Interclusione totale del fondo, interclusione parziale e rinuncia preventiva alla servitù legale di passaggio

Cass.  sez. II, Sent.  n. 29.311, rel. Oliva:

Sentenza impugnata:

<<La Corte di Appello ha accertato che, al momento della divisione del fondo in origine unitario, avvenuta con atto per notar H.H. del 21.11.1987, era stato previsto che “entrambi i lotti vengono sollevati da qualsiasi asservimento e di qualsiasi genere, ivi compresa la captazione e il sollevamento di acqua sorgiva ai quali potessero essere assoggettati sia l’uno che l’altro lotto” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata). Ha dunque ritenuto che “La rinuncia preventiva alla servitù coattiva non può conciliarsi con l’esercizio del diritto di proprietà, solo nel caso in cui tale diritto verrebbe “irrimediabilmente compromesso” da tale rinuncia. Nel caso de quo la rinuncia avvenne al momento della divisione dei fondi, di talché F.F. (dante causa degli odierni ricorrenti) ben sapeva, non essendo il fondo intercluso ma confinante con la pubblica via, che una rinuncia alla richiesta di vincoli o servitù sul fondo del fratello G.G. (dante causa degli odierni intimati) non avrebbe pregiudicato il suo utilizzo, ma semmai lo avrebbe reso meno agevole. Del resto, da sempre l’attore rivendica la costituzione del chiesto peso, per raggiungere con mezzi meccanici il proprio fondo, rappresentando una situazione, non di totale impossibilità al raggiungimento dello stesso, ma di maggior comodità” (cfr. pag. 5 della sentenza)>>.

Sua critica:

<< La motivazione, particolarmente stringata, valorizza gli effetti della rinuncia preventiva alla costituzione di una servitù di passaggio, in presenza di un fondo preteso dominante che non è intercluso, perché comunque confinante con la pubblica via. Tuttavia, il giudice di merito non affronta ex professo il tema dell’interclusione relativa del fondo predetto, poiché non considera il fatto, potenzialmente decisivo, che tra esso e la strada vi è un dislivello (come accertato dalla C.T.U., i cui passaggi salienti sono riportati a pag. 9 del ricorso ai fini della sua autosufficienza) e che la realizzazione di un accesso diretto alla via pubblica mal si concilia con i costi necessari, quasi corrispondenti all’intero valore del fondo di cui sopra, e con le esigenze legate alla sua conduzione agricola.

Ferma restando l’impossibilità di ipotizzare una rinuncia preventiva alla costituzione di servitù di passaggio a favore di un fondo che risulti assolutamente intercluso, in quanto essa finirebbe per svuotare di contenuto tipico del diritto del proprietario del fondo stesso, che non potrebbe accedervi in alcun modo, occorre evidenziare che, nel caso specifico, il giudice di merito non ha in alcun modo indagato il tema dell’interclusione relativa del fondo degli odierni ricorrenti. Questi ultimi evidenziano che la C.T.U. espletata nel corso del primo grado -della quale, ai fini della specificità del motivo, riportano i passaggi salienti alle pagg. 9 e 10 del ricorso- aveva accertato che il loro fondo, ancorché confinante con la via pubblica, non poteva avervi accesso diretto in funzione del dislivello esistente, variabile da 5 a 6 metri. La Corte di Appello non considera questo elemento, pur emergente dal compendio istruttorio, e si limita ad affermare che il fondo preteso dominante non sarebbe intercluso perché posto a confine con la via pubblica. In tal modo, il giudice di merito da un lato non approfondisce il tema, pur rilevante, dell’ammissibilità di una rinuncia preventiva ai diritti nascenti ope legis, giusta la disposizione di cui all’art. 1051
c.c., a favore del fondo assolutamente intercluso, limitandosi ad affermare, sul punto, che la rinuncia avrebbe avuto ad oggetto un passaggio più comodo: in tal modo, la Corte di Appello sembra presupporre che l’accertamento che il fondo preteso dominante confina con la via pubblica renda comunque possibile un accesso diretto, ancorché maggiormente disagevole rispetto a quello praticabile attraverso il fondo intercludente. Dall’altro lato, la Corte territoriale non esamina affatto la questione della natura disagevole del detto ipotetico accesso diretto dalla via pubblica, in tal modo non affrontando la tematica, pur sollevata dagli odierni ricorrenti, della possibilità di configurare, a vantaggio del loro fondo, un diritto di passaggio coattivo in presenza di interclusione parziale, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1052 , primo e secondo comma, c.c.>>

