Violazione del dovere di gestione conservativa da parte del liquidatore (art. 2486 cc)

Cass, n. 198 del 05.01.2022 , rel. Fidanzia, affronta la non facile questione del riparto di onere probatorio (ma anche allegatorio) per la curatela, quando cita in giudizio il liquidatore per violazione del dovere di gestione conservativa.

< 3. (….) In ordine al primo requisito, va osservato che questa Corte ha specificamente affrontato la questione degli oneri di allegazione e probatori relativi alla violazione dell’obbligo dell’amministratore, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, di porre in essere solo operazioni di natura conservativa dell’integrità e del valore del patrimonio nella pronuncia n. 2156/2015, nella quale è stato perentoriamente affermato che la sentenza che ponga a carico della curatela l’onere di dimostrare l’assenza della finalità liquidatoria degli atti posti in essere dagli amministratori incorre nella violazione del precetto legale sulla ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., ed è come tale censurabile in Cassazione per violazione di legge.

E’ stato, in particolare, osservato che la parte che agisce in giudizio (la curatela) ha l’onere di allegare e provare l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioè la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuta, invece, a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d’impresa e non abbiano una finalità liquidatoria. Spetta, infatti, agli amministratori convenuti di dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari.>>

Questione difficile, probabilmente non scioglibile in generale, ma solo in base ai fatti specifici dedotti: per alcuni di essi, spetterà alla curatela l’onere di provare la violazione;  per altri, spetterà al liquidatore provare che , nonostante l’apparenza, l’atto censurato era coerente col fine conservativo.

Un caso di annullamento di delibera assembleare per abuso di maggioranza

Gli annullamenti di delibere societarie per abuso di potere da parte della maggioranza sono rari, avendo gli impugnanti un onere provatorio arduo.

Però Trib. Milano 24.3.2021 n. 2488/2021, RG 3794318, riesce in tale senso: il riporto a nuovo degli utili per il quinto ano consecutoivo e quindi l’omesa distribuzione, in assenza di motivo palusibile, è abusivo e la delbiera è anullata.

L’abuso sussiste <<se la decisione a) non trova alcuna giustificazione nell’interesse della società; b) è il risultato di una intenzionale attività dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli ( Cass 27387/2005 e in questo senso anche Tribunale Torino sentenza n. 2100/2017). Ritiene il Tribunale che la delibera 24 aprile 2018 di Ser-Fid impugnata, autonoma anche se dipendente da quella di approvazione del bilancio di esercizio da cui emergono gli utili conseguiti, sia effettivamente viziata da abuso del diritto da parte della maggioranza non trovando proprio alla luce delle spiegazioni offerte in comparsa di costituzione dalla società, non contestate nei suoi presupposti di fatto dalla difesa dell’attore , giustificazione se non nel contrasto tra il gruppo dei soci che costituiscono la maggioranza e De Lillo socio di minoranza al 9,5%.    Infatti, la società ha allegato che la decisione di non distribuire gli utili si fonda sulla scelta di prudente politica societaria volta a garantirle la disponibilità liquida per far fronte alla sua ordinaria attività sociale di finanziaria esercente attività fiduciaria iscritta all’albo ex art 106 Tub e per poter anticipare ogni anno gli acconti fiscali dovuti dai clienti in relazione ai redditi di natura finanziaria provenienti dal risparmio amministrato.

Ebbene, va osservato, pur senza sindacare la descritta politica societaria, che l’esigenza di garantire alla società liquidità necessaria per far fronte ai suoi impegni quanto all’esercizio 2017, non necessitava la decisione di portare a nuovo i contenuti utili di € 81.232,00 considerando che, come segnalato dalla difesa dell’attore, la società aveva una disponibilità liquidità di € 5.123.038 a fine esercizio 2017 (doc.2 convenuta) con un incremento di circa un milione dall’esercizio precedente; si tratta di componente del patrimonio di immediata disponibilità ed utilizzabilità che garantiva il bisogno di risorse per far fronte all’anticipo fiscale per i clienti, considerando che la società ha evidenziato i valori di questi anticipi in un  importo di 4 milioni di euro nel 2015. La società era, inoltre, ben patrimonializzata (patrimonio netto ammontante a € 4.188.007, come emerge dal bilancio 2017 (doc.12 fasc.att)).

La rilevante disponibilità di liquidità è certamente anche il risultato delle pregresse e indiscutibili decisioni di non distribuire gli utili, ma la sistematica negazione della distribuzione dei dividendo diviene illegittima nel 2018 in quanto in sé non si giustifica più avendo la società raggiunto l’obiettivo che si era posta di avere adeguate risorse disponibili in via immediata che il modesto incremento di 81.000,00 non modifica nella sostanza, tanto più che la delibera è assunta in una situazione di forte conflitto tra i soci della famiglia Paganini/Pizzoccaro componenti la maggioranza da un lato e De Lillo, socio di minoranza
dall’altro.

