Versamenti in conto capitale e versamenti in conto futuro aumento di capjtale

Cass. sez. I dell’ 8 agosto 2023 n. 24.093, rel. Fidanzia:

la censura:

<<Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha erroneamente condiviso l’impostazione del CTU nel ritenere che la somma di Euro 1.156.724,20 costituisse un debito, o comunque un’acquisizione patrimoniale condizionata ad una futura delibera di aumento del capitale, come tale non diversamente disponibile.

In particolare, la Corte d’Appello ha violato l’art. 2424 c.c., nell’affermare che la chiara indicazione di “versamenti in conto di capitale” dimostrasse che si trattasse di versamenti finalizzati all’eventuale futuro aumento di capitale considerando. In proposito, evidenzia il ricorrente che nei bilanci precedenti al 2007 quella posta era stata indicata come semplice “riserva”, che sarebbe divenuta successivamente “riserva da versamenti in conto capitale”, e, nel bilancio 2007, “riserva da versamento in conto futuro aumento di capitale”. Gli stessi bilanci non facevano riferimento né a pretese restitutorie dei soci eroganti, né ad un vincolo di destinazione della riserva in oggetto, né a un qualsivoglia futuro, programmato e ben determinato aumento di capitale.

Ad avviso del ricorrente, la Corte d’Appello ha erroneamente indicato il collegamento della riserva al socio erogante nella semplice dicitura utilizzata in bilancio “versamenti in conto capitale” ed ha, nel contempo, violato l’art. 1362 c.c. laddove ha dato rilievo non già alla comune volontà delle parti (da valutare sulla base delle modalità con cui si era svolto il rapporto, delle finalità perseguite dalle parti e degli interessi sottesi) bensì alla mera denominazione contabile della posta>>.

La risposta della SC:

<<7. Il motivo è fondato.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha in modo dettagliato ed esaustivo illustrato la distinzione tra “versamenti in conto capitale” e “versamenti in conto futuro aumento di capitale” nell’ordinanza n. 29325/2020, nella quale, inquadrando, più in generale, le diverse figure delle dazioni del socio tra: a) i conferimenti; b) i finanziamenti dei soci; c) i versamenti a fondo perduto o in conto capitale; d) i versamenti finalizzati ad un futuro aumento di capitale, si è espressa nei seguenti termini:

“…..I versamenti del terzo tipo sono privi della natura del mutuo, in quanto non ne è pattuito il diritto al rimborso; vanno, quindi, iscritti nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve, che l’assemblea può discrezionalmente utilizzare, con le ordinarie modalità, per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale, imputandole a ciascun socio proporzionalmente alla partecipazione al capitale sociale (senza che occorra obbligatoriamente tener conto del soggetto che abbia operato il versamento, proprio in ragione dell’inesistenza vuoi di un credito alla restituzione delle somme, vuoi di una anticipata dazione a titolo di conferimento).

L’apporto del socio produce l’acquisizione definitiva al patrimonio della società delle somme versate, da assimilare al capitale di rischio, cui vanno equiparate agli effetti sostanziali; la riserva così formata, al pari delle riserve ordinarie o facoltative per la quota eccedente la riserva legale, ha dunque di regola carattere disponibile, ma una eventuale distribuzione non costituisce un diritto soggettivo del socio.

d) Nell’ultima categoria, la dazione del denaro è finalizzata a liberare il debito da sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale mediante successiva rinuncia, che il socio porrà in essere dopo la deliberazione assembleare di aumento e la sua sottoscrizione.

Si è parlato di una riserva “personalizzata” o “targata”, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che abbiano effettuato il versamento in relazione all’entità delle somme da ciascuno erogate (Cass. 24 luglio 2007, n. 16393; Cass. 19 marzo 1996, n. 2314). Ove l’aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato: non a titolo di rimborso di somma data a mutuo, ma per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quale ripetizione dell’indebito.

Dunque, va precisato che, perché la “dazione” del socio sia ricondotta a tale categoria, è necessario che la subordinazione ad un aumento di capitale sia chiara ed inequivoca, mediante l’indicazione ex ante di elementi sufficientemente specifici e dettagliati, i quali inducano a ritenere effettivamente convenuta tra i soci l’effettuazione non di un versamento tout court a favore delle casse sociali, ma di un versamento avente titolo e causa concreta proprio nella partecipazione al capitale sociale mediante un futuro conferimento, che, sebbene meramente rinviato rispetto al momento della dazione materiale della somma, sia nondimeno sin dall’inizio volto, secondo la complessiva operazione programmata dai soci, ad aumentare la rispettiva quota di partecipazione sociale, in termini assoluti.

Ciò, per il principio generale di determinatezza o determinabilità ex art. 1346 c.c., secondo cui deve essere sempre individuabile con sufficiente certezza l’oggetto del contenuto precettivo di un accordo negoziale.

Le sole parole usate non sono, dunque, di per sé esaustive, ben potendo un versamento essere denominato, nei documenti societari e contabili, come eseguito “in conto futuro aumento del capitale sociale”, ma non essere affatto, nel contempo, accompagnato da quegli indici di dettaglio (ad es., il termine finale entro cui verrà deliberato l’aumento, ma anche altre caratteristiche dello stesso), che soli qualificano la dazione come da ricondurre alla categoria in esame.[precisazione importante: il termine è essenziale]

In tal caso, pertanto, l’iscrizione in bilancio avviene sempre come riserva, e non come finanziamento soci; ma, perché sorga pure l’obbligo restitutorio condizionato, dovrà, altresì, essere evidenziato che l’apporto è suscettibile di restituzione ai soci in virtù dell’effetto risolutorio riconnesso a tale tipo di apporto, per tale profilo dunque avvenuto in modo non definitivo (a differenza degli altri versamenti).

