Vessatorietà della clausola con cui il costruttore venditore si esenta dalle spese condominiali

Interessante il tema indagato da Cass. 21.06.2022 n. 20.007, rel. Scarpa: l’abusività ex art. 33 c. cons. della clausola (frequente nei condomini nuovi) con cui il venditore-costruttore viene esentato dal contribuire alle spese condominiali.

Mi limito a riprodurre il principio di diritto: “la clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell’edificio e richiamato nel contratto di vendita della unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 1, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d’ufficio dal giudice nell’ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall’alienante, o sull’obbligo di pagamento del prezzo gravante sull’acquirente, restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l’obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano

L’assegnazione dell’immbile familiare al coniuge in sede divisoria non deve tener conto dell’esistente suo diritto di godimento per essere l’affidatario della prole

Interessante ma non semplice questione risolta dalle Sezioni Unite (Cass s.u. 09.06.2022 n. 18.641, rel. Carrato).

Questito : “se – in sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati già destinato a residenza familiare e, per tale ragione, assegnato, in sede di separazione, al coniuge affidatario della prole – occorra tenere conto della diminuzione del valore commerciale del cespite conseguente alla presenza sul medesimo del diritto di godimento del coniuge a cui è stata affidata la prole, pure nel caso in cui la divisione si realizzi mediante attribuzione a quest’ultimo della proprietà dell’intero immobile con conguaglio in favore del comproprietario e, quindi, determinandolo non in rapporto al valore venale dello stesso immobile, bensì in misura ridotta che tenga conto dell’incidenza della permanenza di tale vincolo, opponibile anche ai terzi“.

Per le s.u., non si deve tener conto del diritto di  godimento già in precedenza disposto per essere il congiuge affidatario della prole: <<Ad avviso di queste Sezioni unite deve essere condiviso l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui lo scioglimento della comunione immobiliare si attui mediante attribuzione dell’intero al coniuge affidatario della prole, il valore dell’immobile oggetto di divisione non può risentire del diritto di godimento già assegnato allo stesso a titolo di casa coniugale, poiché esso viene ad essere assorbito o a confondersi con la proprietà attribuitagli per intero, con la conseguenza che, ai fini della determinazione del conguaglio in favore dell’altro coniuge, bisognerà porre riferimento, in proporzione alla quota di cui era comproprietario, al valore venale dell’immobile attribuito in proprietà esclusiva all’altro coniuge, risultando, a tal fine, irrilevante la circostanza che nell’immobile stesso continuino a vivere i figli minori o non ancora autosufficienti rimasti affidati allo stesso coniuge divenutone proprietario esclusivo, in quanto il relativo aspetto continua a rientrare nell’ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole da regolamentare nella sede propria, con la eventuale modificazione in proposito dell’assegno di mantenimento.>>, § 9.

Tale assegnazione divisionale, poi , realizza l’estinzione automatica del diritto di godimento preesistente (con notazione delle SU sulla sua trascrivibilità con atto ricognitivo).

In definitiva, <<l’immobile attribuito in proprietà esclusiva al coniuge già assegnatario quale casa coniugale non può considerarsi decurtato di alcuna utilità, posto che la qualità di titolare del diritto dominicale e quella di titolare del diritto di godimento vengono a coincidere. Non si configura, in altri termini, alcun diritto altrui che limiti le facoltà di godimento del coniuge attributario dell’intero – e già assegnatario in quanto affidatario della prole – e sia, perciò, idoneo a comportare la diminuzione del valore di mercato del bene>>.

La soluzione ci pare corretta.

Comunione e uso esclusivo individuale -senza opposizione- ex art. 1102 c.c.: obbligo di versare i frutti civili?

Nel caso di uso individuale da parte del comunista che sia esclusivo, c’è obbligo di versare i frutti civili percepiti agli altri comunisti? Pare di si, secondo Cass. 1738 del 20.02ò.2022, rel. Criscuolo. Non chiarisce per òl’esatta base normativa di tale obbligo.

