che è anche un social media, strumento attraverso il quale i produttori di contenuti sono in grado di raggiungere il grande pubblico), gestito da privati, al fine di consentire la diffusione di informazioni concernenti l’attività di una determinata formazione politica.>>

Segue poi l’applicazione al caso de quo (cioè alle clausole contrattuali tra klutente e FB: sono riportate le clausole pertinenti).

Di interesse è che nessuna clausola prevede un obbligo di preavviso per disattivazione pagine o profilo, p. 25. In ogni caso nessun danno è stato provato dalla perdita per tale ragine dei documenti già ivi caricati (p. 40).

Pertanto, alla luce della normativa e della giurisprudenza nazionale e sovranazionale opra illustrata, <<può ritenersi che un’organizzazione che si richiama al fascismo, ne usa i simboli e gli slogan, può essere designata organizzazione d’odio in base alle regole contrattuali di Facebook sopra illustrate, in quanto oggettivamente favorisce la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico>>, § 4.

E poi: <<Nel caso di specie, al contrario, non si tratta di accertare la rilevanza penale della condotta, ma la legittimità della sua diffusione attraverso il social network, in quanto la pubblicazione di simbologia fascista è vietata dalle condizioni contrattuali di Facebook e autorizza, pertanto, la rimozione di post la riproducono.
Si è visto più sopra che le regole più stringenti in ordine alle legittimità dei contenuti divulgabili in rete sono determinati anche dall’effetto moltiplicatore di internet, idoneo ad attribuire un’attitudine lesiva a condotte che altrimenti potrebbero non averne, da qui le iniziative volte a responsabilizzare i gestori dei social network onde vietare la diffusione di simboli o discorsi d’odio in rete anche attraverso le condizioni contrattuali che ogni utente deve sottoscrivere al momento dell’iscrizione.

Facebook non solo poteva risolvere il contratto grazie alle clausole contrattuali accettate al momento della sua conclusione, ma aveva il dovere legale di rimuovere i contenuti, una volta venutone a conoscenza, rischiando altrimenti di incorrere in responsabilità (si veda la sentenza della CGUE sopra citata e la direttiva CE in materia), dovere imposto anche dal codice di condotta sottoscritto con la Commissione Europea>>, p. 31.

Viene esteso il giudizio alla pagina personale dell’ammninistratore di Casapound Italia.

Elenco di fatti, supportanti il giudizio di esattezza della qualificazione come  <organizzazione di odio> decisa da FB,  sta a a pp. 36/7.

Quindi FB legittimamente ha risolto il contratto.

Sono poi riprodotti i principali documenti provanti tale conclusione (con riproduzione grafica e a colori; i link invece non sono più attivi)

Conclusione finale al § 5 , p. 39: a<<l’art. 3.2 delle condizioni contrattuali prevede espressamente che nel caso in cui “l’utente abbia violato chiaramente, seriamente o reiteratamente le proprie condizioni o normative, fra cui in particolare gli Standard della community, Facebook potrebbe sospendere o disabilitare in modo permanente l’accesso dell’utente al suo account.”
E’ stato provato che le parti attrici hanno pubblicato contenuti in violazione delle clausole contrattuali che vietano il supporto ad organizzazioni d’odio (Davide Di Stefano attraverso il proprio profilo anche quale amministratore della pagina di CasaPound Italia), la pubblicazione di hate speech basati sulla razza o etnia (art 13 Standard della Comunità) e simboli che rappresentano/elogiano un’organizzazione che incita all’odio (come tutta la simbologia fascista o l’elogio ai combattenti della X Mas o della Repubblica di Salò- art 2 degli Standard) o che incitano alla violenza (art 1 degli Standard).
I contenuti, che inizialmente erano stati rimossi e poi a fronte della reiterata violazione hanno comportato la disattivazione degli account delle parti attrici sono illeciti da numerosi punti di vista.
Non solo violano le condizioni contrattuali, ma sono illeciti in base a tutto il complesso sistema normativo di cui si è detto all’inizio, con la vasta giurisprudenza nazionale e sovranazionale citata.>>

Conclusione on-line del contratto e clausola di arbitrato

Le piattaforme quasi sempre , quando convenute, eccepiscono la clausola di arbitrato stipulata on line tramite i terms of service TOS, in cui è inserita.

