Un caso di nullità contrattuale per abuso di dipendenza economica

Cass. sez. I, ord. 23/10/2024 n. 27.420, rel. Crolla:

<<4.4 Questa Corte (cfr. Cass. n. 1184/2020) ha affermato che nell’applicazione della norma, è necessario: 1) in primo luogo, con riguardo alla sussistenza della situazione di dipendenza economica, indagare non se sussista una situazione di mero squilibrio o “asimmetria” di diritti e di obblighi, ma se lo squilibrio sia “eccessivo” (L. n. 192 del 1998, art. 9, comma 1) e se l’altro contraente fosse realmente privo di alternative economiche sul mercato (rilevando, ad esempio, la dimensione della società dipendente, che non permetta agevolmente di differenziare la propria attività, o l’avere adeguato l’organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto); 2) in secondo luogo, indagare sulla condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero sull’intenzionalità di una vessazione perpetrata sull’altra impresa, in vista del perseguimento di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse economico dell’impresa dominante (quale potrebbe essere, ad esempio, la legittima esigenza di modificare le proprie strategie di espansione, di adattare il tipo o la quantità del prodotto, ma anche di spuntare legittimamente migliori condizioni), in quanto volta, al contrario, essenzialmente a cagionare il pregiudizio altrui. Non ogni situazione di dipendenza economica può dirsi vietata, ma unicamente quella che sia abusivamente sfruttata dalla parte dominante, al fine di trarne vantaggi ulteriori rispetto a quelli derivanti dal legittimo esercizio della propria autonomia negoziale>>.

Applicati al caso sub iudice:

<<4.4 Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi ritenendo provata l’instaurazione di una situazione in cui una impresa (Be.) era in grado di determinare, nei rapporti commerciali con la fallita, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi sulla base dei seguenti elementi: i) la stipula del contratto di affitto d’azienda per il negozio Be. in via (omissis) al V (N) nonché quello in C con relative autorizzazioni all’uso del marchio e dei relativi prodotti a pochi mesi dalla costituzione della società; ii) le modalità della locazione d’azienda “senza personale e senza merci”, l’entità del corrispettivo di circa un milione di Euro all’anno e la previsione della clausola “(Be.) rimane, e rimarrà, libera di prendere qualsivoglia determinazione per quanto concerne l’esecuzione ovvero lo scioglimento dei propri rapporti”; iii) le previsioni di condizioni generali di vendita e di fissazione dei prezzi che lasciavano ampia discrezionalità alla Be. ed attribuivano quest’ultima, oltre che situazioni contrattuali vantaggiose, penetranti poteri sulle modalità di vendita, percentuali della scontistica da applicare, i periodi promozionali, le linee da promuovere lo stile gli allestimenti, circa le autorizzazioni e le condizioni generali di vendita; iv) la circostanza, risultante dai bilanci e dalla documentazione contabile della società in fallimento, che l’unico cliente e fornitore della fallita è stato Be. per tutta la sua “esistenza commerciale” e che in ciascun anno di esercizio la società in fallimento ha appostato al passivo milioni di Euro verso la Be. (per forniture e locazione); v) le condizioni e qualità dei contraenti (una società di capitali di modeste dimensioni il cui “business” era rappresentato esclusivamente dai rapporti con un grande gruppo industriale quale è Be.).

4.5 Si tratta di accertamenti in fatto, non suscettibili di essere messi in discussione in questa sede; essi, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, danno conto, oltre che dell’evidenza della situazione di squilibrio, in conseguenza della chiara ed abusiva posizione dominante di Be. a fronte della dipendenza economica della contraente più debole, costretta a sottostare a qualsiasi pretesa, anche della impossibilità o della difficoltà della società fallita di reperire sul mercato adeguate alternative>>

Sul recesso abusivo in un caso di dipendenza economica (art. 9 L. 192 / 1998)

Un’interessante sentenza del tribunale di Monza (27.12.2018, n. 3177/2018 , RG n. 2443/2018, est. : Gnani, che è pure un noto studioso del diritto civile) interviene sulla dibattuta questione.

Un fornitore della catena di supermercati sportivi Decathlon, tale Amra srl,  aveva in essere con la Decathlon oltre cinquanta contratti per l’allestimento e la messa a disposizione di spazi pubblicitari (soprattutto cartellonistica monitor e segnaletica stradale) per i negozi della costa adriatica.

Per ragioni di riorganizzazione commerciale Decathlon con un unico atto PEC del 4 ottobre 2017 recede da tutti i contratti con il preavviso pattuito  che era di mesi sei.

La Amra srl agisce in giudizio chiedendo la dichairazione di abusività del recesso ex art. 9 legge 192 del 1998 e invocando il pagamento dei corrispettivi contrattuali dovuti per tutto il 2018 e -per il periodo successivo- i danni da perdita dei contratti

Il Tribunale ravvisa la dipendenza economica, tenendo conto soprattutto che il fatturato della società verso Decathlon  ammontava ad una percentuale oscillante tra il 61,71% e il 80,99% del fatturato totale (a seconda del mese) , anche se gli investimenti fatti dal subfornitore eran caratterizzati da bassa specificità (erano teoricamente riutilizzabili con altri eventuali clienti: ipotesi perà che il Tribunale ritiene improbabile, date le dimensioni del volume di affari e la favorevole collocazione £geograficità” del rapporto).

