Contratto di edizione musicale e sua prova ex art. 110 l.aut.: che rilevanza hanno i bollettini SIAE firmati dalle parti?

Cass. n° 36.753 del 25.11.2021 affronta il tema.

Non ci sono passagi di rilievo se non quello in cui riepiloga il decisum dell’appello, che poi conferma.

E in particolare così al § 2.4:

<< Invero la Corte d’appello, nel pronunciarsi sulla contestata idoneità dei bollettini SIAE a costituire prova scritta della cessione dei diritti di sfruttamento economico delle opere musicali, con chiare e logiche argomentazioni ha confermato la valutazione del giudice di primo grado affermando che:

a) il contratto atipico di edizione musicale (con cui l’autore o compositore di un’opera musicale trasferisce all’editore i diritti di utilizzazione economica, riservandosi una quota dei proventi che maturano in conseguenza della sua utilizzazione) può essere concluso anche verbalmente, sebbene tra le parti la conclusione debba essere provata per iscritto, ai sensi dell’art. 110 L.d.a.;

b) nel caso di specie, la sottoscrizione dei bollettini SIAE da parte di autore ed editore attestava l’avvenuta conclusione del contratto di edizione, poichè in essi era chiaramente “riportato lo schema del riparto dei proventi” – comunicato alla SIAE affinchè vi desse esecuzione in forza del mandato congiunto ricevuto – e, nel sottoscriverli, autori ed editori avevano espressamente dichiarato che “le indicazioni e i dati contenuti nel presente bollettino corrispondono a verità”, sicchè fu lo stesso D.S. a dare atto della qualifica di editore delle società cofirmatarie, e dunque “implicitamente, ma inequivocabilmente, dichiarò di aver trasferito i propri diritti di utilizzazione economica delle due opere, con conseguente loro diritto a percepire i relativi proventi nella misura concordata”;

c) era quindi lo stesso contenuto dei bollettini a provare per iscritto la conclusione del contratto (e non la deduzione del fatto ignoto della previa stipula del contratto di edizione dal fatto noto della loro sottoscrizione);

d) a tal fine non rilevava la Delib. Commissione SIAE 3 luglio 2007 (che inserì nei bollettini la dicitura “non sostituisce il contratto di edizione”) perchè i bollettini in esame furono depositati il 13/01/2000 e comunque non valevano a sostituire il contratto di edizione, bensì a fornirne la prova scritta;

e) peraltro, alla data del 13/01/2000 l’album era stato già pubblicato e sino al 2003 il D.S. non lamentò alcunchè a fronte della disposta ripartizione dei proventi, “il che – prosegue il giudice di secondo grado – conferma ulteriormente che egli fosse ben consapevole dell’avvenuta conclusione del contratto di edizione musicale”;

f) non vi è nemmeno contestazione che gli editori abbiano concretamente impegnato la loro attività imprenditoriale per promuovere la diffusione delle opere, ottenendo – com’è pacifico un grande successo, di cui ha indubbiamente beneficiato il D.S.;

g) nè vi è incertezza sull’oggetto del contratto, i cui contenuti essenziali sono menzionati nel bollettino (segnatamente: titolo delle opere, nomi degli autori, ragioni sociali degli editori, quote di ripartizione tra autori ed editori, proventi relativi allo sfruttamento fono-meccanico e alla pubblica esecuzione delle opere, territorio di riferimento “tutto il mondo”)>>.

Tutto bene; c’è però un grave errore.         La prova per iscritto , quando serve, deve riguardare tutti gli elementi essenziali del contratto: qui invece riguarda molto meno e cioè solo l’accordo sul riparto dei proventi.

Pro memoria della Cassazione sulla responsabilità precontrattuale

Cass. 34.150 del 16.11.2021, rel. Abete, Passaponti Metal c. Ferrari spa, ricorda sinteticamente la disciplina della responsabilità precontrattuale.

questa ricorre se: <<e tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; la verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento “di fatto” riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato (cfr. Cass. 15.4.2016, n. 7545), recte, ove non inficiato da “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti” >>, § 15.