Il fondo intercluso può essere tale anche per disposto di legge o della PA e non solo per ostacolo fisico

Cass. sez. II, ord. 18/09/2024 n. 25.088, rel. Grasso, esprime i seguenti principi di diritto:

” (1) In materia di costituzione di servitù coattiva di passaggio, ai sensi del primo comma dell’art. 1051 cod. civ., costituisce impedimento ad usufruire d’uscita sulla via pubblica la circostanza che un tale accesso risulti precluso dalla legge o dalla pubblica amministrazione.

(2) Spetta a colui che richiede la costituzione della servitù dimostrare la giuridica impossibilità di accesso alla via pubblica; tuttavia, ove il consulente del giudice abbia escluso, sulla base degli accertamenti e delle informazioni ricevute dalla pubblica amministrazione, che dell’accesso l’interessato possa legittimamente fruire, non costituisce argomento che possa ribaltare una tale valutazione tecnica la circostanza che non consti essere stata presentata istanza per l’autorizzazione al passo carrabile”.

Servitù discontinua (di passggio) e servitù apparenti

Cass. sez. II, ord. 10/04/2024 n. 9626, rel. Varrone:

<<D’altra parte, la sentenza è conforme alla giurisprudenza di legittimità in tema di servitù discontinue secondo cui: l’esercizio saltuario non è di ostacolo a configurarne il possesso, dovendo lo stesso essere determinato in riferimento alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze del fondo dominante; pertanto, ove non risultino chiari segni esteriori diretti a manifestare l’animus dereliquendi, la relazione di fatto instaurata dal possessore con il fondo servente non viene meno per l’utilizzazione non continuativa quando possa ritenersi che il bene sia rimasto nella virtuale disponibilità del possessore (Sez. 2, Sentenza n. 3076 del 16/02/2005, Rv. 586433 – 01).

Anche in riferimento al requisito dell’apparenza deve ribadirsi che: Il requisito dell’apparenza della servitù discontinua, richiesto al fine della sua costituzione per usucapione, si configura quale presenza di segni visibili di opere di natura permanente obiettivamente destinate al suo esercizio, tali da rivelare, in maniera non equivoca, l’esistenza del peso gravante sul fondo servente per l’utilità del fondo dominante e non un’attività posta in essere in via precaria, o per tolleranza del proprietario del fondo servente, comunque senza animus utendi iure servitutis; tale onere deve avere carattere stabile e corrispondere, in via di fatto, al contenuto di una determinata servitù che, peraltro, non implica necessariamente un’utilizzazione continuativa delle opere stesse (Sez. 2, Ordinanza n. 32816 del 27/11/2023, Rv. 669433 – 01)>>.

Diritto di installazione dell’antenna sulla proprietà altrui come servitù coattiva di passaggio

Cass. Sez. II Sent. del 08/11/2023, n.  31.101, rel. Amato:

propongo due massime sul medesimo insegnamento:

<<In tema di servitù di passaggio di antenna a favore di radioamatore, il diritto all’installazione dell’impianto sulla proprietà esclusiva altrui deriva direttamente dall’art. 21 Cost., di talché, nei casi in cui quest’ultimo non possa utilizzare spazi propri o comuni vi è l’obbligo, da parte dei proprietari di un immobile, di consentire la collocazione di antenne sulle porzioni in loro dominio esclusivo, senza diritto all’indennizzo e senza previa autorizzazione scritta, ma nei limiti del rispetto dei diritti proprietari, ai sensi dell’art. 91, comma 3, 92, comma 7, e 209, comma 2, d.lgs. n. 259 del 2003. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO GENOVA, 27/10/2017)>>   (CED Cassazione)

oppure:

<<Con riguardo ad un edificio in condominio ed all’installazione d’apparecchi per la ricezione di programmi radio-televisivi, il diritto di collocare nell’altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dalla L. 6 maggio 1940, n. 554, artt. 1 e 3 e del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 231 (ora assorbiti nel D.Lgs. n. 259 del 2003), è subordinato all’impossibilità per l’utente di servizi radiotelevisivi di utilizzare spazi propri, giacché altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto ai proprietari. Trattandosi di un fatto costitutivo del diritto all’installazione, l’onere di provare – se del caso anche con una C.T.U. – che non sia possibile utilizzare uno spazio proprio o condominiale per l’installazione, resta a carico del soggetto che intenda effettuarla>> (Massima redazionale: non è specificato di chi,  ma credo di OneLegale, avedola ivi reperita)