Inoltre l’uso da parte di tutti può essere concomitante o anche a turno.

Nel caso c’era una comunione <impropria> dato che concorreva un usufrutto per un terzo con la redisua titolarità: ma la SC applica -giustamente- l’art.  1102 cc.

<<3. (…) In primo luogo, ed anche in risposta alle deduzioni formulate in controricorso, secondo cui nella fattispecie sarebbe inappropriato il richiamo alle regole dettate per la comunione, occorre ricordare che, a seguito degli accordi intervenuti in sede divisionale quanto al patrimonio immobiliare, R.E. aveva conservato su di un bene, per il resto attribuito alla figlia D., la sola quota di usufrutto pari ad un terzo, con la conseguenza che le facoltà di godimento del bene competevano ad entrambe, e precisamente per la quota di due terzi, in capo alla figlia, a titolo di piena proprietaria, e per la residua quota a favore della R., in quanto usufruttuaria. Al fine di ricondurre anche tale fattispecie alla disciplina della comunione appare pertinente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte che, in relazione alla normativa vigente anteriormente all’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia di cui alla L. n. 151 del 1975, in base alla quale il coniuge superstite, nella sua qualità di legatario “ex lege”, era investito, sin dal momento dell’apertura della successione del coniuge, di un diritto reale che gli consentiva di partecipare a pieno titolo alla comunione ereditaria, ha affermato che in tal modo viene a determinarsi una comunione incidentale di godimento tra gli eredi ed il predetto coniuge, usufruttuario pro-quota di tutti i beni indivisi facenti parte del compendio ereditario (così Cass. n. 1085/1995).

Cass. n. 355/2011 ha altresì chiarito che tale comunione incidentale di godimento tra diritti qualitativamente eterogenei comporta che la cosa è goduta per una quota dagli eredi a titolo di proprietà e per l’altra dal legatario a titolo di usufrutto (in termini analoghi Cass. n. 3097/1974; Cass. n. 3294/1968; Cass. n. 3313/1984).

Sebbene nel caso di specie il concorso dei due diritti eterogenei non derivi dalle vicende successorie di cui alla normativa previgente, ma da un accordo intervenuto tra le parti, deve del pari ritenersi insorta una comunione impropria di godimento, per la quale, quanto alle modalità di uso appaiono correttamente invocabili anche le disposizioni espressamente dettate in tema di comunione, tra cui quella di cui all’art. 1102 c.c..

Ma l‘applicazione di tale disciplina non preclude il diritto del comunista che non abbia fatto uso del bene a conseguire un indennizzo per effetto del godimento esclusivo dell’altro contitolare.

E’ affermazione ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte quella secondo cui (cfr. Cass. n. 7881/2011) il condividente di un immobile, che durante il periodo di comunione abbia goduto del bene in via esclusiva senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri i frutti civili, quale ristoro della privazione della utilizzazione “pro quota” del bene comune e dei relativi profitti, con riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia (conf. Cass. n. 7716/1990; Cass. n. 20394/2013; Cass. n. 17876/2019), aggiungendosi che siffatto diritto, corrispondente al corrispettivo “pro quota” del godimento esclusivo, prescinde da comportamenti leciti o illeciti altrui (Cass. n. 10896/2005). E’ stato altresì chiarito, e ciò in risposta alla deduzione circa la violazione della previsione di cui all’art. 820 c.c., che i frutti civili, dovuti dal comproprietario che abbia utilizzato, in via esclusiva, un bene rientrante nella comunione, hanno, ai sensi dell’art. 820 c.c., comma 3, la funzione di corrispettivo del godimento della cosa e possono essere liquidati con riferimento al valore figurativo del canone locativo di mercato (Cass. n. 5504/2012), sicché non può trovare fondamento la pretesa di limitare la previsione de qua al solo godimento che intervenga da parte di soggetti diversi da quelli che già vantino diritti pro-indiviso sul bene fruttifero.