Legittimazione del socio di SRL ad agire in nullità contro vendita stipulata dalla società

Cass. 21.10.2021 n. 29.325, rel. Abete, LE GROTTAGLIE CHIARA c. MB – SVILUPPO INDUSTRIALE s – Parco dell’aniene soc. cons. a r.l., affronta (fugacemente) il tema; appare quasi trattarsi di obiter dictum in quanto introdotto solo ad abundantiam.

La Sc liquida sbrigativamente il questito rispondendo in modo negativo dato che la nullità potrebbe essere fatta valere solo dalla società

La censura della ricorrente era questa : << 13 .  Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c..      Deduce che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, era senza dubbio interessata e legittimata ad agire anche ai sensi dell’art. 2900 c.c., ai fini della declaratoria di nullità dell’atto di compravendita in data 4.8.2010.     Deduce che, per un verso, non è dotata di poteri che le consentono di influenzare le scelte gestorie o di vigilare sulle scelte gestorie da compiersi dagli organi della “Società Generale di Partecipazioni” e della “MB – Sviluppo Industriale”; che, per altro verso, è stata direttamente ed indirettamente danneggiata dalla illiceità della vendita per notar A. del 4.8.2010.>>.

La SC  così risponde : << 16   In ogni caso, questa Corte spiega che l’interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell’ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, tra cui la possibilità di insorgere contro le deliberazioni invalide, ma non implica la legittimazione ad agire, nei confronti dei terzi, per far annullare o dichiarare nulli anche i negozi intercorsi fra questi ultimi e la società, potendo tale validità essere contestata solo dalla società, come si evince dall’obbligo, facente capo all’amministratore, di attivarsi nelle dovute forme per l’eliminazione degli effetti conseguenti all’accertato vizio (cfr. Cass. 25.2.2009, n. 4579).

In questi termini vanamente la ricorrente reitera la sua legittimazione ad agire, il suo interesse ad agire, “per ottenere la declaratoria di nullità del contratto di compravendita di che trattasi” (così ricorso principale, pag. 14).>>

Sfugge la ragione di tale perentorietà: par dimenticare la regola generale per cui la nullità è domandabile da chiunque vi abbia interesse (art. 1418 cc; ed è dichiarabile d’ufficio dal giudice). L’interesse, a far “rientrare” nel patrimonio sociale un bene venduto sottocosto, è palese.

Nemmeno menziona la possibiltà (almeno astratta) di (ri-)qualificare l’azione svolta come surrogatoria.

Recesso pretesamente abusivo da contratto di distribuzione automobilistica e uso dei segni distintivi

App. Milano n. 1326/2021 del 28.04.2021, RG 73/2020, Pulvirenti srl in liq. c. Hyyndai , decide una lite sull’oggetto.

Quin interesa solo rifeire che la caduta del termine minimo di 24 mesi nel passaggio dal reg. 1400/2002 al reg. 461/2010 non signica “validazione” del medesimo, ma -all’opposto- sua caducazione.

Interpretazione condibisibile anche se semplice. Quindi un recesso con preavviso di 12 mesi (come nel caso) è corretto.

Meno semplice è il punto dell’esecuzione non secondo buona fede: H. avrebbe indotto il concessionario a spese , pur avendo già deciso di togliergli la concessione.

La Corte come giudice del fatto entra nel merito e speiga perchè il recesso è giustificato (sintetizzando così : << le circostanze oggettive nell’ambito delle quali il recesso è stato esercitato e il comportamento tenuto da Hyundai nell’esercizio del proprio diritto non presentano profili di illogicità e soprattutto non dimostrano la volontà di perseguire un fine diverso da quello per cui il diritto di recesso è stato previsto>>).

