La prova dell’apertura di credito da aprte della banca

Cass. n. 13063 del 12.05.2023, rel. Crolla, sez. 1:

<<2.2 Ai sensi del combinato disposto di cui ai commi 1 e 3 dell’art
117 nr 385/93 (applicabile ratione temporis al caso di specie) «i
contratti sono redatti per iscritto ed un esemplare è consegnato ai
clienti nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è
nullo»
2.3 Il secondo comma della disposizione testé citata stabilisce
anche che il C.I.C.R., mediante apposite norme di rango
secondario, possa prevedere che particolari contratti, per motivate
ragioni tecniche, siano stipulati in forma diversa da quella scritta.
2.4 Al riguardo questa Corte ha avuto modo di precisare che, in
forza della Delib. C.I.C.R. 4 marzo 2003, il contratto di apertura di
credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di
conto corrente stipulato per iscritto, non deve, a sua volta, essere
stipulato per iscritto a pena di nullità ( cfr. Cass 2017, n. 7763),
principio, questo, da intendere nel senso che l’intento di agevolare
particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale
soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione
della stessa che, in particolare, salvaguardi l’indicazione nel
“contratto madre” delle condizioni economiche cui andrà
assoggettato il “contratto figlio” (Cass. 27836/2017).
2.5 Nella specie il tema della sostanziale regolamentazione
dell’affidamento nel contratto di conto corrente non risulta essere
stato oggetto di trattazione, sicché è senz’altro da ritenere che il
contratto di apertura del fido fosse assoggettato al requisito
formale “pieno” richiesto dall’art. 117 del Testo Unico Bancario.
2.6 Ne consegue che la Banca avrebbe dovuto provare il dedotto
affidamento esclusivamente mediante la produzione della relativa
scrittura, non essendo sufficiente, come già chiarito da questa
Corte, che l’affidamento risulti dal libro fidi (Cass. 5 dicembre
1992, n. 12947; Cass. 20 giugno 2011, n. 13445), e tanto meno
che il suo contenuto possa essere eventualmente ricostruito
attraverso la semplice menzione nel report della Centrale Rischi>>.

La prova del credito (addebiti ingiustificati) verso la banca non richiede necessariamente l’estratto di conto corrente, potendo bastare anche una c.t.u. basata sul’estratto c.d. scalare

Cass. sez. 1 del 18.04.2023 n. 10.293, rel. Nazzicone:

<<Esso invero intende riproporre un giudizio sul fatto, dal momento che la sentenza impugnata ha ritenuto di aderire alle risultanze dei calcoli operati dal c.t.u.: il quale si è sì fondato su conti c.d. scalari, ma ha rielaborato per intero il dovuto, espungendo le poste indebite risultanti.

Tale modus procedendi, da un lato, non incorre nella violazione delle norme invocate dalla ricorrente, e, dall’altro lato, appartiene all’ambito del giudizio sul fatto ed all’apprezzamento delle risultanze processuali, interamente affidato al giudice del merito.

Come è stato già rilevato (Cass. 27 ottobre 2020, n. 23476, non massimata), non è necessariamente inaffidabile il ricorso allo strumento degli estratti scalari (in cui, come ivi si osserva, vengono registrati con la medesima valuta i movimenti per somma algebrica); ed è una valutazione del giudice del merito, nel caso di specie positivamente svolta condividendo le risultanze del c.t.u., l’idoneità dei predetti estratti scalari a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (principio, del pari, già espresso da Cass. 30 giugno 2020, n. 13186, non massimata, in presenza di una valutazione di incompletezza degli estratti da parte del giudice del merito).

Va considerato, infatti, che le movimentazioni possono ricavarsi anche da tali documenti, i c.d. riassunti scalari, attraverso la ricostruzione operata dal consulente tecnico d’ufficio, secondo l’insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito, ciò bastando ai fini probatori (Cass. 25 maggio 2022, n. 16837, non massimata sul punto).

Del resto, nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla banca, non è tenuto a documentare le singole rimesse suscettibili di restituzione soltanto mediante la produzione di tutti gli estratti conto periodici, ben potendo la prova dei movimenti desumersi aliunde, vale a dire attraverso le risultanze di altri mezzi di prova, che forniscano indicazioni certe e complete, anche con l’ausilio di una consulenza d’ufficio, da valutarsi con un accertamento in fatto insindacabile innanzi al giudice di legittimità (Cass. 19 luglio 2021, n. 20621; nonché Cass. 29 marzo 2022, n. 10140; Cass. 19 gennaio 2022, n. 1538).

