Società di fatto holding personale occulta: indici rivelatori

Qualche indicazione sul sempre complesso argomento in oggetto si trova in Cass. 14.365 del 25.05.2021, rel. Amatore.

La corte di appello aveva  ricordato la <<ricostruzione fattuale posta dal tribunale a sostegno dell’estensione del fallimento alla predetta società di fatto (s.d.f.): i) i coniugi T.C. e S.E., con i figli El. e S., avevano creato una società di fatto holding occulta la cui funzione era quella di esercitare l’attività di direzione e coordinamento rispetto alle quattro “società di famiglia”: l’impresa S. s.r.l. (il cui fallimento era il creditore istante del fallimento oggi contestato), la Costruzioni S. s.a.s. di T.C., la Essetivi s.r.l. e la Impianti sportivi s.r.l., tutte società i cui soci erano i membri della famiglia S.; ii) il fallimento istante aveva invero affermato, quale titolo legittimante la richiesta di fallimento, il credito risarcitorio ex art. 2497 c.c., nascente dai danni conseguenti dalla predetta illegittima attività di direzione e di controllo che aveva arrecato pregiudizio economico alla società controllata anch’essa fallita>>

Gli indici rivelatori della società di fatto occulta sono stati dai giudici di merito così individuati (con motivazione approvata dalla SC): <<la doglianza non è meritevole di accoglimento posto che la corte di merito ha spiegato, in modo esaustivo e con valutazioni in fatto qui non più censurabili, quali fossero gli indici rivelatori di una società di fatto svolgente funzione di direzione e di controllo delle altre società del gruppo familiare S., e ciò con particolare riferimento alle due operazioni “rivelatrici”:

1) la prima relativa all’effettuazione di prelievi, dal 2004 al 2011, da parte dei soci della impresa s. s.r.l. di liquidità senza l’effettiva produzione di utili (per un importo complessivo pari ad Euro 2.300.000), con successivo accollo dei relativi debiti dei soci da parte delle altre due società Esseviti e Costruzioni S. s.a.s., senza alcuna giustificazione economica e con l’ulteriore conseguenza che i crediti non venivano soddisfatti ma solo registrati con una operazione di “giroconto” contabile e con la successiva operazione di trasferimento immobiliare in favore della impresa S. s.r.l. da parte della Costruzioni S. s.a.s. che doveva considerarsi corrispondente ad un valore economico nullo;

2) la seconda operazione posta in essere nel 2008 che, per effetto della scissione societaria, aveva visto la impresa S. s.r.l. trasferire alla neocostituita Costruzioni S. s.a.s. alcuni immobili tra cui il capannone industriale in cui si svolgeva l’attività sociale e nel 2013 la S. s.r.l. trasferire alla neocostituita S. Impianti Sportivi s.r.l. il principale ramo d’azienda per un canone di affitto non congruo. Con la conseguente valutazione secondo cui le predette operazioni di accollo dei debiti personali dei soci da parte delle società del gruppo e la vendita dell’immobile ad un valore pari al doppio del valore di mercato evidenziano la commissione di operazioni prive di significato economico ed anzi mettevano in luce l’esistenza di una società occulta volta alla direzione e al controllo economico delle società del gruppo societario familiare.>>, § 13.3.1.

Sulla necessità della partecipazione di tutti i soci: <<Invero, è stato affermato che la mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perchè possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l’esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio dell’attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (artt. 2270 e 2305 c.c.), l’unica particolarità della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17925 del 12/09/2016).>>, § 1.3.2.

Ci sono poi intressanti considerazioni sul profilo processuale (contraddittorio e censurabilità in cassazione della violazione del termine libero ex art .15 l.f.)

Vivendi/Telecom: interviene il Consiglio di Stato sull’accertamento del “controllo di fatto”

Nella saga Vivendi/Telecom (una delle due della campagna d’Italia dell’impresa francese, l’altra essendo quella con Mediaset)  si è pronunciato il Consiglio di Stato a chiudere una lite un po’ particolare

E’ intervenuto in appello sulla decisione TAR , la quale esaminava la legittimità del provvedimento Consob 13 settembre 2017, in cui il rapporto partecipativo di Vivendi in Telecom veniva accertato costituire un controllo di fatto: ciò sia ai sensi dell’art. 2359 codice civile che dell’articolo 93 TUF che infine della disciplina in materia di operazioni con parti correlate ex  reg. Consob 17221/2010

Si tratta di  Cons. St. 14.12.2020, RG 6507/2019,  numero 7972/2020 Reg. prov. coll.