La delibera valutata in questo contesto e dati gli elementi di fatto descritti (forte
patrimonializzazione della società, ingente somma liquida a disposizione, importo residuo degli utili portati a nuovo) risulta priva di una giustificazione causale nell’ottica del perseguimento degli interessi sociali, risulta assunta non nell’interesse dichiarato in atti della società, già conseguito alla data della delibera, ma per fini extrasociali e vessatori verso De Lillo nei cui confronti pendevano richieste volte a fargli retrocedere le azioni alla donante Pizzoccaro, essendo venuto meno il legame con Laura Paganini (figlia della Pizzoccaro) dalla quale si stava separando (doc. 13 attore).

Il vizio di abuso di potere che inficia la delibera 24 aprile 2018 dell’assemblea di Sr-Fid nella parte in cui stabilisce “di riportare a nuovo tutto l’utile netto di esercizio di euro 81.232,00” è causa di annullamento della stessa>>.

Operazioni baciate e induzione all’acquisto da parte della negligente revisione della banca: fattori causalmente incompatibili e quindi reciprocamente escludentisi

Trib. Milano 7706/2021 del 27.09.2021, RG 57282/2018, Bi.A s.a.s. di G. Bianchi & C. (già BIANCHI ANTONIO S.p.A., c. KPMG, esamina la domanda di un imprenditore contro il revisore della Popolare Vicenza, tristemente nota alle cronache, basata sulla negligente revisione , che non lo avrebbe disincentivato dall’acquisto di azioni Pop. Vi. (come sarebbe successo invece in caso di revisione diligente).

La difesa dell’attore però non si era avveduta di aver provato e forse pure allegato che le azioni erano state acquistate dietro specifico accordo con la banca stessa (al ppari di molti altri casi , riferiti sui media: c.d. operazioni baciate): ciò per mantenere o ottenere ulteriori finanziamnenti) , visto che -allo scopo- la banca “spingeva” le imprese ad acquistare proprie azioni e  pure finanziava gli acquisti stessi.

Questo fu dunque il motivo di acquisto delle azioni, non il silenzio del revisore.

Il giudice rigetta dunque la domanda per assenza del nesso di causa tra condotta di KPMG e danno. Non sono esaminati altri problemi (titolo contrattuale o aquiliano, esistenza o meno della allegata negligenza etc.).

Toccava al’attore provare che , nonostante questa apparenza prima facie, era stato  rilevante anche la macnata sollvevazione di censure da parte del reivisor: <<a fronte di ciò, incombeva sull’attrice un preciso e più stringente onere diallegare, e dimostrare, che nonostante tutto ciò essa avesse accettato di acquistare leazioni e le obbligazioni convertibili della propria banca finanziatrice, con la finanzamessale a disposizione dalla stessa, soltanto per aver contestualmente verificato,attraverso l’analisi dei bilanci approvati nell’aprile del 2013 (e poi del 2014), che sitrattava di titoli che avrebbe poi eventualmente potuto negoziare con facilità sul mercatofinanziario; e che a ciò l’avesse in concreto determinata (se non soltanto, anche)l’opinion senza rilievi di cui il revisore legale aveva sempre gratificato i bilanci di BPV.Ma di tale allegazione non v’è traccia nelle difese dell’attrice, trinceratesi nellanegazione dell’evidenza; e sarebbe del resto smentita dall’ulteriore evidenza che talititoli, come risulta -ove ve ne fosse il dubbio- dagli stessi estratti del dossier titolicitato, avevano un prezzo di carico “non liquido”  – né erano del resto quotati sumercati regolamentati.Quanto sopra, nel caso concreto e alla luce di tutti gli elementi di prova -confessoria,documentale e presuntiva- sopra esaminati, esclude che possa individuarsi nel negligenteassolvimento di KPMG ai propri obblighi di legge la causa determinante, o almeno unaconcausa eziologicamente rilevante, degli acquisti azionari e obbligazionari de quibus;effettuati da BiA con provvista messale a disposizione dalla stessa banca emittente alsolo, condiviso e accettato scopo godere, o continuare a godere, delle facilitazionicreditizie che le garantivano, sotto il profilo finanziario, di continuare ad operareimprenditorialmente.Il che, tradotto nel paradigma dell’azione risarcitoria richiamato nell’incipit delpresente paragrafo e con rilievo dirimente rispetto ad ogni altra questione dibattuta incausa, consente conclusivamente di ritenere che un fattore del tutto estraneo alla attivitàdel revisore si sia inserito, con efficacia eziologica esclusiva ed assorbente, nella seriecausale che ha condotto BiA ad effettuare gli acquisti azionari e obbligazionari inesame; sicché KPMG va assolta da ogni domanda qui rivoltale, senza necessità diulteriore istruttoria>>

Nemmeno è esaminato il punto se vi fosse stato o no in capo all’imprenditore un consenso realmente libero all’operazioni baciata proposta dalla banca: difficile però (ma non astrattamente impossibile) parlare di violenza, parrebbe.

L’interesse sociale coincide con quello dei soci (attuali)?