Ed invero, secondo l’indirizzo ormai consolidato, nei rapporti bancari di conto corrente, nel caso di domanda proposta dal correntista, come nella specie, l’accertamento del dare-avere non deve necessariamente essere effettuato mediante la documentazione delle singole rimesse suscettibili di restituzione, operata esclusivamente mediante la produzione di tutti gli estratti conto periodici, ben potendo tale accertamento essere effettuato anche con l’ausilio di una consulenza d’ufficio, da valutarsi con un accertamento in fatto, insindacabile innanzi al giudice di legittimità.

L’enunciato principio di diritto afferma quindi come, a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto, è sempre possibile, per il giudice del merito, ricostruire i saldi attraverso l’impiego di mezzi di prova ulteriori, purché questi siano idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto rapporto (Cass. n. 11543-2019; Cass. n. 9526-2019). La prova dei movimenti del conto può, pertanto, desumersi aliunde (Cass. n. 29190-2020), avvalendosi eventualmente dell’opera di un consulente d’ufficio che ridetermini il saldo del conto in base a quanto emergente dai documenti prodotti in giudizio, che devono fornire indicazioni certe e complete nei termini sopra illustrati (Cass. n. 20621-2021).

Ne deriva che la valutazione del materiale probatorio presente è attività riservata al giudizio del merito, senza che possa intervenire un sindacato e controllo da parte di questa Corte.

La censura in esame – a fronte di un giudizio di fatto operato dal giudice di merito, sulla base degli estratti scalari e della c.t.u. tende ad un’inammissibile rivisitazione del merito; e la corte territoriale ha rilevato come la banca non avesse contestato il conferimento del quesito al c.t.u., sulla base della documentazione in atti, ossia degli estratti scalari, né tale contestazione era stata mossa nella richiesta di integrazione della consulenza (pp. 8 e 9), statuizione neppure specificamente impugnata>>.

Ci pare tutto giusto (mancando disposizione contraria , la prova certo può darsi anche diversamente  dal e.c. cronologico, se persuasiva secondo le leggi della scienza contabile).   Solo che tale persuasività (idoneità allo scopo) è giudizio di diritto (art. 116 cpc), non di fatto.

Prova del credito bancario: successione di conti correnti con produzione di estratto conto solo dell’ultimo ma non dei precedenti estinti, il cui saldo costituisce la prima voce di quello prodotto

Interessante fattispecie (non so dire quanto frequente) e soluzione ragionevole (abbastanza scontata, non potendosene immaginare una diversa; v. però la perplessità in parentesi quadra) fornita da Cass. 15.601 del 16 maggio 2022, sez. 1, rel. Scotti .

In breve, per la SC tocca al correntista contestare alla Banca la prima voce (di apertura) di un estratto di conto corrente, quando sia costituita dal saldo di precedente conto ormai estinto , a sua volta preceduto da altri conti correnti estintisi (il  saldo di ciascuno dei quali era confluito come voce di apertura nel conto seguente).

 <<5.5. Inoltre il motivo asseritamente ignorato deduceva l’incompletezza degli estratti conto forniti dalla Banca solo perché non sarebbero stati parimenti forniti gli estratti conto completi di altri conti correnti precedentemente intrattenuti dalle societàgarantite e successivamente estinti e azzerati, senza dimostrareche anche tali altri conti fossero oggetto di causa.

Né può ritenersi incompleto un estratto conto solo perché laprima posta passiva registrata si riferisce ad un debito del correntista riveniente dalla chiusura di un altro rapporto bancario. [errore!!! Invece è incompleto, dato che la posta non si riferisce ad una operazione spefica ma è una sintesi di tutte quelle dell’estratto ultimo del conto chiuso]

5.6. Beninteso, ciò non significa che una banca possainserire nell’estratto conto il saldo negativo di precedenti contichiusi senza che il cliente possa al riguardo articolare alcuna difesa al riguardo.Certamente l’estratto conto che inizi con il saldo negativo diun precedente conto non può dirsi incompleto. La completezza,però, non significa necessariamente veridicità.