Pertanto <<alla luce di tali rilievi, la decisione di Hyundai di operare una riduzione dei concessionari presenti nell’area di Catania appare coerente con il quadro economico  generale del settore automobilistico e la procedura di selezione seguita, pur risoltasi sfavorevolmente per l’odierna appellante, non risulta viziata da alcun intento abusivo.>>

La Corte però riforma la determinazione di danni per violazione di marchio, dato che si trattò di episodi modestissimi. La riforma escludendola, non solo riducendola.

Conclusione del contratto via e arbitrabilità

nel dubbio sulla conclusione o meno del contratto relativo alla arbitrabilità con Walmart, la corte di appello rinvia a processo sulla stessa arbitrabilità, come prevede la legge federale.

Si tratta dell‘appello dell’8 circuito n. 20-1787 dell’8 ottobre 2021 .

La sentenza è interessante per l’esame delle modalità di conclusione dei contratti via internet, “clickwrap” arrangements oppure “browsewrap” arrangements.

Nel caso de quo era relativo a gift cards di Walmart cui erano stati sottratti ilecitamente i denari ivi caricati.

Il punto per decidere la conclusione o meno del patto è capire se vi sia stata o meno <notice> adeguata:  il rinvio alle condizioni generali di Walmart stava sul retro della carta (ove si leggeva “[s]ee Walmart.com for complete terms.” ), condizioni reperibili nel sito web.

In primo grado la corte aveva escluso la conclusione di patto sul punto; la corte di appello invece è in dubbio e perciò rinvia al trial per decidere sul punto.

(sentenza e link dal blog di Eric Goldman)

Le opzioni put e call per l’acquisto di una società non sono prive di causa nè costituiscono patto leonino

Lo insegna Cass. 27.227 de.l 07.10.2021, rel. Nazzicone, basandosi (sul primo punto) su Cass. 2016 n° 763: <<La motivazione esposta nel menzionato precedente, che per la prima volta in sede di legittimità ha offerto la definizione di contratto call e put option – sopra ampiamente richiamata a fini di chiarezza dei contorni della diversa fattispecie giuridica, nonché la stessa vicenda in fatto ivi decisa – palesano come il meccanismo tecnico-giuridico delle opzioni non sia delimitabile solo all’interno dei derivati finanziari in ambito borsistico, ben potendo i patti parasociali contenere il medesimo meccanismo dell’opzione, ma limitati ai soci di una società, dei quali, in particolare come nella specie, l’uno funga da socio finanziatore garantito dal patto in questione.

La stessa causa concreta del patto parasociale oggetto di causa, evocata dalla ricorrente sin dal proprio atto introduttivo, si palesa diversa da quella di uno strumento finanziario del mercato borsistico (cfr. D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1, commi 2 e segg., T.U. dell’intermediazione finanziaria), avendo il fine pratico, sia pure mediante il meccanismo dell’opzione di rivendita o di riacquisto a prezzo fisso, di assecondare iniziative imprenditoriali specifiche, tutelate quali espressioni dell’autonomia negoziale privata ex art. 41 Cost. e art. 1322 c.c., con il sorgere di reciproci diritti ed obblighi delle parti: al cui adempimento un contraente non può strumentalmente sottrarsi invocando ex post e secundum eventum un preteso insussistente contrasto con norme imperative.

In definitiva, se è pur vero che l’allegata ragione di nullità per difetto di causa è rilevabile anche in grado di appello, l’assunto difetta, tuttavia, della premessa minore posta a suo fondamento, in quanto non manca la causa in concreto della opzione put e call, conclusa tra le parti.>>

Quanto all’allegata violazione del divieto di patto leonino (art. 2265 cc), la SC la esclude: <<la ratio del divieto va, pertanto, ricondotta ad una necessaria suddivisione dei risultati dell’impresa economica, tuttavia quale tipicamente propria dell’intera compagine sociale e con rilievo reale verso l’ente collettivo; mentre nessun significato in tal senso potrà assumere il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorché non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, né modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa.

