Preliminare ed errore sulle qualità edificatorie del terreno

Cass. 12.01.2023 n. 639, sez. II, rel. Falaschi:

<<Va pertanto applicato il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui l’errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto non incide sull’identità o qualità della cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo ed al rischio che il contraente si assume, nell’ambito dell’autonomia contrattuale, per effetto delle proprie personali valutazioni sull’utilità economica dell’affare” (Cass. n. 20148 del 2013).
Tale complessiva valutazione delle risultanze processuali, nel caso di specie, non risulta essere stata effettuata dalla Corte territoriale, la quale ha fondato la esistenza dell’errore su un unico elemento che da solo appare risulta privo di decisività.
In assenza di specifiche indicazioni sulla riconoscibilità in concreto delle ragioni abitative manifestate dalla promissaria acquirente – e conosciute dai prominenti venditori – la sola circostanza che il terreno pacificamente non è edificabile non costituisce elemento univoco, né decisivo da cui desumere che l’effettivo interesse perseguito dalla stessa riguardava il terreno per la sua capacità edificatoria.
A parte, inoltre, la formulazione letterale dell’oggetto del contratto, in cui parrebbe non risultare alcuna clausola o pattuizione accessoria, né alcun elemento estrinseco, quale la particolare destinazione urbanistica della zona in cui si trovava il terreno de quo, o una valutazione comparativa del corrispettivo pattuito rispetto all’effettivo valore del suolo, anche in relazione al minor valore rispetto alle aree edificabili circostanti, sintomatici della riconoscibilità dell’errore e della rilevanza essenziale attribuita dalla promissaria acquirente alla capacità edificatoria dell’area.>>

Attenzione dunque quando si negozia un bene con certe caratteristiche desiderate: vanno specificate ed anche nel preliminare!

Content moderation, hate speech e risoluzione del contratto di social network per inadempimento dell’utente

Trib. Roma.,  sez. dir. della persona e immig. civile, n° 17909/2022 del 5 dicembre 2022, RG 10810/2020, giud. monocr. Albano Silvia, decide nel merito la nota lite tra Casapoound e Facebook (ora Meta Platforms ireland ltd.: poi “FB), già oggetto di decisione cautelare alla fine del 2019.

Non ci sono ragionamenti particolarmente interessanti in diritto, ma un fattualmente importante accertamento di <organizzazione di odio> a carico di Casapound, secondo gli Standard di condotta di FB.

Purtroppo la lunga e fitta sentenza non è divisa in brevi paragrafi, per cui le lettura è poco agevole.

Il § 2 dà conto del quadro normativo e di applicazioni giurisprudenziali, anche estere.

Riporto il § 2.5 Conclusioni :

<<Dal complesso quadro di fonti normative sopra delineato, alcune delle quali aventi valore di fonti sovraordinate (come le norme costituzionali, o quelle sovranazionali in base all’art 117 della Costituzione), emerge con chiarezza che tra i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, nel bilanciamento con altri diritti fondamentali della persona, assume un particolare rilievo il rispetto della dignità umana ed il divieto di ogni discriminazione, a garanzia dei diritti inviolabili spettanti ad ogni persona.
La libertà di manifestazione del pensiero non include, pertanto, discorsi ostili e discriminatori (vietati a vari livelli dall’ordinamento interno e sovranazionale).
Gli obblighi imposti dal diritto sovranazionale impongono di esercitare un controllo; obbligo imposto agli stati ed anche, entro certi limiti (come si è visto), ai social network come Facebook, che ha sottoscritto l’apposito Codice di condotta.
Nel caso di specie, peraltro, non si tratta di una generalizzata compressione per via giudiziaria della libertà di espressione di singoli individui o gruppi, ma della possibilità di accedere ad uno specifico social network (che è anche un social media, strumento attraverso il quale i produttori di contenuti sono in grado di raggiungere il grande pubblico), gestito da privati, al fine di consentire la diffusione di informazioni concernenti l’attività di una determinata formazione politica.>>

Segue poi l’applicazione al caso de quo (cioè alle clausole contrattuali tra klutente e FB: sono riportate le clausole pertinenti).

Di interesse è che nessuna clausola prevede un obbligo di preavviso per disattivazione pagine o profilo, p. 25. In ogni caso nessun danno è stato provato dalla perdita per tale ragine dei documenti già ivi caricati (p. 40).