È anche vero, cioè, che detta posta, come tutte le poste di unconto, può essere oggetto di contestazione da parte del correntista (il quale ha appunto l’onere di contestare le varie poste del contonell’ambito della dialettica fra le parti voluta dal legislatore pergiungere all’accertamento del saldo) e, se una contestazione vi sia,scatta l’obbligo della banca di fornire la prova della correttezzadella posta di cui trattasi: prova che in un caso come quellooggetto del giudizio consisterebbe appunto, di regola, nella produzione degli estratti conto da cui risulti quel saldo negativo.

I ricorrenti sostengono appunto di aver contestato, nel giudizio di merito le poste iniziali di quei conti in quanto costituitedal saldo negativo di altri conti nei quali era stati applicati interessianatocistici e addebitate spese non dovute.Se una tale contestazione fosse stata effettivamentesollevata, i giudici di merito avrebbero dovuto pretendere dallabanca la produzione anche degli estratti conto per così dire«secondari». Sennonché la deduzione dei ricorrenti di avercontestato nel merito, per la ragione appena detta, la correttezzadei saldi negativi dei conti secondari, è oltremodo generica, vistoche essi non indicano quando e come l’avrebbero sollevata nelgiudizio di merito, e dunque inammissibile, dato che anche lasentenza impugnata non vi fa alcun cenno>>.

La SC non indica alcuna disposizione di legge per sorreggere il suo giudizio.

Si v. ad es l’art. 50 TUB per l’ingiunzione e l’art. 119 TUB sulle comunicazioni periodiche alla clientela.

1) La petizione ereditaria non si applica al credito da conto corrente. 2) Unico legittimato all’azione di restituzione dell’indebito è il percettore diretto, non il terzo cui questi ne abbia trasferito una parte

Interessante (e frequente …) fattispecie concreta decisa da Cass. sez. 2, n° 19.936 del 21.06.2022, rel. Tedesco.

Muoino a breve distanza di tempo i due contitolari, coniugi, di un  conto bancario cointestato.

Il procuratore del secondo deceduto (moglie) ritira il saldo dal conto e ne traferisce metà ad un terzo.

Essendosi però  estinta la procura col decesso, il procuratore non aveva titolo : pertanto il vero erede esperisce azione nei suoi confronti e nei confronti del terzo beneficiario

La SC riforma la corte di appello laddove aveva applicato la petizioone di eredità (art. 534 cc) e nega che questa si applichi al credito da conto corrente.

Inoltre nega che il terzo beneficiario della metà del conto corrente abbia legittimazione passiva: .

Avendo natura di indebito, l’azione di restituzione delle somme illegittimamente prelevate dall’ex procuratore è strettamente personale, per cui solo quest’ultimo è legittimato passivo.    Del resto è proprio questa l’azione data al reale creditore verso il creditore apparente (art. 1189 c. 2 cc)

Principio di diritto: “L’art. 1189 c.c., in tema di pagamento al creditore apparente, è applicabile anche nell’ipotesi di pagamento delle somme depositate in conto corrente, effettuato dalla banca dopo la morte del correntista in favore di un soggetto non legittimato a riceverlo; conseguentemente l’azione accordata all’erede per la restituzione è quella disciplinata dall’art. 2033 c.c., che è esperibile solo nei confronti del destinatario del pagamento e non anc:he nei confronti di colui al quale la somma sia stata trasferita dall’accipens dopo che egli l’abbia indebitamente riscossa dalla banca debitrice

Non è però chiaro come possa dirsi che l’ex procuratore fosse creditore apparente e cioè <legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche>, se la perocura si estingue ex lege in caso di decesso (§ 5 sentenza di Cass.)! Tanto più che il debitore (banca) è un soggetto abituato a trattare questo tipo di vicende giuridiche e operatore professionale qualificato!

Accesso abusivo in conto corrente online e inadempimento contrattuale

Cass. 20.05.2022 n. 16.417, rel. Caiazzo, affronta (sommariamente) il tema della sottrazione di somme a seguito di accesso ad un conto on line, eseguito tramite le credenziali del titolare (che evidentemente il terzo in qualche modo si era illecitamente procurate).

In generale, <<in tema di prova dell’adempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c. (Cass., n. 25584/18; n. 3587/21; SU, n. 13533/01).>>

In particolare, <<nell’ambito del rapporto di conto corrente, con modalità telematiche, tale regula juris declina la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, ha natura contrattuale e, quindi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente. [non chiara la costrizione sintattica del periodo …]

Orbene, la Corte territoriale ha adottato una ratio erronea in quanto se, da un lato, riconosce che manca un comportamento colposo della M., violando la suddetta regola di diritto ex art. 1218 c.c., le attribuisce la responsabilità del prelievo dal conto corrente, senza peraltro indicarne il titolo.

