Sulla redazione del rendiconto nell’associazione in partecipazione (principio di cassa o di competenza?)

Cass. sez. I, ord. 30/04/2024 n. 11.532, rel. Catallozzi, su un istituto sempre meno utilizzato:

<<- la Corte di appello ha affermato, aderendo alla argomentazione sviluppata sul punto dal giudice di primo grado, che, a sua volta, aveva fatto proprie le conclusioni della consulente tecnico d’ufficio, che in applicazione degli ordinari principi civilistici e contabili l’effetto delle “operazioni e degli altri eventi” doveva essere rilevato contabilmente e attribuito all’esercizio al quale tali operazioni ed eventi si riferivano e non a quello in cui si concretizzavano i relativi movimenti di numerario (incassi e pagamenti);

– da ciò ha fatto conseguire che i rilievi dell’associante in ordine al mancato incasso di (gran) parte del prezzo della dedotta vendita erano inconcludenti, atteso che quel che rilevava, ai fini della determinazione dei ricavi dell’associazione in partecipazione, era il dato contabile relativo a tale vendita, “rimanendo estranee le vicende relative all’effettivo incasso”;

– orbene, si rammenta che in tema di associazione in partecipazione l’autonomia che di regola si accompagna alla titolarità esclusiva dell’impresa e della gestione da parte dell’associante trova limite sia nell’obbligo del rendiconto ad affare compiuto o del rendiconto annuale della gestione che si protragga per più di un anno, ai sensi dell’art. 2552, terzo comma, cod. civ. (cfr., da ultimo, Cass. 22 giugno 2022, n. 20159);

l’obbligo di rendiconto si sostanzia nell’affermazione dei fatti storici che hanno prodotto le entrate e le uscite di denaro per effetto dell’attività svolta e il relativo saldo (cfr. Cass. 10 ottobre 2009, n. 25904; Cass. 28 aprile 1990, n. 3596; Cass. 8 marzo 1979, n. 1429), per cui, al compimento dell’affare o al termine del rapporto, non possono trovare spazio voci che non rispondono all’applicazione del principio di cassa, quali somme non riscosse per crediti insoluti;

– sotto altro aspetto, si osserva che in caso di redazione del rendiconto nelle forme del bilancio civilistico eventi successivi relativi al sorgere del relativo credito e, in particolare, il mancato incasso di (parte di) tale corrispettivo può assumere rilevanza e trovare ivi rappresentazione;

– infatti, ai sensi dell’art. 2426, n. 8, cod. civ., i crediti devono essere iscritti a bilancio secondo il “valore presumibile di realizzazione”, in base a una prognosi ex ante circa il grado di probabilità del futuro adempimento, pieno e tempestivo, del debitore, per cui il valore nominale dei crediti costituisce soltanto un parametro, da correggere prudenzialmente tenendo conto di tutti i suoi caratteri e latere debitoris (cfr. Cass. 18 marzo 2015, n. 5450; Cass. 21 aprile 2011, n. 9218; Cass. 27 novembre 1982, n. 6431);

– parallelamente, anche nella redazione del conto economico l’esistenza di circostanze, attenenti alla sfera del debitore, che rendono verosimile il mancato soddisfacimento del credito maturato nei termini originariamente convenuti assumono rilevanza imponendo, ai sensi dell’art. 2425, n. 10, lett. d), cod. civ., le “svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante…”;

– pertanto, indipendentemente dal fatto – contestato dalla controricorrente e di cui non vi è evidenza nella sentenza impugnata – relativo al dedotto fallimento della società debitrice o semplicemente di una sua difficoltà nei pagamenti, va ritenuto che, differentemente da quanto statuito dalla Corte territoriale, eventi successivi al perfezionamento delle operazioni – quali il mancato pagamento di crediti – possono assumere rilevanza nella parte in cui esprimono il risultato effettivo dell’attività oggetto dell’associazione in partecipazione e, dunque, incidono sull’utile derivante dalla stessa;>>