Pertanto, alla luce della normativa e della giurisprudenza nazionale e sovranazionale opra illustrata, <<può ritenersi che un’organizzazione che si richiama al fascismo, ne usa i simboli e gli slogan, può essere designata organizzazione d’odio in base alle regole contrattuali di Facebook sopra illustrate, in quanto oggettivamente favorisce la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico>>, § 4.

E poi: <<Nel caso di specie, al contrario, non si tratta di accertare la rilevanza penale della condotta, ma la legittimità della sua diffusione attraverso il social network, in quanto la pubblicazione di simbologia fascista è vietata dalle condizioni contrattuali di Facebook e autorizza, pertanto, la rimozione di post la riproducono.
Si è visto più sopra che le regole più stringenti in ordine alle legittimità dei contenuti divulgabili in rete sono determinati anche dall’effetto moltiplicatore di internet, idoneo ad attribuire un’attitudine lesiva a condotte che altrimenti potrebbero non averne, da qui le iniziative volte a responsabilizzare i gestori dei social network onde vietare la diffusione di simboli o discorsi d’odio in rete anche attraverso le condizioni contrattuali che ogni utente deve sottoscrivere al momento dell’iscrizione.

Facebook non solo poteva risolvere il contratto grazie alle clausole contrattuali accettate al momento della sua conclusione, ma aveva il dovere legale di rimuovere i contenuti, una volta venutone a conoscenza, rischiando altrimenti di incorrere in responsabilità (si veda la sentenza della CGUE sopra citata e la direttiva CE in materia), dovere imposto anche dal codice di condotta sottoscritto con la Commissione Europea>>, p. 31.

Viene esteso il giudizio alla pagina personale dell’ammninistratore di Casapound Italia.

Elenco di fatti, supportanti il giudizio di esattezza della qualificazione come  <organizzazione di odio> decisa da FB,  sta a a pp. 36/7.

Quindi FB legittimamente ha risolto il contratto.

Sono poi riprodotti i principali documenti provanti tale conclusione (con riproduzione grafica e a colori; i link invece non sono più attivi)

Conclusione finale al § 5 , p. 39: a<<l’art. 3.2 delle condizioni contrattuali prevede espressamente che nel caso in cui “l’utente abbia violato chiaramente, seriamente o reiteratamente le proprie condizioni o normative, fra cui in particolare gli Standard della community, Facebook potrebbe sospendere o disabilitare in modo permanente l’accesso dell’utente al suo account.”
E’ stato provato che le parti attrici hanno pubblicato contenuti in violazione delle clausole contrattuali che vietano il supporto ad organizzazioni d’odio (Davide Di Stefano attraverso il proprio profilo anche quale amministratore della pagina di CasaPound Italia), la pubblicazione di hate speech basati sulla razza o etnia (art 13 Standard della Comunità) e simboli che rappresentano/elogiano un’organizzazione che incita all’odio (come tutta la simbologia fascista o l’elogio ai combattenti della X Mas o della Repubblica di Salò- art 2 degli Standard) o che incitano alla violenza (art 1 degli Standard).
I contenuti, che inizialmente erano stati rimossi e poi a fronte della reiterata violazione hanno comportato la disattivazione degli account delle parti attrici sono illeciti da numerosi punti di vista.
Non solo violano le condizioni contrattuali, ma sono illeciti in base a tutto il complesso sistema normativo di cui si è detto all’inizio, con la vasta giurisprudenza nazionale e sovranazionale citata.>>

Conclusione on-line del contratto e clausola di arbitrato

Le piattaforme quasi sempre , quando convenute, eccepiscono la clausola di arbitrato stipulata on line tramite i terms of service TOS, in cui è inserita.

In questo caso il distretto nord della California, S. Josè division, 16 dicembre 2022, Case No. 22-cv-02638-BLF, Houtchens e altri c. Google, affronta il tema del se sia stata o no validamente conclusa la clausola di arbitrato col metodo c.d. clickwrap agreement per l’apertura di un account Fitbit (di proprietà di Google).

