La donazione di azioni ai dipendenti di società del gruppo non realizza la fattispecie del “ricorso al mercato del capitale di rischio” ex art. 2325 bis cc

Nella vertenza Salini, il Trib. Milano ha detto che l’assegnazione a titolo liberale di azioni ai dipendenti di società del gruppo, da parte del socio di riferimento dell’emittente (46,92%; anzi da parte di uno dei due soci di riferimento, l’altro possedendo il 46,92%), non integra la fattispecie della <diffusione tra il pubblico in misura rilevante> , posta dal combinato disposto dell’art. 2325 bis cc, art. 111 bis disp. att. c.c. e art. 2 bis reg. emittenti n. 11971/99.

Così Trib. Milano 23.04.2021 n. 3395/2021, RG 32801/2017, rel. M.A. Ricci. soprattutto per due motivi:

– manca una conspevole scelta di collocamento, dato che fu fatto unilateralmente da parte di uno dei due soci di riferimento, che da solo non detiene il controllo;

– nemeno può dirsi ricorra un <investimento> da parte degli acquirenti, trattandosi di liberalità, addirittura revocabile in base alle condizioni poste a quest’ultima (gravata pure da vincolo di incedibilità ad tempus): il che <<non ha generato neanche potenzialmente sul mercato alcun movimento finanziario, tantomeno a beneficio dell’emittente e certamente senza alcun reale rischio che la pretesa controllante potesse perdere la maggioranza azionaria relativa di cui è detentrice>>, p. 12 (requisito però assente nel reg. emittenti).

L’operazione è stata -secondo il Trib.- orchestata per rendere applicabile all’emittente la disciplina speciale per il computo delle azioni proprie nei quorum assembleari

Non è chiaro, però, per qual motivo il Tribunale non abbia accolto la domanda di accertamento (svolta dall’altro socio di riferimento, quello <tagliato fuori>) sotto il più immediato profilo del mancato coinvolgimento di almeno il 5% del capitale: nel caso specifico, infatti, l’assegnazione a dipendenti o ex dipendenti riguardò solo lo 0,23% del capitale.

Sarebbe anche da chiarire l’esatto titolo di trasferimento azionario ai dipendenti: la liberalità, se donativa, chiede l’atto pubblico a pena di nullità.

Stipula di transazione, diligenza gestoria del liquidatore di s.r.l. e limiti di sindacabilità giudiziale

Trib. Milano 28.06.2021, sent. n. 5546/2021, rg 54438/2017, rel. Marconi, decide sulla diligenza o meno del liquidatore nell’aver stipulato due transazioni: la prima con un debitore, la seconda con il locatore , che contestava il recesso da un  rapporto locatizio immobiliare.

La censura delle transazioni è sempre difficile, caratterizzando il contratto lo scambio tra aliquid datum e aliquid retentu per por fine alla lite ( si pensi alla nota questione della sua revocabilità).

Ebbene, così motiva:

<<Con riferimento alla valutazione giudiziale dell’opportunità della conclusione da parte della liquidatrice delle transazioni  che la società attrice  considera  fonte di danno, vengono in rilievo i principi espressi dalla giurisprudenza in materia di limiti al sindacato del merito delle scelte di gestione degli amministratori, essendo, analogamente, riservata in linea generale alla discrezionalità del liquidatore la valutazione  della  convenienza  delle  scelte  relative  alla  liquidazione  dell’attivo  patrimoniale  o  alle modalità di estinzione dei debiti sociali.  Come è noto, il merito delle scelte di gestione adottate dagli amministratori di società è tendenzialmente  insindacabile  in  sede giudiziale (c.d. “business  judgment  rule”), salvo il limite della palese irragionevolezza di tali scelte, desumibile dal fatto che l’amministratore non abbia usato le necessarie cautele e assunto le informazioni rilevanti (Cass. 12 febbraio 2013, n. 3409; Cass. 22 giugno 2017,  n.  15470).  Si  tratta  di  una  valutazione  da  condurre  necessariamente  ex  ante,  non  potendosi affermare  l’irragionevolezza  di  una  decisione  dell’amministratore  per  il  solo  fatto  che  essa  si  sia rivelata  ex  post  economicamente  svantaggiosa  per  la  società>>

Tutto bene, nessuna novità. Segnalo l’importanza della prospettiva ex ante (prognosi postuma, potremmo dire).

<< In  particolare,  non  può  essere  ritenuto responsabile l’amministratore che, prima di adottare la scelta gestoria contestata, si sia legittimamente affidato  alla  competenza  di  figure  professionali  specializzate  (Trib.  Milano,  15  novembre  2018,  n. 11476)>>: precisazione interessante per gli operatori.

<<  Applicando  tali  principi  anche  alle  scelte  di  convenienza  economica  a  cui  è  chiamato  il  liquidatore nell’assolvimento del suo incarico, l’accertamento di una responsabilità della Lobova nei confronti della  Mechel  Service presuppone, dunque, che siano provate tanto l’irragionevolezza ex  ante  delle transazioni  concluse  dalla  liquidatrice,  quanto  il  danno  patito  ex  post  dalla  società  per  effetto  di  tali accordi.>> : ancora sulla prospettiva ex ante.

