Le sezioni unite sulla cessione di cubatura (a fini fiscali)

Cass. sez. un. 16.080 del 0902.2021, rel. Stalla ,sulla cessione di cubatura (in una lite inerente alla sua esatta imposizione tributaria)

<<Consistente e diacronico, come si è osservato, è l’indirizzo giurisprudenziale che colloca la cessione di cubatura tra gli atti costitutivi o traslativi di un diritto reale.

Esso si fonda sulla valorizzazione – nell’ambito di una fattispecie che, pur correlandosi al rilascio del titolo edilizio da parte della pubblica amministrazione, si assume a forte connotazione privatistica – del carattere prettamente dominicale ascrivibile allo sfruttamento edilizio del suolo e, per questa via, alla considerazione della edificabilità in termini di utilità intrinseca ed inerente a quest’ultimo (qualitas fundi).

Si tratta di impostazione – avallata da parte della dottrina e sostenuta anche a livello di prassi notarile – storicamente radicatasi con riguardo alla previsione di diritti di rilocalizzazione privata della volumetria da parte di taluni piani regolatori generali di grandi città e, in particolare, al problema della riconoscibilità ad essi delle agevolazioni previste per i trasferimenti immobiliari dalla L. n. 408 del 1949 (L. Tupini).

L’amministrazione finanziaria ha più volte richiamato e fatto proprio questo orientamento ricostruttivo, rimarcando a sua volta l’inerenza alla proprietà del suolo della cessione di cubatura (ritenuta comportare un effetto in tutto analogo a quello conseguente alla disposizione di un diritto reale), ponendolo a fondamento della maggior imposizione sia di registro sia di plusvalenza reddituale (Ris. n. 250948 del 17 agosto 1976; Circ AE 233/E del 20 agosto 2009).

Va però detto – e già questo induce qualche prima perplessità sulla complessiva tenuta della tesi – che all’interno dell’indirizzo di realità non si sono poi date risposte sempre univoche sul tipo di diritto reale che verrebbe a costituirsi o a trasferirsi con l’atto di cessione di cubatura.

Analoga frammentarietà di vedute si ha anche nella dottrina che sostiene questo indirizzo, non essendo in essa neppure mancate ricostruzioni dommatiche che individuano nell’istituto – a superamento del regime di numero chiuso – un diritto reale senz’altro atipico, o anche un diritto reale tipico (almeno in parte regolato dalla disciplina urbanistica), ma nuovo rispetto a quelli disciplinati dal codice civile.>>

Certamente più vicino alla realtà della fattispecie, nell’ambito dei diritti reali di godimento, proseguno le SSUU, << è il richiamo allo schema della servitù prediale e, in particolare, alle figure della servitù non aedificandi (in caso di cessione totale della cubatura assentita) ovvero altius non tollendi (in caso di cessione parziale). Anche in questo caso si è in presenza di una concezione fortemente privatistica dell’istituto, la quale pone l’assenso della pubblica amministrazione all’esterno della fattispecie costitutiva, rispetto alla quale esso fungerebbe da mera condizione di efficacia nelle forme della condicio juris (qualora prevista dal piano regolatore generale o dall’altra disciplina urbanistica), ovvero della condicio facti (se prevista come tale dalle parti nel contratto); neppure mancano, in dottrina, richiami all’assenso della PA quale, non già elemento accidentale del contratto, ma oggetto di presupposizione con incidenza causale sulla volontà negoziale.

Va anche considerato che sul piano teorico la servitù consente, rispetto ad altri diritti reali, più ampi spazi ricostruttivi in ragione del peculiare atteggiarsi in essa del carattere di tipicità. Ciò nel senso che se la servitù è certamente autodeterminata e tipica nella individuazione legale dei suoi elementi costitutivi e portanti (in primo luogo nella essenzialità della relazione di asservimento di un fondo a vantaggio di un fondo contiguo), la determinazione del contenuto pratico di questa relazione e delle sue concrete modalità di svolgimento e manifestazione è poi ampiamente demandata (nelle servitù volontarie) all’autonomia delle parti ed alla finalizzazione e qualificazione della servitù a seconda delle più eterogenee esigenze di asservimento-utilità (agricole, industriali, edilizie ecc…) assegnate dalle parti stesse ai fondi.