Nulla, dunque, di ciò nella specie, come accertato dal giudice del merito, essendo ogni elemento dell’accordo tra i soci determinato e rispettati ampiamente i requisiti di validità elaborati dalla giurisprudenza.

Ne’ tale principio è suscettibile di essere sovvertito dalle peculiarità della vicenda, che la ricorrente ha inteso sottolineare nella sua memoria, consistenti nella partecipazione maggioritaria della socia c.d. finanziatrice (evenienza che, semmai, rafforza la funzione svolta dal patto), la natura di societas unius negotii della società partecipata (palesante la meritevolezza del fine di concorrere a quella condivisa operazione economica) ed il collegamento con il valore del bene immobile in proprietà della società partecipata (che non muta la funzione del patto stesso).

La incontestata sinallagmaticità del patto, il quale permetteva all’una parte di rientrare del finanziamento ed all’altra di lucrare i maggiori profitti dell’investimento,e la natura temporanea del diritto di opzione confermano tali conclusioni, attesa la funzione pratica svolta dal patto, di rendere possibile l’affare economico auspicato e regolare efficacemente gli interessi rispettivi dei soci>>.

Sull’annoso problema interpretativo dell’estensione della licenza esclusiva: anche verso il licenziante o solo verso eventuali altri licenziatari?

La cattiva tecnica redazionale di contratti di licenza può portare anche a liti quale quella decisa da Trib. Milano 09.03.2021 sent. n° 1993/2021, Rg 69/2018, rel. Macchi, S§R Farmaceutici spa c. Ekuberg Pharma srl.

Questione ampiamente trattata in passato , per cui è strano che ancora si ponga nelle aule giudiziarie.

E’ il caso in cui il licenziante pattuisce l’esclusiva a favore del licenziatario: non si chiarisce però se <esclusiva> sia riferito solo ad eventuali altri licenziatari (in tale caso il licenziante può vendere in concorrenza al licenzitario) o sia riferita a chiunque, erga omnes (in tale caso il licenziante deve astenersene).

Non chiarire (per sciatteria redazionale o magari per silenzio strategico) il punto può costare chiaro e porta a liti quale quella de qua

Il Tribunale è per la prima interpretazioneà: il licenziante può continuare a vendere per conto proprio, non potendosi dedurre dal contratto un’esclusiva pure a carico suo: <<L’esame del testo del contratto deve essere condotta alla luce di un elemento di fatto che appare rivestire cruciale rilevanza. Ekuberg era già presente da tempo con quei tre propri prodotti in alcuni segmenti territoriali del mercato italiano, e in una serie di Paesi esteri. La circostanza era evidentemente ben nota sin da prima della stipulazione (come emerge con chiarezza anche dal
comportamento delle parti successivo alla stipulazione, su cui si tornerà  iffusamente più avanti), e non affatto “scoperta” in corso di rapporto. Osserva il Collegio che non può ragionevolmente ritenersi che Ekuberg intendesse obbligarsi ad autoescludere i propri prodotti dai mercati in cui essi erano affermati, ancor prima che la licenziataria si organizzasse per entrarvi con il proprio marchio, o a prescindere dall’idoneità delle iniziative della licenziataria a ciò finalizzate. Sullo sfondo di tale scenario fattuale, è da ritenersi che la previsione di un’esclusiva rigidamente imposta anche a Ekuberg dovrebbe trovare nel contratto forti indici testuali; il fatto che le parti, invece, non abbiano ritenuto di regolare  espressamente, e con puntualità di disciplina, un obbligo per Ekuberg di cessare l’attività di vendita diretta con propri marchi in favore di una licenziataria che ancora doveva organizzare le sue strategie, depone significativamente per l’insussistenza di un obbligo di esclusiva rivolto verso la stessa Ekuberg nei termini prospettati da parte attrice.
Se, come detto, nessuna specifica clausola contrattuale prevede espressamente un divieto per Ekuberg di vendere i propri prodotti, si deve rilevare che detta conclusione nemmeno può raggiungersi all’esito della ricerca della comune intenzione delle parti, attuata interpretando le clausole le une per mezzo delle altre come previsto dall’art. 1363 c.c.>>.

