Il concetto di controllo esterno è questione di diritto, non di fatto

Sul tema v. Cass. sez. 1 del 20.03.2023 n. 7930, rel. Scotti.

Il § 31 esamina il concetto di violazione di legge ex art. 360 n. 3 cpc

Il § 32 prosegue:

<< 32. Il Collegio non esclude che l’attività di direzione e coordinamento, esercitata attraverso un controllo esterno potrebbe sussistere di fatto, anche in casi non riconducibili alle presunzioni di cui al citato combinato disposto ex art. 2497 sexies e 2395 c.c.

Le norme citate lo consentono e del resto questa Corte, recentemente, ha avuto modo di precisare che in tema di azione risarcitoria del curatore nei confronti della società controllante di quella fallita, nel contesto precedente all’introduzione dell’art. 2497 c.c., ad opera del D.Lgs. n. 17.1.2003, n. 6, la tutela del ceto creditorio della società eterodiretta, che abbia patito la diminuzione del patrimonio a causa dell’attività di abuso di direzione e coordinamento della capogruppo, poteva passare dall’art. 2043 c.c. e dalla clausola generale del neminem laedere (Sez. 1, n. 14876 del 11.5.2022).

Ed ancora con la sentenza del 7.10.2019 n. 24943 questa Corte ha riconosciuto che gli artt. 2497 e seguenti del codice civile sono norme ispirate al principio di effettività, nel senso che disciplinano la dinamica di un fatto, e precisamente il fatto dell’abuso di attività di direzione e coordinamento ottenuto mediante esercizio effettivo della corrispondente influenza sulle società assoggettate.

Non diversamente ha opinato il supremo giudice amministrativo allorché ha affermato che l’influenza dominante consiste nella concreta capacità di determinare gli esiti assembleari mediante la concomitanza di una serie di elementi fattuali (Consiglio di Stato, sez. VI, 14.12.2020, n. 7972).

33. Tuttavia l’accertamento di questo fatto è devoluto al giudice del merito, che nella specie vi ha provveduto con ampia motivazione, spiegando analiticamente, nelle pagine da 32 a 34 della sentenza impugnata, le ragioni per le quali i vari elementi prospettati dai Fallimenti appellanti non giustificavano tali conclusioni.

La Corte capitolina ha espresso tale valutazione considerando tutta una serie di elementi: clausole contrattuali, contesto della liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni, rispetto puntuale delle obbligazioni da parte di Telecom Italia, accordi di ripianamento, rateazione concessa alle società del gruppo (Omissis) a fronte di ulteriori garanzie, tentativi di recuperare la perdita, pregressi ruoli in Telecom di taluni amministratori di (Omissis), informazioni sui potenziali clienti fornite da Telecom, giustificato rifiuto della creditrice di accedere ad ulteriori dilazioni, difficoltà incontrate dal gruppo e comuni a diversi altri imprenditori privati.

Tutto ciò ha indotto la Corte di appello a concludere affermando inequivocabilmente che “nessuno degli elementi addotti e tutti nel loro complesso assumono valore probatorio in ordine alla sussistenza di una fattispecie di controllo esterno rilevante ai sensi degli artt. 2359, comma 1, e 2497, comma 1, c.c. ” >>.

Non è così: il concetto di “direzione e coordinamento” è oggett di questione solo giuridica. Sono invece i fatti storici , e solo essi,  cioè quelli in base ai quali il predetto concetto va esaminato, ad essere oggetto di questione fattuale.  Per quanto valga oggi la distinzione, alla luce del ristretto ambito di rilevanza dell’erore di fatto ex art. 360 n. 5 cpc

Responsabilità del revisore per mancato disinvestimento da parte del socio? Negata per mancata prova della reale possibilità disinvestimento e del nesso causale

Così Trib. Milano n. 132/2023, RG 18268/2020, rel. Alima Zana, relativamente a domanda di danno proposta da socio di Banca Popolare di Vicenza spa contro il revisore KPMG.