L’impugnativa di Telecom e Vivendi deduceva l’illegittimità per violazione del principio di legalità (Consob avrebbe eseguito tale accertamento senza averne alcun potere) e delle regole di partecipazione nel procedimento,  pagina 8/9 (più analiticamente all’inizio del § 6)

Quanto al primo punto, il collegio dice che, tramite la teoria dei poteri impliciti, la base legale per l’accertamento inerente a Vivendi/Telecom può essere ravvisata,  pagina 21. Precisa però, quasi sentisse di aver per qualche motivo osato troppo: <<nondimeno, tale base rimane debole, in quanto, nella specie, non risultano espressi né il corollario della nominatività né quello della tipicità>>. Trattasi di correzione assai strana, a conclusione della precedente affermazione , che complessivamente rende il giudizio perplesso e non chiaro.

Lascia molto perplessi anche tecnicamente, perché la base legale o c’è o non c’è in sede giudiziale; potrà discorrersi di <tesi debole> in sede dottrinale ma non in sede giudiziale in cui , se la questione è rilevante per il decidere, la base legale o c’è o non c’è.

In ogni caso è vero che la base normativa del potere, per l’emissione di provvedimenti accertativi in situaizoni come qualla de qua, non è affatto chiara.

Quanto al secondo punto , il collegio ritiene violato il dovere di far partecipare i soggetti interessati, per cui annulla il provvedimento impugnato , pagina 24 informatico

Scopo delle società, doveri degli amministratori e short-termism: prossima azione regolatoria UE?

La Commissione UE ha incaricato Ernst & Young di effettuare uno studio sulla questione del se  l’attività di impresa sia oggi  viziata da short termism (visione e progettualità a breve termine) e, in caso positivo, se ciò sia fonte di conseguenze negative.

La risposta (poco sorprendentemente) è positiva ad entrambe le domande, come emerge dal report finale <<Study on directors’ duties and sustainable corporate governance-Final report>>, 29 luglio 2020.

Short-termism (poi: s.t.) viene individuato e quantificato <<by looking at the evolution of the amount of net corporate funds being used for pay-outs to shareholders (in the form of dividends or shares buybacks) compared with the evolution of the amount used for the creation of value over the life cycle of the firm, namely through investment in infrastructure, workers training, Research and Development (R&D), and investments in sustainability>>, § 3.1.1.1, p. 9.

Le conseguenze negative sarebbero:

  • a livello ambientale: <Literature connects short-termism to unsatisfactory response to environmental issues both at individual55 (i.e. the psychological tendency of individuals to focus on the short-term and consequently neglect sustainability issues) and organisational level56 (i.e. the factors leading firms to prioritise short-term profits at the expense of long-term objectives)>>, p. 22;
  • a livello sociale: <<There is a substantial body of literature (though mainly focusing on the US context) linking shareholder primacy in corporate governance, the “financialisation”85 of the global economy, and increasing social inequalities.86 From a social perspective, short-termism exacerbates inequalities. In a context where share ownership is concentrated in the richest households (such as in the US), achieving higher share prices and larger dividend pay-out – the main objective of corporate executives focused on the short-term – is beneficial to a just small fraction of a country’s population (the share owners) and contributes to deepen the existing socio-economic cleavages>>, p. 26;
  • a livello economico: <<Short-termism has serious adverse economic effects on companies, their shareholders and their stakeholders, and undermines the macroeconomy. As discussed in section 3.2, the strength of the social norm of shareholder primacy in corporate governance theory and practice, combined with growing pressures from institutional and activist investors increasingly focused on the short-term market value of the shares, places intense pressure on corporate boards to prioritise the market valuation of the company and focus on short-term financial performance, driving down all other costs, at the expense of better employee compensation and stronger investments that are important for long-term productivity>, p. 28.

