E’ valida la clausola claims made nella assicurazione della responsabilità civile

Cass. sez. III, ord, 15/11/2024, (ud. 26/06/2024, dep. 15/11/2024), n.29483, rel. Guizzi:

<<11.2.3. Non può, infatti, darsi seguito – perché rimasto del tutto isolato nella giurisprudenza di questa Corte – al principio, affermato dall’arresto di questa Corte (si tratta di Cass. Sez. 3, ord. 13 maggio 2020, n. 8894, Rv. 657843 – 01) al quale si è richiamata la sentenza impugnata, secondo cui deve ritenersi nulla, se non specificamente sottoscritta, la clausola “claims made”, ponendo a carico dell’assicurato un termine di decadenza per denunciare l’evento, la decorrenza del quale non dipende dalla sua volontà.

Si tratta, infatti, di principio in contraddizione con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha evidenziato – cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 22 aprile 2022, n. 12908, Rv. 664813 – 01 – che, “di per sé dirimente”, risulta “quanto espressamente statuito in medias res” dalle Sezioni Unite nella sentenza del 6 maggio 2016, n. 9140, al par. 6.2., secondo cui “deve escludersi che la limitazione della copertura assicurativa alle “richieste di risarcimento presentate all’Assicurato, per la prima volta, durante il periodo di efficacia dell’assicurazione”, in relazione a fatti commessi nel medesimo lasso temporale o anche in epoca antecedente, ma comunque non prima di tre anni dalla data del suo perfezionamento, integri una decadenza convenzionale, soggetta ai limiti inderogabilmente fissati nella norma codicistica di cui si assume la violazione”, e ciò perché “l’istituto richiamato, implicando la perdita di un diritto per mancato esercizio dello stesso entro il periodo di tempo stabilito, va inequivocabilmente riferito a già esistenti situazioni soggettive attive nonché a condotte imposte, in vista del conseguimento di determinati risultati, a uno dei soggetti del rapporto nell’ambito del quale la decadenza è stata prevista”, mentre “la condizione racchiusa nella clausola in contestazione consente o preclude l’operatività della garanzia in dipendenza dell’iniziativa di un terzo estraneo al contratto, iniziativa che peraltro incide non sulla sorte di un già insorto diritto all’indennizzo, quanto piuttosto sulla nascita del diritto stesso”, con la conseguenza “che non v’è spazio per una verifica di compatibilità della clausola con il disposto dell’art. 2965 cod. civ.”.

Del pari, tale rilevata “diversità di piani, non comunicanti tra loro, in cui si collocano, rispettivamente, la clausola claims made e la disciplina recata dalla norma dell’art. 2965 cod. civ. è riaffermata, sebbene in modo implicito, ma senza equivoci, dalla successiva sentenza n. 22437/2018, sempre delle Sezioni Unite, la quale ha evidenziato, in armonia con il precedente approdo nomofilattico, che l’anzidetta clausola si configura come delimitativa dell’oggetto del contratto, “correlandosi l’insorgenza dell’indennizzo, e specularmente dell’obbligo di manleva, alla combinata ricorrenza della condotta del danneggiante (la vicenda storica determinativa delle ‘conseguenze patrimoniali’ di cui “l’assicurato intende traslare il rischio”: cioè, del ‘danno’) e della richiesta del danneggiato” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 12908 del 2022, cit.). Ne consegue, pertanto, che “non può essere affetta da nullità, ex art. 2965 c.c., la clausola claims made “perché fa dipendere la decadenza dalla scelta di un terzo”, giacché l’atteggiarsi della richiesta del terzo, quale evento futuro, imprevisto ed imprevedibile, è del tutto coerente con la struttura propria del contratto di assicurazione contro i danni (nel cui ambito, come detto, è da ricondursi la polizza con clausola claims made), in cui l’operatività della copertura deve dipendere da fatto non dell’assicurato” (Cass. Sez. 3, sent. n. 12908 del 2022, cit.; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, ord. 8 maggio 2024, n. 12462, Rv. 670901 – 01)>>.

Sull’onere di avviso alla Compagnia Assicuirativa dellintervento sinistro (artt. 1913-1915 cc)

Cass. Sez. III, Ord. 11/07/2024 n. 19.071, rel. Gianniti:

<<Occorre qui ribadire il principio di diritto, già affermato da Cass. n. 24210/2019, in base al quale “Affinché l’assicurato possa ritenersi inadempiente all’obbligo, imposto dall’art. 1913 c.c., di dare avviso del sinistro all’assicuratore, occorre accertare se l’inosservanza abbia carattere doloso o colposo, atteso che, mentre nel primo caso l’assicurato perde il diritto all’indennità, ai sensi dell’art. 1915, comma 1, c.c., nel secondo l’assicuratore ha diritto di ridurre l’indennità in ragione del pregiudizio sofferto, ai sensi dell’art. 1915, comma 2 c.c.; in entrambe le fattispecie l’onere probatorio grava sull’assicuratore, il quale è tenuto a dimostrare, nella prima, l’intento fraudolento dell’assicurato e, nella seconda, che l’assicurato volontariamente non abbia adempiuto all’obbligo ed il pregiudizio sofferto”.

D’altra parte, alla stregua del generale principio di buona fede, che presiede all’interpretazione ed esecuzione del contratto, eventuali modalità di avviso, in concreto adottate dall’assicurato, diverse da quelle fissate dal contratto, possono essere anche valutate equipollenti a quelle, eventualmente diverse, espressamente pattuite, in relazione alla loro attitudine a realizzare lo scopo della norma.