E’ pur vero che la sottrazione del godimento potrebbe avvenire con modalità tali, come ad esempio mediante l’esercizio di una condotta violenta, tale da concretare altresì la commissione di un fatto illecito (cfr. sul punto Cass. n. 14213/2012, secondo cui in tal caso la sottrazione delle facoltà dominicali di godimento e disposizione del bene, è risarcibile, sotto l’aspetto del lucro cessante, non solo con il lucro interrotto, ma anche con quello impedito nel suo potenziale esplicarsi, ancorché derivabile da un uso della cosa diverso da quello tipico, aggiungendo che tale danno è da ritenersi “in re ipsa”, potendo essere comunque quantificato in base ai frutti civili che l’autore della violazione abbia tratto dall’uso esclusivo del bene, imprimendo ad esso una destinazione diversa da quella precedente), ma è innegabile che l’uso esclusivo dell’immobile, ove le caratteristiche dello stesso non ne consentano una fruizione congiunta anche da parte dell’altro comunista, eccede sicuramente dalle modalità di uso di cui all’art. 1102 c.c., e legittima la richiesta, quanto meno a titolo indennitario, di ristoro del mancato godimento, e ciò sia quando il bene si presenti fruttifero tramite la concessione in godimento a titolo oneroso a terzi, sia allorché la fruizione avvenga, ed in maniera esclusiva, da parte di uno solo o alcuni dei comunisti (conf. Cass. n. 19215/2016).

In tal senso è stato affermato che (Cass. n. 5156/2012) sussiste la violazione dei criteri stabiliti dall’art. 1102 c.c., in ipotesi di occupazione dell’intero immobile ad opera del comproprietario e la sua destinazione ad utilizzazione personale esclusiva, tale da impedire all’altro comproprietario il godimento dei frutti civili ritraibili dal bene, con conseguente diritto ad una corrispondente indennità.

Tuttavia ritiene il Collegio che debba darsi continuità al principio per il quale, se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento, ma che fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere la idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cass. n. 24647/2010; Cass. n. 2423/2015).

La Corte d’Appello, riprendendo le considerazioni già spese dal Tribunale, ha ricordato che ancor prima che la figlia iniziasse a godere personalmente del bene, la madre aveva conseguito la propria quota parte dei canoni di locazione, ma non può trarsi da tale circostanza, che si correla alla regola per la quale il comunista che gestisce la locazione del bene comune agisce come utile gestore degli altri comunisti, anche una conclusione circa la opposizione della usufruttuaria pro quota al godimento esclusivo del bene in proprio da parte della figlia, essendo invece necessario correlare l’insorgenza del diritto a ricevere una quota parte dei frutti alla esternata opposizione alla condotta posta in essere dall’odierna ricorrente, che viene individuato nelle conclusioni della comparsa di risposta in primo grado, e ribadito in controricorso, nella missiva del 17 giugno 2003, con la quale la defunta R. aveva sollecitato in via stragiudiziale la figlia a corrisponderle la somma dovuta quale corrispettivo per la mancata fruizione della propria quota di usufrutto, denotando a tal fine un’evidente avversione all’uso esclusivo da parte della figlia, ritenuto come tale in contrasto con la previsione di cui all’art. 1102 c.c..

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata quanto all’individuazione della data di decorrenza dell’obbligo dell’attrice di corrispondere una quota parte dei frutti civili del bene, in corrispondenza dell’uso esclusivo fattone, per l’epoca anteriore alla detta missiva, dovendo il giudice di rinvio quindi rideterminare le somme dovute a tale titolo dalla ricorrente>>

Chiarimenti sull’ampiezza della divisione giudiziale (art. 727 cc)

La Cassazione (n. 1065 del 14.01.2022, rel. Tedesco) sul tema così si esprime nella massima da essa coniata:

Quando non vi sia stato accordo tra i condividenti per limitare le operazioni divisionali ad una parte soltanto del compendio comune, il giudizio di divisione ereditaria deve ritenersi instaurato per giungere al completo scioglimento della comunione, previa esatta individuazione di tutto ciò che ne costituisca oggetto; conseguentemente, fermo il rispetto delle preclusioni tipiche del normale giudizio di cognizione, l’indicazione dei beni può essere fatta anche in un secondo tempo anche dal condividente che non abbia ha proposto la domanda, costituendo una tale indicazione una precisazione dell’unitaria istanza, comune a tutte le parti, rivolta allo scioglimento della comunione“.