Il ruolo delle imprese è notevole per conseguire i relativi United Nations Sustainable Development Goals  : <as described in the previous sections, corporate short-termism is among the factors that hinder the achievement of environmental, social and economic sustainability. Without companies abandoning the business-as-usual and proactively embracing and promoting the sustainability transition, it will be hard to achieve such ambitious sustainability goals in the near future>, p. 30.

Le cause dello s.h. sarebbero:

  • Directors’ duties and company’s interest: <In all jurisdictions, the core duty of the board is to protect and promote the interests of the company. Numerous multijurisdictional studies underline how the prevalence of shareholder primacy in companies hinders their long-term contribution to sustainability and influences the interpretation of the concept of “company’s interest”. This has been increasingly understood as the maximisation of shareholder value in the short term. This social norm has been thought to be a legal provision, even if no jurisdictions prescribe this>, p. 32
  • Pressure from investors: <As far as investors are concerned, the growing importance of institutional investors correlates with a shortening of investor engagement in companies, in terms of shorter tenue of shares and increased frequency of portfolio turnovers, as described by economic data and findings surmised from the literature review. These developments, combined with the increased role played by activist investors – like activist hedge funds – having an explicit short-term orientation, determined an overall dynamic in which investors with a short-term focus exert pressure on boards to focus on short-term shareholder value maximisation and distribution, rather than on long-term value creation>, p. 33;
  • Sustainability strategy, sustainability targets and estimation of sustainability risks and impacts: <Embedding sustainability aspects in business strategy, or setting a sustainability strategy,124 as well as setting measurable targets, seems to be a key step for companies to reduce sustainability-related risks and negative impacts, maximise opportunities, and move their business beyond short-term focus and create value in the long term. However, as shown by the legal review, with a few exceptions, national regulatory frameworks do not enshrine an obligation for companies to adopt and disclose a sustainability strategy. This implies that the adoption of a sustainability strategy, including the identification of science-based ESG targets and their alignment with “global” goals (e.g. the SDGs), is in most cases left to the voluntary initiative and discretion of the companies thus generating a fragmented picture>, p. 34;
  • Board remuneration: <<The current structure of executive pay is also identified in part of the literature as a key driver behind short-termism. A substantial strand of literature argues that share-based remuneration of executives reinforces, rather than works against, the capital market pressure for maximisation of  returns to shareholders in the short term. Share-based remuneration schemes create incentives for executives to focus on shareholder value maximisation and manage corporate resource in a way aimed to increase share price, benefiting themselves and the shareholders, at the expense of investments that are necessary for the long-term sustainability of the company>, p. 36;
  • Board composition: <As highlighted by the findings of the literature review,  board composition is key to promote a shift towards greater business sustainability and long-term focus. A diversified board with a wide range of relevant skills and experience is important to challenge the business-as-usual, avoid group think, and raise questions in terms of the long-term sustainability and value creation. Data from the literature suggest that in most companies the board lacks competence and expertise in sustainability matters and is still largely dominated by men. Concerning sustainability expertise, although there is lack of granular data, the literature indicates that companies where the board includes at least one member with ESG, ethics or sustainability experience, or where there is a board-level committee or advisory body with ESG-related responsibilities, are a minority>, p. 36;
  • stakeholder involvement: <As highlighted by the literature, the prominence of shareholder primacy in corporate governance and the pressure it generates to pursue short-term profit maximisation leads board members not to take sufficient account of the long-term interests of stakeholders other than shareholders (such as employees, creditors, suppliers, customers and the society at large as well as the environment).     This can have negative consequences on the long-term success of a company, as it might undermine its social license to operate. As a matter of regulatory frameworks, it is argued in the literature that, to some extent, a duty for directors to take the interests of all stakeholders into account is recognised, in some form or another, in all EU jurisdictions.>, p. 37. Un maggior coinvolgimento degli stakeholders <can help companies to counterbalance pressure from financial markets and short-term investors and give “voice” – if not representation – to subjects with a strong interest in the long-term sustainability of the company>, p. 37;
  • l’enforcement, alquanto problematico: <As a consequence, enforcement of the company’s claims against its directors faces two major problems: conflict of interest (obvious in the case of one-tier board structure, where the board brings the company’s claim against its own member), and collective action (in case of derivative actions, the shareholders who bring the legal action bear all costs, while benefits from the claimant’s efforts accrue also to passive shareholders). As reported in the literature, due to these obstacles, enforcement levels are currently low in all Member States.   In the current context, stakeholders of the company (other than shareholders) lack legal standing to enforce directors’ duty of care, even when they have a legitimate interest in the long-term sustainability of the company. This means that stakeholders such as employees, local communities, etc. lack enforcement mechanisms to effectively ensure the protection of their legitimate interests in corporate activities, and therefore to exercise substantial influence over the board and board members and keep them accountable>, p. 38.

