Tra recesso e risoluzione, in relazione alla qualificabilità come cvlausola vessatoria ex art. 1341. c.2 cc

Cass. 5 agosto 2022, n. 24.318 , sez. 2, rel. Trapuzzano, sulla qualifica di una clausola di preliminare per immobile da costruire, purtroppo non riportata testualmente ma così riassunta dalla SC sub § 7.2 , qualifica oscillante tra patto risolutorio e condizione risolutiva:

<<la clausola di cui all’art. 10 del preliminare di vendita di immobile sulla carta, concluso tra le parti in data 23 maggio 2004, testualmente ha stabilito che il contratto doveva ritenersi nullo – rectius inefficace – nel caso che la promittente venditrice non avesse ottenuto il permesso a costruire e le ulteriori autorizzazioni entro il mese di settembre 2004, con la contestuale previsione della rinuncia del promissario acquirente ad agire, nei confronti del promittente alienante, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata vendita dell’immobile>>.

Pertanto la dichiarzine dell’ipresa di sciogliersi dal contratto per mancato ottenimetno delle cocnessioni pujbliche costuisce esercizio del dirtto risolutoorio e non di ercesso: << 7.3.- Ora, l’opzione ermeneutica cui ha aderito il Giudice di merito non è confortata dai termini letterali contemplati dalla clausola in questione. E ciò atteso che il riconoscimento, in favore di una delle parti, dello ius poenitendi, ai sensi dell’art. 1373 c.c., inserisce nel contratto un diritto potestativo di sciogliersi ad nutum dal negozio, attraverso una semplice manifestazione di volontà da comunicare alla controparte. Tale evenienza e’, per definizione, ontologicamente diversa dalla previsione secondo cui l’efficacia del negozio è subordinata (in via sospensiva o in via risolutiva) alla verificazione di un avvenimento futuro e incerto.

Sicché è intrinsecamente contraddittoria la qualificazione in termini di recesso di una previsione contrattuale che subordini lo scioglimento del negozio alla mancata verificazione di un determinato evento ad una certa data.

In proposito, si osserva che la pattuizione, inserita in un preliminare di vendita immobiliare, che preveda la risoluzione ipso iure qualora – con riferimento al bene, che ne costituisce l’oggetto (nella fattispecie in una vendita di appartamenti facenti parte di un fabbricato da costruire) – non vengano rilasciati i permessi a costruire entro una determinata data, per fatto non dipendente dalla volontà delle parti, deve qualificarsi come condizione risolutiva propria, determinando l’effetto risolutivo di quel contratto, evidentemente consistente nella sua sopravvenuta inefficacia, in conseguenza dell’avverarsi di un evento estraneo alla volontà dei contraenti (sebbene specificamente dedotto pattiziamente) nonché dello spirare del termine, pure ritenuto nel loro interesse comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21215 del 27/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 22310 del 30/09/2013; Sez. 2, Sentenza n. 17181 del 24/06/2008).

Ne discende che dal tenore testuale della clausola emerge che la statuizione sull’efficacia del negozio contemplata dall’art. 10 del preliminare dovesse essere ancorata, non già ad una facoltà del predisponente di sciogliersi unilateralmente dal contratto con efficacia ex nunc, bensì ad un avvenimento futuro e incerto con efficacia ex tunc (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26365 del 16/12/2014; Sez. 2, Sentenza n. 3626 del 07/08/1989; Sez. 3, Sentenza n. 2504 del 18/09/1974).

Difettando qualsiasi riferimento ad una potestà di sciogliersi dal contratto ove ricorra una determinata condizione – ed essendo, per converso, previsto che il preliminare non abbia efficacia qualora la condizione stabilita non si verifichi entro la data indicata -, neanche può ritenersi che si tratti dell’attribuzione ad una delle parti della facoltà di recesso subordinata ad un avvenimento futuro ed incerto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2873 del 19/05/1979).>>

Swap, costi occulti e nullità del contratto: sulla scia di Cass. sez. un. 12 maggio 2020 n. 8770)

Così Cass. sez. 1 , 10 agosto 2022, n. 24.654, rel. Falabella , sulla validità di swap stipulati con opacità di costi da parte della banca:

<< La Corte di appello ha escluso che la violazione di regole di condotta gravanti sull’intermediario, e afferenti l’informazione sul derivato potesse determinare la nullità del contratto concluso tra il detto soggetto e l’investitore. Ha precisato che l’occultamento di costi a svantaggio del cliente, tanto per una valutazione iniziale sfavorevole all’investitore (mark to market negativo), quanto per l’apparente erogazione di somme a parziale indennizzo della posizione sfavorevole assunta dal cliente (upfront), rileverebbe, “nella normalità dei casi, sul piano della violazione delle regole di condotta, sia in punto di obblighi informativi, sia, ove l’intermediario collochi in contropartita diretta i prodotti derivati, in relazione al conflitto di interessi”.

Il Giudice del gravame ha inteso quindi escludere che il profilo relativo all’implicazione, nelle operazioni in derivati, di costi occulti, quali quelli lamentati, nel giudizio di merito, dalla società investitrice (cfr. sentenza impugnata, pag. 16), si ripercuotesse sulla validità del contratto.

Una tale conclusione non è conforme alla giurisprudenza che questa Corte ha espresso nella sua articolazione più autorevole. Le Sezioni Unite hanno infatti avuto modo di precisare che, in tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che non si può limitare al mark to market, ossia al costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi, ma deve investire, altresì, gli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo (Cass. Sez. U. 12 maggio 2020, n. 8770).