<<Quanto alla prima transazione, non vi è prova dell’asserito danno. Non solo non è stato dimostrato che la società debitrice Sifer fosse in grado di pagare l’intero credito nel momento in cui, il 5 dicembre 2014, la liquidatrice con l’assistenza del legale della società ha concluso  la  transazione,  ma  è  emerso dalla documentazione prodotta dalla convenuta che la società debitrice aveva chiuso l’ esercizio  2015 con un patrimonio netto negativo per € 5.420.415 (doc. 20 convenuta, p. 23) e che in data 29 luglio 2016 era stata messa in liquidazione (doc. 21 convenuta, p. 4).  Non  emerge,  quindi,  ex  post  [ex post? che c’entra se la prospettiva  è ex ante?] alcun  danno  subito  dalla  società  Mechel  per  effetto  della  transazione conclusa  con  la  Sifer,  il  cui  dissesto  finanziario  avrebbe  con  ogni  probabilità  impedito  alla  società attrice  di ottenere,  all’esito del  giudizio di opposizione, il pagamento  anche solo parziale del suo credito.  Né  si  può  ritenere  ex  ante  irragionevole  la  stipulazione  della  transazione:  una  simile  conclusione potrebbe essere raggiunta solo qualora fosse praticamente inesistente il rischio di perdere la causa. Nel caso  di  specie,  invece,  l’esecutorietà  del  decreto  ingiuntivo  era  stata  sospesa  dal  giudice dell’opposizione; circostanza questa che faceva apparire tutt’altro che scontato un esito del contenzioso favorevole a Mechel Service (v. doc. 19 di parte convenuta a pag. 2). Anche  la  stipulazione  della  seconda  transazione  non  può  ritenersi  irragionevole  ex  ante.  La  natura tombale  della  precedente  transazione  con  21ABB  era  opinabile  in  relazione  ai  nuovi  vizi  occulti lamentati in un momento successivo al precedente accordo transattivo e riconosciuti dallo stesso perito  consultato  dalla  liquidatrice  (  v.  doc.  3  convenuta).  In  ogni  caso,  poi,  sarebbe  stato  necessario  un giudizio, potenzialmente di lunga durata e in ogni caso dall’esito incerto, perché fosse accertato il fatto che la precedente transazione impediva la proposizione delle nuove richieste risarcitorie.  L’ammontare della pretesa risarcitoria riconosciuto con la transazione (€ 294.000), poi, è sensibilmente inferiore sia ai danni lamentati da 21ABB (€ 580.000, v. doc. 12 convenuta), sia alla somma indicata dallo stesso perito incaricato di stimare i danni dalla Mechel  (€ 414.000, v. doc. 3 convenuta).  Comunque,  la  decisione  di  transigere  è stata presa dalla Lobova all’esito della consultazione con un avvocato,  come  emerge  da  una  comunicazione  tra  lei  e  Denis  Shamne  (amministratore  della  società controllante  dell’attrice)  a  cui  riferisce  che  «L’avvocato italiano consiglia di transigere»  (doc.  12 attrice).  Come precedentemente ricordato, non può essere ritenuta negligente la condotta dell’amministratore o del  liquidatore  che,  nell’adozione  delle  scelte  di  gestione,  acquisisca  prudentemente  il  giudizio  di esperti del settore prima di decidere.  La liquidatrice convenuta, nel caso in esame, commissionando la perizia sul danno e consultandosi con un  avvocato  esperto  dell’ordinamento  giuridico  italiano,  ha  adottato  tutte  le  cautele  necessarie  a prendere  una  decisione  informata  e  consapevole  così  che  la  convenienza  economica  della  scelta adottata non è sindacabile in sede giudiziale>>.

Spunti molto interessanti per i consulenti in caso di ipotesi transattive.

Studio della Commissione UE sullo sviluppo di strumenti per inserire i fattori ESG nelle gestioni bancarie

Lo studio explora <the integration of ESG factors into banks’ risk management processes, business strategies and investment policies, as well as into prudential supervision>>.

E’ del 27 agosto 2021 ed è consultabile qui l’executive summaryqui il full text (final study).

E’ stato condotto per conto della Commissione  UE da una divisione di Black Rock (BlackRock Financial Markets Advisory), uno dei più grossi fondi di investimento mondiali.

L’executive summary è agevolmente leggibile: le scelte grafiche sono azzeccate. Per avere un’idea sufficientemente precisa ci si può limitare anche ai grassetti ad inizio paragrafo.

La riflessione è critica circa la capacità delle banche di gestire i rischi ESG (v. <Conclusions>, p. 8/9 del pdf).

Si v. spt. le Observed challenges: <<Data challenges and a lack of common standards continue to be seen as the most prevalent challenges facing banks and supervisors alike. ESG data are the cornerstone for performing a wide range of ESGrelated activities, including risk measurement, product labelling, portfolio steering, and disclosure. The absence of common standards for ESG-related issues impedes comparability of information received and disclosed by banks, which creates information asymmetry amongst market participants >>

Infine, i suggerimenti (Principles of best practice for integrating ESG in risk management and prudential supervision ) , sostanzialmente miranti ad aumentare la misurabilità dei KPI Key Performance Indicators e a darvi trasparenza (ovvio, essendo queste le carenze individuate nella precedente parte dello studio).