Ciò visto, è necessaria un’azione a livello europeo per i motivi spiegati a p. 44 segg.

Seguono possibili soluzioni, dalla più morbida a quella più rigida (a livello legislativo): § 4.4. segg., p 50 ss

Non mancano critiche : v. il dibattito aperto su questo Report dall’Oxford Business Law Blog e qui i post ad es. di Roe-Fried-Spamann-Wang, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘The European Commission’s Sustainable Corporate Governance Report: A Critique’ del 20.10.2020 oppure Richter-Ohnemus-Thomsen, EC Corporate Governance Initiative Series: ‘A Response From the Copenhagen Business School’ del 26.10.2020.

Big tech companies e operatività nel quinquiennio 2015-2019

Interssante studio (slides) di Mediobanca (poi: M.) sulle websoft (Software & WebCompanies) e sull’impatto del Covid 19 nel primo semestre 2020: LA RESILIENZA DEI GIGANTI DEL WEBSOFT ALLA PANDEMIA SOFTWARE & WEB COMPANIES (2015-2020), 14.10.2020.

Con molti grafici assai chiari. Sarebbe interessante capire -e trasparente per M far capire-  dove M. abbia preso i dati grezzi di partenza.

Primo datore di lavoro è Amazon. p. 16.

Il succo è che (non stranamente) la presa delle Big Tech (o Websoft, per usare la terminologia di Mediobanca) sull’economia mondiale non sta calando, bensì aumentando: anche e sopratuttto con la pandemia da covid 19 (anche questo, tutt’altro che strano: si v. l’impennata di utilizzi di Zoom, Microsoft Temas e VPN, p. 19, e le variazioni 1H 2020 VS 1H 2019 , p. 20, v. poi anche p. 26)

A p .34-35 l’enco delle websoft in Italia.

Alla sezione 6 , v. i dati sulla corporate social responsibility, p. 40 ss.

 

Valutazione comparativa ex art. 2378 c. 4 c.c. per la sospensione cautelare di delibera societaria impugnata: un caso recente

Nella lite ormai annosa Vivendi c. Mediaset ( su cui v. miei post del 10.09.2019 e del 16.01.2019), un recente provvedimento cautelare milanese applica il bilanciamento tra l’interesse dell’impugnante e quello della società resistente, disposto dall’art. 2378 c. 4.

Si tratta dell’ordinanza di Trib. Milano  03.02.2020, giudice : d.ssa Riva Crugnola, procc. riuniti RG 33508/2-3-4-5 del 2019.