La risposta è sostanzialmente positiva per Trib. Milano 0.09.2021, n° 7201/2021, RG 75268/2015, ASAM – AZIENDA SVILUPPO AMBIENTALE E MOBILITA’ SPA c. amminstratori e sindaci.

la domanda è avanzata ex art. 2392 cc. da una società pubblica partecipata da Provincia Milano ( poi da Regione Lombardia) e a sua volta deteneva  partecipazioni in altre società pubbliche.

Ebbene, quanto all’oggetto:

<<La natura e i connotati pubblicistici specifici di tale gruppo impongono una valutazione dell’interesse sociale, inteso come interesse delle singole società controllate, che non può prescindere dall’interesse (comune) degli enti controllanti, che si sono avvalsi per meglio gestire i servizi di trasporto pubblico di tale forma di organizzazione. [n.d.s.: errore, conta l’interesse dei soci, non delle società partecipate]

La totalità dei soci, i titolari di tutti le azioni di ASAM, senza eccezione alcuna (e dunque in quel momento la società stessa) hanno (ha) approvato l’operazione straordinaria di diminuzione del capitale sociale. Quale danno ora può chiedere la società agli amministratori sottoposti al volere dell’unanimità dei soci?

Né può la società far valere la lesione di interessi di terzi, ovvero dei creditori (i finanziatori) di ASAM, dal momento che certo non è legittimata ad agire in sostituzione di questi, i quali peraltro – pur potendo – non hanno attivato le tutele a loro disposizione, non avendo neppure tentato di proporre opposizione ex art. 2445 c.c. all’operazione di riduzione del capitale sociale.

L’addebito svolto nei confronti degli amministratori si riduce dunque all’aver agito nell’esclusivo interesse dei soci, sacrificando l’interesse della società. Ma a ben guardare, e dovendo il giudizio necessariamente presupporre una valutazione ex ante della ragionevolezza delle decisioni degli organi sociali, non può non osservarsi che nel momento in cui il c.d.a ha autorizzato l’intera operazione non era dato distinguere interesse della società da quello dei soci che all’unisono chiedevano si procedesse nel senso indicato.>>, p. 36.

La Cassazione sulla responsabilità civile dei sindaci di sp.a. (quasi una lectio magistralis)

Cass. 24.045 del 06 settembre 2021 interviene sulla responsabilità dei sindaci di spa (art. 2407 cc., essenzialmente  comma 2).

Nulla di innovativo ma un ripasso approfondito.

E’ ante riforma 2003 ma il testo è  uguale nella parte pertinente della disposizione.

Due soprattutto sono i  punti da cogliere.

Il primo riguarda il nesso di causalità :

quando  il  danno  non  si  sarebbe
prodotto se essi avessero  vigilato  in  conformita'  degli  obblighi
della loro carica.

Ebene: << In altri termini, perché sussista il nesso di causalità ipotetica tra l’inadempimento dei sindaci ed il danno cagionato dall’atto di mala gestio degli amministratori, nel senso che possa ragionevolmente presumersi che, senza il primo, neppure il secondo si sarebbe prodotto, o si sarebbe verificato in termini attenuati, è necessario che il giudice, di volta in volta, accerti che i sindaci, riscontrata la illegittimità del comportamento dell’organo gestorio nell’adempimento del dovere di vigilanza, abbiano poi effettivamente attivato, nelle forme e nei limiti previsti, gli strumenti di reazione, interna ed esterna, che la legge implicitamente od esplicitamente attribuisce loro, privilegiando, naturalmente, quello più opportuno ed efficace a seconda delle circostanze del singolo caso concreto.  E precisamente, di fronte ad un atto di mala gestio degli amministratori, i sindaci che vogliano evitare l’azione di responsabilità nei propri confronti, devono, oltre che verbalizzare il proprio dissenso (rispetto alle deliberazioni del collegio stesso) nel verbale delle adunanze del collegio sindacale (art. 2404 c.c., u.c.), anche: a) chiedere, se del caso per iscritto, notizie e chiarimenti al consiglio di amministrazione in ordine all’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari (cfr. Cass. n. 5263 del 1993); b) procedere in qualsiasi momento, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo (art. 2403 c.c., anche nel testo oggi vigente sotto l’art. 2403-bis c.c.), se del caso avvalendosi, sotto la propria responsabilità ed a proprie spese, di propri dipendenti ed ausiliari (art. 2403-bis c.c., anche nel testo attualmente vigente); c) convocare e partecipare, come è loro obbligo, alle riunioni del consiglio di amministrazione (art. 2405 c.c.), verbalizzare l’eventuale dissenso sul libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, ed impugnarne le deliberazioni affette da nullità od annullabilità (vedi l’art. 2388 c.c., comma 4), specie quando il vizio sia idoneo a danneggiare la società od i creditori (arg. ex art. 2391 c.c., comma 3, art. 2394 c.c. e art. 2407 c.c., commi 2 e 3); d) convocare (art. 2406 c.c.) e partecipare, come è loro obbligo, all’assemblea dei soci (art. 2405 c.c.), nonché impugnare le deliberazioni dell’assemblea che non siano state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo (art. 2377 c.c., comma 1, anche nel testo in vigore); e) formulare esposti al Pubblico Ministero, affinché questi provveda ex art. 2409 c.c., quando tale iniziativa sia rimasta davvero l’unica praticabile in concreto per poter legittimamente porre fine alle illegalità di gestione riscontrate, essendosi rilevati insufficienti i rimedi endosocietari (cfr., in tal senso, Cass. n. 9252 del 1997), ovvero, come è stato espressamente riconosciuto dalla riforma del 2003, promuovere direttamente il controllo giudiziario sulla gestione se si ha il fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità (art. 2409 c.c., u.c. nuova formulazione)>>, § 2.2.4.