Si vedano in sentenza le quattro schermate a seconda del dispositivo (pc, cell. etc): in breve, si deve cliccare per i TOS su un quadratino che ad essi rinvia tramite link, e in essi pure alla  clausola di arbitrato.

Per la corte, l’accordo si è validamente formato:

<<The Court finds that the hyperlinks to Fitbit’s Terms of Service in each of the above screens provided Plaintiffs “reasonably conspicuous notice” of the terms. See Berman v. Freedom Fin. Network, LLC, 30 F.4th 849, 856 (9th Cir. 2022). In the first three screens, the hyperlinks to Fitbit’s Terms of Service are presented in blue text in a sentence that otherwise uses gray text; they are next to the box a user must select to accept the terms; and the screens on which they appear are uncluttered. Court’s have routinely found that such a presentation supplies reasonably conspicuous notice of hyperlinked terms. See, e.g., Adibzadeh, 2021 WL 4440313, at *6 (reasonably conspicuous notice provided “where users must agree to the website’s terms and conditions before they can proceed, and the terms and conditions are offset in a blue text, hyperlinked text”). In the final screen, the hyperlinks are again presented next to the box that a user must select to accept the terms and the screen on which they appear is uncluttered; but instead of using blue font to distinguish the hyperlinks from the surrounding text, the page uses boldunderlined font. The Court finds that this page, too, provides reasonably conspicuous notice of the terms to which a consumer will be bound. Cf. Nguyen, 763 F.3d at 1177 (“The conspicuousness and placement of the ‘Terms of Use’ hyperlink, other notices given to users of the terms of use, and the website’s general design all contribute to whether a reasonably prudent user would have inquiry notice of a browsewrap agreement.”)>>

La violazione dei limiti di finanziabilità, propri del mutuo fondiario, non ne determina nullità

Così Cass. sez. un. 16.11.2022 n. 33.719 rel Lamorgese, sulla base dell’ordinanza che l’aveva sollevata per contrasto giurisrpduenziale.

Decisum importante nella pratica.

Alcuni spunti: << 8.3.- E’ arduo ritenere che una disposizione preveda un requisito a
pena di nullità senza preoccuparsi di fornire elementi per definirlo, ogni
qual volta esso non appaia di palmare e intuibile comprensione, come
nel caso in esame. Né la norma primaria (articolo 38 del t.u.b.) né la
norma secondaria attuativa (con deliberazione della Banca d’Italia)
contengono, infatti, alcuna indicazione in ordine ai criteri di stima del
valore dell’immobile, cui è rapportato in via percentuale l’ammontare
massimo del finanziamento, e all’epoca di riferimento della stima.
>>

<<Come rilevato nell’ordinanza interlocutoria, la
nullità è predicabile per violazione di norme di fattispecie o di struttura
negoziale solo se immediatamente percepibile dal testo contrattuale,
senza laboriose indagini rimesse a valutazioni tecniche opinabili
compiute ex post da esperti del settore, come sono invece quelle
compiute dai periti cui sia demandato il compito di stimare il bene, ai
fini del giudizio sul rispetto del limite di finanziabilità.
Il rischio è di minare la sicurezza dei traffici e di esporre il contratto
in corso a intollerabili incertezze derivanti da eventi successivi – che
non dovrebbero interferire con la questione, che è formale prima che
sostanziale, della validità del contratto stesso – dipendenti dai
comportamenti delle parti nella fase esecutiva (come l’inadempimento
o l’insolvenza del mutuatario), tali da innescare la crisi del rapporto
negoziale con l’esigenza di verificare ex post l’osservanza del limite di
finanziabilità. Nessuna delle parti potrebbe fare affidamento sulla
stabilità e sulla validità ab origine del contratto stipulato, essendo ben
possibile che il valore immobiliare, sia pure oggetto di iniziale perizia
estimativa, sia stato inconsapevolmente sopravvalutato><

<<8.8.- Pur ipotizzando in astratto la natura imperativa della
disposizione di cui all’articolo 38, secondo comma, t.u.b., per escludere
la nullità del contratto per eccedenza dell’importo mutuato è risolutivo
l’argomento secondo cui non ogni violazione di norma imperativa può
dare luogo ad una nullità contrattuale, ma solo quella che pone il
contratto in contrasto con lo specifico interesse che la norma
imperativa intende tutelare>>