Ammessa dalle Sezioni Unite la servitù prediale di parcheggio

Condivisibile il raiognamento di Cass. sez. un.  13/02/2024 n. 3.925, rel. Orilia:

<<La realitas, che distingue il ius in re aliena dal diritto personale di godimento, implica dunque l’esistenza di un legame strumentale ed oggettivo, diretto ed immediato, tra il peso imposto al fondo servente ed il godimento del fondo dominante, nella sua concreta destinazione e conformazione, al fine di incrementarne l’utilizzazione, sì che l’incremento di utilizzazione deve poter essere conseguito da chiunque sia proprietario del fondo dominante e non essere legato ad una attività personale del soggetto. In questa prospettiva, il carattere della realità non può essere escluso per il parcheggio dell’auto sul fondo altrui quando tale facoltà sia costruita come vantaggio a favore del fondo, per la sua migliore utilizzazione: è il caso del fondo a destinazione abitativa, il cui utilizzo è innegabilmente incrementato dalla possibilità, per chi sia proprietario, di parcheggiare l’auto nelle vicinanze dell’abitazione.

Quanto detto non è peraltro ancora sufficiente a individuare la servitù di parcheggio distinguendola dal diritto personale di godimento, poiché occorre guardare anche al fondo servente, il cui utilizzo non può mai risultare del tutto inibito.

Posto, infatti, che la servitù consiste nella conformazione del diritto di proprietà in modo divergente dallo statuto legale, essa non è compatibile con lo svuotamento delle facoltà del proprietario del fondo servente, al quale deve residuare la possibilità di utilizzare il fondo, pur con le restrizioni e limitazioni che discendono dal vantaggio concesso al fondo dominante. [punto teoricamente -ma probabilmente non praticamente –  interessante]

Detto in altre parole, l’asservimento del fondo servente deve essere tale da non esaurire ogni risorsa ovvero ogni utilità che il fondo servente può dare e il proprietario deve poter continuare a fare ogni e qualsiasi uso del fondo che non confligga con l’utilitas concessa. Diversamente si è fuori dallo schema tipico della servitù.

La questione si pone quindi non già in termini di configurabilità in astratto della servitù di parcheggio, ma di previsione, in concreto, di un vantaggio a favore di un fondo cui corrisponda una limitazione a carico di un altro fondo, come rimodulazione dello statuto proprietario, a carattere tendenzialmente perpetuo. È evidente, allora, che la verifica se ci si trovi in presenza di servitù di parcheggio o di diritto personale impone l’esame del titolo e della situazione in concreto sottoposta al giudizio, al fine di stabilire se sussistano i requisiti del ius in re aliena, e specificamente: l’altruità della cosa, l’assolutezza, l’immediatezza (non necessità dell’altrui collaborazione, ai sensi dell’art. 1064 cod. civ.), l’inerenza al fondo servente (diritto opponibile a tutti coloro che vantino diritti sul fondo servente potenzialmente in conflitto con la servitù), l’inerenza al fondo dominante (l’utilizzo del parcheggio deve essere, nel contempo, godimento della proprietà del fondo dominante, secondo la sua destinazione), la specificità dell’utilità riservata, la localizzazione intesa quale individuazione del luogo di esercizio della servitù>>.

Poi:

<<4.5 La tesi favorevole alla costituzione della servitù, oltre ad essere in linea con il sistema, esalta in definitiva il fondamentale principio dell’autonomia negoziale (art. 1322 cc) che, si badi bene, non sfocia in una libertà illimitata, dovendosi sempre confrontare con il limite della meritevolezza di tutela degli elementi dell’accordo.