Si noti la gravosità del dovere impugnatorio ex lett. c) e d).

Riassunto fatto dalla  SC stessa: << 2.3 . Riassumendo, dunque, se è vero che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera “posizione di garanzia”, si esige tuttavia, a fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative – in primis, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c. – può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, “…cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie” (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative. Dovendosi ribadire che, come questa Corte ha già osservato, anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati (cfr. Cass. n. 31204 del 2017 e Cass. 11 novembre 2010, n. 22911 del 2010, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 18770 del 2019). Senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri) acquista efficacia causale, atteso che, all’opposto, una condotta attiva giova a “rompere il silenzio” sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019, nonché, in sede penale, Cass. pen. 7 marzo 2014, n. 32352, Tanzi).

2.3.1. A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo di società di capitali, dunque, i sindaci hanno l’obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali, certamente) di sollecitazione e denuncia diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo. In mancanza, essi concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019)>>.

Sugli oneri di allegazione e prova: <<Resta da precisare che l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Costituisce, infatti, costante indirizzo interpretativo quello per cui la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 28642 del 2020, in motivazione; Cass. n. 2975 del 2020; Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 14988 del 2013; Cass. n. 22911 del 2010).>>, § 2.5.

Il secondo punto importante riguarda la fattispecie del concorso ex art. 2055 cc:

<< 2.7.3. In altri termini, la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., comma 1, atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell’eventus damni attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p., (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del “più probabile che non”) tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse (cfr. Cass. n. 7016 del 2020).

2.7.4. Deve ribadirsi, in proposito, il consolidato principio, enunciato da questa Corte, secondo cui l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia di quest’ultimo e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse (cfr., ex aliis, Cass. n. 1842 del 2021; Cass. n. 7016 del 2020; Cass. n. 23450 del 2018; Cass. n. 18753 del 2017; Cass. n. 18899 del 2015; Cass., SU, n. 16503 del 2009, in motivazione).>>

Pagamenti preferenziali nella fase del crepuscolo imprenditoriale

Trib. Milano 14-09.2021, RG 22523/2017, n° 7286/2021, affronta alcune questioni di cuia ll’oggetto nella lite promossa dalla Curatela fallimentare contro alcuni amministratori ex artt. 2393-2394 cc (era però una s.r.l.)

Interessano le affermazioni relative alle due domande azionate in causa (per vero, interesserebbe pure la loro applicazione ai fatti di causa, qui però non possibile):

1) <<Ciò posto, ritiene il Tribunale che, quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione – quindi n violazione della par condicio creditorum – costituisce un fatto generativo di responsabilità degliamministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservativedell’ integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi, o di operazioniassimilabili (v. postea) ….

A conforto di tali conclusioni sovvengono, con riferimento alla responsabilità degli amministratori,considerazioni relative a principi già immanenti ma ormai positivizzati nel sistema, ed in particolareche, a fronte della crisi ed a maggior ragione dell’insolvenza sub specie di dissesto, il parametrogestorio deve cambiare, essendo da orientare non più a realizzare un lucro ma: (i) al fine esclusivo diconservare il valore e l’integrità del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.; cfr. anche OIC 5, OIC 11 par.23, 24), cioè in base a criteri diversi da quelli tipici della società in bonis e di salvaguardia dellagaranzia dei creditori (art. 2740 c.c.); (ii) all’adozione di uno degli strumenti previsti per il superamentodella crisi ed il recupero della continuità aziendale: piani attestati di risanamento, accordi diristrutturazione, concordato preventivo (artt. 67 let. d, 160, 182 bis, l.f.). E con l’obbligo di chiedere ilfallimento in proprio ove si profili un rischio di incremento del dissesto (art1. 217 n. 4, 224 n. 1 l.f.).D’altro canto, significativamente, il danno prospettabile sia con riferimento all’azione ex art. 2394 c.c.– ove concepita, come prevalentemente riconosciuto, quale azione diretta ed autonoma, nonsurrogatoria, cui è legittimato ciascun creditore -, sia con riferimento al danno da pagamentopreferenziale è comunque costituito dalla minor soddisfazione che il credito riceve per effetto delcompimento dell’atto illegittimo , chiaro sintomo, questo, della operatività del principio di parcondicio creditorum in presenza di insufficienza patrimoniale. La stessa determinazione del danno secondo il criterio della differenza dei netti patrimoniali (art. 2486, comma 2, c.c.) – portato positivo diuna precedente elaborazione giurisprudenziale poliennale – consiste in una diminuzione patrimoniale in danno anzitutto dei creditori e si sostanzia in una tutela della par condicio creditorum, andando il risarcimento ottenuto dalla procedura ad incrementarne l’attivo distribuibile>>, pp. 11 e 13.