Ed infatti l’adozione, in materia, dello schema della servitù, ovvero – come anche si legge – dell’asservimento del terreno per scopi edificatori, scaturisce dall’assunto, più volte ribadito in giurisprudenza, secondo cui: “le pattuizioni con le quali vengono imposte, a carico di un fondo ed a favore del fondo confinante, limitazioni di edificabilità restringono permanentemente i poteri connessi al proprietario dell’area gravata e mirano ad assicurare, correlativamente, particolari utilità a vantaggio del proprietario dell’area contigua. Pattuizioni siffatte si atteggiano, rispetto ai terreni che ne sono colpiti, a permanente minorazione della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario ed attribuiscono ai terreni contigui un corrispondente vantaggio che inerisce ai terreni stessi come qualitas fundi, cioè con carattere di realità così da inquadrarsi nello schema delle servitù” (Cass. nn. 2743/73, 1317/80, 4624/84, 4770/96, 3937/01, 14580/12).>>

Anche qui però ci sono criticità., p. 15 ss

la SC analziza quindi la tesi per cui non si tratta di atto traslativo o costitutivo di diritto reale., § 7,  p. 18 ss.: <<Dalla natura, non traslativa né costitutiva di un diritto reale bensì meramente obbligatoria e vincolata all’assenso della PA, vengono poi tratte varie importanti conseguenze, quali: l’atto non richiede la forma scritta ad substantiam ex art.1350 cod.civ.; l’interpretazione della reale volontà delle parti può anche desumersi, per facta concludentia, dal comportamento complessivo dei contraenti successivo alla stipulazione (come nell’ipotesi in cui la volontà di cedere la cubatura venga desunta dalla dichiarazione di adesione resa dal cedente direttamente alla PA); il mancato rilascio del permesso di costruire nonostante la conforme attivazione del cedente presso la PA determina l’inefficacia del negozio, non la sua risoluzione per inadempimento>>, p. 19. Il quale pure è criticabile, p. 20 ss.

Dopo la pars destruens, ecco la lunga pars construens, basasta sulla precisione di cui allart. 2643 n. 2bis c.c., rlativa alla trascrizione: <<Ciò non toglie che dalla previsione in esame, dettata da esigenze di certezza ed opponibilità circolatorie, possano e debbano trarsi importanti contributi interpretativi circa la qualificazione giuridica della cessione di cubatura; appunto considerata – una volta riconosciuto in essa il tratto saliente costituito, al contempo, dal distacco del diritto di costruire dal fondo di generazione e dalla sua autonoma e separata negoziabilità – quale specie del genere ‘diritti edificatori’. Un primo elemento ricostruttivo è dato dal definitivo allontanamento dell’istituto dall’ambito di realità nel quale secondo alcuni si collocava. In proposito, va rilevato non solo che l’elenco degli atti soggetti a trascrizione ex articolo 2643 non presuppone necessariamente il carattere ‘reale’ dell’atto, posto che la legge ammette la trascrizione anche di atti relativi a beni immobili che rivestono pacifica natura obbligatoria, come i contratti di locazione ultranovennale (art.2643 n.8) ovvero i contratti preliminari (art.2645 bis), ma anche che una specifica ed autonoma previsione di trascrivibilità dei ‘diritti edificatori’ in quanto tali non avrebbe avuto ragion d’essere, né logica né pratica, qualora questi ultimi, partecipando di natura reale, risultassero comunque già prima trascrivibili in base alla disciplina generale (per le servitù, in particolare, ai sensi del n.4). Da questo punto di vista, l’introduzione nell’ordinamento del n.2 bis costituisce un pesante argomento sistematico a sostegno dell’indirizzo della non realità dell’atto di cessione di cubatura, là dove si rimproverava a quest’ultimo (per ragioni uguali e contrarie a quelle per le quali si dava invece credito all’indirizzo opposto) di inficiare, precludendone la pubblicità, proprio le esigenze di certezza ed opponibilità coessenziali ad uno strumento negoziale così rilevante e diffuso. A ciò si aggiunge, non ultimo, che l’esplicito riconoscimento del ruolo di normazione assegnato in materia alla legislazione 22 ssuu Ov. Ric.n. 25485/18 rg. – Cam.Cons. del 23.3.2021 Corte di Cassazione – copia non ufficiale