Invero, la ricorrente ha correttamente allegato la fattispecie d’inadempimento ascritta alla banca, consistente nel non aver impedito l’illecito prelievo, mentre l’istituto bancario non ha eccepito un fatto estintivo o impeditivo della pretesa della controparte.

In sostanza, la sentenza impugnata ha ascritto alla ricorrente una responsabilità per fatto altrui del tutto estranea, come noto, al nostro ordinamento giuridico, presumendo del tutto astrattamente che la ricorrente avrebbe potuto omettere una misura di cautela inerente al corretto utilizzo dell’operatività del conto corrente online, senza alcun riferimento ad una concreta condotta, commissiva od omissiva, della correntista.

Invece, la banca non ha eccepito un fatto estintivo del diritto fatto valere dall’attrice consistente nella violazione delle norme prudenziali che informano le modalità d’uso dei rapporti di conto corrente telematico.>>

La maggior difficoltà teorico è se sia stata correttamente allegato l’inadempimento della banca semplicemente affermando che non aveva <impedito l’illecito prelievo>, senza altri aggiungere.

Astrattamente infatti l’allegazione è troppo generica , visto che da essa non si evince alcuna negligenza della banca (rimane infatti incerto se l’accesso abusivo sia avvenuto per negligenza della banca o della correntista).

Resta da capire se, data la enorme asimmetria di potere nel rapporto (il sistema informatico è totalmente in mano alla banca) , possa ugualmente bastare questa allegazione.

La SC non menziona alcuna norma speciale regolanti la materia , ad es. quelle sui servizi di pagamento in cui la fattispecie forse rientra.

Ad es. l’art. 126 bis. c. 4 T.U. Bancario , <<Spetta al prestatore dei servizi di pagamento l’onere della prova di aver correttamente adempiuto agli obblighi previsti dal presente capo>>

Oppure il d. lgs. 11 del 17.01.2010, artt. 7-14. Ad es. si v. l’art. 10 Prova di autenticazione ed esecuzione delle operazioni di pagamento, secondo cui :

<< 1. Qualora l’((utente)) di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento gia’ eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, e’ onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l’operazione di pagamento e’ stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti.

((1-bis. Se l’operazione di pagamento e’ disposta mediante un prestatore di servizi di disposizione di ordine di pagamento, questi ha l’onere di provare che, nell’ambito delle proprie competenze, l’operazione di pagamento e’ stata autenticata, correttamente registrata e non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti connessi al servizio di disposizione di ordine di pagamento
prestato.))
((2. Quando l’utente di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento, compreso, se del caso, il prestatore di servizi di disposizione di ordine di pagamento, non e’ di per se’ necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utente medesimo, ne’ che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o piu’ degli obblighi di cui all’articolo 7. E’ onere del prestatore di servizi di pagamento, compreso, se del caso, il prestatore di servizi di disposizione di ordine di pagamento, fornire la prova della frode, del dolo o della colpa grave dell’utente.))
>>.

Prova delle movimentazioni di conto corrente: non solamente tramite l’estratto del conto

Per Cass. 1538 del 19.01.2022, rel. Falabella, la prova dei movimenti del conto corrente non è fornibile solamente tramite gli estratti relativi: si tratta infatti di fatto oggetto di prova libera, assente un contrastante dato normativo.

Precisamente: << l’estratto conto non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto; esso consente bensì di avere un appropriato riscontro dell’identità e consistenza delle singole operazioni poste in atto: ma, in assenza di alcun indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni (così Cass. 2 maggio 2019, n. 11543, in motivazione): il correntista non è cioè tenuto a documentare le singole rimesse suscettibili di ripetizione soltanto mediante la produzione in giudizio di tutti gli estratti conto periodici, ben potendo la prova dei movimenti del conto desumersi anche aliunde, vale a dire attraverso le risultanze degli altri mezzi di prova offerti dalla parte o assunti d’ufficio, che spetta al giudice di merito valutare con un accertamento in fatto insindacabile innanzi al giudice di legittimità (Cass. 19 luglio 2021, n. 20621). In tal senso, le movimentazioni occorse sono da considerare alla stregua di fatti suscettibili di prova libera, essendo dimostrabili anche mediante argomenti di prova ed elementi indiretti che compete al giudice di merito valutare nell’ambito del suo prudente apprezzamento (Cass. 21
dicembre 2020, n. 29190, in motivazione)>>

Diritto a copia degli estratti conto bancari e ordine di esibizione del giudice ex art. 210 cpc

Per Cass. 24.641 del 13.09.2021 , il cliente ha diritto a copia degli estratti conto ex art. 119/4 TUB, secondo cui Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione” (si badi: non è scontato che  nel concetto di <<documentazione inerente a singole operazioni >> rientrino gli estratti conto periodici).