Precisa poi che <<non si discute della possibilità di recedere, e nemmeno del termine di sei mesi che, entro il singolo contratto, può come già detto risultare congruo. Il punto è invece il recesso dato simultaneamente per tutti i contratti (oltre 50), in un unico atto.>>: ciò che è contrario a buona fede  oggettiva, secondo la consueta concezione per cui <<buona fede oggettiva implica salvaguardia della posizione contrattuale altrui, evitando un suo indebito sacrificio entro un rapporto altrimenti ingiustificatamente squilibrato. Parte convenuta legittimamente decise di risparmiare sui costi di pubblicità, investendo in più economiche forme alternative. Tuttavia, tale scelta doveva essere attuata evitando di aggravare indebitamente la posizione della propria controparte contrattuale>>.

In particolare <<la convenuta [Decathlon]  avrebbe potuto impostare un piano graduale nel tempo, di dismissione dei vari contratti in essere (comunicando recessi per ciascun contratto adeguatamente scaglionati nel tempo). A quel punto l’attrice avrebbe avuto maggior agio nel reperire alternative sul mercato che sopperissero al progressivo cessare del rapporto con Decathlon. Scegliendo la via del recesso omnibus, ha invece messo la controparte nelle condizioni di dover trovare sostituti di Decathlon nel termine di sei mesi: un termine congruo se rapportato al singolo contratto, ma di certo insufficiente se parametrato al rapporto commerciale con Decathlon visto nel suo complesso, come chiesto dall’art. 9 (non a caso l’attrice ha ben presto cessato l’attività). In sei mesi parte attrice avrebbe dovuto trovare alternative in grado di garantire un fatturato comparabile con quello Decathlon, mantenendo i contratti coi fornitori lungo tutta la costa adriatica.>>

La parte più interessante è quella delle conseguenze della nullità dell’atto di recesso.

 il giudice non concorda con la richiesta dell’attrice,, sopra cit., dato che in base a questa si farebbe finta che rapporto -stante la dichiarazione di nullità del recesso-  proseguisse come se nulla fosse: seguendo la tesi attorea, infatti, <<il recesso è nullo è il contratto prosegue normalmente -…- o si accorda un risarcimento parametrato sull’ipotetica prosecuzione del contratto>>

Invece <<è (…) possibile e doveroso ritenere che la nullità dell’art. 9 produca non il solo effetto demolitorio (pars destruens), ma pure, a valle, l’enucleazione di una regola correttiva (pars costruens).>>.

Si noti:

i)  il richiamo alla portata correttiva attribuita alla nullità anzi alla buona fede che ne costituisce la ragione;

ii) il fatto che la rideterminazione del termine di preavviso da parte del giudice avviene d’ufficio, senza alcuna domanda in tale senso dell’attrice (che aveva invece chiesto una condanna parametrata sulla ideale continuazione del rapporto). Decisione allora di problematica compatibilità con la regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (extra- o ultra-petizione: art. 112 cpc)

Ecco ora la parte più interessante. <<Nel caso di specie, un rimedio solo demolitorio non ripristinerebbe l’equilibrio tra le parti, andando invece a penalizzare eccessivamente la posizione della convenuta. Il recesso invero è nullo non in sé, ma per le modalità con cui è stato adottato. Non si discute della possibilità di recedere col preavviso di sei mesi — e in ciò non può Decathlon essere gravata sine die della prosecuzione di un rapporto che più non vuole — ma del fatto di aver concesso un unitario termine di sei mesi insufficiente e gravatorio dell’attrice.

 Riequilibrare l’assetto di diritti e obblighi, secondo buona fede, significa riconoscere all’attrice un termine di preavviso che le avrebbe consentito di ricollocarsi sul mercato, in luogo di un suo preteso diritto a proseguire il rapporto come se mai il recesso fosse stato azionato. In ciò venendosi a correggere secondo buona fede (art. 1366 c.c.) il regolamento negoziale del recesso (pars construens del rimedio di nullità).

 Si ritiene che un termine di preavviso fino a tutto il 31 dicembre 2018 (cioè poco più di un anno rispetto alla data del 4 ottobre 2017) sia conforme a buona fede, garantendo il contemperamento del diritto di recedere col diritto a non subire l’interruzione del rapporto.>>

In sintesi, il Tribunale: 1)  dichiara la nullità del recesso non in sè ma con le modalità (termine di preavviso) adottate da Decathlon; 2) sostituisce queste ultime con le modalità da lui ritenute secondo buona fede: in particolare sostituisce il termine semestrale di preavviso, a suo tempo pattuito per  il recesso semestrale, con un termine quasi quattordici mesi (4 ottobre 2017 – 31 dicembre 2018).

Su Foro it., 2019/9, c. 2965, oltre al testo della sentenza, c’è un’informata nota di M. Natale