6.3. – Decisiva nella qualificazione della dazione è l’interpretazione della volontà delle parti, rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito.

Occorre, in particolare, da parte di questi accertare se si sia trattato di un rapporto di finanziamento riconducibile allo schema del mutuo o di un contratto atipico di conferimento, ed, in quest’ultimo caso, se esso sia stato – in modo inequivoco condizionato o no, nella restituzione, ad un futuro aumento del capitale nominale della società.

L’indagine sul punto può tener conto di ogni elemento, quali le clausole statutarie che tali versamenti prevedano, il comportamento delle parti, i fini perseguiti, le scritture contabili, i bilanci e qualsiasi altra circostanza del caso concreto, capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti “.

Deve quindi enunciarsi o meglio ribadirsi, il seguente principio di diritto:

“1. Per versamenti in conto futuro aumento di capitale devono intendersi quelle dazioni di danaro dei soci a favore della società che non siano, tuttavia, definitivamente acquisite al patrimonio sociale, avendo uno specifico vincolo di destinazione, con la conseguenza che, ove l’aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato, per essere venuta meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quale ripetizione dell’indebito.

2. Per qualificare la dazione come versamento in conto futuro aumento di capitale, l’interprete deve verificare che la volontà delle parti di subordinare il versamento all’aumento di capitale risulti in modo chiaro ed inequivoco, utilizzando, all’uopo, indici di dettaglio (quali l’indicazione del termine finale entro cui verrà deliberato l’aumento, il comportamento delle parti, eventuali annotazioni contenute nelle scritture contabili o nella nota integrativa al bilancio, clausole statutarie), e, comunque, qualsiasi altra circostanza del caso concreto, capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti, non essendo, all’uopo, sufficiente la sola denominazione adoperata nelle scritture contabili”.

Non vi è dubbio che, nel caso di specie, la Corte d’Appello, nell’interpretare la volontà delle parti in ordine alla natura delle dazioni di cui è causa, non abbia fatto buon governo dei sopra enunciati principi di diritto.

In primo luogo, dalla lettura della sentenza impugnata appare che il giudice d’appello abbia confuso la categoria dei “versamenti in conto di capitale ” con i “versamenti in conto futuro aumento di capitale”, atteso che, nell’evidenziare che l’unico elemento per interpretare la volontà delle parti era dato dalle risultanze di bilancio, in questi termini si esprime:”…Nel caso di specie, l’unico elemento ravvisabile è l’indicazione in bilancio, sotto la categoria “riserve”, ma con la chiara indicazione di “versamenti in conto di capitale” e dunque finalizzati all’eventuale futuro aumento dello stesso, posto che non era stato deliberato un coevo aumento del capitale”.

D’altra parte, a differenza di quanto adombrato dall’appellante, la medesima qualificazione si rinviene nel bilancio chiuso al 31.12.2005 dimostrando anche la persistenza di tale indicazione anche nel periodo antecedente alla fuoriuscita del C. (escludendo, quindi, definizioni di “comodo”) ed evidenziando, altresì, come tali versamenti siano rimasti inutilizzati proprio perché vincolati al futuro aumento di capitale.

In ogni caso, anche ove si volesse ritenere che la Corte d’Appello, nell’indicare i versamenti in questione, fosse incorsa in un mero errore materiale, per essersi dimenticata l’espressione “futuro aumento”, comunque la Corte sarebbe incorsa nei vizi denunciati dal ricorrente, avendo valorizzato, per sua espressa ammissione, come unico indice interpretativo, la sola denominazione adoperata nelle scritture contabili, con ciò contraddicendosi, peraltro, con quanto affermato qualche riga sopra nella quale aveva osservato (vedi pag. 13 secondo capoverso della sentenza impugnata) che, per accertare la natura del versamento dei soci, l’utilizzo di formule non codificate impone di verificare con la massima cautela quale sia stata la reale intenzione dei soci e della società “….. non essendo sufficiente, la sola denominazione adoperata nelle scritture contabili, ma dovendosi dare conto anche delle finalità pratiche e degli interessi sottesi, e quindi si deve tenere conto delle clausole statutarie, delle scritture contabili e dei bilanci, del comportamento delle parti e di ogni altro elemento concreto possa avere rilievo (Cass. 16049/2015 cit. e Cass. 21563/2018 cit)”.

La Corte d’Appello non ha indicato elementi specifici e dettagliati, forniti ex ante, denotanti la chiara ed inequivoca volontà dei soci di destinare i versamenti di cui è causa ad un futuro aumento di capitale, costituente unico titolo e causa concreta dell’eventuale operazione programmata dai soci. La Corte d’Appello non ha valorizzato quegli indici di dettaglio che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto significativi (indicazione del termine finale entro cui verrà deliberato l’aumento, comportamento delle parti, eventuali annotazioni contenute nelle scritture contabili o, a titolo di ulteriore esempio, anche nella nota integrativa al bilancio, etc.).