Nel caso di specie, nel quale è stata la stessa compagnia assicurativa a produrre quali documenti le fotografie dei coppi danneggiati del tetto dell’immobile, non risulta che quella stessa abbia mai allegato – e tanto meno provato – il particolare elemento soggettivo atto a qualificare sfavorevole il comportamento tenuto dalla società assicurata, mentre la corte territoriale ha erroneamente statuito la tardività della denuncia in base al mero riscontro del dato obiettivo della sua tempistica, ma senza nulla motivare in relazione all’eventuale comportamento doloso o colposo della società assicurata>>.

Sulla validità della clausola c.d. claims made nell’assicurazione della responsabilità civile

Cass. sez. III, ord. 30/05/2024  n. 15.216, rel. Rubino:

<<Come chiarito da Cass. S.U. 22437 del 2018, ai cui principi, già ripresi e sviluppati da numerose pronunce a sezioni semplici successive (basti citare Cass. n. 12981 del 2022, Cass. n. 6490 del 2024), va data continuità, il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole ori claims made basis, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale.

Si è altresì chiarito che l’indagine di conformità del contratto concluso dalle parti al tipo negoziale indicato riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti – e non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle claims made) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale on claims made basis vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati.

La giurisprudenza di legittimità ha indicato quindi, in relazione alle clausole claims made, che si è fuori dal giudizio di meritevolezza, che attiene alla sfera dei contratti atipici, mentre il giudizio verte su un complesso ed articolato apprezzamento della causa in concreto, con idonea considerazione, alla luce del generale modello legale, di ogni suo aspetto rilevante>>.

Principi male applicato dalla cortge di appello:

<<3.1. – La Corte territoriale, nella fattispecie in esame, premette una corretta affermazione teorica, in linea di principio, là dove afferma che si è fuori dell’ambito del giudizio di meritevolezza, relativo ai contratti atipici, dovendosi invece verificare la causa concreta di un contratto tipico, essendo il contratto in questione riconducibile alla tipologia del contratto di assicurazione contro i danni.

A pagg. 12 e 13 la sentenza impugnata riporta la clausola oggetto di contestazione, quindi passa alla valutazione di essa ed afferma, con motivazione molto sintetica a pag. 13, che il contratto sia carente di causa in concreto, in quanto esso da un lato formalmente prevede che nel suo ambito di operatività siano ricompresi anche eventi di danno verificatisi nei tre anni precedenti al periodo di vigenza (che va dal 7.5.2005 al 7.5.2008), ma poi ne esclude ampie categorie, cosicché la copertura per il periodo precedente risulta di fatto svuotata di contenuto, non essendo peraltro coperti i sinistri verificatisi nel periodo di vigenza le cui richieste di risarcimento pervengano, come è normale, dopo il termine di esso (nel caso di specie, la denuncia di sinistro è arrivata all’assicurazione dopo il periodo di vigenza della polizza, quindi se la clausola claims made fosse valida, l’evento non sarebbe coperto).

3.2. – L’esame compiuto dalla corte d’appello sulla validità della clausola in discussione non appare rispondente a diritto sotto due distinti profili.

3.3. – In primo luogo, l’accertamento compiuto, sebbene formalmente qualificato come teso alla verifica della causa in concreto, appare più improntato ai caratteri del giudizio cri meritevolezza di un contratto atipico.

Il giudice di merito avrebbe dovuto, invece, valutare se il contratto presentava una assenza di corrispettività tra pagamento del premio e assunzione del rischio assicurato, quindi accertare in concreto la presenza o meno di un sostanziale disequilibrio sinallagmatico, nei termini rigorosi indicati dalle Sezioni Unite, che solo avrebbe potuto costituire sintomo di carenza della causa in concreto e quindi di inadeguatezza del contratto rispetto agli interessi che con esso le parti intendevano tutelare. L’esame condotto ai fini della verifica della causa in concreto non appare rispondente alla complessità di parametri indicati da S.U. n. 22437 del 2018, poi ripresi dalle pronunce successive (v. Cass. n. 12981 del 2022), che impongono di prendere in idonea considerazione, alla luce del generale modello legale, tutti gli aspetti del rapporto, la negoziazione informata, la convenienza del premio e la copertura di fatti pregressi, ovvero accaduti prima del periodo di validità della copertura decorrente dalla stipula, potendo proprio in ciò – ossia nella prospettiva di evitare “buchi” o “vuoti” di copertura – consistere l’utilità dell’accordo per l’assicurato.

L’esame della clausola, sbrigativamente motivato a pag. 13 della sentenza impugnata, si limita a porre in rilievo due dati, le stringenti previsioni che concernono i tre anni precedenti la vigenza del rapporto, volte a limitare (ma non ad escludere) una effettiva risarcibilità degli eventi precedenti, e la mancanza della considerazione di richieste di sinistri pervenuti dopo il periodo di vigenza. La motivazione non prende in considerazione, però, se, pur alla luce delle indicate limitazioni, dall’esame del complessivo assetto di interessi residui una sinallagmaticità delle prestazioni idonea a giustificare il rapporto sotto il profilo causale, ovvero se il contratto sia comunque in grado di esplicare la propria funzione tipica.

