Interpretazione ampia del divieto del patto di quota-lite

Cass. sez. II, ord. 04/09/2024  n. 23.738, rel. Giannaccari:

<<In particolare, l’art.13, comma 3 della L. 31.12.2012, n.247, ammette “la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul

valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”.

Il coordinamento tra il terzo e quarto comma impone all’interprete la distinzione tra i patti commisurati, anche in percentuale sul valore dell’affare, che sono ammessi ed il patto di quota lite, che è vietato. Dal combinato disposto dalle due norme si ricava che se la percentuale può essere certamente rapportata al valore dei beni o degli interessi litigiosi, non lo può essere quanto al risultato, in piena coerenza con la ratio del divieto volto ad enfatizzare il distacco del legale dagli esiti della lite; in tal modo, si evita la commistione di interessi tra il cliente e l’avvocato, che si avrebbe qualora il compenso fosse collegato, in tutto o in parte, all’esito della lite, con il rischio così della trasformazione del rapporto professionale da rapporto di scambio a rapporto associativo.

Come sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare Cassazione civile sez. II, 06/07/2022, n.21420, non massimata ed i precedenti in essa richiamati), il divieto del cosiddetto “patto di quota lite” tra l’avvocato ed il cliente, trova il suo fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli.

Ne consegue che il patto di quota lite va ravvisato non soltanto nell’ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione (Cass. 11485/1997; Cass. 4777/1980).

Coerentemente con la ratio del divieto, infatti, accentuando il distacco dell’avvocato dagli esiti della lite, diminuisce la portata dell’eventuale commistione di interessi tra il cliente e l’avvocato (Cass. Sez. Unite, N.25012/2014).

La nullità del patto di quota lite è assoluta e colpisce qualsiasi negozio avente ad oggetto diritti affidati al patrocinio legale, anche di carattere non contenzioso, sempre che esso rappresenti il modo con cui il cliente si obbliga a retribuire il difensore, o, comunque, possa incidere sul suo trattamento economico.

Nel caso di specie, il compenso dell’avvocato era stato parametrato ad una percentuale dell’importo che la ricorrente avrebbe percepito dal Comune a titolo di retribuzioni intermedie dalla data dell’illegittimo licenziamento fino alla data di reintegra. Il compenso non era parametrato al valore presunto della controversia, determinabile in via approssimativa già al momento del conferimento dell’incarico, ma al risultato raggiunto all’esito del giudizio, avente ad oggetto non solo la reintegra nel posto di lavoro, ma anche la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni non versate.

L’argomento sostenuto dalla controricorrente, secondo cui la causa verteva sull’illegittimità del licenziamento, non è condivisibile in quanto a tale accertamento conseguiva la condanna al pagamento delle retribuzioni e, sulla loro percentuale, ovvero sulla res litigiosa, era stato determinato il compenso dell’avvocato>>.

Sentenza restrittiva circa la liceità del patto di quota-lite tra avvocato e cliente

Cass.  Sez. II, sent.  n. 23.738 del 4 settembre 2024, rel. Giannaccari, nella seguente fattispecie concreta: <<Il giudizio si era concluso con la soccombenza in primo grado e le parti, successivamente, in data 13.10.2015, avevano stabilito che, per la difesa nel giudizio d’appello, in caso di soccombenza, il compenso sarebbe stato contenuto in Euro 8000,00 mentre, in caso di vittoria sarebbe stato determinate in una percentuale pari al 15% delle somme ricevute dalla A.A. dal Comune di A. Nella scrittura privata, si specificava che “resta inteso che eventuali somma pagate dal Comune di T. di A. a titoli di rifusione spese legali si somma alla percentuale sopra pattuita e restano acquisite al professionista”>>.

Ebbene:

<<Come sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare Cassazione civile sez. II, 06/07/2022, n.21420, non massimata ed i precedenti in essa richiamati), il divieto del cosiddetto “patto di quota lite” tra l’avvocato ed il cliente, trova il suo fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli.

Ne consegue che il patto di quota lite va ravvisato non soltanto nell’ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione (Cass. 11485/1997; Cass. 4777/1980).

Coerentemente con la ratio del divieto, infatti, accentuando il distacco dell’avvocato dagli esiti della lite, diminuisce la portata dell’eventuale commistione di interessi tra il cliente e l’avvocato (Cass. Sez. Unite, N.25012/2014).

La nullità del patto di quota lite è assoluta e colpisce qualsiasi negozio avente ad oggetto diritti affidati al patrocinio legale, anche di carattere non contenzioso, sempre che esso rappresenti il modo con cui il cliente si obbliga a retribuire il difensore, o, comunque, possa incidere sul suo trattamento economico.

Nel caso di specie, il compenso dell’avvocato era stato parametrato ad una percentuale dell’importo che la ricorrente avrebbe percepito dal Comune a titolo di retribuzioni intermedie dalla data dell’illegittimo licenziamento fino alla data di reintegra. Il compenso non era parametrato al valore presunto della controversia, determinabile in via approssimativa già al momento del conferimento dell’incarico, ma al risultato raggiunto all’esito del giudizio, avente ad oggetto non solo la reintegra nel posto di lavoro, ma anche la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni non versate.

L’argomento sostenuto dalla controricorrente, secondo cui la causa verteva sull’illegittimità del licenziamento, non è condivisibile in quanto a tale accertamento conseguiva la condanna al pagamento delle retribuzioni e, sulla loro percentuale, ovvero sulla res litigiosa, era stato determinato il compenso dell’avvocato.