Il Collegio, pur consapevole che la materia prospetta profili di delicata complessità, come evidenziato dalla banca controricorrente nella propria memoria, reputa condivisibile ex art. 374, comma 3, c.p.c. il richiamato principio di diritto, il quale colloca sul piano della nullità del contratto la tutela dell’investitore a fronte di un’operazione in derivati connotata da costi occulti: nullità che – è bene precisare -non è quella, virtuale (art. 1418 c.c., comma 1), di cui si sono occupate due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, ma una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.), inerente ad elementi essenziali del contratto (nella pronuncia del 2020 si richiama, a tale proposito, l’oggetto – punto 9.8 -, ma anche la causa del negozio: cfr., segnatamente, punto 9.3 della sentenza). In tale prospettiva, la sentenza impugnata, che ha escluso in radice il vizio genetico degli swap oggetto di giudizio, merita censura>>

Il motivo del ricorso è così riassunto appena sopra dalla stessa SC: <<Il quinto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1323 e 1418 c.c., oltre che dell’art. 21 t.u.f.. Si assume che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, gli obblighi di informazione e di trasparenza della banca imponevano a questa di fornire una chiara indicazione dei reali costi dell’operazione: costi che incidevano sull’oggetto del contratto, “sia sotto il profilo della pattuizione del compenso della banca, sia sotto il profilo dell’esatta determinazione delle alee rispettivamente assunte”.

Col sesto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1323 e 1418 c.c.. Si deduce l’erroneità della sentenza per violazione dei principi dettati in materia di causa del contratto anche nella parte in cui la stessa sostiene che la valutazione dell’impossibilità di funzionamento dei derivati in termini di copertura del rischio di rialzo dei tassi di interesse sarebbe effettuabile solo ex post dovrebbe risolversi nella generica impossibilità di funzionamento del contratto. Si deduce che i due contratti di swap erano nulli anche per mancanza di causa e che il profilo della violazione dei doveri di correttezza e trasparenza si aggiungeva a tale profilo di nullità, senza escluderlo.

I due motivi, che si prestano a una trattazione congiunta, sono fondati nei termini che si vengono a esporre..>>

Sentenza assai frettolosa, dato che A) richiama sia l’oggetto (assente? indeterminato? indeterminabile?) che la causa e dunque due diversi motivi di invalidità; B)  ciascuno di essi avrebbe dovuto essere spiegato.

Conclusione del patto arbitrale a modifica del rapporto in essere: tra clickwrap e browsewrap agreement

Il distretto nord della california, 8 settembre 2022, Case 4:22-cv-00422-PJH  , Alkutkar c. Bumble, affronta una frequente , ma non per questo poco interessante, fattispecie.

Azionata dall’utente una domanda di inadempiumento verso la piattaforma Bumble (sito di conoscenze e incontri) si vede eccepire la clausola di arbitrato: la quale sarebbe stata approvata in corso di rapporto a seguito di 1) notifica via email e soprattutto 2) di finestra di pop up . -c.d. blocker card- che onerava l’utente di accettar per  proseguire . Onere bloccante e finestra che  come sempre conteneva un link al nuovo testo del contratto aggiornato, ma che già essa riassumeva la più importante modifica (l’arbitrato appunto).

V. lo screenshot del pop up in sentenza (ma tratto dal blog del prof. Eric Goldman):

Ebbene, per la corte la email (simile al browsewrap) non dà prova di accettazione (p. 11) , ma il pop up con i I AGREE (simile al clickwrap) si.

I dati di Bumble infatti dicono che dopo questo pop up l’utente continuò ad usare i suoi servizi , per cui è presumibile che l’avesse vista e accettata (l’utente lo negava).

Ciò per tre motivi:

1) l’unicità delle credenziali,

2) gli accessi successivi rpesuppongono logicamente/informaticamente  accettazione: <<plaintiff’s access and use of the app is a demonstrable consequence of
his assent to the updated Terms. Bumble’s records show that all users were shown the
Blocker Card the first time they signed into the app after January 19, 2021. Wong Decl.
¶ 16 (Dkt. 36-1 at 6-7). The declarations of Bumble’s affiliated engineers make clear that
the Blocker Card functions in a straightforward fashion: it “prevents Bumble users from
accessing or using the Bumble app unless they click on the orange-colored button>>

3) << Lastly, the timeline of events indicates that plaintiff clicked his assent through the
Blocker Card. On January 18, 2021, the Terms governing use of the Bumble app were
updated to include an Arbitration Agreement. Chheena Decl. ¶ 7 (Dkt. 30-1 at 3). On the
same day, the Blocker Card was implemented into the app for existing users, requiring
assent to the updated Terms to access the app the first time a user signed in after
January 18. Chheena Decl. ¶ 11 (Dkt. 30-1 at 3-4); Wong Decl. ¶ 12 (Dkt. 36-1 at 4).
Plaintiff reports that the first time he signed into the app after January 18, 2021, was in
March 2021. Alkutkar Decl., May 14, 2021, ¶ 5 (Dkt. 32-2 at 2). This corresponds neatly
with Bumble’s records, which show that he accessed and used the app on March 4,
2021. Wong Decl. ¶ 18 (Dkt. 36-1 at 7). On that date, plaintiff added new photos to his
profile and swiped on other user profiles, activities that might correspond with a user’s
first time accessing the app following a hiatus. Wong Decl. ¶ 18 (Dkt. 36-1 at 7). Plaintiff
additionally accessed and used the app on March 5, 7, and 11, activities only achievable
following clicking assent on the Blocker Card. Id., ¶ 18. Indeed, plaintiff would not have
been able to purchase the premium features that are the subject of this suit in March,
August, and September 2021 unless he clicked to accept the updated Terms and
Arbitration Agreement. Id., at ¶ 18
>>

In altre più brevi parole <<Bumble has shown that plaintiff used unique credentials to access the app on March 4, 2021, that his access and use of the app on that date was a demonstrable  a consequence of his assent to the updated Terms because he only could have done so by clicking through the Blocker Card, and that the timeline of events indicates that plaintiff clicked his assent to the updated Terms. These facts are similar to those found sufficient to authenticate an electronic signature in Ngo, 2018 WL 6618316, at *6, and they are sufficient to authenticate an electronic signature here. Bumble thus establishes by a preponderance of evidence that clicking through the Blocker Card was “the act of” plaintiff necessary to show that he electronically signed and agreed to the updated Terms, including the Arbitration Agreement. >>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