3.4. – Ma, soprattutto, la sentenza impugnata non si preoccupa affatto di prendere in considerazione le conseguenze della declaratoria di nullità della causa in concreto della clausola contrattuale, che vanno invece gestite dal giudice stesso che dichiara la nullità della singola clausola, cui spetta l’indicazione della norma imperativa con la quale sostituire la clausola dichiarata nulla, ai fini di lasciare alle parti una regolamentazione depurata della clausola nulla e tuttavia utilizzabile, perché regolamentata da regole certe. È, infatti, principio consolidato che il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c. deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola dichiarata nulla (in questo senso, in tema di clausola claims made apposta ad un contratto di assicurazione per la responsabilità civile, Cass. n. 9616 del 2023). La corte d’appello, in sede di rinvio, qualora confermi la sua valutazione di nullità della clausola, dovrà procedere alla individuazione della norma di riferimento alla stregua della quale regolamentare i profili svuotati di contenuto dalla declaratoria di nullità e, benché solo nel caso in cui non rinvenga la norma di riferimento che il capoverso dell’articolo 1419 c.c. esige, dovrà dedurne la nullità dell’intero contratto. Come ricordato da Cass. n. 6490 del 2024, peraltro, mette conto sottolineare che la pronuncia n. 22437/2018 a Sezioni Unite ha agevolato il compito del giudicante, che risulta in un certo senso guidato nella ricerca della clausola sostitutiva e non più lasciato a cimentarsi in avventate operazioni di ortopedia ermeneutica allo scopo di salvare il contratto; nei settori in cui il legislatore è intervenuto per disciplinare le polizze claims made il giudice dispone di un serbatoio di riferimento che risponde a “scelte precise del legislatore sui criteri di opportunità, efficienza e giustizia” nell’ambito della distribuzione del rischio; quel serbatoio rappresenta una sorta di limite invalicabile, “fin dove reso possibile dall’operare coerente del meccanismo della nullità parziale ex art. 1419 c.c., comma 2” per le polizze stipulande e un parametro funzionale allo svolgimento dell’indagine sull’adeguatezza delle polizze già stipulate da parte del giudice che, ritenuta inadeguata la clausola claims made pattizia, è investito del compito non solo di rilevarne la nullità, ma anche di sostituirla>>.

Quando sorge l’obbligo per l’Assicuratore della responsabilità professionale di indenizzare l’avvocato assicurato, in presenza di messe in mora inviate dal cliente dannneggiato?

Molto interessante insegnamento da Cass. sez. III, ord. 20/05/2024 n. 13.897, rel. Fiecconi, che va di là dell’ambito della r.c. professionale.

Inadempiment consistito nell’omesa proposizione di oppisizione ad ingiunzione.

Ebbene, non è necessario che l’assicurato (avvocato, cioè il debitore) abbia risarcito il terzo (cliente, cioè il creditore), per far sorgere il dovere indennitario della Assicurazione verso il primo ex art. 1917 cc. Nè c’è timore di suo indebito arricchimento, ad es. ipotizzando una successiva non corrsponsione da parte sua al cliente di quanto ricevuto.

<<8. Al proposito, va richiamato il principio, già esaurientemente indicato in recenti articolate pronunce della Suprema Corte, cui questo Collegio intende conformarsi, in base al quale, l’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne il proprio assicurato dalla responsabilità civile, regolato dall’art. 1917 cod. civ., sorge nel momento in cui l’assicurato causi un danno a terzi, costituendo tale evento l’oggetto del rischio assicurato. L’assicuratore è in mora rispetto a tale obbligo solo dopo che sia decorso il tempo presumibilmente occorrente a un diligente assicuratore per accertare la sussistenza della responsabilità dell’assicurato e per liquidare il danno, e sempre che vi sia stata una efficace costituzione in mora da parte dell’assicurato stesso (cfr. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14481 del 09/07/2020; Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 28811 del 08/11/2019; Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 22054 del 22/09/2017; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9510 del 30/04/2014).

9. Sulla base di tale principio, la liquidità del debito da risarcire al terzo danneggiato non è, di contro, condizione necessaria della costituzione in mora dell’assicuratore, non valendo nel nostro ordinamento il principio “in illiquidis non fit mora” (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 28811 del 08/11/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4712 del 14/05/1994).

10. Tuttavia, l’assicuratore della responsabilità civile non può essere ritenuto inadempiente all’obbligo di pagamento dell’indennizzo solo per il fatto che, ricevuta la relativa richiesta dall’assicurato, abbia omesso di provvedervi. L’ inadempimento può dirsi sussistente soltanto ove l’assicuratore abbia rifiutato il pagamento senza attivarsi per accertare, alla stregua dell’ordinaria diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, cod. civ., la sussistenza di un fatto colposo addebitabile al medesimo assicurato, ovvero anche qualora gli elementi in suo possesso evidenzino la sussistenza di una responsabilità dello stesso assicurato non seriamente contestabile. Il relativo accertamento deve essere compiuto dal giudice di merito con prognosi postuma, vale a dire con riferimento al momento in cui l’assicuratore ha ricevuto la domanda di indennizzo, valutando tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la condotta dell’assicurato (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14481 del 09/07/2020).

11. Ne consegue che sussiste la mora dell’assicuratore quando la mancata o ritardata liquidazione del danno al proprio assicurato derivi dalla condotta ingiustificatamente dilatoria dell’assicuratore o, ancora, dal suo fatto doloso o colposo, quale l’illegittimo comportamento processuale per aver egli, a torto, contestato in radice la propria obbligazione. In tal caso, quindi, gli interessi moratori decorrono dalla data della “interpellatio” (Cass, Sez. 2, Sentenza n. 9510 del 30/04/2014; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1105 del 15/04/1959).