Si noti l’importante profilo processuale, cui va aggiunto quell sulla relazione notarile ex 567 cpc:

Nel giudizio di scioglimento della comunione, quando la situazione di comune appartenenza dei beni sia incontroversa fra i condividenti, il giudice d’appello, dinanzi al quale sia stata impugnata la sentenza di primo grado che abbia erroneamente dichiarato inammissibile la domanda di divisione, non può rigettare l’appello in base al rilievo che l’appellante non ha curato di estrarre copia della relazione notarile relativa agli immobili da dividere, già acquisita dinanzi al primo giudice, ma non rinvenibile nel fascicolo della parte che ne aveva curato la produzione. La documentazione mancante, infatti, non integra la prova di un fatto favorevole a una parte e sfavorevole all’altra, ma ridonda a vantaggio di tutti i condividenti, ai quali la domanda di divisione è comune; conseguentemente, il giudice d’appello, qualora ritenga di non poter prescindere dalla suddetta documentazione, potrà ordinarne alle parti la produzione anche nel corso delle operazioni divisionali, venendo in considerazione solo l’esigenza di reiterare il riscontro documentale, già dato in primo grado, di una comune appartenenza pacifica e incontroversa“.

Il keyword advertsing illecito (perchè riproducente un marchio altrui) è perseguibile tramite il diritto proprietario?

la risposta è negativa secondo la Corte Suprema della Georgia, 15.02.2’022, S21G0798, EDIBLE IP, LLC v. GOOGLE, LLC.

Edible (poi: E.) , accortasi che alcuni suoi marchi sono concessi da Google (G.) a terzi tramite la pratica del keyword advertising, cita G. per violazine non già della disciplina di marchio bensì di quella proprietario/dominicale: <Civil Theft of Personal Property> e <conversion> (appropriazione di risorse altrui, all’incirca).

Tale causa petendi apparentemente ingegnosa (essendo stata infruttuosa la precedente basata sul diritto dei marchi) viene però rigettata in tutti i gradi di giudizio.

Secondo la S.C. , assente rischio di confusione o di inganno, il marchio (come pure il goodwill) non ha tutela. Nè si può considerarlo oggetto della disciplina relativo al furto (theft).

<<Under each of these statutes, it is clear that trade names are only protected from use by others to the extent that such use is deceptive or there is a likelihood of confusion by the public.>>, p. 13.

Cioè la SC non dice che la disciplina si applica solo alle res, corporali, bensì  cbe tra le risorse , riservate dalla legge al titolare del marchio e solo per le quali dunque si può discorrere di <furto> o <appropriazione>, figura il proibire l’uso di terzi confusorio o decettivo: non vi figura invece la pretesa che i terzi si astengano in modalità più ampie.

<<Here, Edible IP has not alleged that Google’s use of the “Edible Arrangements” trade name in its keyword advertising program causes any confusion, and in fact, has disclaimed in the complaint that it is “seek[ing] any . . . relief for any consumer confusion.” Thus, we see no basis in Georgia statutory law for Edible IP’s claim that Google has appropriated the “Edible Arrangements” trade name simply by using it in Google’s algorithms and keyword advertising programs.

The common law likewise does not provide a basis for Edible IP’s civil theft claim. Under the common law, a cause of action based on the use of a trademark or trade name has also generally beenpredicated on either an intent to cause consumer confusion or the likelihood of creating confusion or misunderstanding.>>

Da noi con l’istituto del marchio rinomato, che prescinde dalla confondibilità, le cose forse sarebbero potute andare diversamente: se non fosse che la disciplina  di marchio è  speciale rispetto a quella di diritto civile comune e quindi difficilmente integrabile analogicamene con quest’ultima.