L’appalto non è contratto ad esecuzione periodica e quindi può essere risolto retroattivamente anche dopo l’ultimazione e la consegna delle opere

Cass. sez. I 12 Luglio 2022 n. 22.065,  rel. Caiazzo:

<<Al riguardo, la Corte territoriale ha ritenuto che l’esecuzione integrale del contratto si ponga in rapporto di incompatibilità con l’effetto derivante dalla pronuncia di risoluzione ex art. 1458 c.c., ossia il ripristino dello status quo ante. In altri termini, è stato affermato che il soggetto che invoca la risoluzione del contratto non otterrebbe alcuna utilità dall’accoglimento della domanda in esame.

Tale rilievo non è condivisibile nel caso concreto in quanto la ricorrente ha rilevato che l’interesse alla richiesta pronuncia di risoluzione è correlato alla ritenuta intempestività di alcune riserve che la stessa ricorrente lamenta essere stata pronunciata erroneamente dalla Corte territoriale poiché fondata sulle condizioni generali di contratto il cui testo essa assume essere stato prodotto tardivamente attraverso la ctu (come si dirà appresso).

In particolare, in punto di principio, secondo l’orientamento di questa Corte, l’appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae alla regola generale, dettata dall’art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti della risoluzione, anche in ordine alle prestazioni già eseguite; ne consegue che il prezzo delle opere già eseguite può essere liquidato, a seguito della risoluzione del contratto, a titolo di equivalente pecuniario della dovuta restitutio in integrum (Cass., n. 15705/13 e n. 3455/15).

In realtà, l’affermazione secondo cui la risoluzione per inadempimento non sarebbe possibile a causa dell’ultimazione dei lavori non trova alcun riscontro positivo: al contrario, va considerato che nell’appalto pubblico un momento che assume rilievo è il collaudo fino al quale la domanda è proponibile (v. Cass., 27 novembre 1964, n. 2813).>>

Conferme sull’interest rate swap dalla Cassazinoe

La Cassazioen n. 21.008 del 01 luglio 2022, rel. Amatore, riochiama e conferma cAss- sez. un. n. 8.770 del 12.05.2020 sul cd interest rate swap, già ricordata qui.

Ricorda pure che la valutazione non è tipologico astratta, ma va data caso per caso (qui richiama Cass. 18.871 del 28 luglio 2017).

Ciò detto, rigetta il ricorso per inammibbiità del motivo perchè genericamente formulatro (” Tuttavia la doglianza così proposta dalla società ricorrente è generica perché non indica né descrive compiutamente il contenuto dei contratti le cui clausole negoziali integrerebbero – secondo la prospettazione della stessa ricorrente – una causa negoziale nulla per difetto ovvero illiceità della stessa. Non è dato comprendere dalla lettura del motivo di ricorso, quali siano le clausole manchevoli dei necessari presupposti e requisiti informativi che renderebbero i contratti impugnati nulli “per difetto di causa”. “)!

Contratto di spedalità ed efficacia protettiva per i terzi

Un soggetto affetto da morbo di Parkinson si ricovera in ospedale per un percorso di riabilitaizone motoria ma , dopo tre giorni, scompare nel nulla.

La moglie agisce contro l’ospedale per violazione dell’obbligo di vigilanza e proteizone.  FA valere l’estensione a sè dei doveri contrattuali , sulla base della teoria degli effetti protettivi per il terzo (poi: e.p.) .

La Cassazione con sentenza 11.320 , sez. 3, del 7 aprile 2022, rel. Spaziani, confermando l’appello, rigetta la domanda giudiziale. Dice che eventualmente c’è spazio per danno aquiliano ma non per danno ex contractu: l’estensione protettiva a favore di terzi è ammessa infatti solo nel caso di danno al feto in caso di prestazione di assistenza al parto resa alla gestante e in nessun altro, pena il vanificare il principio della relatività del contratto ex art. 1372 cc.

Dettagliata analisi di cui riporto il passo centrale, §§ 4.3-4.5:

<<4.3. Il principio secondo il quale nell’ambito delle prestazioni sanitarie il perimetro del contratto con efficacia protettiva dei terzi deve essere circoscritto alle relazioni contrattuali intercorse tra la gestante e la struttura sanitaria (o il professionista) che ne segua la gestazione e il parto, già enunciato in più risalenti decisioni di questa Corte (Cass. n. 6914 del 2012 e Cass. n. 5590 del 2015), è stato di recente reiteratamente ribadito, ora sul presupposto che solo in questa fattispecie vi sarebbe identità tra l’interesse dello stipulante e l’interesse del terzo (Cass. n. 19188 del 2020), ora sulla considerazione del carattere “relazionale” della responsabilità contrattuale (in base al quale l’estensione soggettiva dell’efficacia del contratto potrebbe ammettersi solo nei casi limite in cui i terzi siano portatori di un interesse strettamente connesso a quello “regolato già sul piano della programmazione negoziale”: Cass. n. 14258 del 2020), ora, infine, sulla base del dato sistematico desunto dalla disciplina di altre fattispecie di responsabilità civile nelle quali, come in quella sanitaria, si può determinare l’eventualità che dall’inadempimento dell’obbligazione dedotta nel contratto possano derivare, in via riflessa o mediata, pregiudizi in capo a terzi estranei al rapporto contrattuale (Cass. n. 14615 del 2020); tra queste ipotesi, quella più rilevante concerne l’infortunio subito dal lavoratore per inosservanza del dovere di sicurezza da parte del datore di lavoro (art. 2087 c.c.), in relazione alla quale non si dubita che l’azione contrattuale spetti unicamente al lavoratore infortunato, mentre i suoi congiunti, estranei al rapporto di lavoro, ove abbiano riportato iure proprio danni patrimoniali o non patrimoniali in seguito all’infortunio medesimo, sono legittimati ad agire in via extracontrattuale (tra le più recenti, cfr. Cass. n. 2 del 2020).