La motivazione è interessante perchè dettaglia sulle circosatnze fattuali anche post stipula , ragionando sui criteri legali di interpretazione del contratto ex art. 1362 segg. c.c.

Non è chiarissimpo il tipo contrattuale sub iudice , chiamato “contratto di produzione e fornitura in full service e licenza di formulato”: forse licenza di know how? E’ infatti il TITOLARE della c.d. formula produttiva (distribuita dal livenziatario , attore in causa, con proprio marchio) ad essere convenuto per asserita violazione del contratto.

Web/data scraping e secondary ticketing: è inadempimento contrattuale?

Un’agenzia di viaggio acquista biglietti aerei da Southwest Airlines (SA), rivendendoli poi a terzi, ed estrae sistematicamente vari dati, pubblicamente accessibili nel sito web di questa: ciò nonostante le condizioni di acquisto lo proibissero.

SA agisce per varie causae actiones tra cui violazione contrattuale. Decide la NORTHERN DISTRICT COURT OF TEXAS – DALLAS DIVISION , CIVIL ACTION NO. 3:21-cv-00098-E, Soutwest Airlines c. Kiwi, 30.09.2021, accogliendone la domanda.

Kiwi cita il noto precedente hiQ Labs c. Linkledin del 2019, ove fu ritenuto lecito lo scraping dei dati.

Però prevale l’orientmento del divieto di scrapintg fondato su patto apposito, presente nelle Terms  and Conditions : <<Kiwi has purchased over 20,000 flights on the Southwest Digital Platforms.  In connection with its sales of Southwest flights, Kiwi specifically acknowledges that: “All services provided by Southwest Airlines are subject to their Terms and Conditions. More information is available on their website.”  The Terms are hyperlinked at the bottom of each page of Southwest’s website with a statement that use of the website constitutes acceptance of the Terms. For all online purchases, the  user  must  affirmatively  acknowledge  and  accept  the  Terms  by  clicking  a  button  that  states:  “By clicking ‘Purchase,’ I agree to the Terms and Conditions below, the privacy policy, and the contract of carriage,” which appears just above a yellow “Purchase” button with hyperlinks to the Website Terms, Privacy Policy, and Contract of Carriage.  For each purchase, Kiwi affirmatively accepted  the  Terms.    Southwest  sent  multiple  cease-and-desist  notices  to  Kiwi’s  chief  legal  counsel, Kiwi’s CEO, and to Kiwi’s registered agents in the United States.  Southwest specifically referenced the Terms and attached a copy of them, pointing out examples of how Kiwi’s conduct violated the Terms. Kiwi acknowledged receipt of one such cease-and-desist notice in September 2019.  As  in  BoardFirst, when  Kiwi  continued  to use  the  Southwest  website  in  connection  with  Kiwi’s  business  with  actual  knowledge  of  the  Terms,  Kiwi  “bound  itself  to  the  contractual  obligations imposed by the Terms.”  See BoardFirst, 2007 WL 4823761, at *7>>, p. 7