Secondo la  disposizione appena citata, <<il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e sindaci, provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la societa’ dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione; puo’ disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l’eventuale risarcimento dei danni.>>
Il tribunale con la cit. ord. 03.02.2020, a scioglimento della riserva assunta all’udienza di due giorni prima, nega la cautela.
La domanda di merito mira a annullare due delibere dell’assemblea soci di Mediaset spa: <<procedimenti cautelari riuniti qui in esame riguardano la richiesta di sospensione ex art.2378 cc delle due delibere adottate dall’assemblea dei soci di MEDIASET SPA rispettivamente il 4.9.2019 e il 10.1.2020,
la prima recante approvazione del progetto di fusione transfrontaliera tra MEDIASET SPA (d’ora in avanti anche solo MEDIASET) e MEDIASET ESPANA COMUNICACION SA (d’ora in avanti anche solo MESPANA) con incorporazione di entrambe nella società olandese destinata ad essere ridenominata MEDIAFOREUROPE NV (d’ora in  avanti anche solo MFE),
la seconda recante approvazione di modifiche allo statuto di MFE post-fusione a seguito dei rilievi svolti dalle socie di MEDIASET impugnanti la prima delibera, VIVENDI SA e Simonfidspa>>, pp. 4-5.
Secondo Vivendi, la delibera è abusiva sostanzialmente perchè ha lo scopo di rafforzare i poteri della maggioranza (in base al più favorevole diritto olandese) senza corrispondere ad alcun progetto industriale , p. 6/7.
Secondo Mediaset invece ci sono solide ragioni di business legate soprattutto alla necessità aumentare la dimensione aziendale. Inoltre l’incoremento di potere corporativo della maggioranza è compensato da specifici diritti per le minoranza, p. 8/9.
Il Tribunale inizia a dire che le delibere vanno considerate unitariamente, p. 9.
Passa poi ad esaminare i pericula (per Mediaset dalla sospensione e per Vivendi dalla non sospenszione) per conclduere che il primo è maggiore del secondo, soprauttto perchè -a differenza da esso- non è risarcibile.
Infatti il rimedio risarcitorio per Vivendi esiste, mentre per Mediaset <<l’impossibilità di procedere alla fusione derivante dalla sospensione delle due delibere  impugnate rappresenterebbe (…) un evento senz’altro  pregiudizievole in termini non solo organizzativi ma anche industriali ed economici, in particolare impedendo uno sviluppo dimensionale ritenuto  indispensabile nel mercato di riferimento e, comunque, risolvendosi nel “blocco” di una iniziativa ampiamente illustrata ai mercati con tutte le ovvie conseguenze anche in termini di valutazione da parte degli stessi mercati; tale pregiudizio, in quanto attinente allo stesso sviluppo trans-nazionale dell’attività imprenditoriale propria della convenuta, o sviluppo la cui evoluzione secondo le linee da tempo programmate sarebbe bruscamente impedito, appare dunque al Tribunale particolarmente rilevante e non suscettibile di futura riparazione risarcitoria adeguata, incidendo sulle stesse modalità di esercizio dell’impresa, i cui risultati alternativi sarebbero -per le innumerevoli varianti da considerare- di difficilissima se non impossibile quantificazione nel caso -all’esito dei procedimenti di merito- le delibere impugnate fossero ritenute valide>>, p. 10.
In sintesi <<all’esito della comparazione dei pregiudizi ex art.2378 cc sono dunque ravvisabili: – da un lato, per la convenuta MEDIASET, un pregiudizio attinente allo stesso funzionamento dell’ente ed alle sue prospettive di sviluppo, come tale da considerare irreparabile; – dall’altro un pregiudizio per le impugnanti riconducibile al minor peso della loro partecipazione post-fusione, risolventesi in un minor valore della partecipazione suscettibile di rimedi risarcitori, con esito finale, dunque, nel senso della maggior rilevanza del pregiudizio che si verificherebbe in capo alla convenuta in caso di accoglimento delle istanze cautelari, istanze che vanno quindi rigettate>>, p. 11.
Concludo ricordando l’interessante questione posta da Vivendi: l’operazione di fusione con spostamento della sede in Olanda avrebbe il solo scopo di incrementare i poteri dei soci di maggiorenza, senza ulteriori scopi industriali. Il che attiene allo scopo della società: che di solito è individuato in quello di fare profitti e, oggi va aggiunto, di farli in modo sostenibile [precisazione densa di conseguenze giuridiche].
Sul purpose of the company v. il post <<A Fuller Sense of Corporate Purpose: A Reply to Martin Lipton’s ‘on the Purpose of the Corporation’>> di Bernard S. Sharfman del 9 giugno nel blog di Oxf. Univ.  che risponde a due post di Martin Lipton (uno dei più noti avvocati di diritto societario statunitense), ivi linkabili.