Viene dunque in rilievo non una questione di interpretazione dell’accordo, ma una questione di falsa applicazione dell’art. 13 terzo comma, essendo stata quest’ultima estesa ad un caso non consentito, ovvero alle ipotesi in cui il compenso sia correlato al risultato pratico dell’attività svolta.

Non è condivisibile la tesi difensiva secondo cui la corresponsione di una somma parametrata al risultato raggiunto costituiva “palmario”. Nel sostenere tale tesi, la controricorrente ha enfatizzato la previsione dell’accordo in forza del quale, oltre alla percentuale de 15%, all’Avv. B.B., in caso di vittoria della lite, erano dovute le somme pagate dal Comune di A. a titolo di rifusione delle spese legali. Il palmario, secondo la giurisprudenza di questa Corte, costituisce una componente aggiuntiva del compenso riconosciuta dal cliente all’avvocato in caso di esito favorevole della lite, a titolo di premio o di compenso straordinario per l’importanza e la difficoltà della prestazione professionale (Cassazione civile sez. un., 08/06/2023, n.16252; Cassazione civile sez. II, 26/04/2012, n.6519).

Nel caso di specie, manca, nell’accordo intercorso tra cliente e professionista il riferimento al pagamento di una somma ulteriore, aggiuntiva, cioè, al compenso, in caso di esito positivo della controversia o in caso di particolare gravosità dell’impegno. La nullità del patto di quota lite non pregiudica la validità dell’intero contratto di patrocinio (Cass. Civ., Sez. II, 30.7.2018, n.20069), e, conseguentemente l’avvocato conserva il diritto al compenso per le sue prestazioni sulla base delle tariffe professionali (Cassazione civile sez. II, 10/03/2023, n.7180 (non massimata)>>.

Incarico ad avvocato conferito da altro avvocato: chi è tenuto al pagamento del primo? Il secondo oppure il cliente beneficiario della prestazione?

Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 21/02/2022) 25/03/2024, n. 7953, rel. Giannacari (testo da Onelegale:

<<Occorre, pertanto, distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura “ad litem” e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura.    Più in generale, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. Ciò comporta che il cliente del professionista non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d’opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito incarico al professionista ed è conseguentemente tenuto al pagamento del corrispettivo (Cass. Civ., Sez. VI, 12.3.2020, n.7037; Cass. Civ., Sez. III, 3.8.2016, n. 16261; Cass. Civ., Sez. II, 29.9.2004, n. 19596)

Il richiamato principio, ai fini dell’individuazione del soggetto obbligato a corrispondere il compenso al difensore per l’attività professionale richiesta, opera altresì quando, come nel caso in esame, sia stato conferito un incarico difensionale ad un avvocato da parte di un altro avvocato ed in favore di un terzo. Nonostante la presenza di una procura congiunta, ben può intendersi superata la presunzione di coincidenza del contratto di patrocinio con la procura alle liti, ove risulti provato, sia pur in via indiziaria, il distinto rapporto interno ed extraprocessuale di mandato esistente tra i due professionisti sicchè la procura rilasciata dal terzo in favore di entrambi costituisce solo lo strumento tecnico necessario all’espletamento della rappresentanza giudiziaria, indipendentemente dal ruolo di dominus svolto dall’uno rispetto all’altro nell’esecuzione concreta del mandato (Cassazione civile sez. VI, 12/03/2020, n. 7037; Cass. Civ., Sez. II, 20.11.2003, n. 26060; Cass. Civ., Sez. II, 27.12.2004, n. 24010)>>.

Applicato al caso di specie:

<<Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accertato che con delibera di Giunta n. 161 del 5.7.2002 il Comune aveva conferito mandato all’Avv. B.B., con facoltà di avvalersi dell’Avv. A.A. o di altro avvocato del proprio studio, sicchè sussisteva la prova dell’assenza del contratto di patrocinio tra l’Avv. A.A. ed il Comune, indipendentemente dalla sottoscrizione della procura da parte del Sindaco.

Detta delibera è stata richiamata dallo stesso ricorrente nel ricorso per decreto ingiuntivo, con ciò confermando l’esistenza del contratto di patrocinio con l’Avv. B.B., al quale dovrà indirizzare la richiesta di compenso.

La giurisprudenza richiamata dal ricorrente, secondo cui, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., il conferimento della procura ed il concreto esercizio della rappresentanza giudiziale, costituiscono prova del contratto di patrocinio con la pubblica Amministrazione, non esclude che l’ente possa provare che il conferimento della procura sia limitato all’esercizio della sola rappresentanza processuale e che il contratto di patrocinio sia stato concluso con altro professionista>>.

Legge nazionale incompabitile con direttiva UE: obbligo di disapplicazione? Ancora sui minimi tariffari

La corte di giustizia dice che non c’è tale obbligo, se la questione è esaminata nell’ottica del diritto UE: la direttiva infatti non è direttametne applicabile tra privati.

Così C.G. 18.02.2022, C-261/20, Thelen Technopark c. MN (in tema di tariffe minime obbligatoria ei ingengneri e architgetti), ai §§ 24 segg. e spt. § 32.

Ciò non toglie che possa esserci tale obbligo secondo il diritto nazionale (§ 33); difficile però capire in che modo, visto che questo ha generato una legge incompatibile col diritto europeo, non con sè stesso (forse è possibile se contiene una qualche norma vieta di legiferare in diffomità da quello europeo).

Inoltre  la parte lesa può sempre ottenere il risarcimento del danno dallo Stato per mancata atuazione della direttiva, § 41 ss.