Cass. sez. I, ord. 22/04/2024 n. 10.739, rel. Dongiacomo:
la corte di appello:
<<7.2. La corte d’appello, invero, per quanto ancora importa, dopo aver rilevato, in fatto, che: – il consiglio di amministrazione, composto da Br.Gi., quale presidente, e da Mo.Pi., Mo.Al. e Ri.Fe., aveva provveduto a designare quest’ultimo quale amministratore delegato; -” l’amministratore delegato aveva l’obbligo di “riferire periodicamente” al consiglio di amministrazione in merito all’attività svolta”; – gli amministratori non operativi, tuttavia, pur “a fronte dei segnali d’allarme emersi nel periodo di svolgimento dell’incarico”, non hanno provveduto a “verificare l’operato del consigliere delegato”, non avendo mai richiesto all’amministratore delegato “informazioni” in merito all’attività svolta, “chiedendogli chiarimenti circa l’operatività del conto corrente della società” e le “operazioni bancarie compiute” dallo stesso (come il mutuo di scopo stipulato con la società slovacca Nisaya per Euro. 600.000,00 e l’accreditamento del relativo importo su un conto corrente intestato alla società poi fallita) né hanno mai “sollecitato la convocazione” del consiglio di amministrazione per fare il punto sulla “situazione della società” e, dunque, le operazioni compiute per conto della stessa; ha, in sostanza, ritenuto che gli amministratori non esecutivi, anziché reagire alle “condotte distrattive del Ri.Fe.” (incontestatamente compiute dallo stesso attraverso “indebiti prelievi” dal conto corrente intestato alla società) e denunciarne l’operato, si erano limitati, con missiva del 23/11/2011, a rassegnare le loro dimissioni dalle cariche consiliari ricoperte, e che gli stessi avevano, pertanto, negligentemente omesso di attivarsi “per evitare gli effetti pregiudizievoli derivanti dal comportamento dell’amministratore delegato” ai danni del patrimonio della società poi fallita, il cui dissesto, in definitiva, essendo “conseguente alla mancata restituzione del mutuo Nisaya”, la cui provvista era stata distratta dal Ri.Fe., trovava, pertanto, “giustificazione causale anche nella condotta omissiva dei convenuti”.>>
Valutazione corretta secondo la SC:
<<7.3. Tale statuizione è giuridicamente corretta. Non v’è dubbio, invero, che l’amministratore non operativo di una società di capitali che abbia conosciuto (o avrebbe dovuto diligentemente conoscere) un fatto pregiudizievole che abbia compiuto o stia per compiere l’amministratore delegato nell’esercizio delle prerogative gestorie allo stesso attribuite (vale a dire, nel caso in esame, gli “indebiti prelievi” operati dal Ri.Fe. dal conto corrente bancario intestato alla società poi fallita), ha il dovere giuridico di fare, secondo la diligenza professionale cui è tenuto, tutto quanto è possibile per impedirne il compimento o, se già compiuto, di evitarne o attenuarne, anche solo in parte, le conseguenze dannose.[esatto ma ovvietà]
7.4. Questa Corte, in effetti, ha condivisibilmente ritenuto che, tanto nella società per azioni, quanto nella società a responsabilità limitata, “gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la responsabilità solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, la condotta d’inerzia, il fatto pregiudizievole antidoveroso altrui ed il nesso causale tra i medesimi, e, sotto il profilo soggettivo, almeno la colpa”, la quale, a sua volta, “può consistere”, a seconda dei casi, “o nell’inadeguata conoscenza del fatto di altri” “il quale in concreto abbia cagionato il danno”, o, più radicalmente, “nella colposa ignoranza del fatto altrui, per non avere adeguatamente rilevato i segnali d’allarme dell’altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica”, ovvero “nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta” (Cass. n. 2038 del 2018).