<<In limine, va in proposito rammentare che:
• nel caso di perdita di chance il nesso causale che deve essere dimostrato dall’attore è ipotetico,
giacché è di natura ipotetica il nesso che si predica tra l’assenza dell’illecito (che invece si è
verificato) e la esistenza della chance (che invece è venuta meno o non si è verificata);
• il giudice è tenuto quindi a formulare quella che viene definita una “prognosi postuma”,
ricostruendo la situazione ipotetica che si sarebbe verificata in assenza dell’illecito;
• il soggetto che si dichiara vittima dell’illecito deve quindi provare:
I.  l’esistenza reale di una chance;
II.  che la chance sia venuta meno per effetto diretto del comportamento illecito,
seppure utilizzando il criterio civilistico della c.d. probabilità prevalente>>

E’ mancata però la prova di entrambi i requisiti (sia I che II)

I): non c’è prova che, anche avesse saputo, sarebbe riuscito a disinvestire:

<< Ed in particolare, quanto al requisito sub I, va con considerato che:
✓ le azioni litigiose erano per loro natura illiquide.
Invero le stesse non erano strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati.
Le azioni BPVI erano dunque connaturate da un intrinseco carattere di illiquidità (“le
azioni della Banca Popolare di Vicenza non erano quotate in borsa e come tali si
caratterizzavano, in linea generale, per una scarsa possibilità di smobilizzo entro un
lasso di tempo ragionevole a condizioni di prezzo significativo” cfr. Tribunale di Milano,
sent. 8390/2021, in un caso del tutto analogo, afferente sempre alla domanda risarcitoria
esercitata contro il revisore a causa del mancato disimpegno di azioni di Banca Popolare
di Vicenza nella stessa frazione temporale qui considerata);
✓ avvicinandosi al periodo critico qui oggetto indagine, il disinvestimento -che già in sé
presentava rischi- era poi divenuto assai difficile, fino a poter essere diventare quasi
“impossibile” già nel 2014, come precisato Banca in occasione dell’aumento di Capitale
2014 a cui l’attore risulta avere partecipato;3
✓ proprio in data 24.4.2015 -in occasione dell’approvazione del bilancio di esercizio al
31.12.2014, momento in cui l’attore colloca la propria decisione di non procedere al
disinvestimento, tenuto conto della relazione accompagnatoria positiva del revisore- la
Banca dava atto della sopraggiunta impossibilità di assorbire le domande di vendita delle
proprie azioni. E ciò atteso il totale blocco del cd. “mercato interno” gestito dallo stesso
istituto di credito negli anni precedenti per agevolare le richieste di vendita dei titoli,
mediante utilizzo del Fondo per acquisto di azioni proprie, essendo stata azzerata medio
tempore da parte della BCE la possibilità di utilizzare di tale Fondo.4
Dunque, non vi è prova del requisito sub I, ossia di una reale chance di un disimpegno del
pacchetto litigioso- neppure attraverso la Banca- in tempi contenuti ad un prezzo ragionevole >>

Quanto a II), manca la prova del nesso di causa:

<<Quanto al requisito sub II, va osservato che:
✓ operando un giudizio c.d. controfattuale, c.d. della prognosi postuma, la condotta
alternativa di KPMG – attraverso lo svolgimento, secondo l’attore, a regola d’arte delle
verifiche prodromiche all’attestazione del bilancio al 31.12.2014 e con conseguente
disvelamento del vero della consistenza effettiva del patrimonio della banca- non
avrebbe comunque attribuito a parte attrice ragionevoli chance di smobilitare a
condizioni proficue il proprio investimento;
✓ infatti, non potendo accedere l’attore in via privilegiata ed anticipata alle corrette
informazioni -che ritiene illecitamente essergli state celate- rispetto agli altri operatori,
l’unico effetto della condotta alternativa di KPMG sarebbe stato invero di anticipare nel
tempo gli eventi poi realmente accaduti ed in particolare il deprezzamento delle azioni
della banca a € 0,10 ciascuna. Con conseguente impossibilità per l’attore di collocare il
proprio pacchetto azionare a prezzo conveniente, superiore al valore poi attribuito.
Manca dunque anche la prova del requisito sub II, non essendovi alcun riscontro che la
condotta alternativa lecita di KPMG (non in tesi non si è verificata) avrebbe impedito
all’investitore di perdere il valore delle proprie azioni (evento invece verificatosi). In
altre parole, non vi è prova che la relazione positiva del revisore sul bilancio al
31.12.2014 abbia cagionato la perdita di chance di vendita del pacchetto azionario
litigioso a prezzo conveniente, grazie all’acquisizione privilegiata rispetto al resto degli investitori delle corrette informazioni.
Con conseguente carenza del nesso di causalità, non essendo la perdita subita dall’attrice causalmente connessa alle carenze informative denunciate, invece presumibilmente riconducibile all’oscillazione del valore delle azioni propria dei titoli non quotati in borsa di cui l’investitore ha assunto consapevolmente il rischio>>.