Pruincipio di diitto, p. 32-33:_ <<In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma
determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della
validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o
integrativo dell’oggetto del contratto; non integra norma imperativa la
disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato
all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di
finanziabilità nell’ambito della «vigilanza prudenziale» (cfr. articoli 51ss. e 53 t.u.b.) – la cui violazione, se posta a fondamento della nullità
(e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai
erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa
garanzia ipotecaria), potrebbe condurrebbe al risultato di pregiudicare
proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla
stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella
concessione del credito.>>

Discriminazione e safe harbour ex § 230 Cda in Facebook

LA Eastern district of Pennsylvania 30.09.2022  Case 2:21-cv-05325-JHS D , Amro Ealansari c. Meta, rigtta la domanda volta a censurare presunta discriminazione da parte di Facebook verso materiali islamici ivi caricati.

E’ rigettata sia nel merito , non avendo provato discrimnazione nè che F. sia public accomodation (secondo il Civil Rights Act),  sia in via pregiudiziale per l’esimente ex § 230 CDA.

Nulla di particolarmente interessante e innovativo

(notizia e  link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

Vessatorietà ex art. 1341 cc e clausola di risarcimento in forma specifica nel contratto di assicurazione auto (c.d. polizza eventi atmosferici)

La clausola di risarcimento (rectius: indennizzo) del danno in forma specifica, sempre più frequente., non è vessatoria ex art. 1341 cc poichè non limita la responsabilità della Compagnia  ma determina solo l’oggetto contrattuale.

Così Cass. 23.415 del 27.07.2022, sez. 3, rel. Spaziani:

<<2.2. I primi quattro motivi del ricorso per cassazione in esame sono, invece, infondati nella parte in cui, deducendo la violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., nonché del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 33, 34, 35 e 36, (Codice del consumo), contestano le rationes decidendi della sentenza impugnata, dubitando della legittimità, in base alle predette norme, del giudizio espresso dal giudice di appello sulla non vessatorietà della clausola contrattuale e sulla valida ed efficace formazione del consenso su di essa.

2.2.a. Questa Corte ha affermato il principio, cui deve darsi continuità, secondo il quale, nel contratto di assicurazione contro i danni, la clausola con cui si pattuisce che l’assicurato sia indennizzato mediante la reintegrazione in forma specifica del danno occorsogli in conseguenza di un sinistro stradale (ad es., mediante riparazione del veicolo presso una carrozzeria autorizzata) non è da considerarsi clausola limitativa della responsabilità agli effetti dell’art. 1341 c.c., ma delimitativa dell’oggetto del contratto, in quanto non limita le conseguenze della colpa o dell’inadempimento e non esclude, ma specifica, il rischio garantito, stabilendo i limiti entro i quali l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato (Cass. 15/05/2018, n. 11757).

Infatti, premesso che, nell’ambito del contratto ci assicurazione, sono da considerare limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., le clausole che circoscrivono le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre, al contrario, attengono all’oggetto del contratto quelle che concernono il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito (tra le altre, Cass. 10/11/2009, n. 23741 e, recentemente, Cass. 04/02/2021, n. 2660, non mass.), deve escludersi che siano soggette all’obbligo della specifica approvazione preventiva per iscritto le clausole che si limitano a prevedere, in luogo del risarcimento per equivalente, l’obbligo, per l’assicuratore, di provvedere alla riparazione in forma specifica (eventualmente, come nella specie, attraverso la previsione della riparazione del veicolo presso una carrozzeria convenzionata), la quale costituisce una forma di risarcimento o di indennizzo che consente al danneggiato di ottenere il ristoro del pregiudizio subito mediante la diretta rimozione delle conseguenze dannose e la restitutio in integrum del medesimo bene che costituiva il punto di riferimento oggettivo dell’interesse leso.