Ma non può direttamente ottenerli tramite un ordine di esibizione ex art. 210 cpc: deve prima tentare di procurarseli in proprio e, solo in caso di insuccesso, può invocare l’esibizione ex art. 210 cpc.

Lineare sentenza del relatore Di Marzio,  che riassume l’insegnamento nel seguento principio:

«Il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell’amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall’articolo 119, quarto comma, del decreto legislativo 1 o settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca, che senza giustificazione non vi abbia ottemperato; la stessa documentazione non può essere acquisita in sede di consulenza tecnica d’ufficio contabile, ove essa abbia ad oggetto fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse», § 12.12.

Sul conto corrente bancario cointestato: rapporto esterno (vs. banca) e interno (tra cointestari)

Chiarimenti utili nella pratica sul tema in oggetto da parte di Cass. 4838 del 23.02.2021, rel. Tedesco.

Gli eredi (fratelli) di un cointestatario di conto corrente, titolare assieme alla moglie, agiscono verso quest’ultima per ottenere la metà della somma presente sul conto. Ottengono ragione in primo grado ma non in secondo grado.

La Cass. afferma  questi principi:

<<La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. n. 18777/2015). Pertanto, ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo (Cass. n. 3248/1989; n. 4066/2009)>>.

Segue poi il punto relativo ai rapporti interni: <<Nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 c.c., comma 2, in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente; sicchè, non solo si deve escludere, ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto (Cass. n. 77/2018).>>

Prova dell’erroneo addebito di interessi nel conto corrente bancario: necessità assoluta di tutti gli estratti conto?

La prova dell’erroneo addebito degli interessi, operato dalla Banca, non necessariamente deve consjstere in tutti gli estratti conto pertinenti al tempo dedotto.

Essi possono infatti essere integrati da CTU , purchè questa poggi su un minino di documenti da cui risalire per coprire i periodi non documentati da estratti conto. La CTU ad es. può partire da un dato contabile della banca stessa, la quale non può poi negarlo (§ 3 , citando la sentenza di appello).

Così  Cass. 04.03.2021 n. 5887, rel. Dolmetta.

In pareticolare così scrive il rel.: <<La giurisprudenza della Corte – occorre subito riscontare in proposito – ha infatti chiarito che il giudice del merito deve in ogni caso valutare la possibilità che la prova dell’indebito sia desumibile aliunde, in maniera diversa dagli estratti conto, cioè.

Ben può – si è così precisato – il giudice integrare la prova offerta dal correntista; nel caso, pure con mezzi di cognizione disposti d’ufficio, come la CTU, alla quale il giudice può ricorrere quando la prova dei movimenti del conto, che sia prodotta dal correntista, non risulti completa, ma comunque tale da consentire al CTU di operare il calcolo delle competenze trimestrali (cfr., in specie, Cass., n. 31187/2018; Cass., n. 29190/2020; si veda, altresì, la pronuncia di Cass., n. 30822/2018, la quale – al di là della imperfetta sintesi approntata dall’Ufficio del Massimario – ha in realtà puntualizzato che, in caso di produzione parziale degli estratti, il calcolo dei rapporti di dare e di avere decorre “dalla data della posta iniziale a debito annotata sul primo estratto conto disponibile” e dalla misura data da questo saldo, senza alcun previo azzeramento dello stesso).

In realtà, è improprio e scorretto – così si è rilevato in particolare – considerare gli estratti conto come “veicolo di una prova legale” di fatti, che invece sono suscettibili di prova libera, cioè dimostrabili anche mediante argomenti di prova ed elementi indiretti che compete al giudice di merito valutare nell’ambito del suo prudente apprezzamento (Cass., n. 29190/2021)>>, § 12.