D’altra parte, non rientra tra gli indici interpretativi individuati da questa Corte la circostanza fattuale della materiale provenienza dei versamenti (nel caso di specie, dalla documentazione agli atti era emerso che i versamenti di cui è causa non erano riconducibili al C.), avendo già questa Corte evidenziato, nel citare sopra l’ordinanza n. 29325/2020, che l’assemblea può discrezionalmente decidere di utilizzare i “versamenti in conto capitale” (da iscriversi nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve) per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale, imputandole a ciascun socio proporzionalmente alla partecipazione al capitale sociale, senza che occorra obbligatoriamente tener conto del soggetto che abbia operato il versamento, proprio in ragione dell’inesistenza vuoi di un credito alla restituzione delle somme, vuoi di una anticipata dazione a titolo di conferimento. Dunque, rientra nella fisiologia che “i versamenti in conto capitale” possano provenire solo da alcuni soci e non da tutti.

Alla luce delle sopra illustrate osservazioni, deve ritenersi che il giudice d’appello sia incorso nella denunciata violazione dell’art. 1362 c.c..>>

I sindaci devono informare la Consob di qualunque irregolarità riscontrata, anche di quelle apparentemente minori

Cass sez. II del 28.08.2023 n. 25.336, rel. Papa, per violazione dei sindaci dell’art. 149.3 tuf a seguito di incompleta informazione dell’ amminnstratore ex 150.1 tuf  su sottoscrizione di prestito obbligazinario in conflitto di interesse :

<<Nella specie, dunque, la sottoscrizione del prestito obbligazionario era stata segnalata come rilevante dall’Amministratore delegato, ma l’informazione non era stata evidentemente accurata e completa perché non aveva riferito della sussistenza di un potenziale conflitto di interesse all’operazione di un componente del C.d.a. in quanto amministratore pure dell’emittente.

Il difetto di segnalazione del potenziale conflitto rappresentava una “irregolarità” dell’operazione, rilevante ex art. 150 TUF e, perciò, da comunicare a CONSOB ex art. 149 comma 3 TUF.

Diversamente non può ritenersi, come sostenuto dai controricorrenti e recepito in sentenza, considerando la sopravvenienza della situazione di un’operazione con parte correlata, perché nella fattispecie si controverte della comunicazione dell’irregolarità rappresentata dalle carenze della relazione informativa da parte dell’Amministratore delegato, non delle conseguenze dell’informazione incompleta: la comunicazione che il collegio sindacale deve fare senza indugio alla CONSOB, ai sensi dell’art. 149, comma 3, T.U.F., riguarda tutte le irregolarità che tale collegio riscontri nell’esercizio della sua attività di vigilanza perché la legge non demanda ai sindaci alcuna funzione di filtro preventivo sulla rilevanza delle irregolarità da loro riscontrate, al fine di selezionare quali debbano essere comunicate alla CONSOB e quali non debbano formare oggetto di tale comunicazione; l’assolutezza del comando normativo emerge, oltre che dalla lettera dell’art. 149, comma 3, T.U.F. – in cui il sostantivo “irregolarità” non è accompagnato da alcun aggettivo qualificativo – anche dall’evidente ratio legis di evitare che i collegi sindacali debbano misurarsi con parametri di rilevanza/gravità delle irregolarità da segnalare alla CONSOB la cui concreta applicazione dipenderebbe da valutazioni inevitabilmente opinabili, così da risultare foriera di gravi incertezze operative e, in ultima analisi, da rischiare di pregiudicare proprio lo scopo della disposizione in esame, evidentemente volta a garantire alla CONSOB una completa e tempestiva informazione sull’andamento delle società sottoposte alla sua vigilanza.” (Cassazione civile, Sez. 2, n. 3251 del 10/02/2009; Sez. 2, n. 12110 del17/05/2018).

La Corte d’appello non ha osservato questo principio laddove ha ritenuto di poter escludere l’antigiuridicità dell’omessa comunicazione a CONSOB, da parte del Collegio sindacale, della incompletezza della relazione informativa da parte dell’A.d., dando rilievo a circostanze di fatto estranee e sopravvenute>>.

Nuova edizione dei principi di Corporate governance dell’OECD (anzi, G20/OECD)

Orizzonti del diritto commerciale dà notizia della e link alla nuova edizione dei  Principi di Corporate governance OECD (anzi G20/OECD).

Qui richiamo la parte sulla sostenibilità , cap. VI Sustainability and resilience.

Le relative regole mirano solo alla miglior profittabilità nel lungo termine.

Tale è lo scopo anche della misura più avanzata, il dialogo con gli stakeholders (VI.B. Corporate governance frameworks should allow for dialogue between a company, its shareholders and stakeholders to exchange views on sustainability matters as relevant for the company’s business strategy and its assessment of what matters ought to be considered material).

Genericissima la regola sulla partecipazione dei lavoratori, VI.D.3 (The degree to which employees participate in corporate governance depends on national laws and practices, and may vary from company to company as well. In the context of corporate governance, mechanisms for participation may benefit companies directly as well as indirectly through the readiness by employees to invest in firm specific skills. Examples of mechanisms for employee participation include employee representation on boards and governance processes such as works councils that consider employee viewpoints in certain key decisions. International conventions and national norms also recognise the rights of employees to information, consultation and negotiation).

Responsabilità dei sindaci e transazione dell’obbligazione solidale in una recente sentenza del tribunale lagunare

Trib sez. imprese Venezia 18 sagosto 2023 n. 1476/2023, RG 550/2016, rel Campagner, esamina una lite sulla responsabilità di amminsitratori e sindaci promossa dalla curatela.