Del resto, come già rilevato anche da queste Sezioni Unite (cfr. Sentenza n. 8434 del 2020 in una vicenda condominiale sulla concessione di un lastrico solare in godimento ad un terzo per l’installazione di impianti tecnologici), non vi è ragione per negare alle parti la possibilità di scegliere, nell’esercizio dell’autonomia privata riconosciuta dall’articolo 1322 c.c., se perseguire risultati socio-economici analoghi, anche se non identici, mediante contratti ad effetti reali o mediante contratti ad effetti obbligatori; come si verifica, ad esempio, in relazione all’attribuzione del diritto di raccogliere i frutti dal fondo altrui (che può essere conseguita attraverso un contratto costitutivo del diritto di usufrutto o attraverso un contratto attributivo di un diritto personale di godimento, lato sensu riconducibile al modello del contratto di affitto) o in relazione all’attribuzione del diritto di attraversare il fondo altrui (che può essere conseguita attraverso un contratto costitutivo di una servitù di passaggio o attraverso un contratto attributivo di un diritto personale di passaggio, cfr. Cass. 2651/2010, Cass. 3091/2014).

Il principio di tipicità legale necessaria dei diritti reali si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelle prevista dalla legge e – secondo il recente orientamento espresso dalle sezioni unite con la sentenza n. 28972 del 17/12/2020 con la quale è stato affermato che proprio per effetto della operatività del principio appena richiamato è da ritenere preclusa la pattuizione avente ad oggetto l’attribuzione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di una porzione condominiale – tale caratterizzazione è supportata anche dagli argomenti secondo i quali: l’art.1322 cc colloca nel comparto contrattuale il principio dell’autonomia; l’ordinamento mostra di guardare sotto ogni aspetto con sfavore a limitazioni particolarmente incisive del diritto di proprietà; l’art. 2643 c.c. contiene un’elencazione tassativa dei diritti reali soggetti a trascrizione.

Tornando al tema specifico della servitù di parcheggio e riprendendo il passaggio motivazionale di Cass. sentenza 6 luglio 2017, n. 16698 cit., la tesi favorevole alla costituzione della servitù di parcheggio valorizza il concetto di tipicità strutturale, ma non contenutistico della servitù. [giusto: del resto l’ampiezza dei concetto di “peso” e di “utilità” ex art. 1027 cc è inequivoca]

Sulla base di tali considerazioni, dunque, l’autonomia contrattuale è libera di prevedere una utilitas – destinata a vantaggio non già di una o più persone, ma di un fondo – che si traduca nel diritto di parcheggio di autovetture secondo lo schema appunto della servitù prediale e quindi nell’osservanza di tutti i requisiti del ius in re aliena, quali l’altruità della cosa, l’assolutezza, l’immediatezza (non necessità dell’altrui collaborazione, ai sensi dell’art. 1064 cod. civ.), l’inerenza al fondo servente (diritto opponibile a tutti coloro che vantino diritti sul fondo servente potenzialmente in conflitto con la servitù), l’inerenza al fondo dominante (l’utilizzo del parcheggio deve essere, nel contempo, godimento della proprietà del fondo dominante, secondo la sua destinazione), la specificità dell’utilità riservata, la localizzazione intesa quale individuazione del luogo di esercizio della servitù affinché non si incorra nella indeterminatezza dell’oggetto e nello svuotamento di fatto del diritto di proprietà.

Sotto quest’ultimo profilo, come già affermato da questa Corte (v. Sez. U. n. 28972 /2020 cit.), la servitù può sì essere modellata in funzione delle più svariate utilizzazioni, pur riguardate dall’angolo visuale dell’obbiettivo rapporto di servizio tra i fondi e non dell’utilità del proprietario del fondo dominante, ma non può mai tradursi in un diritto di godimento generale del fondo servente, il che determinerebbe lo svuotamento della proprietà di esso, ancora una volta, nel suo nucleo fondamentale; insomma, la costituzione della servitù, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, se pur commisurata al contenuto ed al tipo della servitù, non può, tuttavia, risolversi nella totale elisione delle facoltà di godimento del fondo servente.

Ciò posto, non vi è dubbio che lo stabilire se un contratto debba qualificarsi come contratto ad effetti reali o come contratto ad effetti obbligatori attiene all’ermeneusi negoziale, la cui soluzione compete al giudice di merito (cfr. tra le tante, SSUU Sentenza n. 8434 del 2020 cit.)>>.

Principio di diritto:

“In tema di servitù, lo schema previsto dall’art. 1027 c.c. non preclude la costituzione, mediante convenzione, di servitù avente ad oggetto il parcheggio di un veicolo sul fondo altrui purché, in base all’esame del titolo e ad una verifica in concreto della situazione di fatto, tale facoltà risulti essere stata attribuita come vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione e sempre che sussistano i requisiti del diritto reale e in particolare la localizzazione”;

Nota alla sentenza con bozza di clausola di Alessandro Torrioni in Federnotizie.