4.4. All’orientamento in esame, progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, occorre dare in questa sede ulteriore continuità, aggiungendo agli argomenti surricordati ulteriori rilievi, fondati sulla struttura e sui limiti del vincolo obbligatorio.

Sotto il profilo strutturale, deve rilevarsi che la già evidenziata “relazionalità” della responsabilità contrattuale trova fondamento nel carattere relativo degli elementi costitutivi soggettivi del rapporto obbligatorio (la posizione di credito e la posizione di debito) quali posizioni strumentali che danno luogo ad una relazione intersoggettiva dinamica (rapporto giuridico) non propriamente ravvisabile al cospetto delle situazioni finali, proprie dei diritti assoluti. Il carattere strumentale della posizione passiva di debito, correlativa ad una posizione soggettiva attiva avente natura di diritto relativo, conferisce l’attributo della relatività anche agli elementi costitutivi oggettivi del rapporto obbligatorio (l’interesse e la prestazione): la prestazione, pertanto, deve corrispondere all’interesse specifico del creditore (art. 1174 c.c.) e non a quello di terzi, salvo che questi ultimi non siano portatori di un interesse assolutamente sovrapponibile a quello del primo; la circostanza che il contenuto della prestazione sia soggetto a criteri legali (oltre che contrattuali) di determinazione, costituiti in primo luogo dalla buona fede (art. 1175 c.c.) e dalla diligenza (art. 1176 c.c.), non vale a configurare obbligazioni ulteriori aventi ad oggetto prestazioni di salvaguardia dei terzi (secondo la teoria dei cc.dd. “obblighi accessori di protezione” – Schutzpflichten e Nebenspflichten – che costituisce la premessa concettuale, nell’ambito della disciplina generale dell’obbligazione, della teoria del “contratto con effetti protettivi di terzi”) ma solo a conformare l’oggetto dell’obbligazione in funzione della realizzazione dell’interesse concreto dedotto nel contratto. Sussiste, in altre parole, una corrispondenza biunivoca tra l’interesse creditorio (art. 1174 c.c.) e la causa del contratto, intesa quale causa concreta: l’interesse creditorio, per un verso, concorre ad integrare la causa concreta del contratto; per altro verso, è da quest’ultima determinato, quando l’obbligazione ha titolo nel contratto medesimo.

Sotto il profilo dei limiti del vincolo obbligatorio, non va sottaciuto che secondo il diffuso intendimento sociale, recepito dal diritto positivo, esso è improntato a criteri di normalità, i quali, da un lato, sul piano oggettivo, impongono di individuare limiti di ragionevolezza al sacrificio del debitore (esonerandolo, ad es., salvo che l’inadempimento non dipenda da dolo, dal risarcimento del danno imprevedibile: art. 1225 c.c.), mentre, dall’altro lato, sul piano soggettivo, inducono ad escludere, di regola, che la tutela contrattuale possa essere invocata dai soggetti terzi rispetto al contratto che abbiano riportato un pregiudizio in seguito all’inadempimento, ancorché siano legati al creditore da rapporti significativi di parentela o dal rapporto di coniugio.

Deve pertanto ribadirsi che, mentre il paziente, in quanto titolare del rapporto contrattuale di spedalità, è legittimato ad agire per il ristoro dei danni cagionatigli dall’inadempimento della struttura sanitaria con azione contrattuale, al contrario, fatta eccezione per il circoscritto ambito dei rapporti afferenti a prestazioni inerenti alla procreazione, la pretesa risarcitoria vantata dai congiunti per i danni da essi autonomamente subiti, in via mediata o riflessa, in conseguenza del medesimo contegno inadempiente, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale ed è soggetta alla relativa disciplina.

4.5. Per aver fatto corretta applicazione di tale principio, traendone le dovute implicazioni in ordine alla ripartizione dell’onere della prova tra le parti del rapporto controverso, la sentenza impugnata appare, dunque, perfettamente conforme a diritto.

Giuridicamente corretta, infatti, alla luce di tali premesse, si mostra l’affermazione secondo la quale l’attrice avrebbe dovuto fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale della struttura, vale a dire il fatto colposo (consistente nel contegno omissivo conseguente alla violazione di un dovere di sorveglianza giustificato da una minorazione cognitiva del paziente, rimasta indimostrata), il pregiudizio che da questo fatto sarebbe conseguito alla ricorrente e il nesso causale tra il fatto colposo e il danno.

Dinanzi al rilievo che, alla luce della corretta ripartizione dell’onere probatorio nell’ambito di una fattispecie inquadrabile nella responsabilità aquiliana, quello spettante alla ricorrente non era stato affatto assolto, del tutto aspecificamente nel ricorso viene formulata, poi, la censura di mancata applicazione del criterio di vicinanza della prova; questo criterio, infatti, quale mezzo di definizione della regola finale di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., trova applicazione nel processo quando una delle parti sia in condizione di avere una più compiuta conoscibilità delle circostanze da provare e una migliore accessibilità ai mezzi per dimostrarne la sussistenza (Cass. n. 7023 del 2020), sicché l’uso di tale canone è bensì consentito quando sia necessario dirimere un’eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi (Cass. n. 7830 del 2018) ma esso non può essere invocato al fine di sollevare integralmente la parte dall’onere di provare i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio>>.

Due osservazioni.

1) sarebbe cambiato qualcosa, se fosse andata la moglie ad accompagnarlo e a concordare la prestazione curativa con l’ente, anzichè il paziente da solo (come parrebbe)?