Patto parasociale, patto di gestione e delibere attuative del CdA nelle s.r.l.

Mentre il patto parasociale è ammesso e disciplinato dall’. 2341 bis cc  per le SPA e nessuna disciplina invece per le SRL, il c.d patto di gestione è di assai più dubbia liceità-

L’attore aveva censurato di nullità tre delibere del CdA (e una dell’assemblea sociale) perchè esecutive di patto di gestione illecito: <<l’attore incentra la propria allegazione di invalidità delle delibere sull’essere le stesse state adottate in pedissequa esecuzione del patto parasociale firmato l’8.7.2020 dalle altre due socie in contrasto con l’interesse sociale e con le norme inderogabili regolanti le prerogative degli amministratori nonché in odio del fratello, come tale illecito, mentre la convenuta sottolinea il carattere corrispondente all’interesse sociale sia delle previsioni del patto sia delle delibere applicative e, quindi, la liceità di entrambi>>

Secondo Trib. Milano decr. 17.12.2020 n. cron. 3106/2020, RG 40994 / 2020 (di cui ha dato notizia Busani su il Sole 24 ore il 26 luglio u.s.),  non serve distinguere tra patto parasociale/sindacato di voto , lecito, e patto/sindacato di gestione , probabilmente illecito, patto di gestione da intendersi così: <<sindacato di gestione, come in sostanza afferma l’attore, patto stipulato al fine di delineare le linee di sviluppo dell’attività sociale impegnando al riguardo o direttamente i soci amministratori ovvero i soci non  amministratori perché influiscano sull’organo gestorio ovvero ancora anche direttamente gli amministratori non soci, o patto questo di ben più dubbia liceità, da un lato non essendo riconducibile alle figure tipizzate dall’art.2341bis cc e d’altro lato incidendo “su comportamenti di soggetti che, a differenza dei soci, sono investiti inderogabilmente di una funzione, hanno cioè l’intera ed esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa sociale, nell’interesse della società ed anche dei terzi” venendosi così a creare “una situazione di potenziale quanto immanente conflitto di interessi”>> (in nota invoca Cass. 8221/2012 sull’esclusività della competenza gestoria degli amministratori).

Non serve coltivare tale distinzione, perchè <<oggetto della causa di merito è di per sé la impugnazione delle delibere delle quali è qui chiesta la sospensione cautelare e non già la illiceità del patto parasociale sulla base del quale le delibere sono state modellate: da tale precisazione discende che i profili di illiceità del patto parasociale attinenti per così dire alla struttura generale dello stesso risultano qui irrilevanti, mentre i profili di conflitto tra le specifiche previsioni di tale patto in ordine agli sviluppi assembleari nonché gestori e l’interesse sociale si risolvono in profili di illiceità delle delibere applicative e come tali vanno riguardati.>>

Interessante ma non chiara è la distinzione tra illiceità strutturale del patto e conflitto tra singole sue determinazioni (cioè per specifici affari, parrebbe) e successive delibere esecutive delle stesse.

Non pare, infine, il Tribunale si curi (salvo errore) della validità e disciplina dei patti parasociali nelle SRL, ove manca una disposizine come l’art. 2341 bis.

La fusione tra società determina l’estinzione della incorporata

Le sezioni unite enunciano il seg. principio di diritto <<«La fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, avendo facoltà della società incorporante di spiegare intervento in corso di causa, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., nel rispetto delle regole che lo disciplinano». >> (CAss, SU 21970 del 30.07.2021, rel. Nazzicone).

Conclusione esatta (si noti la conseguenza processuale, qui non interessante, ma fondamentale nella pratica): mi pare incoerente con i dati dell’ordinamento e logici ravvisare solamente una vicenda  modificativa del contratto sociale.

L’approfondita analisi è riassunta nelle Conclusioni, p. 30 sub 2.4: <<Gli aspetti «sostanziali» della vicenda della fusione societaria – che si possono riassumere in quelli della concentrazione, della successione e dell’estinzione – non possono essere disgiunti da quelli «processuali»: occorre, infatti, stabilire una coerenza fra di essi, derivando peraltro i profili processuali dalla questione concreta che venga all’esame nel giudizio>>.

I punti su cui si articolano le Conclusioni:

a) concentrazione

b) estinzione

c) successione: <Non si prospetta una mera vicenda modificativa, ricorrendo invece una vera e propria dissoluzione o estinzione giuridica, contestuale ad un fenomeno successorio.  La fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati. La successione universale, come vicenda giuridica, ben si attaglia invero anche a quella fra enti, avente ad oggetto un patrimonio unitariamente  considerato e non soltanto elementi che lo compongono>>.

Seguono: d) legittimazione processuale;  e) fusione incorso di causa.