Riporto solo i passaggi sui due temi in oggetto:

Sindaci:

<<La violazione di tali obblighi è fonte di responsabilità risarcitoria, quando il danno (per la società, per i soci o per i creditori) non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato e agito in conformità agli obblighi della loro carica.
Il che implica che l’accertamento della responsabilità dei Sindaci passa per un giudizio controfattuale, che impone di verificare se l’adozione del comportamento prescritto e l’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo avrebbero impedito la verificazione del danno, mentre essi non rispondono in modo automatico per ogni fatto dannoso che amministratori negligenti abbiano posto in essere.
Ne discende che per poter accertare la sussistenza della responsabilità dei sindaci in concorso omissivo con il fatto illecito degli amministratori, colui che propone l’azione ex art. 2407 c.c. ha l’onere di allegare specificamente quali doveri sono rimasti inadempiuti e quali poteri non sono stati esercitati dai sindaci e di provare il danno ed il nesso di causalità tra quelle omissioni ed il danno, nesso che può ritenersi sussistente “quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”
(art. 2407, comma 2 c.c.)>

Transazione dell’obbligo risarcirorio pro quota:

<<Le suddette transazioni si riferiscono senza distinzione alcuna all’azione già intentata dal Fallimento; come esplicitato nel testo, ciascuna transazione ha determinato lo scioglimento del vincolo di solidarietà passiva con ogni altro coobbligato concorrente e ha ad oggetto i soli crediti relativi alla quota astratta individuale di responsabilità di ciascun transigente.
Tenendo conto della distinzione tra transazione pro quota e transazione dell’intero debito (ipotesi alla quale è applicabile l’art. 1304 c.c.) come tratteggiata da C. Civ. S.U. n. 30174 del 2011, il contratto stipulato da ciascun transigente deve essere qualificato come transazione pro quota, tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore che vi aderisce; essa non può coinvolgere gli altri condebitori, i quali dunque nessun titolo avrebbero per profittarne, salvo ovviamente che per gli effetti derivanti dalla riduzione del loro debito in conseguenza di quanto pagato dal debitore transigente .

Si deve, infatti, ulteriormente precisare che, qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, come nel caso di specie, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto>>

Sulla validità della clausola societaria c.d. antistallo (roulette russa)

Cass. 25.07.2023 sez. I  n. 22.375, rel. Fraulini, conferma la validità delal clausola antistallo c.d. russian roulette , Il ragionamento , approfondito, è persuasivo.

<<Nella sua schematizzazione più semplice, la clausola russian roulette prevede che, al verificarsi di una situazione di deadlock non altrimenti risolvibile, a uno o entrambi dei soci paciscenti è attribuita la facoltà di rivolgere all’altro socio un’offerta di acquisto della propria partecipazione, contenente il prezzo che si è disposti a pagare per l’acquisto della stessa. Il socio destinatario dell’offerta non e’, tuttavia, in una posizione di mera soggezione di fronte a tale iniziativa, ma risulta titolare di un’alternativa che può liberamente percorrere: a) può, infatti, accettare l’offerta, e quindi vendere la propria partecipazione al prezzo indicato dalla controparte; b) può, invece, “ribaltare” completamente l’iniziativa e farsi acquirente della partecipazione del socio offerente, per il prezzo che quest’ultimo aveva indicato>>.

Di solito è inserita nei patti parasociali, ormnai paficiamente legittimi precisa la SC [chissa perchè non negli stsatuti]

Sub g) le consideraizoni civilisticjhe.

Pacifico che non vuioli nè la’rt. 1355 nè l’art. 1349. E’ una obbligaziopne alternativa, dice la SC

Nemmeno viola il divieto di patto leonino, (sub h).

Anche la necessità di valore congruo (profiloi m,eno scontato) non è riconoscoiuuta dall aSC, almeno parrebbe.

Il profilo di sicuro più interessante è la possibile violazione della buona fede e/o il possibile abuso del diritto (sostanzialmente una concretizzazione della prima), sub l):

<<E’ certamente possibile che anche la clausola di russian roulette possa dare luogo ad abusi e che pertanto il suo esercizio soggiaccia all’applicazione dei principi generali di correttezza e buona fede. Si è già notato, da questo punto di vista, come la dottrina e la giurisprudenza nordamericana evidenzino, da un lato, l’esigenza di discovery da parte del socio che fa ricorso alla clausola, in modo che chi riceve la notifica di deadlock e l’indicazione del prezzo offerto abbia gli elementi conoscitivi per poter decidere consapevolmente se vendere od acquistare la partecipazione e, come, allo stesso tempo, una particolare attenzione debba essere riservata ai casi in cui vi sia una forte divergenza economico-finanziaria fra le parti, a evitare che un soggetto possa abusare della clausola per espellere l’altro partner anche di fronte a una situazione di stallo non effettiva o unilateralmente imposta, dando luogo a quella che è chiamata lack of choice (ossia la perdita di quel potere di SCElta in capo all’oblato che fonda sul pianto strutturale l’equilibrio della clausola rendendo incerto al dichiarante quale sarà l’esito del meccanismo da lui stesso azionato).

Ove tali condotte fossero in concreto ravvisabili, in dottrina si è ipotizzato che l’oblato possa fruire di tutela risarcitoria per i danni che abbia subito dalla estromissione iniqua dalla società e che lo stesso possa anche impedire il meccanismo attivato dall’altro socio attraverso l’opposizione dell’exceptio doli generalis, con la quale paralizzare, anche in via cautelare, l’altrui attivazione della clausola di russian roulette. Si e’, poi, osservato che se la situazione di “stallo” fosse artatamente creata dal soggetto intenzionato a esercitare in mala fede la buy/sell provision, il rimedio potrebbe anche consistere nell’annullamento della delibera negativa oppure, secondo altra prospettazione, nella stessa rideterminazione giudiziale dell’esito della votazione. Un’ulteriore possibilità di tutela ipotizzata è rappresentata, poi, secondo diversa opzione interpretativa, dalla sanzione dell’inefficacia dell’atto realizzato attraverso l’abuso (così, nella fattispecie ipotizzata, nell’inefficacia dell’atto traslativo della partecipazione societaria), considerando tale opzione come più tutelante rispetto a quella puramente risarcitoria>>.