2) per Castronovo, in una pregevole nota alla sentenza (Effetti di protezione per i terzi al contrario, Foro it., 202276, 2067 ss) , sostenitore del concetto di origine tedesca degli e.p. ,  il caso de quo non può rientravi perchè esso riguarda il caso di interessi occasionalmente vicini a quelli del creditore, che siano messi a repentaglio dall’esecuzione della prestazione resa a quest’ultimo (caso di scuola: l’artigiano che, riparando una res del proprietario di casa, ferisca la colf che stia pure ivi lavorando). Invece nel caso de quo gli interessi (del creditore e del terzo) <non sono sullo stesso piano> :  la lesione dell’interesse connesso (quello della moglie) dipende dall’inadempimento dell’obbligo principale. E’ vero che una differenza c’è : nel primo caso (quello di scuola) si può ledere l’interesse connesso ancbe se quello principale viene perfettamente sodddisfatto , mentre nel caso inesame la lesione di quello secondario (del terzo, cioè della moglie) è possibile solo se c’è inadempimento di quello principale.

Mi domando però se la ratio di estensione della protezione al terzo non ricorra anche nel nostro caso: e la risposta potrebbe essere positiva. Il debitore può immaginarsi con facilità l’esistenza di interessi familiari connessi a quello in capo al paziente. Non sfugge però che potrebbe dirsi lo stesso in molti altri casi, il che rischierebbe di vanificare la relatività dell’effaciacia contrattuale. Bisognerebbe allora trovare un elemento limitante: ma non nel caso de quo, ove qualunque debitore di prestazioni mediche/di vigilanza sa che solitamente un  paziente ha dei parenti conviventi.

Confessione di liberalità donativa di un’apparente vendita, contenuta nel testamento dell’apparente venditore

Utili precisazioni in Cass. 8 giugno 2022, sez. 2, n. 18.550 , rel. Scarpa.

La dichiarazione testramentaria (testamento pubblico), secondo cui una precedente vendita era in realtà una donazione, era del seguente tenore: <<(Q)ueste sono le mie volontà in quanto a mio figlio M. ho già donato in vita il podere di (OMISSIS), nel quale attualmente vivo, senza ricevere alcunché”.>>

Premesse del ragionamento della SC:

<<5.3. L’art. 2735 c.c., comma 1, seconda parte, dispone che la confessione stragiudiziale può essere contenuta anche in un testamento ed è liberamente apprezzata dal giudice. Le dichiarazioni di natura confessoria possono, quindi, essere rese anche in un testamento per atto pubblico notarile, come si assume avvenuto nella specie.

<<5.3.1. L’art. 587 c.c., comma 2, richiama le disposizioni di carattere non patrimoniale cui la legge riconosce efficacia se contenute in un atto che abbia la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale. La possibilità che il testamento esaurisca il suo contenuto in disposizioni di carattere non patrimoniale impone, quindi, che sia ravvisabile un “testamento in senso formale”, rivelante la funzione, tipica del negozio testamentario, di esercizio da parte dell’autore del generale potere di disposizione mortis causa. Il testamento, infatti, rappresenta l’unico tipo negoziale con il quale taluno può disporre dei propri interessi per il tempo della sua morte e perciò non può non consistere in un atto di “regolamento” post mortem degli interessi del testatore (“per il tempo in cui avrà cessato di vivere”), nel senso che la morte viene assunta dal dichiarante come punto di origine del complessivo effetto dell’assetto dettato.>>

Poi:

<<5.6. Il tratto peculiare della dichiarazione confessoria contenuta in un testamento, avente, per quanto detto, efficacia post mortem, è che essa assume necessariamente rilevanza probatoria non contro il de cuius, quanto, all’interno del giudizio in cui è dedotto il rapporto giuridico di cui il confitente era parte, contro l’erede che in tale rapporto sia subentrato (cfr. Cass. Sez. 2, 26/11/1997, n. 11851).

5.7. Nella controversia promossa dai legittimari che agiscono in riduzione e per l’accertamento di una donazione dissimulata compiuta dal de cuius in favore di altro legittimario istituito erede, la dichiarazione contenuta nel testamento, con la quale il medesimo testatore assuma di aver donato il bene apparentemente venduto, deve quindi essere assimilata ad una confessione stragiudiziale, trattandosi di affermazione vantaggiosa per i legittimari e sfavorevole per l’erede, al quale il valore confessorio di tale dichiarazione può essere opposto in quanto subentrante nella medesima situazione del proprio dante causa (arg. da Cass. Sez. 2, 15/05/2013, n. 11737; Cass. Sez. 2, 05/08/1985, n. 4387).>>

Sul fatto che il donatario/acquirente avesse fatto cancellare l’ipoteca pagando il debto residuo (il che non trasforma il negozio in negotium mixtum cum doantione):

<<5.9.2. Parimenti, pur avendo dato per accertato che C.M. aveva versato la somma di Lire 64.980.000 per estinguere l’ipoteca gravante sugli immobili, la Corte di Firenze ha escluso che a tanto l’acquirente avesse provveduto in esecuzione di un negotium mixtun cum donatione, e cioè di un contratto avente natura comunque onerosa, seppur stipulato dai contraenti con la finalità di raggiungere, per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell’arricchimento, per puro spirito di liberalità, del compratore che aveva ricevuto la prestazione di maggior valore. La configurabilità di un negotium mixtum cum donatione è stata congruamente smentita dai giudici del merito giacché mancava la prova che l’alienante C.L. avesse consapevolmente pattuito di ricevere un corrispettivo (pari all’accollo dell’esborso necessario per ottenere la cancellazione dell’ipoteca) inferiore rispetto al valore reale del bene trasferito, e deponendo, piuttosto, la confessione contenuta nel testamento per la natura del tutto gratuita dell’attribuzione patrimoniale.