Nella specie il problema proessuale era nato dal fatto che la citazione in primo grado aveva visto attore una  SRL , che era stata  in precedenza incorporata in altra società: e dunque, secondo l’orientamento diffuso e fatto proprio dalla CAss., da considerarsi già estinta al momento della proposizione della domanda.

Società di fatto holding personale occulta: indici rivelatori

Qualche indicazione sul sempre complesso argomento in oggetto si trova in Cass. 14.365 del 25.05.2021, rel. Amatore.

La corte di appello aveva  ricordato la <<ricostruzione fattuale posta dal tribunale a sostegno dell’estensione del fallimento alla predetta società di fatto (s.d.f.): i) i coniugi T.C. e S.E., con i figli El. e S., avevano creato una società di fatto holding occulta la cui funzione era quella di esercitare l’attività di direzione e coordinamento rispetto alle quattro “società di famiglia”: l’impresa S. s.r.l. (il cui fallimento era il creditore istante del fallimento oggi contestato), la Costruzioni S. s.a.s. di T.C., la Essetivi s.r.l. e la Impianti sportivi s.r.l., tutte società i cui soci erano i membri della famiglia S.; ii) il fallimento istante aveva invero affermato, quale titolo legittimante la richiesta di fallimento, il credito risarcitorio ex art. 2497 c.c., nascente dai danni conseguenti dalla predetta illegittima attività di direzione e di controllo che aveva arrecato pregiudizio economico alla società controllata anch’essa fallita>>

Gli indici rivelatori della società di fatto occulta sono stati dai giudici di merito così individuati (con motivazione approvata dalla SC): <<la doglianza non è meritevole di accoglimento posto che la corte di merito ha spiegato, in modo esaustivo e con valutazioni in fatto qui non più censurabili, quali fossero gli indici rivelatori di una società di fatto svolgente funzione di direzione e di controllo delle altre società del gruppo familiare S., e ciò con particolare riferimento alle due operazioni “rivelatrici”:

1) la prima relativa all’effettuazione di prelievi, dal 2004 al 2011, da parte dei soci della impresa s. s.r.l. di liquidità senza l’effettiva produzione di utili (per un importo complessivo pari ad Euro 2.300.000), con successivo accollo dei relativi debiti dei soci da parte delle altre due società Esseviti e Costruzioni S. s.a.s., senza alcuna giustificazione economica e con l’ulteriore conseguenza che i crediti non venivano soddisfatti ma solo registrati con una operazione di “giroconto” contabile e con la successiva operazione di trasferimento immobiliare in favore della impresa S. s.r.l. da parte della Costruzioni S. s.a.s. che doveva considerarsi corrispondente ad un valore economico nullo;

2) la seconda operazione posta in essere nel 2008 che, per effetto della scissione societaria, aveva visto la impresa S. s.r.l. trasferire alla neocostituita Costruzioni S. s.a.s. alcuni immobili tra cui il capannone industriale in cui si svolgeva l’attività sociale e nel 2013 la S. s.r.l. trasferire alla neocostituita S. Impianti Sportivi s.r.l. il principale ramo d’azienda per un canone di affitto non congruo. Con la conseguente valutazione secondo cui le predette operazioni di accollo dei debiti personali dei soci da parte delle società del gruppo e la vendita dell’immobile ad un valore pari al doppio del valore di mercato evidenziano la commissione di operazioni prive di significato economico ed anzi mettevano in luce l’esistenza di una società occulta volta alla direzione e al controllo economico delle società del gruppo societario familiare.>>, § 13.3.1.

Sulla necessità della partecipazione di tutti i soci: <<Invero, è stato affermato che la mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perchè possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l’esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all’esercizio dell’attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell’ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio “comune”, sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (artt. 2270 e 2305 c.c.), l’unica particolarità della peculiare struttura collettiva “de qua” consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17925 del 12/09/2016).>>, § 1.3.2.

Ci sono poi intressanti considerazioni sul profilo processuale (contraddittorio e censurabilità in cassazione della violazione del termine libero ex art .15 l.f.)

Responsabilità amministrativa dell’ente da reato: sul concetto di “nel suo interesse o vantaggio” ex art. 5.1 d. lgs. 231/2001:

Il concetto in oggetto (art.  5.1 d. lgs. 231/2001) è oggetto di ampio esame da parte di Cass. pen. sez. 4, n. 22.256 del 03.03.2021 (ud.), rel. Proto Pisani paola al § 3, p. 7 ss

Qui interessa il passo sulla rilevanza dell’omessa adozione di misure preventive (in particolare: di istruzioni sulla circolazione dei mezzi all’interno dell’azienda, avendo un muletto investito un lavoratore):

<<si ritiene che – onde impedire un’applicazione automatica della norma che ne dilati a dismisura l’ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione (che implica quasi sempre un risparmio di spesa il quale può, però, non essere rilevante) – ove il giudice di merito accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle cautele dovute, in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro (ed in mancanza di altra prova che la persona fisica, omettendo di adottare tali cautele, abbia agito proprio allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica, e – quindi – in una situazione in cui l’omessa adozione delle cautele dovute sia plausibilmente riconducibile anche a una semplice sottovalutazione del rischio o ad un’errata valutazione delle misure di sicurezza necessarie alla salvaguardia della salute dei lavoratori), ai fini del riconoscimento del requisito del vantaggio occorre la prova della oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quella della tutela della salute dei lavoratori quale conseguenza delle cautele omesse: la prova, cioè, dell’effettivo, apprezzabile (cioè non irrisorio) vantaggio (consistente nel risparmio di spesa o nella massimizzazione della produzione, che può derivare, anche, dall’omissione di una singola cautela e anche dalla conseguente mera riduzione dei tempi di lavorazione) non desumibile, sic et simpliciter, dall’omessa adozione della misura di prevenzione dovuta>>, p. 11.