12. Il principio di cui sopra citato circa l’insorgenza dell’obbligo dell’assicuratore di pagare l’indennizzo solo apparentemente collide con l’orientamento, sancito nella recente pronuncia di questa Suprema Corte (Cass.Sez. III, ord. 18065 del 10/07/2018), con la quale si è chiarito che il diritto dell’assicurato di rivalersi nei confronti dell’assicuratore, ai sensi dell’art. 1917 cod. civ., postula che il pagamento al terzo sia stato eseguito dall’assicurato in base ad un titolo che, se non anche definitivo e non contenente un accertamento (negoziale o giudiziale) della responsabilità dell’assicurato medesimo e dell’ammontare complessivo del risarcimento, sia tuttavia idoneo ad attribuire al pagamento il carattere doveroso previsto dal citato art. 1917 cod. civ. (citando Cass. 30/12/2011, n. 30795; Cass. 1/04/1996, n. 3008).

13. Nel medesimo senso si era espressa la sentenza di questa Corte n. 7330 del 1° luglio 1995, con la quale si affermò che l’obbligazione dell’assicuratore ha per oggetto, ai sensi dell’art. 1917, comma primo, cod. civ., il “rimborso” delle somme che al terzo debbono essere pagate dall’assicurato (v. in tal senso anche Cass. 1/07/1995, n. 7330). Fu allora anche precisato che dall’art. 1917 cod. civ. si ricava anche che “il pagamento” dell’indennità assicurativa al terzo può avvenire nei seguenti tre modi: il primo è quello con il quale l’assicurato prende l’iniziativa del pagamento ed in questo caso la prestazione assicurativa consiste nel rimborso all’assicurato della somma pagata; il secondo è quello con il quale è l’assicuratore ad assumere l’iniziativa del pagamento, previa comunicazione all’assicurato; il terzo comporta egualmente il pagamento diretto da parte dell’assicuratore al danneggiato, ma richiede che vi sia stata richiesta in tal senso dell’assicurato (Cass. 9 /01/1999, n. 103).

14. Nelle menzionate pronunce non si rinviene, tuttavia, alcun riferimento al fatto che il credito risarcitorio del terzo, oggetto dell’assicurazione per la responsabilità civile, debba necessariamente essere liquido al tempo del pagamento dell’assicuratore nelle mani dell’assicurato o del terzo.

15. Sicché, il principio di diritto indicato sulle diverse modalità di adempimento dell’obbligazione di pagamento dell’assicuratore previste nell’art. 1917 cod. civ. opera certamente in rafforzo del diritto dell’assicurato di ricevere l’indennizzo, e a maggior ragione nel caso in cui, come nel caso in questione, una volta ricevuta la denuncia del sinistro l’assicuratore, in base al parametro dell’ordinaria diligenza professionale da valutarsi ex art. 1176, comma 2, cod. civ., sia rimasto inerte rispetto al suo obbligo di tenere indenne l’assicurato.

16. In sintesi, dovendosi accedere a una interpretazione dell’art. 1917, comma 1, cod. civ. che tenga conto, a seconda delle circostanze, dell’ esigenza di mantenere un equilibrio sinallagmatico tra i diversi interessi delle parti nelle possibili dinamiche che si innestano nell’ esecuzione del contratto di assicurazione della responsabilità civile, l’obbligo di tenere indenne l’assicurato di quanto questi deve pagare al terzo non può dirsi sussistere solo in riferimento al tempo in cui diviene liquido ed esigibile il credito del terzo danneggiato, laddove il fatto dannoso del responsabile civile non sia seriamente contestabile e l’assicuratore non si sia attivato dopo la comunicazione di sinistro ricevuta dall’assicurato, in quanto esso sorge in dipendenza della responsabilità civile, dedotta nel contratto di assicurazione, già al tempo dell’avveramento del rischio da indennizzare.

17. Ai fini della verifica dei possibili risvolti di tale interpretazione, non si dimostra quale utile argomento il timore che il pagamento dell’indennizzo dall’assicuratore direttamente all’assicurato possa costituire un indebito per l’assicuratore, ove i terzi danneggiati omettano di coltivare le proprie pretese di risarcimento, e dunque venga meno il titolo del pagamento. In base al secondo comma dell’art. 1917 cod. civ., l’assicuratore ha facoltà di scongiurare tale rischio attivandosi per pagare l’indennità dovuta direttamente nelle mani del terzo danneggiato, previa comunicazione all’assicurato, prevedendosi anche che detto obbligo di pagamento nelle mani del terzo insorga laddove lo richieda lo stesso assicurato>>.

Sul concetto di “aree equiparate a quelle ad uso pubblico”: ambito territoriale applicativo dell e azioni assicurative (art. 122 cod. ass.)

Cass. civ., Sez. III, Ord. 27/03/2024, n. 8.244, rel. Rossetti, si pronuncia sul concetto in esame:

<<.3. I primi due motivi di ricorso sono fondati alla luce dei princìpi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui l’art. 122 cod. ass. deve essere interpretato in modo conforme al diritto comunitario, con la conseguenza che “per circolazione su aree equiparate alle strade va intesa quella effettuata su ogni spazio ove il veicolo possa essere utilizzato in modo conforme alla sua funzione abituale“. (Sez. U – , Sentenza n. 21983 del 30/07/2021, Rv. 661872 – 01)>>

Che poi aggiunge:

<<1.4. Reputa opportuno la Corte aggiungere, a fugare il rischio di dubbi ulteriori nella fase di rinvio, che l’art. 122 cod. ass. è norma generale che fissa i presupposti di tutte le azioni previste dal codice delle assicurazioni: quella diretta contro l’assicuratore del responsabile (art. 144 cod. ass.); l’azione diretta contro l’assicuratore del danneggiato (art. 149 cod. ass.); l’azione nei confronti dell’UCI (art. 126 cod. ass.); l’azione contro l’impresa designata per conto del Fondo di garanzia (art. 283 cod. ass.); l’azione contro il commissario liquidatore dell’impresa in l.c.a. che sia stato autorizzato a liquidare i sinistri (art. 294 cod. ass.).