Un caso di servitù apparente (al fine dell’acquisto per usucapione)

Un’applicazione dell’art. 1061 cc trovi in Cass. sez. II, Sent. 29/12/2023, n. 36.341, rel. Varrone, circa una rampa che , passando per il fondo servente, portava al retrostante (rispetto alla pubblica via) fondo dominante:

<<La questione principale che pone il presente ricorso riguarda la censura sollevata con il primo motivo ed avente ad oggetto la sussistenza nel caso di specie del requisito dell’apparenza ex art. 1061 c.c. dello scivolo-rampa quale presupposto costitutivo dell’usucapione della servitù di passaggio oggetto della domanda.

La sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte che richiede ai fini della sussistenza del requisito dell’apparenza la presenza di opere visibili e permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio che rivelino in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile (ex plurimius Sez. 6-2, Ord. n. 11834 del 2021; Sez. 6-2, Ord. N. 7004 del 2017; Sez. 2, Sent. n. 25355 del 2017).

Nel caso di specie la Corte d’Appello, con giudizio di fatto sottratto al sindacato di legittimità, ha accertato che la rampa era destinata ad essere utilizzata per consentire il passaggio dalla strada pubblica al fondo dominante. In particolare, si legge nella sentenza impugnata che vi è un chiaro collegamento fra la strada pubblica e proprietà degli attori e che dalle deposizioni testimoniali è emerso che il fondo degli attori è posto in successione rispetto al fondo dei convenuti sul quale insiste la rampa e tale situazione logistica dimostra senza ombra di dubbio la funzione dell’opera visibile ed apparente di accesso al fondo dominante attraverso il fondo servente.

La motivazione della Corte d’Appello, insuscettibile di sindacato in fatto circa lo stato dei luoghi, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte quanto ai principi in diritto da essa affermati circa l’apparenza dell’opera, svolgendo la rampa anche la funzione di accesso al fondo dominante attraverso il fondo servente. In altri termini, nella specie, sussiste quel quid pluris che la giurisprudenza di questa Corte richiede ai fini della dimostrazione della specifica destinazione dell’opera all’esercizio della servitù e che riguarda la sua oggettiva destinazione al servizio (anche) del fondo dominante in modo da rivelare in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente (Sez. 2, n. 13238 del 2010; Sez. 2, n. 2994 del 17/02/2004)>>.

Distanze delle costruzioni dalle vedute (art. 905, 906, 907 cc)

Interessante ripasso di un argomento solo apparentemente antiqiato , ma invece ancora attuale, essendo relativo ad una sfera primordialmente importante per l’uomo (il proprio spazio vitale, di riservatezza, di prossimità con l’altro) (Cass.  sez. II sent. 12/12/2023, n. 34.717, rel. Giannaccari , da Onelegale).

Segnalo tre passaggi:

– I-

<<Come affermato da questa Corte, presupposto logico-giuridico dell’attuazione della disciplina della distanza delle costruzioni dalle vedute di cui all’art. 907 c.c. è l’anteriorità dell’acquisto del diritto alla veduta sul fondo vicino rispetto all’esercizio, da parte del proprietario di quest’ultimo, della facoltà di costruire. Pertanto, nel caso in cui l’usucapione del diritto di esercitare la servitù di veduta non sia maturata, per non essersi compiuto il termine utile, dopo l’ultimazione dell’edificio costruito sul fondo vicino, non può essere esercitato il diritto di richiedere l’arretramento dell’edificio stesso alla distanza prevista dalla citata norma. Nè vale invocare in contrario il principio della retroattività degli effetti dell’usucapione, in quanto, se è vero che l’usucapiente diventa titolare del diritto usucapito sin dalla data d’inizio del suo possesso, tuttavia i suddetti effetti sono commisurati alla situazione di fatto e diritto esistente al compimento del termine richiesto: ne consegue che se, durante il maturarsi del termine, il soggetto, che avrebbe potuto contestare l’esercizio della veduta, ha modificato tale situazione, avvalendosi della facoltà di costruire sul proprio fondo, è a tale situazione che occorre far riferimento per stabilire il contenuto ed i limiti del diritto di veduta usucapito (v. Cass. 9 aprile 1976, n. 1239).