Impugnazione della delibera di revoca da parte di amministratore di s.p.a.: il caso della utility AGSM AIM spa

Trib. Venezia decr. 1644/2023 del 03.07.2023, RG 1909/2023-1, rel. Tosi, sul tema con alcuni spunti interessanti:

– l’amministratore revocato è legittimato (ed ha interesse) ad impugnare la delibera dei soci che lo revoca: corretto, poichè il vizio dedotto sta a monte della perdita della carica.

– la giusta causa conta solo ai fini del risarcimento, non della efficacia della delibera: corretto e pacifico , essendo la revoca immediata ed incondizionata.

– l’abuso nel voto da parte di in socio . E’ la parte più interessante dato che qui è fatto valere da un non socio (l’ammministratore) contro la società-

<<L’abuso del voto è figura giuridica che si impernia sulla regola per cui anche il contratto di società, come ogni altro, va eseguito in buona fede; e riguarda il caso in cui il voto sia esercitato in modo contrario alla buona fede. Il tema non riguarda pertanto l’astratto interesse della società, ma i rapporti fra i soci, parti del contratto. In linea generale ogni socio persegue, nell’esercitare i suoi diritti sociali, propri interessi ed è libero di esercitare il proprio voto come meglio crede, nell’interesse proprio [entro quelli dedotti -espicit. o implicit.  nel contratto sociale!]. Si configura abuso di maggioranza (così si intende configurato dal ricorrente il comportamento di voto del socio Verona) solo quando l’esercizio del voto da parte della maggioranza avviene al solo scopo di ledere l’interesse della minoranza [meglio: quando è difforme dallo scopo di produrre profitto sostenibile]. Diversamente, la divergenza di voto fra soci è fisiologia della vita sociale: nel caso in esame, peraltro, al dissenso fra soci in occasione della revoca dell’avv. Casali e della consigliera Vanzo, è seguita concordia nella scelta dei successori suo e della consigliera Vanzo.

In ogni caso, rispetto al requisito fondante l’abuso (l’esercizio del voto a soli fini di lesione del socio di minoranza) nulla viene allegato dal ricorrente. Egli invece chiede che il giudice si addentri nella verifica di quale sia la migliore scelta, fra le varie possibili ai soci rispetto all’ordine del giorno assembleare, rispetto alla governance sociale; il giudice dovrebbe entrare a gamba tesa nelle scelta dei soci, valutando se il voto del Comune di Verona sia conforme all’interesse sociale e addirittura apprezzando la qualità dell’operato dei consiglieri rimasti e di quelli sostituitivi, come la parte ricorrente chiede di fare nel momento in cui intende verificare i contenuti del procedimento ex art. 2409 c.p.c. che essa allega sia stato incardinato avanti a questa Sezione contro il nuovo CdA. A questo proposito, non solo non spetta al giudice operare una valutazione di opportunità della scelta della compagine sociale in punto nomina amministratori nella prospettiva ex ante, l’unica eventualmente ipotizzabile, dal punto di vista logico [punto di cvista “giuridico”, non logico!. Può poi appplicarsi la business judgment rule anche nella delibera dei soci , come per le scelte gestorie: se irrazionale -cioè in malafede- , è illegittima], rispetto alla valutazione della liceità della delibera; ma tanto meno spetta una valutazione alla luce di fatti posteriori, peraltro essi stessi sub iudice [ovvio, nemmeno andava precisato: conta solo l’ ex ante].

In realtà, nella fattispecie dell’abuso , la verifica dell’interesse sociale costituisce più che altro uno strumento di controllo, nel senso che la difficoltà di ravvisare un apprezzabile interesse sociale può costituire elemento che sorregge la verifica dello scopo lesivo; e comunque si tratta di elemento sussidiario, non principale, della fattispecie. La verifica stessa dell’interesse sociale è materia assai delicata, e tanto più lo è nel caso concreto, dove, in una prospettiva diversa da quella dell’amministratore revocato, e pur sempre riferita all’interesse sociale, va considerato che a consiglieri “divisivi” sono stati sostituiti consiglieri votati conformemente dai due soci. Questo aspetto fattuale pare peraltro rilevante anche rispetto all’apprezzamento del periculum in mora, ex  art. 2378 comma 3 c.c.>>.

Spunto finale:

<<In ogni caso, non è neppure allegato che il socio maggioritario Verona abbia votato a soli fini di lesione del socio minoritario Vicenza; e tanto basta in questa sede, non meritando addentrarsi nella verifica (che pure non appare peregrina) se all’amministratore spetti l’azione di annullamento per abuso, non essendo egli un socio>>.       Dubbio interessante posto dal giudice: ma la risposta è positiva sia qualora l’effetto si riverberi -non come mero fatto ma precisa conseguenza giuridica- sul rapporto tra società e amministratore sia per la legittimazione all’impugnazione delle delibere illegittime dei soci spettante all’amministratore.

Diritto di parola della società tramite i suoi amministratori sui temi socialmente divisivi

La Corte del Delaware 27.06.2023 , C.A. No. 2022-1120-LWW, Simeone v. Walt Diusney, sulla nota controversia tra Ron De Santis e la Walt Disney, a seguito della decisione della seconda di opporsi alla legge c.d.  «Don’t Say Gay» (il primo aveva minacciato di far perdere alla seconda benefici fiscali, con esternazione vagamente minatoria).