7.5. L’amministratore delegante, pertanto, tutte le volte in cui abbia rilevato (o avrebbe dovuto diligentemente rilevare) l’insufficienza, l’incompletezza o l’inaffidabilità delle relazioni informative che gli amministratori delegati hanno (come nel caso in esame) il dovere di trasmettergli e, più in generale, quando abbia percepito (o avrebbe dovuto diligentemente percepire) la sussistenza di una qualsivoglia circostanza idonea ad evidenziare la sussistenza di un fatto illecito già compiuto o in itinere (i cd. “segnali di allarme”), a partire dalla mancata trasmissione di qualsivoglia informazione ancorché richiesta o comunque imposta (dalla legge, dallo statuto o, come nella specie, da una delibera consiliare), ha il potere (e, quindi, il dovere) [si badi: se c’è il potere, ne segue il dovere di esercitarlo] di attivarsi per chiedere agli amministratori delegati di fornire le informazioni dagli stessi dovute; e ciò senza poter, in mancanza, invocare a propria discolpa il fatto che le informazioni fornite dagli organi delegati siano state lacunose o insufficienti o, come nel caso in esame, siano state addirittura omesse del tutto, e di avere, per l’effetto, ignorato il fatto o i fatti pregiudizievoli che gli stessi avevano compiuto o stavano per compiere.
7.6. Il dovere di agire in modo informato e il corrispondente diritto individuale di chiedere informazioni escludono, in effetti, che i componenti del consiglio di amministrazione siano autorizzati ad assumere un atteggiamento, per così dire, “inerte” e possano, dunque, limitarsi semplicemente ad attendere la trasmissione delle informazioni gestorie da parte degli organi delegati e a verificare il relativo contenuto solo se e nella misura in cui tali informazioni siano state effettivamente fornite, avendo, piuttosto, proprio in virtù di quel dovere, l’obbligo (da esercitarsi, a seconda dei casi e delle reazioni, sia in forma individuale, sia in forma collegiale) di sindacare la tempestività delle informazioni eventualmente ricevute e di verificarne la completezza e l’attendibilità e, in difetto, di attivarsi, con la diligenza imposta dalla natura della carica (e cioè quanto meno la diligenza professionale richiesta dall’art. 1176, comma 2°, c.c.), per ottenere le informazioni mancanti e, se del caso, di adottare o proporre i rimedi giuridici più adeguati alla situazione, come la revoca della delega gestoria o dell’amministratore delegato, l’avocazione al consiglio del compimento delle operazioni rientranti nella delega, la proposizione nei confronti dello stesso e dei relativi atti delle necessarie iniziative giudiziali anche a carattere cautelare ed altre misure reattive idonee a costituire o ripristinare almeno un quadro informativo sufficientemente aggiornato alla effettiva gestione.
7.7. Ne consegue che, in caso d’inadempimento (o d’incompleto o inesatto o intempestivo adempimento) a tale dovere, l’amministratore privo di delega che, pur a fronte di segnali di allarme, come la mancata trasmissione di qualsivoglia informazione dovuta nel periodo considerato (e cioè, quanto meno, nel termine minimo di sei mesi previsto dall’art. 2381, comma 5°, c.c.: come i ricorrenti hanno, del resto, espressamente affermato: v. il ricorso principale, p. 14 e 17, e il ricorso incidentale, p. 11), abbia per negligenza trascurato di chiedere ulteriori o più dettagliate informazioni ai delegati o che, prima ancora, abbia omesso di denunciare l’inadempimento degli amministratori delegati al dovere di fornire le relazioni informative periodicamente dovute, risponde, in solido con chi l’ha compiuto, dei danni arrecati alla società ed ai suoi creditori dall’atto illecito (dallo stesso, per l’effetto, colpevolmente ignorato) commesso dall’amministratore delegato nell’esercizio delle prerogative gestorie conferitegli (come la stipulazione del mutuo e la distrazione delle relative somme).
7.8. La sentenza impugnata, pertanto, lì dove ha accertato che gli amministratori non operativi convenuti in giudizio, pur “a fronte dei segnali d’allarme emersi nel periodo di svolgimento dell’incarico”, come la mancata trasmissione delle relazioni informative periodiche dovute dall’amministratore delegato, non avevano mai sollecitato l’amministratore delegato a fornire le dovute “informazioni” in merito all’attività gestoria svolta, “chiedendogli chiarimenti circa l’operatività del conto corrente della società” e le “operazioni bancarie compiute” dallo stesso, ed ha, per l’effetto, ritenuto che ciascuno dei convenuti, avendo negligentemente omesso di attivarsi “per evitare gli effetti pregiudizievoli derivanti dal comportamento dell’amministratore delegato” ai danni del patrimonio sociale, vale a dire i prelievi indebiti dai conti correnti della società compiuti da quest’ultimo, doveva essere condannato, in solido con gli altri, al risarcimento dei danni conseguentemente arrecati, si è senz’altro uniformata ai principi esposti e, come tale, si sottrae alle censure svolte sul punto dai ricorrenti.