Per non dire che il furto e l’appropriazione indebita (art. 624 e 646 c.pen.) e le azioni a difesa della proprietà (nel c.c. ) paiono applicarsi solo alle res/cose  intese nel senso di entità fisiche.

(notizia elink alla setenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Invalidità della delibera condominiale e riparto delle spese comuni

Cass. sez. un. 9.839 del 14.04.2021, rel. Lombardo Luigi G. ,  sull’oggetto così enuncia i principi di diritto, § 6.5 (erano state sollevate anche altre questioni):

<<– “In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all’ordine pubblico” o al “buon costume”; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 c.c.”;

– “In tema di deliberazioni dell’assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135 c.c., nn. 2) e 3), e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicchè la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c., comma 2″>>.

Azione di regolamento di confini o azione di rivendica?

Sul classico (e molto pratico) problema dominicale (artt. 948 e 950 cc ), interviene Cass. 21.07.2021 n. 20.912, rel. Tedesco.

si esprime così:

<<- si è affermato, con costanza di indirizzo che mentre l’azione di revindica presuppone un conflitto di titoli, determinato dal convenuto che nega la proprietà dell’attore contrapponendo al titolo da lui vantato il suo possesso della cosa (possideo quia possideo) ovvero un proprio diverso ed incompatibile titolo d’acquisto, nell’Azione di regolamento di confini i titoli di proprietà non sono controversi e la contestazione attiene alla delimitazione dei rispettivi fondi (conflitto tra fondi) per la incertezza dei confini, oggettiva (derivante dalla promiscuità del possesso della zona confinaria) o soggettiva (provocata dall’assunto attoreo di non corrispondenza del confine apparente a quello reale) (Cass. n. 2212/1984; n. 9900/1995; n. 1204/1998; n. 28349/2011; n. 1006/2018);

– si esperisce azione di regolamento di confini quando si chiede in giudizio la “rettificazione” dell’attuale confine di fatto tra il proprio fondo e quello del vicino, deducendosi che esso non corrisponde alle correlative estensioni delle singole proprietà interessate, come risultanti nella realtà giuridica dai rispettivi, non contestati, titoli;

– si esercita, invece, azione di revindica allorché, deducendosi l’insussistenza, a favore del vicino, di alcun titolo di proprietà su una zona di terreno, esattamente indicata, di fatto arbitrariamente ricompresa nel fondo di lui, si chieda – mediante la determinazione di confini a sé più favorevoli – in realtà l’affermazione del proprio diritto di proprietà su tale zona e la consegna di essa nel proprio possesso (Cass. n. 5589/1977; n. 4457/1976);

– è stato anche chiarito che mentre nell’azione di revindica, l’attore non ha alcuna incertezza circa il confine, ma lo indica in modo certo e chiaro e chiede nell’atto introduttivo la restituzione usurpata, specificandone con esattezza l’estensione, la misura ed i confini, nell’azione di regolamento dei confini, invece, l’attore non sicuro ab initio della individuazione dei confini del suo fondo e non è nemmeno certo che questo sia stato parzialmente occupato dall’avversario, ma si rivolge al giudice proprio per ottenere una giuridica certezza al riguardo. Poiché la determinazione del confine può comportare l’attribuzione ad una delle parti di una zona occupata dall’altra, la richiesta di tale attribuzione non incide sulla essenza dell’Azione, trasformandola in revindica, ma integra soltanto una naturale conseguenza della domanda di individuazione del confine (Cass. n. 671/1977);>>.