Le informazioni non finanziarie, obbligatorie per le grandi imprese, non modificano la ricostruzione dell’interesse sociale

La Direttiva UE 2014/95 del 22.10.2014 aveva introdotto l’obbligo per le imprese di maggiori dimensioni (“enti di interesse pubblico” e con almeno 500 dipendenti) di fornire annualmente alcune informazioni di carattere non finanziario, essenzialmente relative agli aspetti c.d  ESG (Environmental, Social, Governance).

Tale dir. modifica la Dir. 2013/34/UE del 26 giugno 2013 , relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese.

la Direttiva è stata recepita con il decreto legislativo 254 del 2016.

In particolare secondo l’art. 3 del d. lgs. 254, <<1. La dichiarazione individuale di carattere non finanziario, nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attivita’ di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta, copre i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, che sono rilevanti tenuto conto delle attivita’ e delle caratteristiche dell’impresa, descrivendo almeno: a) il modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attivita’ dell’impresa, ivi inclusi i modelli di organizzazione e di gestione eventualmente adottati ai sensi  dll’articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, anche con riferimento alla gestione dei suddetti temi;b) le politiche praticate dall’impresa, comprese quelle di dovuta diligenza, i risultati conseguiti tramite di esse ed i relativi indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario;c) i principali rischi « ivi incluse le modalità di gestione degli stessi, generati o subiti, connessi ai suddetti temi e che derivano dalle attivita’ dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi o rapporti commerciali, incluse, ove rilevanti, le catene di fornitura e subappalto(1); 2. In merito agli ambiti di cui al comma 1, la dichiarazione di carattere non finanziario contiene almeno informazioni riguardanti: a) l’utilizzo di risorse energetiche, distinguendo fra quelle prodotte da fonti rinnovabili e non rinnovabili, e l’impiego di risorse idriche;b) le emissioni di gas ad effetto serra e le emissioni inquinanti in atmosfera;c) l’ impatto, ove possibile sulla base di ipotesi o scenari realistici anche a medio termine, sull’ambiente nonche’ sulla salute e la sicurezza, associato ai fattori di rischio di cui al comma 1, lettera c), o ad altri rilevanti fattori di rischio ambientale e sanitario;d) aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, incluse le azioni poste in essere per garantire la parita’ di genere, le misure volte ad attuare le convenzioni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, e le modalita’ con cui e’ realizzato il dialogo con le parti sociali;e) rispetto dei diritti umani, le misure adottate per prevenirne le violazioni, nonche’ le azioni poste in essere per impedire atteggiamenti ed azioni comunque discriminatori;f) lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva, con indicazione degli strumenti a tal fine adottati.>>

 Alcuni hanno sostenuto che questo modificasse il concetto di <<interesse sociale>> , al centro del diritto societario: lo scopo delle attività in comune non sarebbe più solamente quello di soddisfare i soci soddisfazione (che può prendere pieghe diverse come ad esempio shareholder value e/o livello dei profitti). Si è ipotizzato infatti che potessero rientrare tra gli interessi da perseguire da parte degli amministratori (in quanto pattuiti dai soci) anche interesse riconducibili a soggetti diversi.

Così però non è.

La Direttiva e la normativa di recepimento si limitano a porre dei limiti esterni all’autonomia privato-imprenditoriale dei soci (non rileva qui appurare se coincide ha sempre con questa iniziativa del management che potrebbe anche divergere). Non emergono soggetti diversi titolari di posizioni giuridiche, che gli amministratori debbano rispettare se non addirittura promuovere

Anzi,  come un recente studio evidenzia (Maugeri M., Informazione non finanziaria e interesse sociale, Rivista delle società, 2019, 5-6, 992 ss), la normativa vuole proprio tutelare l’interesse dell’investitore “tipologicamente istituzionale”.  Dato infatti che gli interessi socio-ambientali sono percepiti come sempre più decisivi per l’andamento dell’attività, la disclosure di informazioni in tal senso è finalizzata a rendere più informata e quindi efficace la scelta di investimento degli investitori (ivi, § 5, spt. 1024-1025).

Le relative scelte, che spetteranno agli amministratori, saranno governate dalla nota business judgment rule e cioè saranno censurabili solo se irragionevoli (in un’ottiva ex ante, naturalmente, per no nessere viziate dal senno di poi, hindsight bias) o se manchevoli di base informativa adeguata.