Il tema è interessnte, divenendo sempre più attuale l’intervento dei CEOs sui temi socialmente significativi.

C’è un profilo esterno (diritto di parola in senso tecnico in capo ad ente lucrativo) e uno interno (doveri del manegement verso i soci): i quali sono correlati (è il secondo a porre limiti al primo?).

Lite nata da istanza di accesso ai libri contabili secondo la Sec. 220, sempre più spesso azionata per facilitare le successive azioni di responsabiiità (v.  saggi di Roy Shapira)

Riporto quanto segue:

<< Far from suggesting wrongdoing, the evidence here indicates that the Board actively engaged in setting the tone for Disney’s response to HB 1557.132 The Board did not abdicate its duties or allow management’s personal views to dictate Disney’s response to the legislation. Rather, it held the sort of deliberations that a board should undertake when the corporation’s voice is used on matters of social significance.

As Chapek told stockholders during Disney’s 2022 annual meeting, the company’s original approach to HB 1557 “didn’t quite get the job done.” The company, facing widespread backlash from its staff and creative talent, changed course after the full Board held a special meeting about “Political Engagement and Communications.” The Board discussed “the communications plan, philosophy and approach regarding Florida legislation and employee response.” Only then did Chapek announce that Disney opposed the bill. The Board’s consideration of employee concerns was not, as the plaintiff suggests, at the expense of stockholders.

A board may conclude in the exercise of its business judgment that addressing interests of corporate stakeholders—such as the workforce that drives a company’s profits—is “rationally related” to building long-term value. Indeed, the plaintiff acknowledges that maintaining a positive relationship with employees and creative partners is crucial to Disney’s success. It is not for this court to “question rational judgments about how promoting nonstockholder interests—be it through making a charitable contribution, paying employees higher salaries and benefits, or more general norms like promoting a particular corporate culture—ultimately promote stockholder value.”>>

Il vizio del conflitto di interessi del socio non diventa irrilevante per il mero fatto che la sua quota era necessaria per raggiungere il quorum richiesto

Cass. 19.06.2023 n. 17.461, 1 sez., rel. Catallozzi,  relativa ad impugnazione di delibera che aveva negato l’autorizzazione ad agire in responsabilità verso amministratore e socio di riferimento:

<<l’interesse a impugnare la delibera societaria sorge per il mero fatto che la stessa è stata adottata con la partecipazione determinante del socio in conflitto di interessi e si presenta idonea ad arrecare un danno alla società, per cui prescinde dall’ipotizzata impossibilità per l’assemblea di approvare una delibera di diverso contenuto – corrispondente alla volontà del socio impugnante – per mancanza del quorum costitutivo laddove il socio in conflitto si fosse astenuto;
– infatti, la possibilità di adottare una delibera dal contenuto diverso è estranea alla fattispecie impugnatoria in esame e alla sua ratio, non incidendo sull’interesse del socio alla caducazione della delibera, che è strumentale a evitare l’adozione di una decisione pregiudizievole per la società in ragione del conflitto di interessi in cui versa il socio che con la sua partecipazione ha determinato l’approvazione della delibera medesima e che è un interesse distinto rispetto a quello che lo stesso può vantare all’adozione di una delibera di contenuto diverso rispetto a quella ritenuta invalida>>;

(notizia della sentenza da dirittodellacrisi.it)

Esecuzione del contratto sociale secondo correttezza e buona fede

Trib. Roma n. 1370/2023 del 27.01.2023,  RG 6118/2018, rel. goggi (segnalata da giurisprudenzadelleimprese.it):

<<Se è vero, infatti, secondo quanto previsto dall’art. 1375 c.c., che il contratto sociale deve essere eseguito in buona fede e che, dunque, tutte le determinazioni e decisioni dei soci, assunte formalmente o informalmente durante lo svolgimento del rapporto associativo, debbono essere considerate come veri e propri atti di esecuzione e devono conseguentemente essere valutate nell’ottica della tendenziale migliore attuazione del contratto sociale, dovendosi, dunque, ai fini che qui rilevano, considerare antigiuridico anche un atto che in concreto si presenti espressione dell’inosservanza dell’obbligo di fedeltà allo scopo sociale e/o del dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale, occorre tuttavia che in concreto venga fornita la prova del pregiudizio patrimoniale effettivamente subito e della correlazione eziologica tra la condotta inadempiente del socio ed il danno al patrimonio sociale che viene ritenuto imputabile a tale condotta>>

Chiaro, conciso ed esatto. Il rapporto sociale è contrattuale e ad esso si applica la disciplina del contratto.

Poi sull’onere della prova:

<<Invero, dall’art. 2697 c.c. – che richiede all’attore la prova del diritto fatto valere ed al convenuto la prova della modificazione o dell’estinzione dello stesso – si desume il principio della presunzione di persistenza del diritto: in forza di tale principio, pacificamente applicabile all’ipotesi della domanda di adempimento, ove il creditore dia la prova della fonte negoziale o legale della propria pretesa, la persistenza del credito si presume ed è, dunque, sul debitore che grava l’onere di
provare di aver provveduto alla relativa estinzione ovvero di dimostrare gli altri atti o fatti allegati come eventi modificativi o estintivi del credito di parte avversa (in tal senso, Cass. Sezioni Unite, 30 ottobre 2001, n. 13533; conf., ex plurimis, Cass., 21 maggio 2019, n. 13685; Cass., 13 giugno 2006, n. 13674; Cass., 12 aprile 2006, n. 8615)>>.