Responsabilità dell’amministratore di società in stato di scioglimento verso il creditore per operazioni non conservative

Cass. sez. 1 dell’ 8 marzo 2023 n. 6893, rel. Vannucci, circa la responsabilità per vioalzione del dovere di gestine conservativa ex art. 2449.1 cc (ante 2003) , ora art. 2486.1-2 cc.

Si trattava di una SRL.

Interessa spt la lett. c) (e magari le successive)

<< Nell’interpretare tale disciplina, la giurisprudenza di legittimità era (ed è ancora) costante nell’affermare che:

a) le “nuove operazioni” vietate agli amministratori dall’art. 2449 sono quelle non finalizzate alla liquidazione del patrimonio sociale (non necessarie dunque per portare a compimento attività già intraprese prima del verificarsi della causa di scioglimento) e determinanti la nascita di rapporti giuridici che vengono costituiti dagli amministratori, con assunzione di ulteriori vincoli per l’ente, e sono preordinati al conseguimento di nuovi utili d’impresa (in questo senso, cfr., fra le altre: Cass. n. 5190 del 1979: Cass. n. 6431 del 1982; Cass. n. 1035 del 1995; Cass. n. 9887 del 1995);

b) l’art. 2449 c.c. esprime infatti sul piano normativo la coerente conseguenza del fatto che, dopo il verificarsi della causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, qual era in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto quegli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti d’impresa suscettibili di porre a rischio il diritto dei creditori e degli stessi soci (cfr. Cass. n. 5275 del 1997; Cass. n. 2156 del 2015);

c) la violazione da parte degli amministratori del divieto di compiere “nuove operazioni” (da intendersi nel senso teste’ precisato) costituisce, nei confronti dei terzi, una fattispecie tipica di obbligazione ex lege che pur avendo natura extracontrattuale, non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c. in quanto – agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società – non si verte in tema di “fatto illecito” nel senso voluto dal citato art. 2043, né conseguentemente di risarcimento del danno; con la conseguenza che nessun rilievo ai fini probatori assume l’accertamento del danno né, sotto il profilo soggettivo, quello del dolo o della colpa, essendo sufficiente la consapevolezza da parte degli amministratori dell’evento comportante lo scioglimento della società (in questo senso, cfr.: Cass. n. 6431 del 1982; Cass. n. 5275 del 1997; Cass. n. 3694 del 2007); [piccoli errori: i) se è obbligazione, non può avere natura extyracontrattuale; ii) non è la qualità di organo di ente  la ragione per cui è fatto illecito; iii) se è fatto illecito, opera invece l’art. 2043 in cui quello sub iudice rientrebbe; iv) però è resp. contrattuale e non aquiliana, in quanto violazione di un obbligo verso soggetto determinato/-abile]

d) l’azione ex art. 2449 c.c., comma 1, spettante al terzo creditore per il compimento da parte degli amministratori di nuove operazioni dopo la verificazione di un fatto che determina lo scioglimento della società si distingue poi, per la diversità della causa petendi e del petitum, sia dall’azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) sia dall’azione dei creditori sociali prevista dall’art. 2394 c.c.: se, infatti, la violazione del divieto di compiere nuove operazioni, oltre a dar luogo a responsabilità diretta degli amministratori verso il terzo, può integrare il presupposto tanto dell’azione sociale di responsabilità (per violazione dei doveri imposti dalla legge) quanto dell’azione di responsabilità dei creditori sociali (per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale), qualora ad agire contro gli amministratori della società legalmente disciolta non sono, genericamente, i creditori della società, ma precisamente i creditori per le operazioni nuove compiute dopo lo scioglimento, essi vantano nei confronti degli amministratori un titolo diretto, fondato appunto sull’art. 2449 c.c., comma 1, (giustificato dalla non riferibilità allo scopo sociale degli atti, compiuti dalla società ormai disciolta), che, per espressa previsione della norma, si aggiunge alla perdurante responsabilità della società (in questo senso, cfr. Cass. n. 15770 del 2004); [interessante la distinzione rispetto alla vioalzione ex art. 2394: da approfondire]