In altri termini , laddove non vi sia la prova – desumibile anche dalla sistematica sottovalutazione dei rischi – che l’omessa adozione delle cautele sia il <<frutto di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa, (cioè di una specifica politica aziendale volta alla massimazione del profitto con un contenimento dei costi in materia di sicurezza, a scapito della tutela della vita e della salute dei lavoratori), e risulti, invece, l’occasionalità della violazione delle norme antinfortunistiche, dovendosi escludere il requisito dell’interesse, deve essere rigorosamente provato quello del vantaggio, che può alternativamente consistere in un apprezzabile risparmio di spesa o in un, sempre apprezzabile, aumento della produttività, e la motivazione della sentenza che riconosca tale vantaggio deve dare adeguatamente conto delle prove, anche per presunzioni, dalle quali lo ha desunto.>>

Responsabilità amministrativa della società ex d. lgs. 231/2001 e Organismo di Vigilanza (operazioni Alexandria e Santorini del Monte dei Paschi)

La ponderosa sentenza penale Trib. Milano 07.04.2021 n. 10748-2020, dib. 15.10.2020, contro i vertici di Banca Monte dei Paschi di Siena  (BMP) (leggibile nel sito giurisprudenzapenale.com) ha una parte dedicata alla responsabilità amministrativa della società (capitolo XVI , p. 287 ss) e soprattutto sull’Organismi di Vigilanza (OdV)..

La responsabilità è stata affermata , non essendo stati riscontrati i  requisiti per l’operatività dell’esimente posti dall’art. 6 d. lgs. 231/2001.

Riporto alcuni passaggi:

  • <<in merito ai compliance program, risulta pacificamente devoluto al giudice l’accertamento della postulata idoneità preventiva, secondo una valutazione di prognosi postuma e in concreto (avuto riguardo alle specificità del caso singolo).>>, p. 288: dato pacifico.
  • <<Non può, invero, dubitarsi della finalità – sottesa ai reati e quantomeno concorrente con altre proprie dei prevenuti – di garantire a B. ingiusti profitti (pure integrante il dolo specifico del delitto di false comunicazioni sociali): come già ampiamente dimostrato, l’alterazione dei bilanci mediante erronea contabilizzazione delle operazioni strutturate rispondeva alla necessità di offrire agli investitori un più florido e rasserenante scenario societario (che ispirasse affidabilità e fiducia), in termini di patrimonio contabile e di vigilanza nonché, più in generale, di stabilità (dovendosi evitare, a ogni costo, lo svelamento dei rischi connessi alla massiccia esposizione in derivati di credito, che avrebbe esposto la Banca alle imprevedibili oscillazioni di mercato, destinate a impattare sul risultato d’esercizio).>>, p. 290.
  • l’esito dell’analisi affidata nel 2012 a KPMG sul modello ex d. lgs. 231: <<all’esito dell’analisi, il consulente ha evidenziato plurime criticità e manchevolezze, suggerendo:

    1) l’integrazione del modello, mediante illustrazione delle modalità di possibile perpetrazione dei reati nonché indicazione dei presidi di controllo in essere per ogni attività c.d. sensibile;

    2) l’aggiomamento del codice etico, da rendere parte integrante del compliance program;

    3) la predisposizione di protocolli di parte speciale atti a prevenire la commissione dei reati presupposto, che chiarissero per ogni unità organizzativa gli illeciti teoricamente perpetrabili, i presidi di controllo in essere, i principi di comportamento da tenere e i riferimenti alla normativa interna aziendale di disciplina della materia.>>, p. 291.