Non risultano però chiarissimi i fatti e  la pertinenza ad essi del ragionamento della SC. Infatti , ad una prima lettura, da un lato, la lacuna documentale riguardava solo il periodo 1983-1990, mentre il correntista  era “a posto” per il prosieguo (1991-2012, anno di chiusura del conto); dall’altro , egli aveva poi limitato la domanda appunto solo a detto prosieguo.

La corte di appello milanese segue l’indirizzo, per cui -in tema di intermediazione finanziaria- la violazione dei doveri informativi fa presumere il nesso di causalità col danno subito

La Corte di appello di Milano 05.02.2019 , est. Giani, conferma l’indirizzo, per cui la mancata informazione dell’investitore da parte dell’intemediario fa presumere il ricorrere del nesso di causa col danno subito. Il passo pertinente  è al § 35.

La Corte invoca due precedenti : Cass. 18.05.2017 n. 12.544 e Cass. 26.07.2017 n. 18363. La prima tralaticiametne invoca a sua volta Cass., 17 novembre 2016, n. 23417 (v. § 6) per cui risulta priva di interesse; la seconda profonde invece maggior impegno motivazionale (§ 5.1). Precisamente così afferma la Corte milanese:

<<La giurisprudenza della Corte di legittimità ha più volte chiarito che, in materia di intermediazione finanziaria, gli obblighi d’informazione che gravano sull’intermediario, dal cui inadempimento consegue in via presuntiva l’accertamento del nesso di causalità del danno subito dall’investitore, impongono la comunicazione di notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione, in modo puntuale, di tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un’operazione inappropriata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, purché debitamente e compiutamente acquisito, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno (Cass., 18-05-2017, n. 12544; cfr. anche Cass., 26-07-2017, n. 18363). Anche questa Corte (App. Milano, 15-01-2014, R. C. E. c. Banca Italease) ha avuto modo di stabilire che nelle azioni di danno promosse dagli investitori si deve presumere la sussistenza del nesso di causalità tra informazione inesatta od omessa e danno, del quale si chiede il risarcimento, salvo che l’informazione inesatta non sia marginale e di scarsa importanza; tuttavia, il convenuto ha la possibilità di dare la prova contraria, e cioè di dimostrare che controparte avrebbe comunque effettuato l’investimento dannoso anche se avesse conosciuto il vero stato delle cose.

Nel caso in esame, avendo l’intermediario omesso di acquisire il questionario MIFID prima dell’investimentoed essendosi, dunque, posto nella colpevole condizione di non poter compiere una valutazione di appropriatezza, il nesso causale tra tali gravi violazioni e omissioni, che hanno impedito in radice l’osservanza dell’obbligo susseguente di valutare l’appropriatezza dell’investimento in obbligazioni LB, si pone come sicura origina causale [qui c’è verosmilmente una dimenticanza da parte del giudice] del danno patito dall’investitore, senza che possa ritenersi vinta tale presunzione, facendo unicamente riferimento al portafoglio pregresso dell’investitore né, ancor meno, al questionario MIFID compilato solo successivamente agli investimenti de quibus. L’assenza di titoli di banche d’affari americane, coinvolte nella vicenda dei mutui subprime già in data anteriore al luglio 2008 (epoca degli investimenti in questione), fa ritenere non superata dall’intermediario la suddetta presunzione di sussistenza del nesso causale tra i gravi inadempimenti ascrivibili alla Banca e il danno cagionato. L’’investimento deve corrispondere al profilo personale (che nel caso di specie è carente d’informazioni sulla conoscenza del prodotto) e deve essere frutto di una scelta informata e consapevole (cfr. Cass 4727/2018). La prova del mancato adempimento di un rilevante obbligo informativo non può essere ritenuta ininfluente in considerazione dell’esperienza dell’investitore dal momento che l’accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che essere il frutto di una scelta consapevole ed informata sulla preventiva conoscenza del prodotto (Cass 4727/2018. Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza nella quale la Corte di Appello aveva escluso la sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento ed il danno, sul rilievo che dalla prova testimoniale espletata era emerso che l’eventuale violazione degli obblighi informativi non avrebbe comunque inciso sulla decisione dell’investitore, orientato da un intento speculativo).