2) <<Deve essere accolta parzialmente, per quanto di ragione, la domanda risarcitoria proposta dalFallimento con riferimento all’addebito sub B), ovvero il danno costituito da sanzioni irrogate edinteressi maturati in relazione all’omesso pagamento, da parte della Società in persona degliamministratori, dei debiti fiscali e contributivi. Ha dedotto il Fallimento che gli amministratori hanno preferito pagare altri creditori, invece che l’Erario, creditore privilegiato, soprattutto considerando che tali omissioni comportano altrettantiilleciti amministrativi cui accedono consistenti sanzioni ed applicazioni di interessi.  I convenuti hanno molto genericamente fatto appello alla discrezionalità gestoria degli amministratoried all’impossibilità di pagare quando la società si trova in situazione di crisi.  Osserva il Tribunale che la discrezionalità degli amministratori trova un limite naturale nel rispetto dispecifiche e tassative norme di legge la cui violazione integra un illecito amministrativo assistito dallerelative sanzioni, quali sono (tra le altre) le norme che prevedono i pagamenti di imposte, tasse  e contributi. I nvero questo Tribunale ha costantemente affermato: “La condotta degli amministratori caratterizzata dalla perdurante violazione degli obblighi tributari è gravemente inadempiente rappresentando uno dei primi doveri dell’amministratore il rispetto degli obblighi contributivi e fiscali” .  Inoltre, accertato il mancato pagamento delle imposte, spetta all’amministratore dimostrare la suamancanza di colpa, essendosi costantemente e condivisibilmente affermato in giurisprudenza dilegittimità che, in caso di violazione degli obblighi specifici derivanti dall’atto costitutivo o dalla legge,la responsabilità degli amministratori di una società può essere esclusa solo nel caso, previsto dall’art.1218 c.c., in cui l’inadempimento sia dipeso da causa non imputabile e che non poteva essere evitata nésuperata con la diligenza richiesta al debitore. Merita infine di essere ricordato – al fine di circoscrivere le situazioni che possono escludere laresponsabilità dell’amministratore – anche quell’orientamento della giurisprudenza penale di legittimità secondo cui una situazione di crisi di liquidità del contribuente (nel caso di specie un’impresa) può giustificare e comportare l’assoluzione solo se questi sia in grado di provare che per lui non sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie al corretto e puntuale adempimento delle obbligazionitributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni dirette a consentire il recupero dellesomme necessarie>>

La responsabilità amministrativa ex d. lgs. 231/2001 si applica anche alle s.r.l. unipersonali

Secondo Cass. penale 45.100 del 2021, ud. 16.02.2021, rel. Silvestri,  la responsabilità amminsitrativa da reato si applica anche alle srl unipersonali.

Il più interessante è il § 5: <<Si è già detto di come il tema della interferenza tra società unipersonali aresponsabilità limitata e socio unico attenga alla distinzione tra soggettività giuridicaautonoma e presupposti per la responsabilità dell’ente.Sotto il primo profilo, la società a responsabilità limitata unipersonale è un soggettogiuridico a cui il decreto legislativo si applica.

Quanto al secondo profilo, il tema attiene alla verifica dei limiti e delle condizioni inpresenza delle quali la società unipersonale possa rispondere ai sensi del d. Igs. 231 del2001.La questione non si pone nei casi di società unipersonale partecipata da una societàdi capitali o di società unipersonali che evidenzino una complessità e unapatrimonializzazione tali da rendere percettibile, palpabile, l’esistenza di un centro diimputazione di interessi giuridici autonomo ed indipendente rispetto a quello facentecapo al singolo socio.E tuttavia, anche nel caso di società unipersonali di piccole dimensioni, in cui laparticolare struttura dell’ente rende labile e difficilmente percettibile la dualitàsoggettiva tra società ed ente, tra l’imputazione dei rapporti alla persona fisica edimputazione alla persona giuridica, il tema attiene solo al se sia configurabile unaresponsabilità dell’ente sulla base del sistema normativo previsto dal d.lgs. n. 231 del2001.In tal senso deve essere conciliata l’esigenza di evitare violazioni del principio del bisin idem sostanziale, che si realizzerebbero imputando alla persona fisica un cumulo disanzioni punitive per lo stesso fatto, e quella opposta, quella, cioè, di evitare che lapersona fisica, da una parte, si sottragga alla responsabilità patrimoniale illimitata,costituendo una società unipersonale a responsabilità limitata, ma, al tempo stesso,eviti l’applicazione del d. Igs. n. 231 del 2001, sostenendo di essere una impresaindividuale.Il fenomeno è quello della creazione di persone giuridiche di ridottissime dimensioniallo scopo di frammentare e polverizzare i rischi economici e ‘normativi’.