2.2.b. Con siffatta clausola non viene imposto al contratto di assicurazione un peso che rende eccessivamente difficoltosa la realizzazione del diritto dell’assicurato né si consente all’assicuratore di sottrarsi in tutto o in parte alla sua obbligazione o si assoggetta la soddisfazione dell’assicurato all’arbitrio dell’assicuratore e ai tempi da questo imposti per la definitiva liquidazione della somma dovuta; piuttosto, senza determinare alcun significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di assicurazione (ma, anzi, attraverso una libera stipulazione intesa ad ottenere specifici vantaggi contrattuali a fronte dell’assunzione dell’impegno di rivolgersi ad una carrozzeria convenzionata con l’assicuratore), viene specificato l’oggetto del contratto stesso e vengono pattuite le modalità e la forma con cui l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato del danno prodottogli dal sinistro; la clausola in questione, pertanto, non rientra tra quelle limitatrici della responsabilità dell’assicuratore e non richiede per la sua efficacia la specifica approvazione per iscritto del contraente per adesione ai sensi dell’art. 1341 c.c..

2.2.c. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – la quale sembra considerare il risarcimento per equivalente maggiormente satisfattivo per il creditore rispetto a quello in forma specifica – va altresì puntualizzato, in termini generali, che, sebbene la scelta tra le due forme risarcitorie spetti al creditore (art. 2058 c.c., comma 1), tuttavia, se il debitore offre il risarcimento in forma specifica, l’eventuale rifiuto di tale offerta sarebbe contrario a buona fede, perché precluderebbe al debitore di conseguire un risultato utile che non comporta per il creditore un apprezzabile sacrificio e che e’, anzi, normalmente più adeguato al fine risarcitorio e, dunque, al soddisfacimento dell’interesse creditorio (art. 1174 c.c.).

Proprio su tali presupposti la dottrina ammette che danneggiato e danneggiante possono validamente ed efficacemente accordarsi sul risarcimento in forma specifica, anche in via preventiva: tale accordo, infatti, integra un contratto innominato avente causa risarcitoria, diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.c., comma 2).

La clausola contrattuale diretta a prevedere siffatta forma risarcitoria, predisposta unilateralmente dal debitore, non determina, pertanto, uno squilibrio in suo favore dei diritti ed obblighi derivanti dal contratto: la concreta operatività di tale istituto, ove sia materialmente possibile, trova infatti un limite, non già nelle esigenze di tutela del creditore (il cui interesse viene, al contrario, pienamente reintegrato), ma nelle esigenze di tutela del debitore, il quale può liberarsi mediante il risarcimento per equivalente, ove quello in forma specifica risulti per lui eccessivamente oneroso (art. 2058 c.c., comma 2).

2.2.d. Il giudizio del Tribunale, inteso ad escludere il carattere vessatorio della clausola “F.9.4”, integrativa del contenuto del contratto di assicurazione stipulato dalla ricorrente, nonché il susseguente giudizio inteso a ritenere validamente ed efficacemente formato il consenso dell’assicurata su detta clausola (che non necessitava di specifica approvazione per iscritto) attraverso la sottoscrizione della dichiarazione di conoscere ed accettare le disposizioni della “Linea Comfort” contenute nel fascicolo informativo, appare, per quanto si è detto, perfettamente conforme a diritto, con conseguente infondatezza delle censure formulate, al riguardo, negli illustrati motivi di ricorso per cassazione>>

Tra recesso e risoluzione, in relazione alla qualificabilità come cvlausola vessatoria ex art. 1341. c.2 cc

Cass. 5 agosto 2022, n. 24.318 , sez. 2, rel. Trapuzzano, sulla qualifica di una clausola di preliminare per immobile da costruire, purtroppo non riportata testualmente ma così riassunta dalla SC sub § 7.2 , qualifica oscillante tra patto risolutorio e condizione risolutiva:

<<la clausola di cui all’art. 10 del preliminare di vendita di immobile sulla carta, concluso tra le parti in data 23 maggio 2004, testualmente ha stabilito che il contratto doveva ritenersi nullo – rectius inefficace – nel caso che la promittente venditrice non avesse ottenuto il permesso a costruire e le ulteriori autorizzazioni entro il mese di settembre 2004, con la contestuale previsione della rinuncia del promissario acquirente ad agire, nei confronti del promittente alienante, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata vendita dell’immobile>>.