Del vincolo ipotecario gravante sull’immobile donato e degli esborsi per la relativa cancellazione si dovrebbe, piuttosto, tener conto nell’accertare il valore del bene ai fini della determinazione dell’ammontare della porzione disponibile, nonché le spese sostenute dal donatario.><

L’accettazione delle Terms of Service di Dropbox tramite il c.d. browsewrap non è valido

Secondo il distretto nord della California Case 4:20-cv-07908-HSG con sentenza 29 giugno 2022, Sifuentes c. Dropbox, l’accettazione tramite decisione di continuare a navigare non è sufficiente per far ritenere <voluta> una clausola arbitrale contenuta nelle TOS (terms of service).

In particolare, il  privato ricosncoe di aver accettato le TOS iniziali del 2011, ma non -tra le molte modifiche successive- quella del 2014, che aveva inserito una clausola arbitrale:

<< To show that Plaintiff had inquiry notice, Defendant must show that he was provided
reasonably conspicuous notice of the contract terms and unambiguously manifested his assent.
See Berman, 30 F.4th at 856 . “[O]nline providers have complete control over the design of their
websites,” and therefore have the responsibility to put users on notice of the terms to which they
wish to bind consumers.
Id. at 857 (citations omitted).

Defendant acknowledges that between
2011 and 2019 it modified its terms of service no less than twelve times, and contends that it sent
an email to Plaintiff in 2014 explaining the addition of a mandatory arbitration clause. Reply at 9.
There is nothing in the record to suggest that Plaintiff could not use the service until he indicated
his assent, that he would have been advised of new terms and conditions while using Defendant’s
services, or that Defendant ever tracked whether Plaintiff had opened its email.

Even if the email
alone could be considered “reasonably conspicuous notice,” Plaintiff took no action to
unambiguously manifest his assent.
See Berman, 30 F.4th at 856 (requiring the consumer to
“take[] some action, such as clicking a button or checking a box” in order to form an enforceable
contract under inquiry notice theory).
Defendant essentially argues that it contracted for the right to change the terms at will
because the 2011 TOS contains a provision stating that Defendant “may revise these Terms from
time to time” and that continuing to use the service constitutes agreement to any revised terms.
See Reply at 6; Dkt. No. 40-1 Exhibit E. Defendant’s argument misses the point. Given the complete lack of evidence of notice within Defendant’s service itself, Plaintiff’s ongoing use of the service is irrelevant to determining whether he had actual or constructive notice of the post-
2011 terms of service.

Moreover, the 2011 TOS essentially disavows any obligation to alert
Plaintiff to changes: “If a revision, in our sole discretion, is material we will notify you (for
example via email to the email address associated with your account.”
See Dkt. No. 40-1 Exhibit E. But Ninth Circuit law is clear that it is a website owner’s duty to show clear notice and assent.
The Court finds that Defendant has not shown by a preponderance of the evidence that
Plaintiff had actual or inquiry notice of the updated terms of service. See Norcia, LLC, 845 F.3d
at 1283. Without actual or inquiry notice, there was no manifestation of mutual assent, and the
later terms of service do not impose an enforceable agreement to arbitrate>>.

Poco sopra sul cd browsewrap agreement:

<< Plaintiff denies that he agreed to the later terms of service that added mandatory arbitration provisions. Opp. at 1. Defendant, on the other hand, contends that Plaintiff assented to the subsequent versions by continuing to use Defendant’s service. Dkt. No. 47 at 7; see also Dkt. No.   40 at 9 n.2. Assent by continued use of a web service is a traditional feature of browsewrap agreements. Nguyen, 763 F.3d at 1176 (“The defining feature of browsewrap agreements is that the user can continue to use the website or its services without visiting the page hosting the browsewrap agreement or even knowing that such a webpage exists.”) (citation omitted). “Courts are more reluctant to enforce browsewrap agreements because consumers are frequently left unaware that contractual terms were even offered, much less that continued use of the website will be deemed to manifest acceptance of those terms.” Berman v. Freedom Financial Network, LLC, 30 F.4th 849, 856 (9th Cir. 2022). >>

Sulla conclusione del contratto via shrinkwraps o browsewraps v le riflessioni critiche di Lemley, Mark A., The Benefit of the Bargain (August 8, 2022). Stanford Law and Economics Olin Working Paper No. 575, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=4184946 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.4184946

Collegamento negoziale tra contratto di vendita di pannelli solari e contratto di finanziamento bancario

Trib. Torino 25.03.2022 n. 1315, RG 31491/2019, g.u. Di Capua, affronta il tema in oggetto e accoglie la domanda di annullamento della fornitura per dolo e conseguemente anche del contratto di finanziamemnto (offerto da nota banca).

Decisione interessante per più profili.

Premessa generale:  << 3.5.3. Il collegamento negoziale può, peraltro, attuarsi in due differenti forme: si può avere
collegamento bilaterale (o plurilaterale), nel qual caso si avrà condizionamento reciproco delle vicende
che coinvolgono i contratti, o collegamento unilaterale, nel qual caso le vicende che coinvolgono uno
dei contratti saranno in grado di ripercuotersi sull’uno o più altri contratti, senza che, però, possa
accadere il contrario (cfr. Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2007, n. 13164; Cass. civ., sez. I, 8 luglio 2004, n.
12567; Cass. civ., sez. II, 6 settembre 1991, n. 9388).
Si è detto che, nel caso concreto oggetto di causa, i contratti sono collegati, e che il collegamento
postula la volontà di realizzare un obiettivo economico unitario per il raggiungimento del quale le parti
stipulano più di un negozio. Il contratto di fornitura e il contratto di finanziamento posti in essere dalle
parti in causa hanno ad oggetto il compimento di un’operazione unitaria, ossia l’acquisto da parte della
sig.ra DONATINI – e quindi la vendita da parte di GREEN STYLE – di un impianto fotovoltaico.
Il contratto di finanziamento interviene per permettere al consumatore, parte attrice, di effettuare
l’acquisto in questione.
Il contratto di compravendita e il contratto di finanziamento non si pongono, perciò, sullo stesso piano:
il primo costituisce il contratto principale, mentre il secondo è contratto accessorio, dipendente dal
contratto di fornitura, in quanto non avrebbe ragion d’essere in mancanza di esso. Si aggiunga che la
stessa intestazione del contratto reca “Prestito Finalizzato Deutsche Bank Easy”, e che l’individuazione
del bene al cui acquisto è finalizzato il prestito, come detto, è indicato a pagina due del medesimo
contratto.
Ciò chiarito, la fattispecie si inserisce nella figura di collegamento negoziale unilaterale e,
conseguentemente, le vicende che coinvolgono il contratto di fornitura si ripercuotono sul contratto di
finanziamento, mentre non avviene il contrario
>>