Non conta il nomen iuris speso: non c’è bisogmno di sottolinearlo: <<così quando l’attore, pur dichiarando di esercitare un’azione di regolamento di confini, chieda, con espressione precisa ed univoca, l’affermazione del suo diritto di proprietà su zone possedute dal convenuto ed il rilascio di esse, indicando come vero un determinato confine a lui più favorevole, la domanda deve essere qualificata come azione di revindica (Cass. n. 1242/1977);>>

E’ interessante l’applicazione di tali principi (o regole, non sottilizziamo …) ai fatti di causa:

<< – nel caso di specie gli attori, nel proporre la domanda, dopo la identificazione catastale delle porzioni di rispettiva appartenenza, avevano chiarito che ai terreni si accedeva attraverso un distacco privato, comune alle proprietà delle parti in causa, nonché a una ulteriore particella catastale;

– a tale descrizione seguiva la denuncia che il convenuto, in modo del tutto arbitrario, non solo delimitava parte del suddetto terreno comune per realizzare un giardino di sua esclusiva pertinenza, ma si appropriava anche di una porzione del terreno di esclusiva proprietà degli esponenti, invadendola e occupandola con opere permanenti;

– dal canto suo il convenuto, costituendosi, aveva eccepito che il terreno interposto fra il proprio fondo e il mappale (OMISSIS) gli apparteneva in forza di titoli e non era affatto comune;

– anche da parte del convenuto, perciò, la richiesta di determinazione del confine non presupponeva alcuna incertezza, essendo egli sicuro che la porzione delimitata dal muretto era compresa nel lotto di sua proprietà;

– nessun argomento può trarsi dal fatto che il convenuto avesse proposto in riconvenzionale domanda di usucapione;

– è vero, giusti principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, che l’eccezione del convenuto con azione di regolamento di confini di avere usucapito il terreno in contestazione non snatura l’azione proposta trasformandola in rivendicazione, giacché il convenuto con quell’eccezione non contesta l’originario titolo del diritto di proprietà della controparte, ma si limita ad opporre una situazione sopravvenuta, idonea, se riconosciuta, fondata, ad eliminare la dedotta incertezza del confine (Cass. n. 2332/1995);

– è anche vero, però, che la proposizione di una tale domanda, da parte dell’ A., non fornisce argomento per sostenere che l’azione proposta dagli attori fosse per forza di cose quella di regolamento di confini;

– invero la domanda di usucapione era stata proposta dal convenuto solo in via subordinata, avendo egli primariamente sostenuto che il terreno conteso gli apparteneva in base ai titoli;

– i ricorrenti sostengono ancora nella memoria che le contestazioni di parte “avevano e hanno quale unico riferimento l’estensione dei fondi e la determinazione degli esatti confini di proprietà”, non essendoci alcun contrasto fra i rispettivi titoli di proprietà, del mappale (OMISSIS) quanto agli attori, e dei mappali (OMISSIS), quanto al convenuto;

– ma neanche la mancanza di conflitto su questo aspetto è in contraddizione con la qualificazione operata dalla corte d’appello;

– il conflitto fra titoli, ravvisato dalla corte d’appello, non è riferito ai mappali sopra indicati, ma alla porzione antistante la casa di abitazione del convenuto;

– da qui l’implicazione, desunta dalla corte di merito e coerente con le premesse, che fosse onere degli attori fornire la prova imposta a colui che agisce in rivendicazione;

– invero, in presenza di una domanda quale quella a suo tempo proposta dagli attuali ricorrenti, essenzialmente caratterizzata dalla richiesta del riconoscimento della proprietà comune della porzione di cui sopra, l’interpretazione operata dalla corte d’appello non incorre in alcun vizio logico o giuridico;>>

Coprire con propri annunci concorrenti il sito web dell’azienda, cercata col motore di ricerca, è illecito da parte di Google?

La risposta è positiva.

I fatti sono semplici: quando un un utente cerca sul campo di ricerca Google, installato sulla home page dei telefoni android, una certa azienda (Best carpet) , e poi clica sulla sua home page , Google sovrappone ad essa propri annunci oscurandola per tre quarti.

L’azienda ha citato Google proponendo più domande e ha ottenuto ragione .

Qui   interessa solo quella c.d. trespass to chattels e cioè turbativa possessoria : qualcosa di simile alla nostra reintegrazione o (forse meglio) manutenzione possessoria ex art. 1170 cc)

Si tratta della molto interessante sentenza Best CArpets c. Google, Case No. 5:20cv04700, NORTHERN DISTRICT OF CALIFORNIA SAN JOSE DIVISION del 24.09.2021.