Esiste allora un’esigenza di accertamento in concreto del se, in presenza di unasocietà unipersonale a responsabilità limitata, vi siano i presupposti per affermare laresponsabilità dell’ente; un accertamento che non è indissolubilmente legato solo acriteri quantitativi, cioè di dimensioni della impresa, di tipologia della strutturaorganizzativa della società, quanto, piuttosto, a criteri funzionali, fondatisulla impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica chelo ‘governa’, e dunque, sulla impossibilità di configurare una colpevolezza normativa dell’ente- di fatto inesigibile – disgiunta da quella dell’unico socio.Un accertamento secondo i criteri dettati dal d. Igs. n. 231 del 2001 di imputazioneoggettiva e soggettiva del fatto della persona fisica all’ente, in cui la dimensionesostanziale interferisce con quella probatoria, in cui assume rilievo la distinzione e ladistinguibilità fra l’interesse della società e quello della persona fisica delrappresentante.

Una verifica complessa che si snoda attraverso l’accertamento della organizzazione della società, dell’attività in concreto posta in essere, della dimensione della impresa, dei rapporti tra socio unico e società, della esistenza di un interesse sociale e del suoeffettivo perseguimento.

In tal senso, proprio allo scopo di prevenire comportamenti abusivi, il codice civilericollega all’unipersonalità (nella s.p.a.) talune previsioni che finiscono per gravare laposizione del socio e degli amministratori di specifici oneri sia in tema di conferimentisia in ambito pubblicitario (a titolo esemplificativo, artt. 2478- 2497 cod. civ.); alrispetto di tali adempimenti è, tra l’altro, «condizionata l’applicazione del regime diresponsabilità esclusiva della società col proprio patrimonio sociale per le obbligazioniinsorgenti dalla propria attività».

L’imputazione dell’illecito all’ente richiede un nesso «funzionale» tra persona fisicaed ente; ciò che conta, si legge nella relazione al decreto legislativo n. 231 del 2001, èche «l’ente risulti impegnato dal compimento […] di un’attività destinata a riversarsi nella sua sfera giuridica». In tal senso si spiega la previsione contenuta nel secondo comma dell’articolo 5 deld.lgs. n. 231 del 2001 che mutua dalla lett. e) della legge delega la clausola di chiusuraed esclude la responsabilità dell’ente quando le persone fisiche (siano esse apici osottoposti) abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

La norma stigmatizza il caso di “rottura” dello schema di immedesimazione organica;si riferisce cioè alle ipotesi in cui il reato della persona fisica non sia in alcun modoriconducibile all’ente perché non realizzato neppure in parte nell’interesse di questo»e,ove risulti per tal via la manifesta estraneità della persona giuridica, il giudice non dovràneanche verificare se essa abbia per caso tratto un vantaggio (Cosi la Relazioneministeriale al decreto legislativo; in tal senso, Sez. 6, n. 15543 del 19/01/2021,2Ecologia Servizi srl, Rv. 281052).>>

 

Responsabilità organizzativa per gli ammninistratori di società: utile sentenza statunitense (il caso Boeing)

Istruttiva sentenza statunitense nel caso Boeing circa i deficit organizzativi della Boeing , che non permisero agli amministratori di cogliere  i difetti del velivolo  <A 737 MAX>, causa di due disastri aerei nel 2018 e nel 2019.

Si tratta della corte del Delaware 07.09.2021, C.A. No. 20190907MTZ , IN RE THE BOEING COMPANY DERIVATIVE LITIGATION. giudice Zurn.

Negligenze rilevate, p. 74 ss:

  • The Board had no committee charged with direct responsibility to monitor airplane safety
  • The Board did not monitor, discuss, or address airplane safety on a regular basis.
  • The Board had no regular process or protocols requiring management to apprise the Board of airplane safety; instead, the Board only received ad hoc management reports that conveyed only favorable or strategic information
  • Management saw red, or at least yellow, flags, but that information never reached the Board.
  • the pleadingstage record supports an explicit finding of scienter.

La corte ricorda (p. 73) le analoghe negligenze  rilevate dalla corte suprema del Delaware in  Marchand v. Barnhill nel 2019, allorchè un azienda alimentare mise in circolazione cibo affetto da batteri:

  • no board committee that addressed food safety existed;
  • no regular process or protocols that required management to keep the board apprised of food safety compliance practices, risks, or reports existed;
  • no schedule for the board to consider on a regular basis, such as quarterly or biannually, any key food safety risks existed;
  • during a key period leading up to the deaths of three customers, management received reports that contained what could be considered red, or at least yellow, flags, and the board minutes of the relevant period revealed no evidence that these were disclosed to the board;
  • the board was given certain favorable information about food safety by management, but was not given important reports that presented a much different picture; and
  • the board meetings are devoid of any suggestion that there was any regular discussion of food safety issues.