e) quanto alla distribuzione dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio per l’accertamento della responsabilità degli amministratori di una società di capitali, ex art. 2449 c.c., deve fornire la prova soltanto della novità dell’operazione, dimostrando il compimento di atti negoziali in epoca successiva all’accadimento di un fatto che determini lo scioglimento della società, mentre spetta agli amministratori convenuti provare i fatti estintivi o modificativi del diritto azionato, mediante dimostrazione che quegli atti erano giustificati dalla finalità liquidatoria, in quanto non connessi alla normale attività produttiva dell’azienda, non comportanti un nuovo rischio d’impresa o necessari per portare a compimento attività già iniziate; nella valutazione di tale prova occorre, peraltro, considerare che gli amministratori non sono solo tenuti all’ordinario (e non anomalo) adempimento delle obbligazioni assunte in epoca antecedente allo scioglimento della società, ma hanno anche il potere-dovere di compiere, in epoca successiva al menzionato scioglimento, quegli atti negoziali di gestione della società necessari al fine di preservare l’integrità del relativo patrimonio (in questo senso, cfr.: Cass. n. 2156 del 2015)>>.

Infine, dopo aver osservato che la nuova disciplina sostanzialmente coincide con la previgente, così riassume:

<<Da quanto evidenziato risulta che la responsabilità degli amministratori verso il creditore di società a responsabilità limitata leso dal compimento da parte di costoro di atti gestori non funzionali alla conservazione del patrimonio sociale, dopo il verificarsi della causa di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c., comma 1, n. 4), trova per intero la propria disciplina nel successivo art. 2486 (le disposizioni di cui all’art. 2476 c.c., in tema di responsabilità degli amministratori di tale tipo di società, non entrano quindi in giuoco ricorrendo tale ipotesi); è di natura extracontrattuale ma non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c. in quanto – agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società – non si verte in tema di “fatto illecito” nel senso voluto dal citato art. 2043; prevede, quale sanzione, il risarcimento del danno arrecato al creditore sociale>>.

Responsabilità degli amministratori societari: il dovere di controllo nei confronti dei cybersecurity risks

Interessante pronuncia della corte del Delaware sull’oggetto (esito infausto per gli attori): COURT OF CHANCERY OF THE STATE OF DELAWARE  , C.A. No. 2021-0940-SG , del 6 settembre 2022, CONSTRUCTION INDUSTRY LABORERS PENSION FUND ed altri c. Bingle ed altri (v.la nel sito delle corti Delaware).

La negligenza addebitata era di non aver prevenuto attacchi da hacker russi, nonostante alcune red flags di deficenza del sistema. L’azienda forniva supporto informatico a clienti importanti e tramite questa sua omissione permise la diffuse di virus nei loro server.

Conclusione del giudice Glasscock, p. 35/6: <<To recapitulate, a subpar reporting system between a Board subcommittee and the fuller Board is not equivalent to an “utter failure to attempt to assure” that a reporting system exists.138 The short time period here between the IPO and the trauma suffered, together with the fact that the Board apparently did not request a report on cybersecurity in that period, is not sufficient for me to infer an intentional “sustained or systematic failure” of oversight,139 particularly given directors are presumed to act in good faith.140 And again, the Complaint is silent as to what the Committees should in good faith have reported, and how it could have mitigated corporate trauma. Carelessness absent scienter is not bad faith. In sum, the Complaint has not pled sufficient particularized facts to support a reasonable inference of scienter and therefore actions taken in bad faith by the Board. Without a satisfactorily particularized pleading allowing reasonably conceivable inference of scienter, a bad faith claim cannot survive a motion to dismiss. Because the Caremark claim is not viable, there is no substantial likelihood of liability attaching to a majority of the directors on the demand Board. Therefore, demand on the Board would not have been futile>>.