Pertanto la dichiarzine dell’ipresa di sciogliersi dal contratto per mancato ottenimetno delle cocnessioni pujbliche costuisce esercizio del dirtto risolutoorio e non di ercesso: << 7.3.- Ora, l’opzione ermeneutica cui ha aderito il Giudice di merito non è confortata dai termini letterali contemplati dalla clausola in questione. E ciò atteso che il riconoscimento, in favore di una delle parti, dello ius poenitendi, ai sensi dell’art. 1373 c.c., inserisce nel contratto un diritto potestativo di sciogliersi ad nutum dal negozio, attraverso una semplice manifestazione di volontà da comunicare alla controparte. Tale evenienza e’, per definizione, ontologicamente diversa dalla previsione secondo cui l’efficacia del negozio è subordinata (in via sospensiva o in via risolutiva) alla verificazione di un avvenimento futuro e incerto.

Sicché è intrinsecamente contraddittoria la qualificazione in termini di recesso di una previsione contrattuale che subordini lo scioglimento del negozio alla mancata verificazione di un determinato evento ad una certa data.

In proposito, si osserva che la pattuizione, inserita in un preliminare di vendita immobiliare, che preveda la risoluzione ipso iure qualora – con riferimento al bene, che ne costituisce l’oggetto (nella fattispecie in una vendita di appartamenti facenti parte di un fabbricato da costruire) – non vengano rilasciati i permessi a costruire entro una determinata data, per fatto non dipendente dalla volontà delle parti, deve qualificarsi come condizione risolutiva propria, determinando l’effetto risolutivo di quel contratto, evidentemente consistente nella sua sopravvenuta inefficacia, in conseguenza dell’avverarsi di un evento estraneo alla volontà dei contraenti (sebbene specificamente dedotto pattiziamente) nonché dello spirare del termine, pure ritenuto nel loro interesse comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21215 del 27/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 22310 del 30/09/2013; Sez. 2, Sentenza n. 17181 del 24/06/2008).

Ne discende che dal tenore testuale della clausola emerge che la statuizione sull’efficacia del negozio contemplata dall’art. 10 del preliminare dovesse essere ancorata, non già ad una facoltà del predisponente di sciogliersi unilateralmente dal contratto con efficacia ex nunc, bensì ad un avvenimento futuro e incerto con efficacia ex tunc (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26365 del 16/12/2014; Sez. 2, Sentenza n. 3626 del 07/08/1989; Sez. 3, Sentenza n. 2504 del 18/09/1974).

Difettando qualsiasi riferimento ad una potestà di sciogliersi dal contratto ove ricorra una determinata condizione – ed essendo, per converso, previsto che il preliminare non abbia efficacia qualora la condizione stabilita non si verifichi entro la data indicata -, neanche può ritenersi che si tratti dell’attribuzione ad una delle parti della facoltà di recesso subordinata ad un avvenimento futuro ed incerto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2873 del 19/05/1979).>>

Swap, costi occulti e nullità del contratto: sulla scia di Cass. sez. un. 12 maggio 2020 n. 8770)

Così Cass. sez. 1 , 10 agosto 2022, n. 24.654, rel. Falabella , sulla validità di swap stipulati con opacità di costi da parte della banca:

<< La Corte di appello ha escluso che la violazione di regole di condotta gravanti sull’intermediario, e afferenti l’informazione sul derivato potesse determinare la nullità del contratto concluso tra il detto soggetto e l’investitore. Ha precisato che l’occultamento di costi a svantaggio del cliente, tanto per una valutazione iniziale sfavorevole all’investitore (mark to market negativo), quanto per l’apparente erogazione di somme a parziale indennizzo della posizione sfavorevole assunta dal cliente (upfront), rileverebbe, “nella normalità dei casi, sul piano della violazione delle regole di condotta, sia in punto di obblighi informativi, sia, ove l’intermediario collochi in contropartita diretta i prodotti derivati, in relazione al conflitto di interessi”.

Il Giudice del gravame ha inteso quindi escludere che il profilo relativo all’implicazione, nelle operazioni in derivati, di costi occulti, quali quelli lamentati, nel giudizio di merito, dalla società investitrice (cfr. sentenza impugnata, pag. 16), si ripercuotesse sulla validità del contratto.

Una tale conclusione non è conforme alla giurisprudenza che questa Corte ha espresso nella sua articolazione più autorevole. Le Sezioni Unite hanno infatti avuto modo di precisare che, in tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che non si può limitare al mark to market, ossia al costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi, ma deve investire, altresì, gli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo (Cass. Sez. U. 12 maggio 2020, n. 8770).