Del resto l’azione accordata al danneggiato contro il proprio assicuratore, ai sensi dell’art. 149 cod. ass., come già da questa Corte ripetutamente stabilito, non è un’azione contrattuale, in quanto l’esistenza di un contratto assicurativo è solo il presupposto legittimante di quella domanda, ma non la fonte del diritto fatto valere.

Infatti il sistema risarcitorio costruito dall’art. 149 e dal d.P.R. 18 luglio 2006, n. 254, “si fonda su una sorta di accollo ex lege, a carico dell’assicuratore del danneggiato, del debito che sarebbe gravante sul responsabile e sull’assicuratore di quest’ultimo”, e dunque l’azione promossa dal danneggiato con tro il proprio assicuratore è la stessa azione prevista dall’art. 144 cod. ass., alla quale la legge assegna undiverso debitore (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21896 del 20/09/2017, in motivazione)>>.

Oggi l’art. 122 risulta modificato dal d lgs 184 del 2024 e il suo c. 1 è conforme a quanto statuito dalla cit. SC

Interessante decisione in  CASs. 9 maggio 2023 n. 12.309 , 3 sez.,  rel Rossetti, in tema di azione di regresso nel rapporto di assicurazione della r.c. da circolazione  nautica , proposta dalal Compagnia Assicurativa :

<<Il principio invocato dalla ricorrente (p. 21 del ricorso) vale per la domanda proposta dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore, nel qual caso è effettivamente onere del primo dimostrare l’avverarsi di un sinistro corrispondente a quello previsto dalla descrizione del rischio contenuta nella polizza).
Quel principio non vale invece per la domanda di regresso formulata dall’assicuratore nei confronti dell’assicurato. In questo caso infatti l’assicuratore assume la veste di attore, ed il conseguente onere di dimostrare la sussistenza delle circostanze legittimanti il regresso.>>

Non è menzionata la disposizione di legge regolante la rivalsa (v. per la rc auto l’abrodato art. 18 c.2 della L. 990 del 1969)

Tribunale di Milano con sentenza dettagliatissima sulla (non operatività della) compensatio lucri cum damno tra risarcimento del danno e indennizzo da polizza infortuni

Sull’oggetto v. l’ampio esame condotto da Trib. Milano 11/04/2023, n. 2894, Rg 4337/2020, giudice D. Spera, che esclude la compensazione, dopo accurto esame della disciplina delle polizze infrotunui, non espressamente regolate dal cc.

L’assicurtore aveva ricnuncviato alla rivalsa.

sulla polizza sub iudice. <<In definitiva, ritiene il Tribunale che la polizza stipulata dalle parti, per come in concreto articolata, risponda ad una finalità previdenziale: il sig. P.B. ha inteso cautelarsi contro il rischio di morte o invalidità permanente, sopportando il pagamento di una serie di premi e assicurandosi la possibilità di poter celermente disporre, in caso di verificazione di un evento traumatico, di una somma di denaro certa nel suo ammontare e proporzionata – in quanto ancorata ad un prescelto capitale assicurato – non già al danno effettivamente patito, ma alla propria capacità di spesa e alla propria propensione all’investimento previdenziale.
Il contratto assicurativo stipulato dal sig. P.B., quindi, lungi dall’assolvere una funzione di neutralizzazione di un pregiudizio subito, intende precipuamente garantire all’assicurato (o ai suoi familiari in caso di decesso) una provvidenza dallo stesso stimata come idonea. E ciò dovrebbe valere sia nel caso di infortunio letale, sia nel caso di trauma solo invalidante: non si vede del resto per quale ragione la finalità previdenziale (riconosciuta dalleSezioni Unite n. 5119/2002 solo per gli esiti mortali) dovrebbe mutare a seconda dell’evento – letale o non letale – che in concreto si verifica …   Sulla base delle considerazioni che precedono, si può dunque ritenere che la polizza “Fortuna” non possa essere ricondotta al genus delle assicurazioni contro i danni, stante l’ontologica diversità tra la res e la persona.
La stessa polizza però non può neppure essere ricondotta tout court al ramo delle assicurazioni sulla vita, sebbene con essa condivida la medesima finalità previdenziale, non trattandosi di assicurazione stipulata sulla “vita propria o su quella di un terzo” come prevede l’art. 1919 c.c.
Deve piuttosto ritenersi che trattasi di un contratto assicurativo dal contenuto atipico, ma riconducibile al modello generale di cui all’art. 1882, seconda parte, c.c., essendo evidente che – come affermato dalla dottrina e come ritenuto da pronunce giurisprudenziali antecedenti alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5119/2002 – un infortunio è certamente “un evento attinente alla vita umana”..>>