Limpstazione è qui_: <<Here, there are two potential chattels: the computers hosting Plaintiffs’ websites and the copies of Plaintiffs’ websites appearing on users’ screens. Google contends the trespass to chattels claim fails as a matter of law as to both potential types of chattel because its Search App does not cause physical injury (i.e., intrusion, interference or harm) to any tangible property. Mot. at 6. In making this argument, Google implicitly acknowledges that the computers hosting Plaintiffs’ websites are tangible property, but contends that the Search App does not interact with those computers, much less damage them. As for the copies of Plaintiffs’ websites appearing on users’  screens, Google contends that they are not tangible property, and therefore cannot be the subject of a trespass claim. >>

Ma la corte dice che un website può essere ogetto di una trespass to chattels claim. p.8.

Gli atto  dicono che  un <<website ownership grants them a right to be paid for the advertising space occupied by Google on their websites. And like a domain name, a website is a form of intangible property that has a connection to an electronic document. “A website is a digital document built with software and housed on a computer called a ‘web server,’ which is owned or controlled in part by the website’s owner. A  website occupies physical space on the web server, which can host many other documents as well.” Compl. ¶ 34. Plaintiffs’ website is also connected to the DNS through its domain name, bestcarpetvalue.com, just as Kremen’s domain name was connected to the DNS. Under the Kremen court’s reasoning, Plaintiffs’ website has a connection to a tangible object, which satisfies
the Restatement’s merger requirement>>, p. 10

E non si può negare che sia stata avanzata la pur necessaria allegazione di danno: <<Here, although Plaintiffs are not alleging physical harm to their websites, they do allege functional harm or disruption.  Specifically, Plaintiffs allege that “[b]y obscuring and blocking the contents of [Plaintiffs’] website homepages when viewed on Android’s Search App, Google’s ads substantially interfered with and impaired the websites’ published output and exposed the website owners to unwanted risks of lost advertising revenues and lost sales to competitors, thereby materially reducing the websites’ value and utility to the website owners.  Defendant’s unauthorized interferences proximately caused Plaintiffs . . . actual damage by impairing the condition, quality and value of their websites.”  Id. ¶ 186.  Plaintiffs seek damages equal to the diminished market value of their websites and a permanent injunction requiring Google to disable the ad-generating feature of its Search App on every Android phone on which it is installed and preventing Google from installing any similar feature in the future.  Id. ¶¶ 187-90.  Google argues that there is no cognizable injury because its Search App does not affect how Plaintiffs’ websites function or how they are displayed by other programs.  Mot. at 2.  Google explains that its Search App does not alter Plaintiffs’ websites at all, but rather “displays additional content in a separate, user-controlled frame that overlays and coexists on phone screens with Plaintiffs’ sites.”  Mot. at 7 (citing Compl. ¶¶ 73-74).  But at the pleading stage, Plaintiffs’ factual allegations must be taken as true.  Ashcroft, 556 U.S. at 678.  Plaintiffs allege that the ads obscured and blocked their websites, which if true, would interfere with and impair their websites’ published output.  Google’s ad allegedly obscured the “Cove Base” product link on Best Carpet’s home page.  Compl. ¶ 73.  Although Google’s ad may not have disabled or deactivated the “Cove Base” product link, it nevertheless allegedly impaired the functionality of the website: an Android phone user cannot engage a link that cannot be seen.  At the pleading stage, the alleged decrease in functionality of Plaintiffs’ website is sufficient to plausibly state a cognizable injury for a trespass to chattels claim.  See Compuserve Inc. v. Cyber Promotions, 962 F. Supp. 1015, 1026 (S.D. Ohio 1997) (plaintiff asserting injury aside from physical impact on computer equipment stated cognizable trespass to chattels claim based on decreased utility of plaintiff’s e-mail service and resulting customer complaints); eBay, Inc. v. Bidder’s Edge, Inc., 100 F. Supp. 2d 1058, 1070 (N.D. Cal. 2000) (granting injunction based on likelihood of success on merits of trespass to chattels claim based, in part, on showing that web crawlers diminished the quality or value of eBay’s computer system, even though eBay did not claim physical damage>>, p. 12-13