Poi: <<3.6.1. La parte attrice chiede l’annullamento del contratto di fornitura per dolo ex articolo 1439
c.c.. Dato il collegamento tra i contratti, l’annullamento dev’essere eventualmente valutato con
riguardo alla condotta tenuta da parte convenuta GREEN STYLE, e non con riguardo al
comportamento di DEUTSCHE BANK – Easy (nel qual caso si dovrebbero riscontrare i presupposti di
cui all’articolo 1439, comma 2, c.c.), poiché rilevante è, come osservato, unicamente il contratto
principale.
Affinché possa essere chiesto e ottenuto l’annullamento del contratto occorre valutare se uno dei
contraenti è ricorso all’utilizzo di raggiri al fine di determinare nell’altra parte la volontà di contrattare,
e i raggiri devono essere tali che, senza di essi, il contraente che chiede l’annullamento non avrebbe
contrattato>>

Importante pure la precisazione sulla corretteza nelle trattative:  << GREEN STYLE, nella persona del suo agente, avrebbe dovuto assicurarsi che la sig.ra DONATINI
avesse realmente capito l’entità dell’intera operazione e il suo costo, nonché le implicazioni che la
stipula del contratto avrebbe comportato. Oltre a ciò si aggiunge che la pagina iniziale del contratto
reca “Proposta di adesione per casa efficiente”, denominazione che può trarre in inganno il
consumatore che, convinto di sottoscrivere un atto preliminare alla conclusione del contratto, effettua
in realtà una proposta contrattuale, restando quindi ad essa vincolato, mentre il professionista rimane
libero da ogni obbligazione non avendo ancora accettato la proposta; il termine per il recesso, inoltre, è
fatto decorrere dalla sottoscrizione del consumatore (cfr. doc. 1 e doc. 10, punto 32, pagine 8 e 9 e
pagine 27 ss., prodotti dalla parte attrice).
Il principio di buona fede e correttezza è principio generale che regola i rapporti contrattuali cui tutte le
parti devono ispirarsi e attenersi, ed è principio codificato all’articolo 2, comma 2, lett. c-
bis), e) ed
all’articolo 5, comma 3 del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, nonché, in ogni caso, all’articolo 1337
c.c..
L’agente sig. NICETTO Manuel e, quindi, la società GREEN STYLE avrebbe dovuto accertarsi che le
condizioni del contratto fossero state ben comprese dalla sig.ra DONATINI, anche avuto riguardo alla
condizione economica e all’esperienza di quest’ultima, ricordando, nuovamente, che si trattava di
contraente-consumatrice
>>

Inoltre, è pratica commerciale sleale, P. 22-23, anche se non ne son tratte conseguenze guridiche.

Sull’estensione dell’annullamento al rapporto di finanziameno (forse il punto più imporante): << 3.7. Dovendosi annullare il contratto di compravendita dell’impianto fotovoltaico stipulato da parte
attrice sig.ra DONATINI e parte convenuta GREEN STYLE, data la sussistenza del collegamento
negoziale, dev’essere altresì annullato il contratto di finanziamento stipulato dalla sig.ra DONATINI e
DEUTSCHE BANK – Easy.
L’interdipendenza dei contratti considerati certamente sussiste nel caso di specie, sebbene in modo
unilaterale, con la conseguenza che è il solo contratto di finanziamento ad essere dipendente dal
contratto principale di fornitura, e fa sì che vi debba essere regolamentazione unitaria delle vicende
relative alla permanenza del vincolo contrattuale, che si risolve nell’applicazione del principio per cui
simul stabunt, simul cadent (cfr. giurisprudenza di legittimità Cass. civ., sez. II, 9 settembre 2021, n.
24389; in senso conforme Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2019, n. 27406; Cass. civ., sez. III, 10 ottobre
2014, n. 21417; Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2013, n. 7255; Cass civ., sez. III, 12 luglio 2005, n.
14611, ripresa dalla giurisprudenza di merito: Corte d’Appello di Napoli, sez. VII, 13 maggio 2020, n.
1706; Trib. Rimini, sez. I, 23 febbraio 2021, n. 192; Trib. Napoli, sez. II, 15 settembre 2017, n. 9262;
Trib. Milano, sez. I, 3 dicembre 2014, n. 14378).
>>

Nè ce’ stata volontaria esecuzione copnsapebole: << La parte convenuta GREEN STYLE ha eccepito che la parte attrice avrebbe dato volontaria
esecuzione al contratto di fornitura pur conoscendone il motivo di annullabilità, convalidando il
contratto stesso ai sensi dell’articolo 1444 c.c. e rinunciando, così, all’azione di annullamento.
La predetta parte convenuta menziona dapprima la lettera di risposta di GREEN STYLE indirizzata a
parte attrice DONATINI facente seguito alla richiesta alla convenuta di interfacciarsi con il GSE per il
caricamento della pratica al fine di conservare il diritto alla percezione degli incentivi legati al
fotovoltaico e, in secondo luogo, la lettera inviata dalla parte attrice per mezzo dell’Associazione
Consumatori Piemonte, in data 10 dicembre 2018, avente ad oggetto la manifestazione della volontà di
recedere dal contratto stipulato in data 9 novembre 2016 con GREEN STYLE (cfr. doc. 4 di parte
attrice DONATINI).