Nel caso di specie, la Corte d’appello non ha accertato se e in base a quale titolo l’attore abbia acquistato la servitù di veduta.

La sentenza impugnata si è quindi sottratta all’onere di svolgere tale accertamento ed ha finito, quindi, per applicare la norma in tema di distanza delle costruzioni dalle vedute senza verificarne le condizioni che ne consentono l’applicazione.

2.4. Peraltro, in tema di servitù prediali, il diritto di pretendere, ai sensi dell’art. 907 c.c., l’osservanza della distanza in ordine alla servitù di veduta, acquistata per usucapione, verso il fondo del vicino, ha ad oggetto solo le nuove costruzioni, non anche le eventuali ricostruzioni di edifici demoliti, potendo questi essere ricostruiti (Cass. 12 maggio 2003, n. 7257).

Ne consegue che, durante il minimo periodo intercorrente fra la demolizione e la ricostruzione non è potuto sorgere e consolidarsi iure servitutis il diritto di veduta>>.

– II-

<<La sentenza adotta in modo indifferenziato il termine di “veduta laterale” e “veduta obliqua”.

Per distinguere tra vedute dirette, oblique e laterali la giurisprudenza di questa Corte ha adottato il criterio basato sulla posizione di chi guarda, soprattutto allorchè, come avviene appunto per i balconi, siano possibili più posizioni di affaccio: rispetto ad ogni lato del balcone si ha, infatti, una veduta diretta, ovvero frontale, e due vedute oblique o laterali a seconda dell’ampiezza angolare (Cassazione civile sez. II, 30/03/2018, n. 8010; Cass. Civ., Sez. II, 5.1.2011, n. 220).

La veduta laterale è quella che si esercita in linea retta, nella stessa direzione del muro in cui è posta, sicchè per esercitarla occorre volgere completamente il capo da una parte.

La veduta obliqua è quella che si esercita guardando non di fronte ma sul tratto che è posto a destra o a sinistra di chi guarda.

Da balconi, terrazze o da altri luoghi aperti, lo sguardo può volgersi frontalmente verso tutte le direzioni.

Mentre l’art. 905 c.c., si riferisce alle vedute dirette, le vedute oblique sono invece disciplinate dall’art. 906 c.c., per il quale la distanza “deve misurarsi dal più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto”.

Nel caso di specie, è errata l’affermazione della Corte di merito secondo cui dal balconcino posto al primo piano perpendicolarmente alla proprietà A.A. potesse esercitarsi una veduta obliqua sul cortile e sul fondo della parte della parte convenuta, essendo, invece, esercitabile solo la veduta diretta>>.-

– III –

<<Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 872 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello disposto la riduzione in pristino per la violazione delle altezze prescritte dai regolamenti locali, mentre tale violazione avrebbe potuto comportare il solo risarcimento per equivalente, previa prova rigorosa del pregiudizio subito.

3.1. Il motivo è fondato.

3.2. La Corte distrettuale ha accertato che la sopraelevazione era stata eseguita in violazione delle NTA del Comune di Sparone perchè non trovava giustificazione nel “recupero di maggiori luci nette interpiano o di riutilizzo di sottotetto a fini abitativi”, in quanto le altezze esistenti erano già abbondantemente idonee a riutilizzare il sottotetto a fini abitativi; poichè la sopraelevazione era stata eseguita in difformità del titolo autorizzativo sia in relazione all’altezza che alla volumetria, la Corte d’appello ha condannato A.A. alla riduzione dell’innalzamento del tetto fino all’altezza di colmo della costruzione previgente.

3.3. La Corte d’appello è incorsa nella violazione dell’art. 872 c.c., in quanto dalla violazione delle norme urbanistiche che disciplinano l’altezza dei fabbricati non può conseguire la condanna alla riduzione in pristino, ma solo al risarcimento dei danni.

3.4. Infatti, sono da ritenersi integrative delle norme del codice civile solo le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all’altezza e che regolino con qualsiasi criterio o modalità la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che, avendo come scopo principale la tutela d’interessi generali urbanistici, disciplinano solo l’altezza in sè degli edifici, senza nessun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi, tutelano esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini. Ne consegue che, mentre nel primo caso sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo è ammessa la sola tutela risarcitoria, previa rigorosa prova del danno subito (Cass. 18 maggio 2016, n. 10264; Cass. 16 gennaio 2009, n. 1073)>>.