7.9. Non può, invero, escludersi, in mancanza di elementi fattuali che inducano a ritenere il contrario (come la sussistenza, la cui prova spettava ai convenuti, di una causa esterna “che abbia reso impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno”: Cass. n. 22848 del 2015, in motiv.), che (a prescindere dalla necessità di ulteriori segnali d’allarme, come l’eccedenza dell’operazione Sh. rispetto ai limiti della delega gestoria conferita al Ri.Fe.) il completo e tempestivo esercizio della vigilanza, così come in precedenza intesa, fosse non solo realmente possibile ma anche concretamente efficace, nel senso che, se diligentemente svolta (con la pretesa di ottenere dall’amministratore delegato le informazioni sull’attività gestoria svolta alla scadenza del secondo semestre a far data dalla delibera consiliare del 15/11/2010, e cioè alla metà di novembre del 2011) avrebbe, appunto, consentito agli amministratori non operativi (i quali, ancorché dimissionari, sono rimasti, rispetto ai terzi, come i creditori della società, senz’altro in carica fino a quando, in data 20/12/2011, è stata incontestatamente iscritta nel registro delle imprese la delibera di nomina del Ri.Fe. quale amministratore unico della società) non solo di venire a conoscenza, in tutto o in parte, dei fatti illeciti (commessi o in itinere) dell’amministratore delegato (come la stipula del mutuo Nisaya, con l’accreditamento in data 9/9/2011 della relativa provvista su un conto corrente bancario della società, e i prelievi indebiti dallo stesso da parte del Ri.Fe.) ma anche di reagire adeguatamente, anche solo in parte, al relativo compimento (“nell’autunno 2011”, come rilevato dal tribunale: v. il ricorso principale, p. 7) con i necessari rimedi giuridici preventivi (rispetto ai prelievi indebiti successivi) e/o successivi (rispetto a quelli già effettuati).
[è il punto più importante: il nesso di causa]
7.10. E non solo: una volta accertato, come ha fatto la sentenza impugnata, che il dissesto della società, essendo “conseguente alla mancata restituzione del mutuo Nisaya”, “trova(va)”, pertanto, la propria “giustificazione causale anche nella condotta omissiva dei convenuti, che sono stati gravemente inadempienti ai doveri di verifica del rispetto della delega conferita al Ri.Fe.”, non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di legge, la decisione che la corte d’appello, sulla base di questo accertamento, ha, di conseguenza, assunto, vale a dire la pronuncia di condanna degli amministratori deleganti al risarcimento dei danni che gli stessi “ove avessero tempestivamente attivato i loro doveri di controllo, ben avrebbero potuto evitare”, nella misura corrispondente al passivo accertato in sede fallimentare (pari ad Euro. 660.434,29) e alle residue spese stimate per la procedura concorsuale (pari ad Euro. 30.000,00), per la somma complessiva di Euro. 690.423,81. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, con la sentenza n. 9100 del 2015, hanno, come ha correttamente ricordato il Fallimento, affermato che l’amministratore della società può essere senz’altro chiamato a rispondere di un danno corrispondente all’intero deficit patrimoniale accumulato dalla società fallita, così come accertato nell’ambito della procedura concorsuale (comprese, dunque, le passività in prededuzione, che inevitabilmente conseguono alla sua stessa apertura), soltanto per “quei comportamenti che (come quelli accertati, in fatto, dalla sentenza impugnata) possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza”>>.
Va però segnalata ancora una volta la scarsa attenzione ai fatti specifici da parte dei nostri giudici (a differenza ad es da quelli inglesi). Capisco che ciò porti loro via molto tempo:; ma il controllo della sentenza presuppone che siano esposti e esamuabnti in dettaglio.