In questo caso il distretto nord della California, S. Josè division, 16 dicembre 2022, Case No. 22-cv-02638-BLF, Houtchens e altri c. Google, affronta il tema del se sia stata o no validamente conclusa la clausola di arbitrato col metodo c.d. clickwrap agreement per l’apertura di un account Fitbit (di proprietà di Google).

Si vedano in sentenza le quattro schermate a seconda del dispositivo (pc, cell. etc): in breve, si deve cliccare per i TOS su un quadratino che ad essi rinvia tramite link, e in essi pure alla  clausola di arbitrato.

Per la corte, l’accordo si è validamente formato:

<<The Court finds that the hyperlinks to Fitbit’s Terms of Service in each of the above screens provided Plaintiffs “reasonably conspicuous notice” of the terms. See Berman v. Freedom Fin. Network, LLC, 30 F.4th 849, 856 (9th Cir. 2022). In the first three screens, the hyperlinks to Fitbit’s Terms of Service are presented in blue text in a sentence that otherwise uses gray text; they are next to the box a user must select to accept the terms; and the screens on which they appear are uncluttered. Court’s have routinely found that such a presentation supplies reasonably conspicuous notice of hyperlinked terms. See, e.g., Adibzadeh, 2021 WL 4440313, at *6 (reasonably conspicuous notice provided “where users must agree to the website’s terms and conditions before they can proceed, and the terms and conditions are offset in a blue text, hyperlinked text”). In the final screen, the hyperlinks are again presented next to the box that a user must select to accept the terms and the screen on which they appear is uncluttered; but instead of using blue font to distinguish the hyperlinks from the surrounding text, the page uses boldunderlined font. The Court finds that this page, too, provides reasonably conspicuous notice of the terms to which a consumer will be bound. Cf. Nguyen, 763 F.3d at 1177 (“The conspicuousness and placement of the ‘Terms of Use’ hyperlink, other notices given to users of the terms of use, and the website’s general design all contribute to whether a reasonably prudent user would have inquiry notice of a browsewrap agreement.”)>>

La violazione dei limiti di finanziabilità, propri del mutuo fondiario, non ne determina nullità

Così Cass. sez. un. 16.11.2022 n. 33.719 rel Lamorgese, sulla base dell’ordinanza che l’aveva sollevata per contrasto giurisrpduenziale.

Decisum importante nella pratica.

Alcuni spunti: << 8.3.- E’ arduo ritenere che una disposizione preveda un requisito a
pena di nullità senza preoccuparsi di fornire elementi per definirlo, ogni
qual volta esso non appaia di palmare e intuibile comprensione, come
nel caso in esame. Né la norma primaria (articolo 38 del t.u.b.) né la
norma secondaria attuativa (con deliberazione della Banca d’Italia)
contengono, infatti, alcuna indicazione in ordine ai criteri di stima del
valore dell’immobile, cui è rapportato in via percentuale l’ammontare
massimo del finanziamento, e all’epoca di riferimento della stima.
>>

<<Come rilevato nell’ordinanza interlocutoria, la
nullità è predicabile per violazione di norme di fattispecie o di struttura
negoziale solo se immediatamente percepibile dal testo contrattuale,
senza laboriose indagini rimesse a valutazioni tecniche opinabili
compiute ex post da esperti del settore, come sono invece quelle
compiute dai periti cui sia demandato il compito di stimare il bene, ai
fini del giudizio sul rispetto del limite di finanziabilità.
Il rischio è di minare la sicurezza dei traffici e di esporre il contratto
in corso a intollerabili incertezze derivanti da eventi successivi – che
non dovrebbero interferire con la questione, che è formale prima che
sostanziale, della validità del contratto stesso – dipendenti dai
comportamenti delle parti nella fase esecutiva (come l’inadempimento
o l’insolvenza del mutuatario), tali da innescare la crisi del rapporto
negoziale con l’esigenza di verificare ex post l’osservanza del limite di
finanziabilità. Nessuna delle parti potrebbe fare affidamento sulla
stabilità e sulla validità ab origine del contratto stipulato, essendo ben
possibile che il valore immobiliare, sia pure oggetto di iniziale perizia
estimativa, sia stato inconsapevolmente sopravvalutato><