Apertura di passi carrabili su strada privata: eccessivo aggravio per gli altri comproprietari ex art. 1102 cc, che non possono più usarla come parcheggio

Aprire passi carrabili sul muro perimetrale, che dà su una stada privata -soggetta ad uso pubblico- , quindi togliendo la possibilità di parcheggio per gli altri comproprietari, costitutuisce uso vietato dall’art. 1102, alterandone  la destinazione (appunto a parcheggio).

Così Cass. 24.937 del 15.09.2021, rel. Carrato: <<Applicando tale principio generale ne deriva che anche l’assoggettamento di una strada privata a servitù di uso pubblico non implica la facoltà dei proprietari frontisti di aprire accessi diretti dai loro fondi su detta strada, comportando ciò un’utilizzazione di essa più intensa e diversa, non riconducibile al contenuto dell’indicata servitù (cfr., ex  multis, Cass. n. 3525/1993; Cass. n. 7156/2004, cit.; Cass. n. 21953/2013 e, da utlimo, cass. n. 24268/2019). Nel caso di specie, quindi, il mutamento di destinazione dell’immobile di proprietà della società ricorrente da palestra ad autorimessa, con la connessa apertura di sei accessi carrabili (pur se assistiti dal preventivo rilascio di altrettante concessioni) è venuto a porsi in contrasto con il più volte indicato art. 1102 c.c., in dipendenza della prodotta soppressione ed a svantaggio di tutti gli altri  numerosi condomini del supercondominio insistente “in loco”, della possibilità, per questi ultimi, di poter continuare a fruire pienamente della possibilità di parcheggiare –  secondo le antecedenti modalità – lungo i lati della strada in questione, così conseguendone l’alterazione dell’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli altri comproprietari e la configurazione di una pregiudizievole invasione nell’ambito dei coesistenti diritti di questi, con correlata violazione del principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali, il quale impone un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (v. anche Cass. n. 17208/2008 e Cass. n. 13213/2019).>>

Bar rumorosi e doveri dei gestori

Giusta indicazione di cosa son tenuti a fare i gestori di bar o pubblici esercizi, fonti di imissioni rumorose: non basta apporre cartelli nè far presenziare del personale che controlla (controlla che cosa, poi, se non fanno uscire i clienti riottosi e/o fastidiosi …).

si tratta di Cass. 21.097 del 22.07.2021, rel. Casadonte:

<< alla luce di tale ricostruzione ha poi ritenuto che l’accertata esposizione di cartelli informativi all’esterno non fosse sufficiente ad assolvere all’obbligo in capo al gestore del pubblico esercizio di adottare tutte le misure idonee a contenere il disturbo della quiete e che neppure l’eventuale presenza di collaboratori con funzione di controllo, ove provata,  diversamente dal caso de quo in cui tale prova non era stata raggiunta, fosse sufficiente, richiedendo, al fine di escludere la responsabilità del titolare, comportamenti quali l’aver chiamato  le Forze dell’Ordine e l’essersi avvalso dello ius excludendi nei confronti dei clienti che non si attengono alla condotta richiesta dalla tutela della pubblica quiete alle ore 00.55 del 17/3/2016, alle ore 00,20 del 10/4/2016 ed alle ore 00,30 del 19/5/2016 in cui i tre separati verbali erano stati elevati;
-l’interpretazione dell’obbligo posto a carico del gestore dell’esercente così ricostruita dal giudice di appello non appare contraria a principi di diritto, che peraltro, il ricorrente non ha indicato e la censura mira a contestarla senza specificare quale errore dì diritto avrebbe commesso il giudice nella sentenza impugnata, finendo per attingere, come già anticipato, l’apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito;>>