Va richiamato anche un precedente 2021 sempre del Delaware e sempre in tema di responsabilità per cybersecurity risks: Firemen’s Retirement System of St. Louis v. Arne M. Sorenson, et al. (Marriott International, Inc.) del 05 ottobre 2021,  C.A. No. 2019-0965-LWW .

E a questo punto pure uno del 2020 seppur non da cyber risks mna pur sempre sul dovere di oversight degli amminisratori: Richardson v. Clark ad altri 31.12.2020, C.A. No. 2019-1015-SG ,

Supersocietà di fatto è figura diversa da holding di fatto: nella prima serve anche la c.d. “economia aggiuntiva”

Cass. sez 1 del 15.02.2023 n. 4784, rel. Campese, sull’oggetto.

Sulla presunto requisito della “economia aggiuntiva” per la supersocietà di fatto:

<<5.2. Neppure convince l’assunto per cui (cfr. in particolare, il secondo motivo), nel ritenere configurabile una supersocietà di fatto tra la (Omissis) s.r.l., il G., la (Omissis) s.r.l. e la (Omissis) s.r.l., la corte di appello non avrebbe verificato e riscontrato rigorosamente l’esistenza di un elemento imprescindibile per la configurazione della fattispecie, come richiesto dalla giurisprudenza, ossia il presupposto dell’economicità aggiuntiva derivante dalla società di fatto.

5.2.1. Di economia aggiuntiva, invero, può discutersi – in thesi – in presenza di una holding di tipo personale (che abbia assunto la veste di società di fatto), costituente impresa commerciale suscettibile di fallimento in quanto fonte di responsabilità diretta dell’imprenditore, quando questa agisca in nome proprio per il perseguimento di un risultato economico ottenuto attraverso l’attività svolta, professionalmente, con l’organizzazione ed il coordinamento dei fattori produttivi relativi al proprio gruppo d’imprese.  Deve trattarsi, cioè, di una stabile organizzazione volta a determinare l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento di altre società (non limitandosi al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio): il che, appunto, ne consente la configurabilità come un’autonoma impresa assoggettabile a fallimento sia quando la suddetta attività si esplichi nella sola gestione del gruppo, sia quando abbia di natura ausiliaria o finanziaria (cfr. sostanzialmente, in tal senso, Cass. n. 5520 del 2017; Cass. n. 23334 del 2010; Cass. n. 3724 del 2003, Cass. n. 12113 del 2002).   In quest’ottica, allora, le società coordinate devono risultare destinate a realizzare un medesimo scopo economico non corrispondente con quello proprio ed autonomo di ciascuna di queste esse, né coincidente con un mero godimento degli utili eventualmente prodotti dalle medesime.   Peraltro, se è pacifico che, in caso di attività di direzione e coordinamento abusiva, l’holder miri a realizzare un fine di lucro tendenzialmente distinto da quello perseguito dalle singole società eterodirette, esso può, tuttavia, anche coincidere con quest’ultimo, allorquando il profitto conseguito rifluisce nel patrimonio dell’imprenditore capogruppo.   Non occorre, per converso, che l’attività di direzione risulti idonea a far conseguire al gruppo vantaggi economici diversi ed ulteriori rispetto a quelli realizzabili in mancanza dell’opera di coordinamento, né che le attività di servizi realizzate dall’holder disvelino un’economicità autonoma rispetto a quella propria delle attività svolte dalle società controllate.

5.2.2. La corte di appello, tuttavia, condividendo gli assunti del giudice di prime cure, ha chiaramente inteso escludere che, nella specie, si fosse al cospetto di una holding di tipo personale che abbia assunto la veste della società di fatto, sicché nemmeno è utile indugiare ulteriormente sul punto>>.