Inoltre, punto importante nel diritto USA, i due aspetti posti dalla basilare sentenz aCaremark del 1996 sulla resposanbilit organizzativa (nessun sistema di controllo; mancato controllo di coretto funzionameton del sistema essitent) , possono coesistgere: <<classic prong two claim acknowledges the board had a reporting system,
but alleges that system brought information to the board that the board then
ignored.320 In this case, Plaintiffs prong two claim overlaps and coexists with their prong one claim; Plaintiffs assert the Board ignored red flags at the same time they utterly failed to establish a reporting system
>>, p. 93

I guai alla Boeing non sono però terminati lì: evidentemente c’è ancora una carenza strutturale organizzativa . All’inizio del 2024 da un Boeing 737 Max in volo  si è staccato uno sportellone laterale, gettando i passeggeri nel panico.-

Le opzioni put e call per l’acquisto di una società non sono prive di causa nè costituiscono patto leonino

Lo insegna Cass. 27.227 de.l 07.10.2021, rel. Nazzicone, basandosi (sul primo punto) su Cass. 2016 n° 763: <<La motivazione esposta nel menzionato precedente, che per la prima volta in sede di legittimità ha offerto la definizione di contratto call e put option – sopra ampiamente richiamata a fini di chiarezza dei contorni della diversa fattispecie giuridica, nonché la stessa vicenda in fatto ivi decisa – palesano come il meccanismo tecnico-giuridico delle opzioni non sia delimitabile solo all’interno dei derivati finanziari in ambito borsistico, ben potendo i patti parasociali contenere il medesimo meccanismo dell’opzione, ma limitati ai soci di una società, dei quali, in particolare come nella specie, l’uno funga da socio finanziatore garantito dal patto in questione.

La stessa causa concreta del patto parasociale oggetto di causa, evocata dalla ricorrente sin dal proprio atto introduttivo, si palesa diversa da quella di uno strumento finanziario del mercato borsistico (cfr. D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1, commi 2 e segg., T.U. dell’intermediazione finanziaria), avendo il fine pratico, sia pure mediante il meccanismo dell’opzione di rivendita o di riacquisto a prezzo fisso, di assecondare iniziative imprenditoriali specifiche, tutelate quali espressioni dell’autonomia negoziale privata ex art. 41 Cost. e art. 1322 c.c., con il sorgere di reciproci diritti ed obblighi delle parti: al cui adempimento un contraente non può strumentalmente sottrarsi invocando ex post e secundum eventum un preteso insussistente contrasto con norme imperative.

In definitiva, se è pur vero che l’allegata ragione di nullità per difetto di causa è rilevabile anche in grado di appello, l’assunto difetta, tuttavia, della premessa minore posta a suo fondamento, in quanto non manca la causa in concreto della opzione put e call, conclusa tra le parti.>>

Quanto all’allegata violazione del divieto di patto leonino (art. 2265 cc), la SC la esclude: <<la ratio del divieto va, pertanto, ricondotta ad una necessaria suddivisione dei risultati dell’impresa economica, tuttavia quale tipicamente propria dell’intera compagine sociale e con rilievo reale verso l’ente collettivo; mentre nessun significato in tal senso potrà assumere il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorché non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, né modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa.

Nulla, dunque, di ciò nella specie, come accertato dal giudice del merito, essendo ogni elemento dell’accordo tra i soci determinato e rispettati ampiamente i requisiti di validità elaborati dalla giurisprudenza.

Ne’ tale principio è suscettibile di essere sovvertito dalle peculiarità della vicenda, che la ricorrente ha inteso sottolineare nella sua memoria, consistenti nella partecipazione maggioritaria della socia c.d. finanziatrice (evenienza che, semmai, rafforza la funzione svolta dal patto), la natura di societas unius negotii della società partecipata (palesante la meritevolezza del fine di concorrere a quella condivisa operazione economica) ed il collegamento con il valore del bene immobile in proprietà della società partecipata (che non muta la funzione del patto stesso).

La incontestata sinallagmaticità del patto, il quale permetteva all’una parte di rientrare del finanziamento ed all’altra di lucrare i maggiori profitti dell’investimento,e la natura temporanea del diritto di opzione confermano tali conclusioni, attesa la funzione pratica svolta dal patto, di rendere possibile l’affare economico auspicato e regolare efficacemente gli interessi rispettivi dei soci>>.

La categoria della inesistenza delle delibere societarie non è stata espunta dalla riforma del 2003 (più un cenno sulla consensuslità od obbligatorietà della cessione di titoli azionari)

Cass. 26.199 del 27.09.2021, rel. Campese, interviene sulla seguente fattis n.pecie concreta: l’assemblea, cui partecipà un solo socio -sè dicente tale- al 99,5 % poi rivelatosi privo di titolarità (e non solo di legittimazione), può dirsi esistente e dunque soggetta a nullità/annullabilità? O è invece radicalmente inesistente, con la conseguente non assoggettabilità ai termini posti per le due invalidità?