È necessario altresì sottolineare che, diversamente opinando, la probatio del nesso causale diverrebbe diabolica per l’investitore: qui, si sottolinea nuovamente, l’intermediario finanziario, avendo omesso di adempiere “a monte” all’obbligo di acquisire un profilo corretto e completo dell’investitore, si è posto nelle condizioni di violare l’obbligo di valutazione di appropriatezza dell’investimento, così impedendo ogni possibile disamina di questa, anche ai fini del nesso di causalità, non potendosi sapere a priori quali fossero le risultanze del questionario e dunque le propensioni dell’investitore relativamente agli strumenti negoziati dall’intermediario senza previa acquisizione del questionario. Soluzione questa che risulta altresì coerente con la finalità non solo riparativa, ma anche sanzionatoria della responsabilità civile e del risarcimento dei danni, quale sancita dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass., sez. un., 05-07-2017, n. 16601)>>.

L’orientamento indicato e la sentenza in esame sono forse un pò frettolosi.

Che l’investitore sia parte debole è affermazione di sicura esattezza. Invece il ravvisare il nesso di causalità per qualunque omissione informativa e per qualunque investitore non lo è altrettanto. In particolare, affermarlo in modo apodittico e a prescindere dalla circostanze, significa porre una presunzione di causalità di dubbia esattezza , essendo arduo definirla grave, precisa e concordante.  Il giudizio è sempre sul caso singolo, non per tipologie di rapporti sociali: e dunque deve analizzare le circostanze stesse. Si v. ad es. il più argomentato ragionamento in fatto svolto dalla cit. Cass. 18363/2017  al § 5.2.

Sorprendente infine è l’affermazione al termine del passo riportato, sulla finalità sanzionatoria della responsabilità civile. Da un lato pare poco pertinente nel percorso motivatorio ivi condotto; dall’altro le stesse sezioni unite l’hanno si ammessa nel 2017 ma a precise condizioni, che qui non sono ricordate.

Secondo S.C. s.u. 16601/2017, infatti, <<le  Sezioni Unite ritengono che questa analisi sia superata e non possa più costituire, in questi termini, idoneo filtro per la valutazione di cui si discute. Già da qualche anno le Sezioni Unite (cfr. SU 9100/2015 in tema di responsabilità degli amministratori) hanno messo in luce che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più  “incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva, giacchè negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento”. Le Sezioni Unite hanno tuttavia precisato che questo connotato sanzionatorio non è ammissibile al di fuori dei casi nei quali una “qualche norma di legge chiaramente lo preveda, ostandovi il principio desumibile dall’art. 25 Cost., comma 2, nonchè dall’art. 7 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”. Se si completa quest’avvertenza con il richiamo, altrettanto pertinente, all’art. 23 Cost., si può comprendere perchè mai, perfino nello stesso ambito temporale, ritornino (l’esempio più significativo: SU n. 15350/15) dinieghi circa la funzione sanzionatoria e di deterrenza della responsabilità civile. Essi risalgono, quando non si tratta di meri arricchimenti argomentativi, alla esigenza di smentire sollecitazioni tese ad ampliare la gamma risarcitoria in ipotesi prive di adeguata copertura normativa>> (sub § 5.1).

E’ vero che subito dopo aggiungono: <<non possono valere tuttavia a sopprimere quanto è emerso dalla traiettoria che l’istituto della responsabilità civile ha percorso in questi decenni. In sintesi estrema può dirsi che accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell’istituto (che immancabilmente lambisce la deterrenza) è emersa una natura polifunzionale (un autore ha contato più di una decina di funzioni), che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva. 5.2) Indispensabile riscontro di questa descrizione è il panorama normativo che si è venuto componendo. Esso da un lato denota l’urgenza che avverte il legislatore di ricorrere all’armamentario della responsabilità civile per dare risposta a bisogni emergenti, dall’altro dimostra, con la sua vivacità, quanto sia inappagante un insegnamento che voglia espungere dal sistema, confinandole in uno spazio indeterminato e asfittico, figure non riducibili alla “categoria”>>  (segue elenco di ipotesi legislative in cui la r.c. assume funzione deterrente-sanzionatoria).

Però poi segue una importante precisazione, spesso dimenticata: <<Ciò non significa che l’istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati. Ogni imposizione di prestazione personale esige una “intermediazione legislativa”, in forza del principio di cui all’art. 23 Cost., (correlato agli artt. 24 e 25), che pone una riserva di legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario.>>

La sentenza delle Sez. Un. era stata data in un processo per riconoscimento di sentenza statunitense (Florida) di condanna ai danni punitivi (€ 1.436.136,87); e di  altre pronncie per rifusione di spese e costi), per  cui il principio di diritto enunciato è stato il seguente: <<Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poichè sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico.>>).