E’ poi intgersante anche il ragionamemnot sul danno irreparabile , requisito per la cocnessione della cautgela: viene ravvisato e la cautela  èconcessa: <<Balance of harms: Southwest must also demonstrate the threatened injury if the injunction is denied outweighs any harm that will result if the injunction is granted. Southwest argues Kiwi’s business practices interfere with customer communications, misrepresent Southwest customer-friendly policies,
charge customers unnecessary fees, divert traffic away from Southwest’s website, and tarnish  Suthwest’s reputation and goodwill. Southwest argues Kiwi will suffer little if any damage by ceasing unauthorized sales of Southwest flights and that Kiwi’s interest in using the Southwest website for its own commercial purposes is entitled to “scant consideration.” Kiwi can continue its business and sell flights for other carriers.
Kiwi alleges the balance of harms tips strongly in its favor. Kiwi argues an injunction poses a significant threat to its business model, reputation, and partner relationships. Kiwi asserts removing Southwest flights from its website will drastically affect its ability to build dynamic travel itineraries for its customers. According to Kiwi, for many key travel routes and destinations,
it is impossible to fly without traveling on Southwest. It also contends that an unspecified “threat of further injunctions against brokering ticket sales poses a potentially existential threat to Kiwi.com’s US operation.”
The Court concludes the threatened injury to Southwest if the injunction is denied outweighs the harm to Kiwi. Southwest has shown that Kiwi’s unauthorized sales of its flights  poses a significant disruption to its customer operations. Kiwi has not convinced the Court that the injunction will significantly threaten its business. As Southwest notes, Southwest is not listed as one of Kiwi’s “top 20 airlines” on its website>

(notizia e link alla sentenza  dal blog di Erik Goldman)

Concessione abusiva di credito all’impresa poi fallita e responsabilità del finanziatore

Altro intervento della sez. I della Cass. sul tema (Cass. 24.725 del 14.09.2021, rel. Nazzicone, fall. Edilmorelli Costruzioni srl c. Banca popolare di Spoleto).

Riprende Cass. 18.610 del 30 giugno u.s., stesso relatore, già ricordata qui: il ragionamento è del tutto analogo.

Due sole osservazioni.

1) non è chiara la fonte normativa dell’affermato dovere della banca di controllare l’utilità del finanziamento per il cliente, in mancanza di disposizione ad hoc (come ad es.:  – l’art. 124/5 TU credito; – svariati articoli del TUF , ad es. artt. 21, 24, 24 bis; – la tutela preventiva del cliente posta dalla disciplina c.d. product oversight&governance nell’ideazione e distribuzione dei prodotti assicurativi ex dir. UE 2016/97 e reg. deleg. UE 2358/2017, poi recepiti in cod. ass. priv. art. 30 decies, 121 bis e 121 ter ).

E’ però assai dubbio che dal dovere di <sana e prudente gestione> nascano pretese azionabili dal cliente verso la banca, consistenti in un fattivo contributo della seconda nel verificare l’appropriatezza per il primo dell’erogazione chiesta/proposta: come invece vorrebbe la SC (parla di <indissolubilità del legame tra la sana e prudente gestione dell’attività e la tutela della clientela> pure CAMEDDA, La product oversight and governance nel sistema dei governo societario dell’impresa di assicurazione, BBTC, 2021, 2, 238 , che sarebbe sancita dalla direttiva Insolvency II)

2) non è chiaro come la SC superi l’eccezione per cui l’impresa finanziata non può essere “nel contempo autore dell’illecito e vittima del medesimo”, § 2.6.2. Il finanaziamento era infatti stato stipulato senza errore/violenza/dolo nè operano altri titoli impugnatori (revocatoria). Ci sarà forse azione di danno verso gli amministratori; però disconoscere il contratto finanziatorio (così avviene in sostanza, anche se non si tratta tecnicamente di impugnazione, visto che i suoi effetti permangono; sottilizzare tra conseguenza reale e solo obbligatoria non giova) pare difficilmente giustificabile.

Nullità dell’interest rate swap per difetto di causa

Appello Torino 16.06.2021, n° 686/2021, RG 1857/2019, rel. Bonaudi, decide un appello sull’argomento in oggetto.

Il contratto di Interest Rate Swap (IRS) era stato stipulato a copertuira dei rischi di rialzo interessi passivi prodotti da un mutuo ipotecario, dicono i clienti. Lo nega la banca.

Ne seguirebbe la nullità per macnanza di causa, dato che di fatto l’IRS no nera a coeptura di nulla.