Il Collegio, pur consapevole che la materia prospetta profili di delicata complessità, come evidenziato dalla banca controricorrente nella propria memoria, reputa condivisibile ex art. 374, comma 3, c.p.c. il richiamato principio di diritto, il quale colloca sul piano della nullità del contratto la tutela dell’investitore a fronte di un’operazione in derivati connotata da costi occulti: nullità che – è bene precisare -non è quella, virtuale (art. 1418 c.c., comma 1), di cui si sono occupate due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, ma una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.), inerente ad elementi essenziali del contratto (nella pronuncia del 2020 si richiama, a tale proposito, l’oggetto – punto 9.8 -, ma anche la causa del negozio: cfr., segnatamente, punto 9.3 della sentenza). In tale prospettiva, la sentenza impugnata, che ha escluso in radice il vizio genetico degli swap oggetto di giudizio, merita censura>>

Il motivo del ricorso è così riassunto appena sopra dalla stessa SC: <<Il quinto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1323 e 1418 c.c., oltre che dell’art. 21 t.u.f.. Si assume che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, gli obblighi di informazione e di trasparenza della banca imponevano a questa di fornire una chiara indicazione dei reali costi dell’operazione: costi che incidevano sull’oggetto del contratto, “sia sotto il profilo della pattuizione del compenso della banca, sia sotto il profilo dell’esatta determinazione delle alee rispettivamente assunte”.

Col sesto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1323 e 1418 c.c.. Si deduce l’erroneità della sentenza per violazione dei principi dettati in materia di causa del contratto anche nella parte in cui la stessa sostiene che la valutazione dell’impossibilità di funzionamento dei derivati in termini di copertura del rischio di rialzo dei tassi di interesse sarebbe effettuabile solo ex post dovrebbe risolversi nella generica impossibilità di funzionamento del contratto. Si deduce che i due contratti di swap erano nulli anche per mancanza di causa e che il profilo della violazione dei doveri di correttezza e trasparenza si aggiungeva a tale profilo di nullità, senza escluderlo.

I due motivi, che si prestano a una trattazione congiunta, sono fondati nei termini che si vengono a esporre..>>

Sentenza assai frettolosa, dato che A) richiama sia l’oggetto (assente? indeterminato? indeterminabile?) che la causa e dunque due diversi motivi di invalidità; B)  ciascuno di essi avrebbe dovuto essere spiegato.

Conclusione del patto arbitrale a modifica del rapporto in essere: tra clickwrap e browsewrap agreement

Il distretto nord della california, 8 settembre 2022, Case 4:22-cv-00422-PJH  , Alkutkar c. Bumble, affronta una frequente , ma non per questo poco interessante, fattispecie.

Azionata dall’utente una domanda di inadempiumento verso la piattaforma Bumble (sito di conoscenze e incontri) si vede eccepire la clausola di arbitrato: la quale sarebbe stata approvata in corso di rapporto a seguito di 1) notifica via email e soprattutto 2) di finestra di pop up . -c.d. blocker card- che onerava l’utente di accettar per  proseguire . Onere bloccante e finestra che  come sempre conteneva un link al nuovo testo del contratto aggiornato, ma che già essa riassumeva la più importante modifica (l’arbitrato appunto).

V. lo screenshot del pop up in sentenza (ma tratto dal blog del prof. Eric Goldman):

Ebbene, per la corte la email (simile al browsewrap) non dà prova di accettazione (p. 11) , ma il pop up con i I AGREE (simile al clickwrap) si.

I dati di Bumble infatti dicono che dopo questo pop up l’utente continuò ad usare i suoi servizi , per cui è presumibile che l’avesse vista e accettata (l’utente lo negava).