  • <<in definitiva, sino all’ottobre 2013, come emerge dagli appunti formulati al precedente modello del 2004 (neppure allegato), la Banca è risultata sprovvista di accorgimenti organizzativi concretamente idonei a prevenire il rischio criminoso. Né valevano i richiamati complessi sistemi di regole interne a sanare il deficit riscontrato, difettando gli stessi delle puntuali previsioni contemplate dal decreto del 2001, in particolar modo in merito alla mappatura delle aree a rischio, alla predisposizione di specifici protocolli diretti alla prevenzione dei reati, agli indispensabili flussi informativi verso l’OdV nonché al sistema disciplinare>>, p. 292.
  • sull’OdV: è il punto più interessante, anche se pleonastico e trattato ad abundantiam, essendo già stato riscontrato carente il modello ex art. 6.1.a). I requisiti posti dall’ar’t. 6/1 d. lgs. 231, infatti, devono pacificametne ricorrere tutti, essendo cumulativamente richiesti: lo si desume pianamente già dal tenore della disposizione e comunque la dottrina l’ha chiarito (Scoletta, in Diritto penale delle società. Accertamento delle responsabilità individuali e processo alla persona giuridica a cura di Canzio-Cer2qua-Lupoaria, Cedam, 2016, 856). C’è una cronologia dei fatti, da cui il Trib. desume in sostanza una condotta omissiva e attendista.              La sintesi è questa: <<In definitiva, l’organismo di vigilanza – pur munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo, ivi inclusa la facoltà di chiedere e acquisire informazioni da ogni livello e settore operativo della Banca, avvalendosi delle competenti funzioni dell’istituto (così il regolamento del luglio 2012) – ha sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti (funzionali alla prevenzione dei reati, indisturbatamente reiterati), nonostante la rilevanza del tema contabile, già colto nelle ispezioni di B.I. (di cui l’OdV era a conoscenza) e persino assurto a contestazione giudiziaria, con l’incolpazione dei confronti di B. (circostanza che disvelava, per l’atteggiamento conservativo della Banca, il patente rischio di ulteriori addebiti, come poi avvenuto). Nel periodo d’interesse l’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi (dalle allarmanti notizie di stampa sino alla débâcle giudiziaria) che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato.>>, p. 294-5).

Il giudizio del Trib pare un pò frettoloso. Che i membri dell’OdV godessero di <<penetranti poteri di iniziativa e controllo, ivi inclusa la facoltà di chiedere e acquisire informazioni da ogni livello e settore operativo della Banca, avvalendosi delle competenti funzioni dell’istituto (così il regolamento del luglio 2012) >> è affermazione apodittica , per cui non costituisce motivazione sufficiente: doveva indicarli analiticamente e motivare sul come il loro esercizio avrebbe evitato i fatti illeciti.         D’altro canto, giudicare inadeguato tale passaggio motivatorio perchè i poteri dell’OdV sono “poteri di terzo livello”, come è stato osservato in dottrrina, non pare esattissimo:  la legge lascia all’ente la loro definizione , per cui ogni giudizio sul punto impone l’analisi analitica di ciascun potere e dell’effetto possibile/prevedibile che si sarebbe prodotto col suo esercizio. Il fatto che si tratti di poteri definiti in sede statutaria o di regolamento ad hoc, invece che dalla legge, non li fa diventare di secondo o terzo livello: potrebbero essere anche di primo livello, dipende da come sono disegnati.

Tuttavia, lo ripeto, l’analisi dell’OdV è ultronea, avendo poco prima il Trib. ravvisato l’insufficienza del modello. Forse però in questo modo la sentenza potrà meglio resistere ad eventuale impugnazione.

Responsabilità dell’amministratore di fatto e onere della prova per fatti di distrazione

Trib. Milano 01.02.2021 n. 711/2021, Rg 57943/2017, Fallimento P.G.P. srl c. Pecchioli ed altri, decide una causa in tema di responsabilità.

Non ci sono principi di diritto sconvolgenti: si tratta però di condotte frequentemente incontrate nella pratica,

Qui ricordo solo due questioni

1 – onere della prova per ammanchi e fatti distrattivi :

<<Con riferimento alla responsabilità dell’organo gestorio per le operazioni distrattive la violazione degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale compromessa da prelievi di cassa o pagamenti a favore di terzi ingiustificati per la mancanza di idoneo riscontro nella contabilità e documentazione sociale della loro causa deve ritenersi dimostrata per presunzioni, ove l’ amministratore convenuto non provi la riferibilità all’attività sociale delle spese o la destinazione dei pagamenti all’estinzione di debiti sociali ( v. fra le molte Cass. 18.6.2014 n. 13907 in motivazione). ….  In mancanza della documentazione contabile che l’amministratore convenuto non ha tenuto o, comunque, non ha consegnato al Curatore, deve, dunque, presumersi l’avvenuta distrazione delle somme in questione dalpatrimonio sociale non avendo i convenuti, rimasti tutti contumaci, assolto all’onere di dimostrare che i prelievi fossero destinati ad estinguere debiti sociali fondati su comprovati titoli contrattuali>>p 10/11.

2  – amministratore di fatto.