La risposta esatta è la seconda: <<ad avviso di questo Collegio si rivela preferibile, tra le descritte opinioni dottrinali, quella incline a configurare sebbene in via del tutto residuale – la categoria della inesistenza della Delibera assembleare esclusivamente allorquando lo scostamento della realtà dal modello legale risulti così marcato da impedire di ricondurre l’atto alla categoria stessa di deliberazione assembleare, e cioè in relazione alle situazioni nelle quali l’evento storico al quale si vorrebbe attribuire la qualifica di deliberazione assembleare si è realizzato con modalità non semplicemente difformi da quelle imposte dalla legge o dallo statuto sociale, ma tali da far sì che la carenza di elementi o di fasi essenziali non permetta di scorgere in esso i lineamenti tipici dai quali una deliberazione siffatta dovrebbe esser connotata nella sua materialità. E tanto in linea di sostanziale continuità con quanto già sancito, sebbene in fattispecie regolata dalla normativa ante riforma, da Cass. n. 7693 del 2006, la quale, non aveva mancato di evidenziare come le novità legislative di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, non valessero “comunque ad espungere del tutto dall’ordinamento societario la figura della deliberazione inesistente, quanto meno nei casi nei quali si debba parlare di inesistenza materiale, prima ancora che giuridica, di essa”. Nella fattispecie ivi esaminata, nella quale era mancata non soltanto la separata convocazione, quanto la costituzione stessa di un’assemblea degli obbligazionisti sottoscrittori del prestito convertibile emesso da una società, e nella quale la deliberazione concernente la modifica delle condizioni di tale prestito era stata assunta non già semplicemente con il concorso anche di soggetti non legittimati, bensì unicamente con il voto di estranei al prestito da modificare ed in assenza totale dei soli obbligazionisti legittimati, era stata ritenuta mancante la materialità stessa della riunione assembleare – o, quanto meno, di una riunione assembleare riferibile agli obbligazionisti sottoscrittori di quel prestito – “non diversamente da quanto accadrebbe se si pretendesse di qualificare come assemblea degli azionisti di una società un’adunanza cui partecipino soltanto soggetti che di quella società non sono invece affatto soci”>>, § 2.4.11.

Principio di diritto: <<E’ inesistente la Delibera assembleare di società di capitali assunta con la sola partecipazione di soggetti privi della qualità di socio della stessa”>, § 5.1

Poisizione condivisibile: che almeno nel caso sub iudice vada ravvisata l’inesistenza o meglio che non si possano far scattare i termini per le impugnazioni di nullità e annullabilità, mi pare sicuro.       Più difficile è capire  in quali altri casi ciò possa ravvisarsi.

La SC poi prende posizione sull’individuazione del momento traslativo nella cessione di titoli azionari e opta per la teoria consensualistica: il transfert (iscrizione a libro soci) , allora, è solo esecuzione di un  contratto già perfezionato.

Anche qui è condivisibile.

Di fronte ad una regola generale come l’art. 1376 cc, le deroghe devono essere espresse o poggiare su forti considerazioni teleologiche (da vedere se potrebbero essere pattuite nel contratto sociale). Nessuno dei due casi ricorre nel TUF (art. 83 quater spt.): per cui anche per i titoli dematerializzati continua ad operare la cit. disposizione codicistica (conf. Martorano F., Titoli di credito dematerializzati, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu Messineo, Giuffrè, 2020, 144 ss e spt. 161 ss ).

Non vale in contrario addure le disposizioni ex art. 30/1 e 32/1 d. lgs. 213 del 1998, oggi art . 83/1 e 83 quinquies/1 TUF: non è esatto che esse o si ripetono o dicono cose diverse, al punto che ne segue ineluttabilmente  l’efficacia costitutiva dell’annotazione nei registri dell’intermediario (così invece Cian M., Titoli dematerializzati e <circolazione cartolare>, Giuffrè, 2001, 306 ss e spt. 310-314 e poi più sinteticamente in Cian , Il trasferimento dei titoli dematerializzati tra consensualismo e anticonsensualismo, nota a Cass. pen. 23.02.2009 n. 7769, Giur. com.., 2010, II, 80 ss; per Cian il consenso è ad effetto solo obbligatorio, mentre il trasferimento è prodotto dal compimento della c.d. operazione di giro e cioè dall’addebtito/accredito nei conti del venditore e risp.  dell’compratore e di eventuali intermediari). La prima disposizione si limita a dire che in generale è imprescindibile il ruolo dell’intermediario, senza specifcare per quali aspetti: non a caso la rubrica dell’articolo recita solo <Attribuzioni della societa’ di gestione e dell’intermediario)> (oggi: <dei depositari centrali e degli intermediari>). La seonda invece precisa per quali aspetti e cioè regola i diritti emergenti dall’intervento dell’intermediario (mera legirttimazione): non a caso la rubrica è “Diritti del titolare del conto” (questa è la sedes materiae della disciplina dei diritti sorgenti dalla registrazione presso l’intermediario).

Piuttosto andrebbe esaminato se fa cambiare la suggerita impostazione la odierna sosttuizione della <chartula> con la registrazione informatica (esame bencondotto da Cian, 283 ss e spt. 289 ss.). Ma allo stato non parrebbe: la seconda sostotuisce .

Esame istituzionale anche in Menti , Ex chartula. Nozioni introduttive ai titoli di credito, Giappichelli, 2011, 191 ss. Per la teoria consensualistica De Luca N., Circolazione delle azioni e legittimazione dei soci, Giappichelli, 2007, 152 (manca però esame specifico delle peculiarità caratterizzanti la dematerializzazione)