Peraltro, in nessuna delle due lettere sopra citate si può, invero, ravvisare una convalida tacita del
contratto di compravendita.

La richiesta della sig.ra DONATINI a GREEN STYLE di interfacciarsi con il GSE aveva il solo scopo
di non perdere il diritto agli incentivi in un’ottica di tutela delle proprie ragioni economiche, poiché
l’impianto era ormai stato installato e allacciato, mentre solo successivamente era pervenuto avveniva il
sollecito da parte di DEUTSCHE BANK – Easy al pagamento delle rate dovute in esecuzione del
contratto di finanziamento.
La seconda lettera (10 dicembre 2018) non può essere letta come tacita convalida del contratto, poiché
manifesta la volontà della sig.ra DONATINI di avvalersi del diritto di recesso dallo stesso.
Il sollecito da parte di DEUTSCHE BANK – Easy al pagamento delle rate avveniva nel 2017, e la
seconda lettera è datata 10 dicembre 2018. Contrariamente a quanto affermato da parte convenuta
GREEN STYLE, perciò, non sono trascorsi quasi quattro anni dalla stipula del contratto senza che
l’attrice abbia mai lamentato alcunché, non potendosi considerare la citazione in giudizio come prima
manifestazione della volontà di interrompere il rapporto con parte convenuta (cfr. pagine 6-7 comparsa
conclusionale GREEN STYLE).
>>

Processualmente poi la mancata parteciapzione alal mediazione (avvocati non muniti di idonea procura) è argomento di prova, come ex lege: << Nel caso di specie, dalla mancata partecipazione delle parti convenute all’incontro con il mediatore
senza giustificato motivo, devono dunque trarsi ulteriori argomenti di prova a sostegno della fondatezza
delle predette domande proposte dalla parte attrice e dell’infondatezza delle domande ed eccezioni
proposte dalle parti convenute.
>,p. 27

C’è condanna ad un facere e cioè alla rimozione dei pannelli a spese del venditore.

C’è pure condanna ad euro 2.000 per danno non patrimonuiale ex art. 2059 cc-185.2 cod. pen, con accertamento incidentale del reato di usura ex art. 644 cp [mi pare una svista, probabilmente intendeo il giudice il reato di truffa ex art. 640 c.p, vertendosi su un caso di dolo).

Processualmente, infine, rigetta la domanda di manleva della banca finanziatrice perchè non aveva chiesto lo spostamento della prima udienza ex art. 167.3 e 269.2 cpc, operante anche in caso di domanda c.d. trasvesale

Cessione di crediti in blocco, cartolarizzazione e opponibilità di domande riconvenzionali verso il cessionario da parte del debitore

Nelle cessioni di crediti in base alla legge sulle cartolarizzazioni (L. 130 del 1999) e all’art. 58 c.1 e 4 del TUB, il debitore non può opporre controcrediti , domande riconvenzionali, e in generale azioni contrattuali, al cessionario.

Così Cass. 02 maggio 2022 n. 13.735 , rel. Ambrosi, sez. 3:

<<Ciò detto, in un simile quadro, consentire ai debitori ceduti di opporre in compensazione, al cessionario, controcrediti da essi vantati verso il cedente (nascenti da vicende relative al rapporto con esso intercorso ed il cui importo, pertanto, lungi dall’essere noto alla “società veicolo” al momento della cessione, deve essere accertato giudizialmente), e addirittura consentire, come nella specie, la proposizione di domande riconvenzionali, significherebbe andare ad incidere, in modo imprevedibile, su quel “patrimonio separato a destinazione vincolata” di cui si diceva, “scaricandone”, così, le conseguenze sul pubblico dei risparmiatori ai quali spetta, invece, ed in via esclusiva, il valore del medesimo. I possessori dei titoli emessi dallo “special pourpose vehicle” possono essere, infatti, esposti solo al rischio che deriva dal fatto che i crediti cartolarizzati non siano incassati – perché non soddisfatti dai debitori, ovvero perché inesistenti o, al limite, perché già estinti anche per compensazione – ma non anche a quello (pena, altrimenti, la negazione del meccanismo della separazione come tracciato dalla L. n. 130 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b) che sul patrimonio alimentato dai flussi di cassa, generati dalla riscossione dei crediti cartolarizzati, possano soddisfarsi anche altri creditori.” (Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, in particolare, punto 7.1.4. in motivazione).

Ciò accadrebbe, nella specie, se si ammettesse, come statuito dalla sentenza impugnata, B.A. e B.U., in proprio e quali ex soci di STN s.r.l., ad esigere il pagamento dell’importo oggetto della condanna in via riconvenzionale, anche alla Dulcinea Securitisation s.r.l. intervenuta in giudizio tramite il procuratore Italfondiario s.p.a..

Tale conclusione, del resto, come già affermato da Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, “trova un indiretto conforto nel dettato normativo, ed esattamente nella L. n. 130 del 1999, art. 4, comma 2″.

Esso, infatti, per un verso, stabilisce che dalla “data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale o dalla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti di cui all’art. 1, comma 1, lett. b)”, nonché, per altro verso, che “in deroga ad ogni altra disposizione, non è esercitabile dai relativi debitori ceduti la compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data”. Orbene, risulta evidente come il divieto, posto a carico del debitore ceduto, di compensazione dei crediti “sorti posteriormente” alla data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale (o alla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione), risponde a quella stessa logica, di cui dianzi si diceva, di salvaguardia del “patrimonio separato a destinazione vincolata” cui dà vita l’operazione cartolarizzazione”>>.

La ricostrizione parrebbe corretta, svanendo altrimenti la distinzione tra cessione del contratto e cessine del credito.