Il dovere di oversight (su molestie/harassment) grava su tutti gli amministratori, anche solo Officers e non membri del Board of Directors: la sentenza IN RE McDONALD’S CORPORATION STOCKHOLDER DER. LITIG. del Delaware (sul caso Fairhurst)

Il tribunale del Delaware ha emsso sentenza 26.01.2023 , C.A. No. 2021-0324-JTL, nel caso IN RE McDONALD’S CORPORATION STOCKHOLDER DERIVATIVE LITIGATION.

In breve Fairhurst, capo del personale di McDonal’s, non avrebbe promosso azioni per contrastare l’harassment di personale femminile; anzi lui stesso si sarebbe reso colpevole di condotte improprie. Alcuni soci agirono nei suoi confronti per danno alla società

Da noi l’art.  2392 cc regola la responsabilità plurisogettiva. Nel caso specifico, presupponendosi l’organizzaizone di monitoraggi adeguati sul rischio di violazioni di harassmdent, va tenuto conto pure del riparto di competenze tra esecutivi e board posto dall’art. 2381 cc

Dalla sentenza: <<The board’s need for information leads ineluctably to an imperative for officers to generate and provide that information ….. For relevant and timely information to reach the board, the officers who serve as the day-to-day managers of the entity must make a good faith effort to ensure that information systems are in place so that the officers receive relevant and timely information that they can provide to the directors. Think Strategically, supra, at 488. It follows that officers must have a duty to make a good faith effort to establish an information system as a predicate to fulfilling their obligation to provide information to the board. Id. at 488–89>>.

E subito dopo:  <<A related point is that officers must make decisions in their own right. . >>, p. 24.

Quindi: <<A third reason that Chancellor Allen provided for recognizing the board’s duty ofoversight was the importance of having compliance systems in place so the corporation  could receive credit under the federal Organizational Sentencing Guidelines. Id. at 970>, § 25.

<<The dimension of the oversight duty that supports the Red-Flags Claim also applies to officers>>, p. 26. T

<<For similar reasons, officers generally only will be responsible for addressing or reporting red flags within their areas of responsibility, although one can imagine possible exceptions. If a red flag is sufficiently prominent, for example, then any officer might have a duty to report upward about it. An officer who receives credible information indicating that the corporation is violating the law cannot turn a blind eye and dismiss the issue as “not in my area.” >>, p. 42.

<<The arguments about the oversight regime that should apply to officers parallel the arguments about whether an officer’s duty of care should resemble the director regime and require a showing of gross negligence, or whether it should track the agency regime and require only simple negligence. Scholars engaged in extensive debate on that topic>>, p. 46.

Molto interessant, infine, l’elenco delle red flags con relative risposte, pp. 55-60

Il compenso dell’amministratore di s.p.a. (tra delibera assembleare e delibera del CdA per “particolari cariche”)

Trib. Venezia 15.07.2021, n. 1449/2021, RG 8208/2018, rel. Torresan, precisa il rapporto tra il c. 1 e il c. 3 dell’art. 2389 cc:

<<La ratio della disposizione [cioè dell’2389 comma 3]  è quella di conferire ai componenti dell’organo amministrativo la facoltà di deliberare in ordine al compenso di coloro che, al suo interno, rivestono cariche connotate da un particolare ed elevato grado di impegno e di responsabilità : e ciò in ragione del fatto che la quantificazione di tale compenso sottende una valutazione tecnica che si ritiene possa essere formulata nel modo migliore proprio da parte del consiglio stesso.
L’organo amministrativo deve tuttavia rispettare i limiti, inderogabili, dettati dalla legge e dallo statuto, non potendo, l’art. 2389 cod civ. consentire al CdA di eludere la disciplina dell’art. 2389 cod. civ. che attribuisce all’assemblea o allo statuto il potere determinare il compenso degli amministratori, anche al fine di evitare che gli stessi possano autoattribuirsi ed arbitrariamente determinare i propri compensi .
In particolare, qualora lo statuto preveda che l’assemblea determini un ammontare complessivo per la remunerazione dei compensi degli amministratori, compresi quelli che esercitano particolari cariche, il CdA non potrà deliberare compensi ulteriori.
Nel caso in esame, lo statuto di Sitland ( doc. n. 20 di parte attrice) spa espressamente prevede, all’art. 33, che il consiglio di amministrazione possa delegare, nei limiti di cui all’art. 2381 cod. civ., parte delle proprie attribuzioni a uno o più dei suoi componenti, determinandone i poteri e la relativa remunerazione.
In tema di remunerazione degli amministratori, l’art. 36 stabilisce, invece, che il compenso degli amministratori sia determinato dell’assemblea all’atto della nomina.
L’art. 36.2 , in conformità a quanto prescritto dall’art. 2389, comma 3, cod. civ., prevede inoltre che la remunerazione degli amministratori investiti della carica di Presidente, Amministratore o consigliere delegato sia stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del parere del consiglio sindacale, nel rispetto dei limiti massimi determinati dall’assemblea.
È quindi chiaro che il compenso attribuito agli amministratori anche se dotati di particolari cariche non può eccedere l’ammontare massimo del compenso determinato dall’assemblea>>.