regionale, ed addirittura agli strumenti urbanistici distribuiti sul territorio, mal si concilia con l’esigenza che le restrizioni ‘reali’ al diritto di proprietà rinvenienti dall’ordinamento civile vengano dettate in maniera uniforme e centralizzata, ex articolo 117 lett. l) Cost., dal legislatore statale. Un secondo elemento è dato dal fatto che quest’ultimo qualifica i diritti edificatori – appunto – come ‘diritti’. Si tratta di una presa di posizione che non è solo semantica e che se, per un verso, rimarca la derivazione proprietaria del diritto di costruire, si discosta, per altro, da tutte quelle – pur argomentate ed accreditate – impostazioni dottrinarie che individuano, nella figura in esame, ora una posizione giuridica soggettiva meno piena (perché di interesse legittimo pretensivo sul piano pubblicistico e di semplice chance o aspettativa edificatoria su quello negoziale), ora il prodotto ultimo di un processo di oggettivazione ex art.810 cod.civ., che renderebbe il ‘bene-cubatura’ più simile ad una cosa oggetto di diritti (salvo poi disputarne l’essenza immobiliare, mobiliare, virtuale, immateriale o di frutto del fondo) che ad un diritto in sè. Così come ancora più distante appare la scelta del legislatore da quelle concezioni secondo cui la cubatura non sarebbe, in verità, né un diritto né una cosa, ma soltanto un numero-indice espressivo, nel rapporto tra metri quadrati e metri cubi, della misura della risorsa edificatoria disponibile in capo al proprietario sulla ‘colonna d’aria’ sovrastante il suo fondo. Un terzo elemento è dato dalla collocazione dell’istituto all’interno del sistema di tutela dei diritti per mezzo della trascrizione, a sua volta intrinsecamente connesso alla vicenda traslativa, costitutiva o modificativa (n.2 bis: “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori …”). E’ dunque chiara l’opzione legislativa secondo cui i diritti edificatori, non solo sono genericamente disponibili per contratto, ma tra le parti vengono costituiti, trasferiti e modificati direttamente per effetto di questo, e non di altro. Il che comporta la netta rivalutazione del sostrato privatistico della cessione di cubatura, ricollocando l’effetto traslativo suo proprio nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti, non già del procedimento amministrativo. Da qui l’estendibilità alla materia del principio consensualistico di cui all’articolo 1376 del codice civile, secondo il quale nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di un diritto (anche diverso dalla proprietà di cosa determinata o da un diritto reale) questo si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. Resta naturalmente, una volta che alla cessione di cubatura consegua la presentazione da parte del cessionario di un progetto edificatorio su di essa basato, il ruolo autorizzativo e regolatorio del permesso di costruire, per il cui rilascio il cedente è tenuto ad operare secondo il dovere generale di solidarietà, cooperazione, correttezza e buona fede. Si tratta appunto di un elemento che concorre non al trasferimento in sé tra i privati della cubatura, quanto alla sua fruibilità in conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, alle quali il cessionario dovrà ispirarsi mediante la presentazione di un progetto edificatorio assentibile perché ad esse rispondente. In quanto elemento esterno di regolazione pubblicistica di un diritto di origine privatistica, il permesso di costruire – seppure per certi versi anomalo perché chiesto e rilasciato per una volumetria aumentata – continua ad operare su un piano non dissimile da quello ‘normale’ dei provvedimenti genericamente ampliativi della sfera giuridica del privato e, segnatamente, da quello che regola ordinariamente l’esercizio diretto dello jus aedificandi da parte del proprietario.>>

le SSU_U precisano che <<tutte le implicazioni di non-realità che si sono qui individuate non comportino la negazione dell’inerenza al fondo del diritto sulla cubatura ceduta, quanto l’attribuzione ad essa di un’incidenza più identitaria e funzionale (di necessario collegamento con un determinato suolo tanto di origine quanto di destinazione) che coessenziale alla natura dell’istituto; ciò sul presupposto fondante del fenomeno stesso dei ‘diritti edificatori’, sempre insito – anche se con connotati di varia intensità – nel loro scorporo dal fondo di produzione e nella ritenuta meritevolezza della loro circolazione separata>>, p. 24

Chiarezza, finalmente, sul “diritto di uso esclusivo” di un condomino su porzione condominiale

L’annosa questione del valore giuridico dell’attribuzione di un diritto d’uso esclusivo a favore di uno o più condomini su una specifica porzione condominale (spesso, di cortile),  è stata risolta da Cass. sez. un. 28972 del 17.12.2020, rel. Di Mauro (se ne v. il testo nel sito della Cassazione).

Il tema è interessante poichè le clausole di questo tipo sono frequenti nela pratica notarile.

La trattazione parte dal § 3 a p. 8; si tratta di pronuncia nell’interesse della legge ex art. 363 cpc (il ricorso era stato estinto per rinuncia accettata (§ 2).

L’opinione della corte inizia al § 6, p. 18 ss

La Corte nega si tratti di diritto reale atipico, creato dall’autonomia privata: a ciò osta la tipicità/numerus clausus dei diritti reali , che permane salda nel nostro ordinamento, § 6.9 a p. 27 ss.

Nemmeno è una servitù prediale, § 6.8, p. 25 ss.

C’è allora da capire -profilo centrale nella pratica- come interpretare le clausole del rogito che qualifichino come <diritto di uso esclusivo> le facoltà concesse al condomino: se cioè siano nulla oppure da intepretare conservativamente come qualcosa d’altro (§ 7, p. 33 ss).

Per la Corte potrà talora pure essere interpretata come attribuzione di titolo proprietario pieno. Del che però c’è da dubitare, essendo chiaro che le parti hanno voluto atribuire qualcosa meno , altrimenti avrebbero usato il termine <proprietà>, soprattuttto in atti pubblici rogati da tecnico del diritto come è un notaio.