<<Del danno derivato da tutte le distrazioni in questione devono rispondere, sotto il profilo soggettivo, l’amministratore di diritto Pecchioli ed il socio Poltronieri che, per quanto emerge dalla documentazione acquisita, ha assunto il ruolo di amministratore di fatto.   Con riguardo alla “ ripartizione” dei ruoli di gestione ed amministrazione fra i due è lo stesso amministratore Pecchioli a riferire al curatore nel corso della sua audizione che mentre lui si occupava della parte tecnica e operativa relativa allo smaltimento di farine: valutare i prezzi, stipulare i contratti, trasportare le farine” il socio Poltronieri si occupava di “ quella legale e amministrativa,  aveva la firma sui conti correnti della società..” ospitava la sede legale della società presso il suo studio ove “ arrivava tutta la documentazione fiscale e contabile, per cui era compito di Poltronieri occuparsi degli adempimenti ” relativi alla redazione dei bilanci ( v. doc. 11 a pag. 1,2,6).  Il fatto che il socio Poltronieri avesse la delega ad operare sui conti correnti sociali e che se ne avvalesse per gestire il denaro sociale anche attraverso l’emissione di assegni bancari trova conferma nella documentazione prodotta dal fallimento ( doc. 40 e doc. da 35 a 38) così come il ruolo cardine assunto nella gestione dei rapporti con gli istituti di credito ed in particolare con la banca Unicredit nell’operazione di finanziamento indiretto alla Via Lattea che va ben oltre la prestazione di assistenza legale per andare ad involgere l’assunzione stessa delle scelte gestorie come risulta dal tenore delle missive all’istituto di credito e ai soci ( v. doc. 23 e 25),  ove addirittura il Poltronieri consiglia all’amministratore di far difendere in giudizio la società da un altro legale per consentire a lui di testimoniare nel processo sulla vicenda.  Le dichiarazioni confessorie rese dal Pecchioli in ordine al fatto di aver irresponsabilmente demandato la funzione amministrativa al Poltronieri e le risultanze documentali evidenziate consentono di ritenere accertata l’assunzione da parte del Poltronieri del ruolo di amministratore di fatto della società fallita>>, p. 15-16.

Infatti <<non costituiscono circostanze di esonero dalla responsabilità civile dell’amministratore peril danno derivato alla società ed ai creditori dalla violazione degli obblighi imposti dalla carica, né l’essersi prestato ad assumere solo formalmente la carica di amministratore fungendo da prestanome del soggetto a cui è demandata di fatto la gestione né lo svolgimento del mandato nella completa ignoranza dell’operato del terzo incaricato dell’esecuzione delle attività proprie dell’amministratore>>, p. 16-17.

Impugnazione di delibera di società quotata: la sentenza nella lite (Vivendi-)Simon Fiduciaria c. Mediaset

E’ giunta a decisione la lite tra Simon Fiduciaria (SF) e Mediaset, a seguito della impugnazione da paate della prima della delibera adottata dalla seconda 27.06.2018 sulla non ammissione al voto della stessa SF

Si tratta di Trib. Milano 23.04.2021, n. 3396/2021,  RG 50173/2018, rel. Simonetti.

SF è la fiduciaria cui Vivendi (V.) trasferì la partecipazione in osseguio al provveduimenti del AGCom in quanto eccedente il lmite ex art. 43/11 TUSMAR

Il divieto di accesso era stato motivato così:

<< • che Vivendi SA avesse acquistato e detenuto la Partecipazione del 28,8% del c.s. di Mediaset in violazione del Contratto di partnership concluso l’8 aprile 2016 includente un implicito impegno di stand still e in violazione di una specifica norma di legge (quella di cui all’art. 43 Tusmar);
• che le suddette violazioni permanessero nonostante l’intestazione fiduciaria a Simon della Partecipazione Fiduciaria;
• che, relativamente alla Partecipazione Fiduciaria, fossero pur sempre opponibili ai sensi degli artt. 1993 c. c. e 83-septies TUF a Simon le eccezioni relative a Vivendi SA circa l’esercizio dei diritti amministrativi inerenti alla Partecipazione Vivendi, anche considerando che l’esercizio dei diritti amministrativi incorporati nelle azioni costituiva reiterazione dell’inadempimento contestato (cfr. doc. 17 citazione)>>.

Il T. afferma la legitimazione ad agire di SF e che la prova di resistenza ex art. 2377/5 cc non si applica al caso de quo : <<Può dunque affermarsi che è inammissibile la prova di resistenza con riferimento all’esclusione di un socio legittimato alla assemblea. La diversa opzione interpretativa di Mediaset spa legittimerebbe, come osservato anche dal Tribunale di Roma nella sentenza citata da Simon in comparsa conclusionale (Trib Roma 17 ottobre 2016 n. 19326), la sistematica esclusione senza sanzione alcuna della minoranza da ogni assemblea perché in ogni caso il voto della minoranza non supererebbe per definizione la prova di resistenza>> p. 7

Il divieto di accesso era stato basato sull’art. 83 septies TUF.

Disattendendo le ragioni di SF, il T. ritiene che le eccezioni addotte da Mediaset (M.) rientrino nella cit. disposizione TUF, di cui dà interptazione estesa: <<La nozione di eccezioni personali cui si riferisce l’art 83 septies tuf è dunque la medesima della disciplina del diritto comune dell’art. 1993 c.c., data l’identità di funzione tra le discipline, favorire una circolazione celere e sicura dei titoli; il riferimento nell’art 83 septies tuf alle eccezioni personali consente di comprendere nella categoria tutte quelle fondate sui rapporti personali che trovano la loro causa in una determinata relazione in cui si sono venuti a trovare l’emittente e il soggetto in favore del quale è avvenuta la registrazione ex art 83 quater e segg tuf e che possono trarre fondamento sia nel contratto c.d. causale (statutario) sottostante lo strumento finanziario, sia in rapporti extra e diretti tra emittente e titolare del conto, non statutari per quanto riguarda le azioni quali strumenti finanziari.
NOTA 3 : Infatti non può dubitarsi che sia sempre oggetto di possibile eccezione personale ex art 1993 comma 1 c.c. la compensazione fondata su un qualsiasi controcredito e non si dubita che l’art 1993 c.c. si applichi ad alcune eccezioni fondate sui rapporti personali extrastatutari tra azionista e società, anche; la compensazione non può esservi se non in caso di autonoma fonte delle reciproche e contrapposte obbligazioni pecuniarie>>