Perdita della non commercialità dell’ente e automatica qualifica come società di fatto

Cass.  sez. 5, n° 546 del 11.10.2023, rel. D’Aquino:

<< Nel momento in cui l’associazione non riconosciuta, quale ente non commerciale, perde la natura di ente non commerciale, essa viene assoggettata, nel caso in cui si accerti che l’attività già associativa fosse svolta da più associati tra di loro, alla  disciplina degli enti collettivi commerciali (Cass., n. 39789/2021, cit.).

Di conseguenza, stante l’assenza di un formale contratto scritto di società tra i soci, l’attività commerciale svolta tra gli stessi deve ritenersi equiparabile a quella delle società in nome collettivo irregolari (Cass., Sez. Lav., 11 giugno 2010, n. 14084). Nel qual caso, l’intenzionale esercizio in comune tra i soci di un’attività commerciale a scopo di lucro con il conferimento, a tal fine, dei necessari beni o
servizi comporta l’applicazione del regime di trasparenza, «atteso che la disciplina tributaria (artt. 5, terzo comma, lett. b, e 6, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) non richiede, per la tassazione del reddito di una società di fatto, altro requisito se non la ravvisabilità nel suo oggetto dell’esercizio di un’attività commerciale, e che la costituzione di una società è ammessa anche per l’esercizio occasionale di attività economiche» (Cass., Sez. V, 11 marzo 2021, n. 6835; conf. Cass., Sez. V, 24 dicembre 2021, n. 41510).
11. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto: «La perdita della natura decommercializzata dell’attività svolta dagli enti collettivi non societari costituiti nelle forme dell’associazione non riconosciuta e la conseguente qualificazione dell’attività dall’associazione svolta quale attività commerciale comporta, ove la stessa attività venga svolta da più associati in comune tra loro, la qualificazione dell’ente collettivo quale società di fatto e la conseguente applicazione del regime di trasparenza agli associati che siano qualificabili quali soci della medesima società di fatto».   La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetto principio>>.

Sulla sostituzione di deliberazione invalida con nuova deliberazione

Trib. Roma n° 17476/2022 del 25.11.2022, RG 53880/2018, rel. Goggi, sull’oggetto:

<<Secondo, infatti, l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggiormente
condivisibile che si è affermato in materia (cfr. Trib. di Monza 5/3/2001), dopo la
sostituzione, l’annullamento della prima delibera è precluso, in ogni caso, per effetto della cessazione della materia del contendere, essendo riservato al giudice della impugnazione della seconda delibera, specie nell’ipotesi, come quella per cui è causa, in cui il giudizio sia tuttora pendente, ogni sindacato sulla legittimità dell’atto di rinnovo.
Tale tesi si fonda sul presupposto, di cui non sembra potersi dubitare, dell’efficacia estintiva degli effetti della deliberazione sostituita da attribuirsi alla nuova deliberazione avente lo stesso oggetto della prima: la nuova delibera, invero, priva di ogni effetto la delibera che ha sostituito e tale sua efficacia mantiene fin tanto che non venga annullata per essere, a sua volta, contraria alla legge o allo statuto. Ne consegue che la sua eventuale non conformità alla legge o allo statuto – prevista dall’art. 2377 c.c. quale condizione per l’operatività della preclusione all’annullamento della delibera impugnata – potrebbe privarla di tale efficacia estintiva degli effetti della prima delibera solo se venisse annullata a seguito di un autonomo giudizio di impugnazione, giudizio che non può essere introdotto nell’ambito del giudizio di impugnazione avente per oggetto la delibera sostituita – stante la diversità dell’oggetto e la conseguente novità dell’eventuale domanda così introdotta in tale giudizio – né essere oggetto di un accertamento incidentale, ai soli fini della verifica delle condizioni di operatività della norma contenuta nell’ottavo comma dell’art. 2377 c.c., stante la necessità, allo scopo di privare di efficacia la delibera successivamente adottata, di una pronuncia costitutiva di annullamento, per sua natura incompatibile con un accertamento incidenter tantum. Al giudice dell’impugnazione della prima delibera, pertanto, è preclusa ogni valutazione circa la validità della delibera sostitutiva, con la sola eccezione, come è stato correttamente osservato in dottrina, della possibilità di rilevare, ove ricorrano, vizi comportanti la nullità della stessa delibera a norma dell’art. 2379 c.c.; tale nullità, infatti, comportando l’improduttività di qualsiasi effetto della (seconda) delibera, rilevabile anche d’ufficio, senza necessità di alcuna pronuncia costitutiva, potrebbe essere assoggettata, indipendentemente dall’impugnazione da parte degli interessati, a sindacato incidentale in seno al processo originato dall’impugnazione della delibera originaria>>

OK, può essere sia così. Solo che  nel caso sub iudice si tratta di rapporto tra delibere di organi diversi (Cda e assemblea soci), mentre la legge regola la sostituzione tra delibere dello stesso organo: il Tribunale avrebbe dovuto motivare sul punto.

Andrebbe poi approfondito il fatto che la delibera sostiotutiva dell’assemblea dei soci era solo “ratificante” l’indicazione del CdA

Il dovere degli amministratori è favorire il beneficio dei soci, secondo il § 172.1 Companies Act del 2006

Secondo la disposizione citata, <A director of a company must act in the way he considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for the benefit of its members as a whole>.

Il che si determina avendo riguardo al lungo temrine, ai dipendneti etc. (ivi, lettere a-f).

Disposizione assai discussa nella sua portata: in particolare quale è il ruolo degli stakeholders diversi dai soci (soprattutto dei lavoratori)?

Ebbene, la Supreme Court inglese nella sentenza 5 ottobre 2022, BTI 2014 LLC (Appellant) v Sequana SA and others (Respondents), [2022] UKSC 25, dice che <<successo della company>> significa <<successo dei soci>>.

Almeno fino a che la società arriva vicino alla insolvenza, quando l’interesse da realizzare è anche quello dei creditori. Si v. < it is clear that, although the duty is owed to the company, the shareholders are the intended beneficiaries of that duty. To that extent, the common law approach of shareholder primacy is carried forward into the 2006 Act >, § 65

<The considerations listed in paragraphs (a) to (f) are capable of including the
treatment of certain creditors of the company. Creditors are liable to include
employees, suppliers, customers and others with whom the company has business
relationships; and their treatment may well affect the company’s reputation and its
creditworthiness, and have consequences for it in the long term. However, the primary
duty imposed by section 172(1) remains focused on promoting the success of the
company for the benefit of its members>, § 67.

E poi  : < In addition, it seems to me that acceptance that the fiduciary duty of directors to the
company is re-oriented so as to encompass the interests of creditors, when the
company is insolvent or bordering on insolvency, must result in a similar re-orientation
of related duties. The proper purposes for which powers can be exercised, in
accordance with section 171, include advancing the interests of the company, which in
those circumstances must be understood as including the interests of its creditors, as
was held in In re HLC Environmental Projects Ltd [2013] EWHC 2876 (Ch); [2014] BCC
337, para 99. Similarly, the duty under section 174 to exercise reasonable care, skill
and diligence must be directed, in those circumstances, to the interests of the
company as understood in that context, as appears to have been accepted in a number of cases>. § 73

Si tratta di sentenza molto ampia, diffusa da più fomnti : ad es. Irene-marie Esser e  Iain G MacNeil,   Shareholder Primacy and Corporate Purpose, 21 dic. 2022.