<<Sulla base delle considerazioni che precedono, si può dunque ritenere che la polizza “Fortuna” non possa essere ricondotta al genus delle assicurazioni contro i danni, stante l’ontologica diversità tra la res e la persona.
La stessa polizza però non può neppure essere ricondotta tout court al ramo delle assicurazioni sulla vita, sebbene con essa condivida la medesima finalità previdenziale, non trattandosi di assicurazione stipulata sulla “vita propria o su quella di un terzo” come prevede l’art. 1919 c.c.
Deve piuttosto ritenersi che trattasi di un contratto assicurativo dal contenuto atipico, ma riconducibile al modello generale di cui all’art. 1882, seconda parte, c.c., essendo evidente che – come affermato dalla dottrina e come ritenuto da pronunce giurisprudenziali antecedenti alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5119/2002 – un infortunio è certamente “un evento attinente alla vita umana” . (…)Alla luce delle esposte considerazioni, la polizza “Fortuna”, pur non rientrando nei due genera assicurativi disciplinati dal codice (rispettivamente agli artt. 1904 e ss. agli artt. 1919 e ss. c.c.), cionondimeno, condivide con l’assicurazione sulla vita la stessa natura previdenziale, trovando
tale contratto assicurativo ragione – per com’è articolato dalle parti attraverso la previsione della rinuncia alla rivalsa – nella precauzione di introdurre una forma di provvidenza, volta non tanto ad elidere il danno, ma a garantire all’assicurato una maggiore tranquillità economica al verificarsi di un evento avverso.       Per l’effetto, si deve ritenere che la polizza “Fortuna” stipulata dal sig. Bassi, stante la sua natura sostanzialmente previdenziale, soggiace prevalentemente alle norme dettate per l’assicurazione sulla vita, giustificandosi così l’inoperatività del principio indennitario, con la conseguenza che dalla somma liquidata a titolo di risarcimento in favore dell’attore non dev’essere scomputato l’indennizzo corrisposto dalla Zurich Insurance PL >>

Sul diritto di surroga dell’assicuratore sociale INAIL

Cass, 21.20.2022 n. 31.139, sez. 3, rel. Cirillo, interviene su un compesso caso di surrtoga INAIL verso l’assicuratore della responsabilità civile in un tragico sionistro stradale.

Qui riporto gli  insegnamenti  in diritto, al § 5.1-5.3, essenzialmente relativio al rapporto tra l’art. 1916 cc e l’arty. 142 cod. assic. priv. (già art. 28 L. 990/1969):

<<5.1. Trattandosi del diritto di surroga esercitato dall’INAIL a seguito di un sinistro stradale, la norma di riferimento e’, oltre all’art. 1916 c.c., il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 142; disposizione, quest’ultima, che ha il suo antecedente nella L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 28.
Il meccanismo delineato dalla L. n. 990 del 1969, art. 28, transitato, senza significative modifiche, nel D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 142 – costituisce un’applicazione particolare della regola generale contenuta nell’art. 1916 c.c., poiché la disposizione delinea un’azione in surrogazione esperibile soltanto in relazione al risarcimento dei danni conseguenti ad incidenti stradali.
A norma dell’art. 142, comma 1, cit., l’assicuratore sociale ha diritto di ottenere “direttamente dall’impresa di assicurazione” il rimborso “delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato ai sensi delle leggi e dei regolamenti che disciplinano detta assicurazione, sempreché non sia stato già pagato il risarcimento al danneggiato, con l’osservanza degli adempimenti prescritti nei commi 2 e 3”. I due commi successivi prevedono l’obbligo del c.d. accantonamento da parte dell’assicuratore del responsabile civile il quale, prima di pagare il danneggiato, dovrà richiedere allo stesso una sorta di dichiarazione liberatoria, che attesti che il medesimo non ha diritto “ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie”. Seguono poi le regole per l’esecuzione del pagamento ovvero, in caso di dichiarazione positiva da parte del danneggiato circa l’esistenza di un proprio diritto verso gli assicuratori sociali, l’obbligo di accantonamento “di una somma idonea a coprire il credito dell’ente per le prestazioni erogate o da erogare”.
Il senso del complesso ed articolato sistema delineato dall’art. 142 è quello di consentire al danneggiato un pronto ristoro anche da parte degli assicuratori sociali; ma, ove questi abbiano erogato somme, essi si surrogano al danneggiato nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile. E’ comunque previsto – con l’apposita norma di chiusura dettata nell’ultima parte del comma 3 dell’art. 142 cit. – che l’ente gestore dell’assicurazione sociale “ha diritto di ripetere dal danneggiato le somme corrispondenti agli oneri sostenuti se il comportamento del danneggiato abbia recato pregiudizio all’azione di surrogazione” (v. sul punto la sentenza 25 settembre 2014, n. 20176).
5.2. La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che per ottenere il rimborso delle prestazioni erogate al danneggiato, l’ente gestore dell’assicurazione sociale può agire, ai sensi dell’art. 1916 c.c., nei confronti dei terzi responsabili del fatto illecito – per tali intendendo non genericamente i terzi obbligati, ma esclusivamente i soggetti (estranei al rapporto assicurativo) tenuti a rispondere di un evento (concretante il rischio assicurato) imputabile ad essi od a persone del cui operato debbano rispondere – con esclusione dell’assicuratore del responsabile del danno e con l’unico limite derivante dall’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato. Ovvero a quel fine il detto ente può agire direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile del danno conseguente alla circolazione di veicoli (ma non di quest’ultimo), ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 28, comma 2, con l’ulteriore limite costituito dall’ammontare del massimale per il quale è stata stipulata l’assicurazione della responsabilità civile, atteso che tra le due normative non sussiste alcuna relazione di incompatibilità ai sensi dell’art. 15 delle preleggi, trattandosi di azioni che attribuiscono il diritto di surrogazione nei confronti di soggetti obbligati diversi (così la sentenza 20 novembre 1987, n. 8544, più volte confermata in seguito).
La successiva sentenza 23 dicembre 1994, n. 11112, ha ulteriormente chiarito che il citato art. 28 non ha abrogato l’art. 1916 c.c., u.c., il quale consente all’ente gestore dell’assicurazione sociale di valersi dello strumento surrogatorio nei confronti del terzo responsabile. La diversità delle due azioni fa sì che l’ente di assicurazione sociale ben può decidere di agire contemporaneamente contro il terzo responsabile e contro la società assicuratrice di quest’ultimo (tali principi sono stati confermati dalla più recente ordinanza 23 novembre 2017, n. 27869 e valgono anche in relazione al vigente del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 142).
La giurisprudenza di questa Corte ha anche affermato che il principio fissato dall’art. 1916 c.c., in forza del quale la surrogazione dell’assicuratore nei diritti dell’assicurato contro il terzo responsabile consegue al pagamento dell’indennità, subisce nel campo delle assicurazioni sociali i necessari adattamenti, nel senso che per il verificarsi del subingresso dell’istituto assicuratore basta la semplice comunicazione al terzo responsabile dell’ammissione del danneggiato all’assistenza prevista dalla legge, accompagnata dalla manifestazione della volontà di esercitare il diritto di surroga. Per cui l’esercizio della surrogazione da parte dell’assicuratore comporta la perdita della titolarità del credito del danneggiato nei confronti del responsabile e l’acquisto dello stesso da parte dell’assicuratore (sentenza 15 luglio 2005, n. 15022; nonché, più di recente, Sezioni Unite, sentenza 29 aprile 2015, n. 8620).
Ed è stato parimenti stabilito che, dal momento in cui l’ente comunica all’assicuratore del terzo responsabile di aver ammesso l’assicurato danneggiato all’indennizzo, e con ciò lo preavverta di voler effettuare la surroga, l’assicuratore è tenuto all’accantonamento in via provvisoria della corrispondente somma in favore dell’ente gestore (sentenza 17 gennaio 2003, n. 604).
5.3. Alcune più recenti pronunce hanno consentito a questa Corte di chiarire che la surrogazione dell’assicuratore di cui all’art. 1916 cit. ha un triplice scopo: evitare l’arricchimento dell’assicurato, che deriverebbe dalla possibilità di cumulare indennizzo e risarcimento; evitare l’arricchimento del responsabile, il quale, se non esistesse la surrogazione, beneficerebbe indirettamente della copertura assicurativa contro i danni stipulata dal danneggiato; consentire all’assicuratore di abbassare il costo generale dei sinistri e di conseguenza i premi puri applicati per le categorie di rischi omogenei (così la sentenza 14 ottobre 2016, n. 20740).
Proprio in relazione alla surrogazione da parte dell’INAIL è stato poi affermato che la rendita da esso versata alla vittima o ai suoi congiunti ha lo scopo di venire incontro allo stato di bisogno nel quale essi verranno presumibilmente a trovarsi a causa dell’incidente e della conseguente diminuzione o totale perdita del contributo economico che il lavoratore apportava alla sua famiglia.    E poiché la rendita erogata dall’INAIL ha lo scopo di indennizzare il solo pregiudizio patrimoniale, e non anche il danno non patrimoniale, “la c.d. compensatio lucri cum damno non opera quando il vantaggio conseguito dalla vittima dopo il fatto illecito sia destinato a ristorare pregiudizi ulteriori e diversi da quello di cui ha chiesto il risarcimento” (così l’ordinanza 18 ottobre 2019, n. 26647, che richiama la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 22 maggio 2018, n. 12566)>>