L’intestazione fiduciaria di quote di SRL rimane nonostante trasferimenti multipli

Cass. sez. I del 15 giugno 2023 n. 17.151, rel. Nazzicone:

Principi sulla intestazione fiduciaria:

<<3. – Tuttavia, l’interposizione reale mediante ripetuti passaggi fiduciari ai soggetti più disparati, siano essi persone fisiche o giuridiche, è ammissibile e si inquadra nell’istituto dell’intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, non escludendo invero certamente la riconducibilità pur sempre al medesimo interponente della titolarità della quota o del pacchetto azionario di riferimento, l’esistenza di ulteriori passaggi e titolarità indirette dello stesso, purché, naturalmente, adeguatamente dimostrati.>>

In generale:

<<Invero, come in ambito civilistico, anche per l’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie vale quanto osservato in modo sintetico e descrittivo in dottrina, secondo cui la posizione del fiduciario è caratterizzata da un potere giuridico eccedente il suo scopo, dato il divario tra ciò che a lui è “giuridicamente possibile” e ciò che invece è “giuridicamente consentito”. Ciò perché l’intestazione delle partecipazioni al fiduciario è strumentale ai fini esclusivi perseguiti dal fiduciante, tipica dell’istituto essendo, inoltre, non una conflittualità ricomposta degli interessi, ma la convergenza di questi, ogni decisione venendo, di necessità, assunta nell’interesse essenziale del fiduciante (Cass. 14 febbraio 2018, n. 3656).

Sulla struttura e sulla causa del negozio – superata la tesi del collegamento negoziale tra due contratti, l’uno ad effetti reali e l’altro ad effetti obbligatori diretto a modificare il risultato finale del primo – la qualificazione è come contratto unitario avente una causa propria, species del genus agire per conto altrui, in cui la causa non risiede né nel trasferimento del bene, né nella sostituzione al mandante ai fini del compimento di specifici atti, ma nella combinazione dei due momenti, in vista dell’obiettivo della c.d. spersonalizzazione della proprietà (cfr. Cass. 9 maggio 2023, n. 12353; Cass. 28 aprile 2021, n. 11226, in tema di arbitrato societario; Cass. 14 febbraio 2018, n. 3656; mentre Cass. civ sez. un., 6 marzo 2020, n. 6459, pur ricordando le diverse ricostruzioni causali, afferma, al riguardo, di non prendere posizione sul punto, perché non rilevante nella soluzione della questione posta), cui non osta, del resto, neppure la remora di una proprietà temporanea, attese le numerose indicazioni in argomento emerse nel sistema (cfr. art. 2645-ter c.c. o le vendite sotto condizione o con riscatto, e così via).

Tutto ciò, grazie al supporto dogmatico offerto da un duplice ordine di considerazioni.

Da un lato, la comprensione del particolare bene “partecipazione sociale”: diversa sia dalla res oggetto del diritto di proprietà, sia dal diritto di credito, ma, piuttosto, posizione complessa costituita da un insieme di situazioni soggettive attive e passive.

Dall’altro lato, la teoria della causa concreta, la quale ha reso probabilmente superflue le figure del negozio indiretto e del collegamento negoziale, destinate a divenire non più necessarie o utili, se non sul piano puramente descrittivo: dopo che – superata la visuale atomistica della funzione economico-sociale, accolta dal codice civile del 1942 in un intento di controllo della meritevolezza degli atti di autonomia privata, e venuta meno quella matrice ideologica, anche in forza di una vorticosamente accresciuta articolazione della realtà economica e sociale – la nozione di causa ha subito una sensibile evoluzione, onde la “realtà viva” ed individuale del contratto ha riconquistato importanza anche teorica, permettendo a tutti gli interessi rilevanti di entrare nel contratto, cosicché l’intero regolamento descrive l’operazione negoziale realizzata come unitaria, perché appunto così voluta dalle parti. Proprio la capacità di guardare alla complessiva operazione economica realizzata rende gli interpreti in grado di cogliere la rilevanza delle ragioni concrete poste a base dei comportamenti giuridici, cioè il significato pratico dell’operazione, ivi comprese tutte le finalità esplicitamente o tacitamente penetrate nel contratto.

Si aggiunga come, in materia, questa Corte ha già chiarito che: a) varie sono, nella prassi, le modalità tecniche per realizzare l’interposizione reale: con riguardo al diritto comune dei contratti, le Sezioni unite (Cass., sez. un., 6 marzo 2020, n. 6459) ricordano che il negozio fiduciario “si presenta non come una fattispecie, ma come una casistica: all’unicità del nome corrispondono operazioni diverse per struttura, per funzione e per pratici effetti”. Può darsi, infatti, un atto di alienazione dal fiduciante al fiduciario; un acquisto compiuto dal fiduciario in nome proprio con denaro del fiduciante; o se un soggetto, già investito ad altro titolo di un determinato diritto, si impegna ad esercitarlo da un dato momento nell’interesse altrui, in conformità a quanto previsto dal pactum fiduciae;

b) nell’intestazione fiduciaria ordinaria, titolare della quota è solo il fiduciario, ai più vari fini: è suo il diritto di sottoscrivere le azioni in occasione dell’aumento del capitale; la legittimazione a impugnare le deliberazioni assembleari; la legittimazione a far valere il diritto di prelazione ai sensi di statuto, o a percepire i dividendi erogati dalla società; la legittimazione attiva ex art. 2476 c.c. e passiva nel giudizio intrapreso ai sensi dell’art. 2495 c.c., comma 2, dai creditori rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese (cfr., per qualche profilo, Cass. 8 maggio 2009, n. 10590; Cass. 23 giugno 1998, n. 6246);