Ciò per tre motivi:

1) l’unicità delle credenziali,

2) gli accessi successivi rpesuppongono logicamente/informaticamente  accettazione: <<plaintiff’s access and use of the app is a demonstrable consequence of
his assent to the updated Terms. Bumble’s records show that all users were shown the
Blocker Card the first time they signed into the app after January 19, 2021. Wong Decl.
¶ 16 (Dkt. 36-1 at 6-7). The declarations of Bumble’s affiliated engineers make clear that
the Blocker Card functions in a straightforward fashion: it “prevents Bumble users from
accessing or using the Bumble app unless they click on the orange-colored button>>

3) << Lastly, the timeline of events indicates that plaintiff clicked his assent through the
Blocker Card. On January 18, 2021, the Terms governing use of the Bumble app were
updated to include an Arbitration Agreement. Chheena Decl. ¶ 7 (Dkt. 30-1 at 3). On the
same day, the Blocker Card was implemented into the app for existing users, requiring
assent to the updated Terms to access the app the first time a user signed in after
January 18. Chheena Decl. ¶ 11 (Dkt. 30-1 at 3-4); Wong Decl. ¶ 12 (Dkt. 36-1 at 4).
Plaintiff reports that the first time he signed into the app after January 18, 2021, was in
March 2021. Alkutkar Decl., May 14, 2021, ¶ 5 (Dkt. 32-2 at 2). This corresponds neatly
with Bumble’s records, which show that he accessed and used the app on March 4,
2021. Wong Decl. ¶ 18 (Dkt. 36-1 at 7). On that date, plaintiff added new photos to his
profile and swiped on other user profiles, activities that might correspond with a user’s
first time accessing the app following a hiatus. Wong Decl. ¶ 18 (Dkt. 36-1 at 7). Plaintiff
additionally accessed and used the app on March 5, 7, and 11, activities only achievable
following clicking assent on the Blocker Card. Id., ¶ 18. Indeed, plaintiff would not have
been able to purchase the premium features that are the subject of this suit in March,
August, and September 2021 unless he clicked to accept the updated Terms and
Arbitration Agreement. Id., at ¶ 18
>>

In altre più brevi parole <<Bumble has shown that plaintiff used unique credentials to access the app on March 4, 2021, that his access and use of the app on that date was a demonstrable  a consequence of his assent to the updated Terms because he only could have done so by clicking through the Blocker Card, and that the timeline of events indicates that plaintiff clicked his assent to the updated Terms. These facts are similar to those found sufficient to authenticate an electronic signature in Ngo, 2018 WL 6618316, at *6, and they are sufficient to authenticate an electronic signature here. Bumble thus establishes by a preponderance of evidence that clicking through the Blocker Card was “the act of” plaintiff necessary to show that he electronically signed and agreed to the updated Terms, including the Arbitration Agreement. >>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

L’appalto non è contratto ad esecuzione periodica e quindi può essere risolto retroattivamente anche dopo l’ultimazione e la consegna delle opere

Cass. sez. I 12 Luglio 2022 n. 22.065,  rel. Caiazzo:

<<Al riguardo, la Corte territoriale ha ritenuto che l’esecuzione integrale del contratto si ponga in rapporto di incompatibilità con l’effetto derivante dalla pronuncia di risoluzione ex art. 1458 c.c., ossia il ripristino dello status quo ante. In altri termini, è stato affermato che il soggetto che invoca la risoluzione del contratto non otterrebbe alcuna utilità dall’accoglimento della domanda in esame.

Tale rilievo non è condivisibile nel caso concreto in quanto la ricorrente ha rilevato che l’interesse alla richiesta pronuncia di risoluzione è correlato alla ritenuta intempestività di alcune riserve che la stessa ricorrente lamenta essere stata pronunciata erroneamente dalla Corte territoriale poiché fondata sulle condizioni generali di contratto il cui testo essa assume essere stato prodotto tardivamente attraverso la ctu (come si dirà appresso).

In particolare, in punto di principio, secondo l’orientamento di questa Corte, l’appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae alla regola generale, dettata dall’art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti della risoluzione, anche in ordine alle prestazioni già eseguite; ne consegue che il prezzo delle opere già eseguite può essere liquidato, a seguito della risoluzione del contratto, a titolo di equivalente pecuniario della dovuta restitutio in integrum (Cass., n. 15705/13 e n. 3455/15).

In realtà, l’affermazione secondo cui la risoluzione per inadempimento non sarebbe possibile a causa dell’ultimazione dei lavori non trova alcun riscontro positivo: al contrario, va considerato che nell’appalto pubblico un momento che assume rilievo è il collaudo fino al quale la domanda è proponibile (v. Cass., 27 novembre 1964, n. 2813).>>