Vessatorietà ex art. 1341 cc e clausola di risarcimento in forma specifica nel contratto di assicurazione auto (c.d. polizza eventi atmosferici)

La clausola di risarcimento (rectius: indennizzo) del danno in forma specifica, sempre più frequente., non è vessatoria ex art. 1341 cc poichè non limita la responsabilità della Compagnia  ma determina solo l’oggetto contrattuale.

Così Cass. 23.415 del 27.07.2022, sez. 3, rel. Spaziani:

<<2.2. I primi quattro motivi del ricorso per cassazione in esame sono, invece, infondati nella parte in cui, deducendo la violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., nonché del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 33, 34, 35 e 36, (Codice del consumo), contestano le rationes decidendi della sentenza impugnata, dubitando della legittimità, in base alle predette norme, del giudizio espresso dal giudice di appello sulla non vessatorietà della clausola contrattuale e sulla valida ed efficace formazione del consenso su di essa.

2.2.a. Questa Corte ha affermato il principio, cui deve darsi continuità, secondo il quale, nel contratto di assicurazione contro i danni, la clausola con cui si pattuisce che l’assicurato sia indennizzato mediante la reintegrazione in forma specifica del danno occorsogli in conseguenza di un sinistro stradale (ad es., mediante riparazione del veicolo presso una carrozzeria autorizzata) non è da considerarsi clausola limitativa della responsabilità agli effetti dell’art. 1341 c.c., ma delimitativa dell’oggetto del contratto, in quanto non limita le conseguenze della colpa o dell’inadempimento e non esclude, ma specifica, il rischio garantito, stabilendo i limiti entro i quali l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato (Cass. 15/05/2018, n. 11757).

Infatti, premesso che, nell’ambito del contratto ci assicurazione, sono da considerare limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., le clausole che circoscrivono le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre, al contrario, attengono all’oggetto del contratto quelle che concernono il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito (tra le altre, Cass. 10/11/2009, n. 23741 e, recentemente, Cass. 04/02/2021, n. 2660, non mass.), deve escludersi che siano soggette all’obbligo della specifica approvazione preventiva per iscritto le clausole che si limitano a prevedere, in luogo del risarcimento per equivalente, l’obbligo, per l’assicuratore, di provvedere alla riparazione in forma specifica (eventualmente, come nella specie, attraverso la previsione della riparazione del veicolo presso una carrozzeria convenzionata), la quale costituisce una forma di risarcimento o di indennizzo che consente al danneggiato di ottenere il ristoro del pregiudizio subito mediante la diretta rimozione delle conseguenze dannose e la restitutio in integrum del medesimo bene che costituiva il punto di riferimento oggettivo dell’interesse leso.