<<8.8.- Pur ipotizzando in astratto la natura imperativa della
disposizione di cui all’articolo 38, secondo comma, t.u.b., per escludere
la nullità del contratto per eccedenza dell’importo mutuato è risolutivo
l’argomento secondo cui non ogni violazione di norma imperativa può
dare luogo ad una nullità contrattuale, ma solo quella che pone il
contratto in contrasto con lo specifico interesse che la norma
imperativa intende tutelare>>

Pruincipio di diitto, p. 32-33:_ <<In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma
determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della
validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o
integrativo dell’oggetto del contratto; non integra norma imperativa la
disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato
all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di
finanziabilità nell’ambito della «vigilanza prudenziale» (cfr. articoli 51ss. e 53 t.u.b.) – la cui violazione, se posta a fondamento della nullità
(e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai
erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa
garanzia ipotecaria), potrebbe condurrebbe al risultato di pregiudicare
proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla
stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella
concessione del credito.>>

Discriminazione e safe harbour ex § 230 Cda in Facebook

LA Eastern district of Pennsylvania 30.09.2022  Case 2:21-cv-05325-JHS D , Amro Ealansari c. Meta, rigtta la domanda volta a censurare presunta discriminazione da parte di Facebook verso materiali islamici ivi caricati.

E’ rigettata sia nel merito , non avendo provato discrimnazione nè che F. sia public accomodation (secondo il Civil Rights Act),  sia in via pregiudiziale per l’esimente ex § 230 CDA.

Nulla di particolarmente interessante e innovativo

(notizia e  link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

Vessatorietà ex art. 1341 cc e clausola di risarcimento in forma specifica nel contratto di assicurazione auto (c.d. polizza eventi atmosferici)

La clausola di risarcimento (rectius: indennizzo) del danno in forma specifica, sempre più frequente., non è vessatoria ex art. 1341 cc poichè non limita la responsabilità della Compagnia  ma determina solo l’oggetto contrattuale.

Così Cass. 23.415 del 27.07.2022, sez. 3, rel. Spaziani:

<<2.2. I primi quattro motivi del ricorso per cassazione in esame sono, invece, infondati nella parte in cui, deducendo la violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., nonché del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 33, 34, 35 e 36, (Codice del consumo), contestano le rationes decidendi della sentenza impugnata, dubitando della legittimità, in base alle predette norme, del giudizio espresso dal giudice di appello sulla non vessatorietà della clausola contrattuale e sulla valida ed efficace formazione del consenso su di essa.

2.2.a. Questa Corte ha affermato il principio, cui deve darsi continuità, secondo il quale, nel contratto di assicurazione contro i danni, la clausola con cui si pattuisce che l’assicurato sia indennizzato mediante la reintegrazione in forma specifica del danno occorsogli in conseguenza di un sinistro stradale (ad es., mediante riparazione del veicolo presso una carrozzeria autorizzata) non è da considerarsi clausola limitativa della responsabilità agli effetti dell’art. 1341 c.c., ma delimitativa dell’oggetto del contratto, in quanto non limita le conseguenze della colpa o dell’inadempimento e non esclude, ma specifica, il rischio garantito, stabilendo i limiti entro i quali l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato (Cass. 15/05/2018, n. 11757).