Ma anche qualora si volesse restringere il concetto di eccezioni personali, come prospettato dalla difesa di Simon, alle sole eccezioni che si riferiscono a quei rapporti che hanno avuto direttamente ad oggetto la pretesa che il possessore del titolo esige oppure a quei rapporti che costituiscono il fondamento o la giustificazione di quella pretesa, <<le due eccezioni sollevate da Mediaset ricadrebbero in questa nozione avendo ad oggetto in radice la contestazione sulla stessa titolarità delle azioni vuoi in relazione all’art. 43 co 11 Tusmar – la cui violazione era sanzionata da nullità dell’acquisto ex art 43 comma 4 Tusmar – vuoi alla dedotta violazione di un accordo contrattuale che, secondo la tesi di Mediaset, impegnava Vivendi a non acquistare azioni Mediaset in misura così rilevante come accaduto a dicembre 2016.>>

Infine, la difesa dell’attrice ha contestato la riconducibilità alla nozione di <eccezioni personali> delle eccezioni sollevate da Mediaset a Simon con riferimento alla alterità soggettiva tra Vivendi e Simon: <<Il Tribunale ritiene che alla società fiduciaria possono essere sollevate, per paralizzare l’esercizio dei diritti amministrativi, tutte quelle questioni inerenti i rapporti con il titolare sostanziale e che la società avrebbe potuto sollevare al titolare effettivo dell’azione se non vi fosse stato lo schermo del mandato fiduciario. Nel caso di specie l’intestazione fiduciaria a Simon del 19,19% del c.s. di Mediaset spa acquistato da Vivendi non si colloca nel tentativo di eludere norme di legge, bensì di ottemperare ad un ordine di AGCom, ma ciò non esclude che la titolarità sostanziale delle azioni è pacificamente di Vivendi, costituendo Simon lo strumento per l’esercizio del diritto di voto quanto al pacchetto del 19,19% di Vivendi in Mediaset, esercizio di voto che Vivendi ha ritenuto con sue scelte discrezionali di organizzare attraverso anche la conclusione di un contratto di consulenza con Ersel Sim, ma tutto ciò non osta alla chiara riconducibilità delle azioni alla titolarità sostanziale di Vivendi sicché le eccezioni sollevate da Mediaset a Simon, fondate su rapporti personali con Vivendi, sono eccezioni personali alla parte che vuole esercitare il diritto di voto, eccezioni rispetto alle quali assume rilievo la posizione propria di Simon quale fiduciaria di Vivendi titolare sostanziale delle azioni>>PP. 12-13

Nel merito, però , dà ragione a SG.

L’eccezione basata sulla violazine del art. 43/11 TUSMAr è infonddta, alla luce della nota Corte Giustizia 03.09.2020, C-719/18 e del conseguente TAR Lazio che ha disapplicato retroattivamente l’rat. 43 Tusmar.

Il T. precisa anche che <<la decisione della Corte di Giustizia sull’interpretazione dei Trattati sono vincolanti dunque non solo per il giudice del rinvio, il Tar del Lazio, nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione della delibera AGCom 178/17 ma spiegano efficacia anche al di fuori del giudizio principale, data la loro portata generale ed astratta con efficacia vincolante erga omnes a garanzia dell’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione Europea>>: efficacia su cui è lecito però dubitare.

Sula seconda eccezione (inadempimerno al contratto 08.04.2016), il T. premette che SF non può “chiamarsene fuori”. <<Il patto fiduciario non può comportare, quanto alla contestazione sulla legittimità stessa della titolarità delle azioni, alcuna frazione/separazione tra fiduciante e fiduciaria tale da consentire di ritenere che le questioni che attengono alla legittimità dell’acquisto delle azioni da parte del fiduciante non siano personali anche alla fiduciaria che esercita i diritti amministrativi inerenti quelle azioni su mandato della fiduciante>>.

Tuttavia nel merito l’eccezione di M. è infondata, visto che l’acquisto di azioni in eccesso è avvenuto quando il patto era già risolto per mancato averamento della condizone sospensiva entro il termine concordato.

Sulle spese di lite: <<Nonostante l’accoglimento della domanda ritiene il Tribunale che la novità delle questioni giuridiche trattate, con riferimento all’interpretazione dell’art 83 septies tuf rispetto alle quali le posizioni interpretative di Simon sono state disattese, la circostanza che la fondatezza della domanda è stata in parte ritenuta per effetto di fatti nuovi verificatisi dopo l’esercizio dell’azione, giustifichi ex art. 92 comma 2 cpc la compensazione integrale delle spese processuali della fase di merito e della fase cautelare.>>