Il Tribunale rigetta ma la corte riforma la setnenza diproimo gfrado, soddisfacendo i clienti.

<<E allora, documentale essendo che lo swap stipulato dalle parti aveva finalità di copertura e che tuttavia non si collegava al sottostante dedotto dagli attori (mutuo fondiario ipotecario), incombeva sulla Banca la dimostrazione della concreta finalità di copertura in relazione ad altro sottostante (conto corrente con apertura di credito); al contrario la Banca ha ammesso che lo swap, così come pattuito concretamente, non aveva alcuna funzione di copertura, predicandone la validità come operazione speculativa. 4.2. Il disallineamento tra il mutuo (con rate trimestrali sul nozionale di euro 190.000 iniziali) e lo swap asseritamente di copertura (con periodicità semestrale sul nozionale di euro 165.000) ha chiaramente escluso già al momento della stipulazione la funzione di copertura che doveva contrattualmente avere, atteso che la combinazione dei due rapporti non avrebbe mai avuto quale risultato -neppure in astratto e quindi a prescindere dal tasso cliente scelto- la trasformazione del mutuo a tasso variabile in indebitamento a tasso fisso (nella misura pari allo spread sull’euribor 6mesi pattuito nel mutuo -1,875%- + il tasso cliente dello swap – 4,60%-) atteso che l’euribor 6mesi a carico del cliente nel mutuo e l’euribor 6mesi a carico della Banca nello swap non si sarebbero neutralizzati reciprocamente avendo diversa scadenza e diverso nozionale. A prescindere dallo squilibrio finanziario, già la causa concreta del contratto non sussisteva perché il meccanismo stesso di funzionamento dello swap stipulato non avrebbe comunque potuto coprire il rischio della variazione dei tassi d’interesse stipulati nel mutuo.>>

<<Conseguenza dell’orientamento espresso dalla Cassazione [nota mia : Sez. Un. n. 8770/2020]  è che la carenza dell’indicazione degli “scenari probabilistici”, del valore del derivato stesso (espresso dal mark to market ad una determinata data) e degli eventuali costi occulti integra motivo di nullità del contratto per difetto di causa: il cliente potrà pertanto ottenere la restituzione di tutti i differenziali negativi pagati, al netto di quelli positivi ricevuti, con la precisazione che la nullità potrà essere fatta valere solo dal cliente, trattandosi di nullità di protezione.  Nel caso di specie non risulta dai documenti contrattuali che la Banca abbia informato i clienti del costo implicito che aveva l’operazione e neppure che abbia loro fornito gli elementi di calcolo idonei a quantificare il mark to market e, più in generale, a determinare la misura dell’alea contrattuale in presenza dei diversi scenari probabilistici ipotizzabili.
Anzi, la Banca ha indicato espressamente che non vi erano addebiti di commissioni e costi, mentre dalla perizia di parte emerge che sono stati applicati costi impliciti per euro 294,58 (somma che la Banca avrebbe dovuto pagare ai coniugi Dardanello al momento della stipula del contratto affinché tale operazione fosse in equilibrio finanziario tra le parti); l’ammontare di costi impliciti applicati in data di stipula dalla Banca corrisponde ad uno spread annuo dello 0,364%: vale a dire che se il contratto fosse stato sottoscritto in equilibrio finanziario, il tasso fisso pagabile dai coniugi Dardanello avrebbe dovuto essere pari al 4,436% e quindi inferiore al tasso effettivamente pagato (pari al 4,60%) dello 0,364%; anche il tasso cliente scelto (4,60%) era pertanto superiore a quello che avrebbe dovuto essere indicato perché il contratto fosse in equilibrio finanziario in partenza>>

Per le ragioni che precedono, va accolta la domanda di <<accertamento della nullità del contratto di swap con conseguente condanna della Banca al pagamento della somma corrispondente ai differenziali negativi al netto di quelli positivi incassati dagli appellanti a titolo di indebito>>