Infatti, premesso che, nell’ambito del contratto ci assicurazione, sono da considerare limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., le clausole che circoscrivono le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre, al contrario, attengono all’oggetto del contratto quelle che concernono il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito (tra le altre, Cass. 10/11/2009, n. 23741 e, recentemente, Cass. 04/02/2021, n. 2660, non mass.), deve escludersi che siano soggette all’obbligo della specifica approvazione preventiva per iscritto le clausole che si limitano a prevedere, in luogo del risarcimento per equivalente, l’obbligo, per l’assicuratore, di provvedere alla riparazione in forma specifica (eventualmente, come nella specie, attraverso la previsione della riparazione del veicolo presso una carrozzeria convenzionata), la quale costituisce una forma di risarcimento o di indennizzo che consente al danneggiato di ottenere il ristoro del pregiudizio subito mediante la diretta rimozione delle conseguenze dannose e la restitutio in integrum del medesimo bene che costituiva il punto di riferimento oggettivo dell’interesse leso.

2.2.b. Con siffatta clausola non viene imposto al contratto di assicurazione un peso che rende eccessivamente difficoltosa la realizzazione del diritto dell’assicurato né si consente all’assicuratore di sottrarsi in tutto o in parte alla sua obbligazione o si assoggetta la soddisfazione dell’assicurato all’arbitrio dell’assicuratore e ai tempi da questo imposti per la definitiva liquidazione della somma dovuta; piuttosto, senza determinare alcun significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di assicurazione (ma, anzi, attraverso una libera stipulazione intesa ad ottenere specifici vantaggi contrattuali a fronte dell’assunzione dell’impegno di rivolgersi ad una carrozzeria convenzionata con l’assicuratore), viene specificato l’oggetto del contratto stesso e vengono pattuite le modalità e la forma con cui l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato del danno prodottogli dal sinistro; la clausola in questione, pertanto, non rientra tra quelle limitatrici della responsabilità dell’assicuratore e non richiede per la sua efficacia la specifica approvazione per iscritto del contraente per adesione ai sensi dell’art. 1341 c.c..

2.2.c. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – la quale sembra considerare il risarcimento per equivalente maggiormente satisfattivo per il creditore rispetto a quello in forma specifica – va altresì puntualizzato, in termini generali, che, sebbene la scelta tra le due forme risarcitorie spetti al creditore (art. 2058 c.c., comma 1), tuttavia, se il debitore offre il risarcimento in forma specifica, l’eventuale rifiuto di tale offerta sarebbe contrario a buona fede, perché precluderebbe al debitore di conseguire un risultato utile che non comporta per il creditore un apprezzabile sacrificio e che e’, anzi, normalmente più adeguato al fine risarcitorio e, dunque, al soddisfacimento dell’interesse creditorio (art. 1174 c.c.).

Proprio su tali presupposti la dottrina ammette che danneggiato e danneggiante possono validamente ed efficacemente accordarsi sul risarcimento in forma specifica, anche in via preventiva: tale accordo, infatti, integra un contratto innominato avente causa risarcitoria, diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.c., comma 2).

La clausola contrattuale diretta a prevedere siffatta forma risarcitoria, predisposta unilateralmente dal debitore, non determina, pertanto, uno squilibrio in suo favore dei diritti ed obblighi derivanti dal contratto: la concreta operatività di tale istituto, ove sia materialmente possibile, trova infatti un limite, non già nelle esigenze di tutela del creditore (il cui interesse viene, al contrario, pienamente reintegrato), ma nelle esigenze di tutela del debitore, il quale può liberarsi mediante il risarcimento per equivalente, ove quello in forma specifica risulti per lui eccessivamente oneroso (art. 2058 c.c., comma 2).

2.2.d. Il giudizio del Tribunale, inteso ad escludere il carattere vessatorio della clausola “F.9.4”, integrativa del contenuto del contratto di assicurazione stipulato dalla ricorrente, nonché il susseguente giudizio inteso a ritenere validamente ed efficacemente formato il consenso dell’assicurata su detta clausola (che non necessitava di specifica approvazione per iscritto) attraverso la sottoscrizione della dichiarazione di conoscere ed accettare le disposizioni della “Linea Comfort” contenute nel fascicolo informativo, appare, per quanto si è detto, perfettamente conforme a diritto, con conseguente infondatezza delle censure formulate, al riguardo, negli illustrati motivi di ricorso per cassazione>>