c) il fiduciario e’, peraltro, obbligato a riversare al fiduciante i dividendi maturati sulla quota o sulle azioni, onde la sua inesecuzione costituisce inadempimento, con tutte le conseguenze dettate per tale fattispecie dal diritto delle obbligazioni e l’irrilevanza di situazioni di buona fede o mala fede proprie del possesso ex artt. 1147 e 1148 c.c. (Cass. 9 maggio 2023, n. 12353);

d) la forma del negozio fiduciario su partecipazioni sociali è libera: il patto fiduciario, al pari dei negozi traslativi delle azioni o quote che lo realizzano, è sempre a forma libera, non rilevando affatto se la società abbia, nel suo patrimonio, beni immobili; in tal senso, dopo qualche incertezza (Cass. 17 settembre 2019, n. 23093, non massimata; Cass. 26 maggio 2014, n. 11757; non riconducibile alla tesi invece Cass. 9 dicembre 2019, n. 32108, posto che si trattava del trasferimento di un alloggio), l’esatto principio, riconfermato da plurime decisioni, per l’insussistenza di un vincolo formale ad substantiam o ad probationem vuoi del trasferimento azionario, vuoi del trasferimento fiduciario (Cass. 28 aprile 2021, n. 11226; Cass. 19 maggio 2020, n. 9139; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25626; Cass. 11 ottobre 2013, n. 23203; Cass. 16 dicembre 2010, n. 25468; Cass. 2 maggio 2007, n. 10121; e, con riferimento alla società di persone, es. Cass. 17 aprile 2013, n. 9334; Cass. 10 maggio 2010, n. 11314; Cass. 28 febbraio 1998, n. 2252). Ne’ la conclusione muta, ove si voglia qualificare il patto fiduciario come contratto preliminare, per il quale l’art. 1351 c.c. prescrive la stessa forma del contratto definitivo, in quanto allora il patto fiduciario di trasferimento su quote sociali e’, al pari di questo, a forma libera, ove pure la società sia proprietaria di immobili, oppure ove si ripudi la ricostruzione del negozio fiduciario come contratto preliminare, così come stabilito dalle S.U. (Cass., sez. un., 6 marzo 2020, n. 6459), perché in tal modo si negherà “a monte” che esso, ove abbia ad oggetto diritti reali immobiliari, sia soggetto all’obbligo della forma scritta>>.

Sulla censurabilità in Cassazione della interpretazione di un contratto:

<Tale interpretazione della domanda, come emerge dalla sentenza impugnata, non è stata in alcun modo censurata dalla ricorrente. Al riguardo, occorre ricordare che, secondo principio consolidato, l’interpretazione degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed è censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, nei limiti in cui ancora rileva, qualora sia appunto, però, espressamente censurata proprio l’interpretazione operata: il sindacato di questa Corte non può, dunque, investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito del giudizio di fatto riservato al giudice di merito. Pertanto, onde far valere una violazione di legge, il ricorrente per cassazione non solo deve fare puntuale riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto altresì a precisare – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, riportando, per il principio di specificità e autosufficienza del ricorso, il testo integrale dell’atto (Cass. 24 giugno 2008, n. 17088, che cita a sua volta Cass. nn. 16132/2005, 8296/2005, 4063/2005, 2394/2004, 4948/2003, 4905/2003), oppure lamentare fondatamente un vizio di motivazione, nei limiti in cui esso è tuttora proponibile (cfr. Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546)>.

Sulla solidarietà in sede processuale:

<<Invero, a tale riguardo, i condebitori solidali non sono litisconsorti necessari, potendo il creditore agire soltanto contro uno o più di essi (Cass. 4 giugno 2020, n. 10596, fra le tante).

L’unicità del fatto dannoso, richiesta dall’art. 2055 c.c., ai fini della configurabilità della responsabilità solidale, deriva dall’intento di rafforzare la garanzia del danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni od omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi (e multis, Cass. 28 gennaio 2021, n. 1842; Cass. 15 gennaio 2020, n. 542; Cass. 5 settembre 2019, n. 22164).

Il vincolo di responsabilità solidale lega, pertanto, tutti coloro che abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno, ai sensi dell’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (ex plurimis, Cass. 3 settembre 2020, n. 18289; Cass. 12 marzo 2020, n. 7044; Cass. 11 marzo 2020, n. 7016; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29218)>>.

Principio di diritto:

“In caso d’intestazione fiduciaria di partecipazione sociale, sia pure attuata mediante una “catena” di diversi soggetti interposti reali, persone fisiche o giuridiche, la violazione del pactum fiduciae da parte dell’ultimo fiduciario, in concorso con altri soggetti cui questi abbia ritrasferito il bene in luogo del fiduciante, comporta il sorgere dell’obbligo in capo ai medesimi di risarcire il danno, in tal modo cagionato al socio originario che abbia visto leso il suo diritto al ritrasferimento del bene, non ostando alla condanna dei concorrenti nell’illecito, i quali abbiano ottenuto il ritrasferimento indebito in loro favore, la mancata evocazione in giudizio dell’ultimo fiduciario inadempiente, trattandosi di un litisconsorzio facoltativo, in cui il creditore ha facoltà di convenire in giudizio anche solo uno o taluno dei condebitori responsabili”.