2.2.b. Con siffatta clausola non viene imposto al contratto di assicurazione un peso che rende eccessivamente difficoltosa la realizzazione del diritto dell’assicurato né si consente all’assicuratore di sottrarsi in tutto o in parte alla sua obbligazione o si assoggetta la soddisfazione dell’assicurato all’arbitrio dell’assicuratore e ai tempi da questo imposti per la definitiva liquidazione della somma dovuta; piuttosto, senza determinare alcun significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di assicurazione (ma, anzi, attraverso una libera stipulazione intesa ad ottenere specifici vantaggi contrattuali a fronte dell’assunzione dell’impegno di rivolgersi ad una carrozzeria convenzionata con l’assicuratore), viene specificato l’oggetto del contratto stesso e vengono pattuite le modalità e la forma con cui l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato del danno prodottogli dal sinistro; la clausola in questione, pertanto, non rientra tra quelle limitatrici della responsabilità dell’assicuratore e non richiede per la sua efficacia la specifica approvazione per iscritto del contraente per adesione ai sensi dell’art. 1341 c.c..

2.2.c. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – la quale sembra considerare il risarcimento per equivalente maggiormente satisfattivo per il creditore rispetto a quello in forma specifica – va altresì puntualizzato, in termini generali, che, sebbene la scelta tra le due forme risarcitorie spetti al creditore (art. 2058 c.c., comma 1), tuttavia, se il debitore offre il risarcimento in forma specifica, l’eventuale rifiuto di tale offerta sarebbe contrario a buona fede, perché precluderebbe al debitore di conseguire un risultato utile che non comporta per il creditore un apprezzabile sacrificio e che e’, anzi, normalmente più adeguato al fine risarcitorio e, dunque, al soddisfacimento dell’interesse creditorio (art. 1174 c.c.).

Proprio su tali presupposti la dottrina ammette che danneggiato e danneggiante possono validamente ed efficacemente accordarsi sul risarcimento in forma specifica, anche in via preventiva: tale accordo, infatti, integra un contratto innominato avente causa risarcitoria, diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 c.c., comma 2).

La clausola contrattuale diretta a prevedere siffatta forma risarcitoria, predisposta unilateralmente dal debitore, non determina, pertanto, uno squilibrio in suo favore dei diritti ed obblighi derivanti dal contratto: la concreta operatività di tale istituto, ove sia materialmente possibile, trova infatti un limite, non già nelle esigenze di tutela del creditore (il cui interesse viene, al contrario, pienamente reintegrato), ma nelle esigenze di tutela del debitore, il quale può liberarsi mediante il risarcimento per equivalente, ove quello in forma specifica risulti per lui eccessivamente oneroso (art. 2058 c.c., comma 2).

2.2.d. Il giudizio del Tribunale, inteso ad escludere il carattere vessatorio della clausola “F.9.4”, integrativa del contenuto del contratto di assicurazione stipulato dalla ricorrente, nonché il susseguente giudizio inteso a ritenere validamente ed efficacemente formato il consenso dell’assicurata su detta clausola (che non necessitava di specifica approvazione per iscritto) attraverso la sottoscrizione della dichiarazione di conoscere ed accettare le disposizioni della “Linea Comfort” contenute nel fascicolo informativo, appare, per quanto si è detto, perfettamente conforme a diritto, con conseguente infondatezza delle censure formulate, al riguardo, negli illustrati motivi di ricorso per cassazione>>

Patto di gestione della lite: è nulla la clausola per cui l’assicuratore non rimborsa le spese per i legali da lui non autorizzati

Cass. 5 luglio 2022 n. 21.220, sez. 3, rel. Rossetti, afferma quantoi in oggetto, con qualche scostamento dai precedenti.

L’art. 1917 c. 3 cc, infatti , è dichiarato inderobabile in pejus per l’assicurato dal seguente art. 1932 cc

In particolare << Il successivo art. 1932, primo comma, c.c., stabilisce che “le disposizioni degli
artt. (…) 1917 terzo e quarto comma (…) non possono essere derogate se
non in senso più favorevole all’assicurato”.
Pertanto una clausola contrattuale la quale subordini la rifusione delle spese
di resistenza sostenute dall’assicurato al
placet dell’assicuratore è una deroga
in pejus all’art. 1917, terzo comma, c.c., ed è affetta da nullità.
La legge infatti non pone condizioni al diritto dell’assicurato di ottenere il
rimborso delle suddette spese.
Resta solo da aggiungere che le spese di resistenza sostenute dall’assicurato
sono affrontate nell’interesse comune di questi e dell’assicuratore. Esse
costituiscono perciò spese di salvataggio ai sensi dell’art. 1914 c.c., e sono
soggette alla regola che ne subordina la rimborsabilità al fatto che non siano
state sostenute avventatamente (art. 1914, secondo comma, c.c., il quale
non è che una applicazione particolare del generale principio di cui all’art.
1227, secondo comma, c.c.).
Il relativo accertamento costituisce un apprezzamento di fatto riservato al
giudice di merito, che non è stato compiuto e che non può essere compiuto
in questa sede: ciò impedisce di decidere la causa nel merito, come richiesto
dal ricorrente
>>

Insegnamento che può far tremare le compagnie, dato che quasi tutte inseriscono la clausole per cui il rimborso non è dobueo per legali che esse on abbiano autorizzato.

la soluzione della Sc parrebbe corretta di fronte ad una disposizione muta in proposito.

Si noti il limite che la SC cerca di mettere a spese legali sconsiderate: quello delle spese c.d. di salvataggio ex ar. 1914 cc