Compensatio lucri cum damno in azione di responsabilità verso amministratore di srl

Trib. Milano sent. 3994/2021 del 12.05.2021 , RG 32783/2018, rel. Vannicelli, esamina il tema.

Il punto qui di interesse è spt. la compensatio lucri cum damno (clcd) tra l’aver stitulato un’intesa vietata pesantemente sanzionata dallAGCM e il profitto che l’intesa stessa avrebbe però generato.

La clcd è rigettata:

<<Sennonché la compensatio lucri cum damno non è, nella specie, utilmente invocabile.
Ciò per la dirimente ragione che la perdita subita dalla società a causa dell’adesione delle amministratrici pro tempore in carica all’intesa illecita, riviene appunto dalla sanzione amministrativa irrogata a WN dall’AGCM in funzione eminentemente repressiva dell’illecito (anti)concorrenziale da essa commesso.
Non solo quindi la funzione sanzionatoria di tale pagamento sarebbe inammissibilmente frustrata ove i soggetti responsabili delle relative scelte gestionali potessero invocare l’illecito beneficio da esse perseguito in pro della società rappresentata; ma la stessa determinazione della sanzione all’interno dei parametri di legge -come del resto evidente dai criteri presuntivi utilizzati per la sua quantificazione- tiene appunto già conto del lucro ricavato da WN con l’intesa sanzionata.
Ammettere che esso possa esser nuovamente valutato sub specie di mitigazione del risarcimento per la perdita così inferta al patrimonio sociale, varrebbe in ultima analisi a duplicare la compensazione dei suoi effetti vantaggiosi: una volta nel patrimonio della autrice / danneggiata, e una seconda in quello delle persone fisiche che per essa hanno agito, e della cui condotta si chiede conto in questa sede>>.

A prescindere da ciò, poi, per il Tribunale non è accertabile alcun profitto direttamente collegabile alla  intesa vietata: dettagliata perizia contabile infatti non permette di opinare in tale senso, in mancanza di una analisi controfattuale probatoriamente sostenuta.

Interessante , ancora,  è l’affermaizone per cui la determinazione equitativa  (art. 1226 e 2056 c) opera solo quando è il danneggiato a chiederla per provare il danno subito ma non quando è il danneggiante a chiedere l’accertamento equitativo del lucro in una domanda basata sulla clcd .

La spese legali per difendersi dall’AGCm , però, non sono danno risarcibile ai soci (alla società).

Infine, ex art. 2476/4 cc, <<secondo l’insegnamento sul punto della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non osta alla condanna alle spese (addirittura) il difetto di domanda sul punto in presenza di previsione di legge al riguardo, viene in rilievo la regola speciale di legge dettata dall’art. 2476 ult. co. 4° c.c., secondo cui in caso di accoglimento -sia pur parziale- della domanda proposta dal socio in favore della società danneggiata, è (anche) quest’ultima che deve rimborsare all’attore le spese giudiziali sostenute (salvo il suo successivo regresso nei confronti degli amministratori condannati); tale per cui la condanna alla refusione dell(a metà dell)e spese sostenute dallo ZEVIANI va pronunciata in solido nei confronti non solo delle convenute, ma anche della WHY NOT s.r.l.>>

Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità: impulso dal COREPER

Il comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) del Consiglio UE  ha invitato in data 30.12.2022 il Consiglio stesso ad approvare un orientamento genrale circa la proposta di direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937  .

E’ noto che la direttiva, se approvata, introdurrà significative novità nel diritto dell’impresa. Si applicherebbe alle società con più di 500 dipendneti + oltre 150 mln € di fatturato mon diale oppure più di 250 dipendenti + oltre 40 mln fatturato mondaile se incertio settori maggiormente a rischio di violazioni (art. 2.2.

La proposta di direttiva, basata sugli articoli 50 e 114 TFUE, stabilisce <<norme sugli obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle loro attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività nella catena del valore svolte da soggetti con cui la società intrattiene un rapporto d’affari consolidato. Stabilisce inoltre norme sulla responsabilità in caso di violazione di tali obblighi>>, § 2 dell’Introoduizione.

Centrale quindi è il concetto di <catena del valore> , sostituito ora da <catena di attività> (§§ 18-19 Introduzione), definito dall’art. 3.g:

<<i) attività di un partner commerciale a monte di una società inerenti alla produzione di beni o alla prestazione di servizi da parte della società, compresi la progettazione, l’estrazione, la produzione, il trasporto, l’immagazzinamento e la fornitura di materie prime, prodotti o parti di prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio e
ii) attività di un partner commerciale a valle di una società inerenti alla distribuzione, a trasporto, all’immagazzinamento e allo smaltimento del prodotto, inclusi lo smantellamento, il riciclaggio, il compostaggio o il conferimento in discarica, laddove i partner commerciali svolgano tali attività per la società o a nome della società, a eccezione dello smaltimento del prodotto da parte dei consumatori e della distribuzione, del trasporto, dell’immagazzinamento e dello smaltimento del prodotto soggetto al controllo delle esportazioni a norma del regolamento (UE) 2021/821 del Parlamento europeo e del Consiglio o al controllo delle esportazioni relativo ad armi, munizioni o materiali bellici, dopo che l’esportazione del prodotto è stata autorizzata>

La responsabilità nascente sarà di tipo contrattuale cioè da violazione di obblighi

L’abuso di personalità giuridica può far cadere la responsabilità limitata del socio ma non lo schermo societario

Rimane ferma la SC nel limitare gli effetti dell’abuso di personalità giuridica alla trasformazione della responsabilità da limitata a illmitata per i debiti sociali: senza potere invece arrivare a far cadere la distinzione soggettiva e quindi a permettere il pignoramento dei beni sociali da parte del creditore particolare del socio.

Così Cass. 20.181 del 22 giugno 2022, rel. Scotti , sez. 1, che riprende testualmente un passo di Cass. n° 804 del 25.01.2000:

«il dato che in una società per azioni un socio ……. sia titolare della maggioranza del capitale della società cui esso partecipa, non giustifica la conclusione che egli sia titolare dell’intera società. Il c.d. “socio sovrano”, cui è inapplicabile l’art. 2362 c.c. a meno che non si dimostri la natura fittizia o fraudolenta delle partecipazioni di minoranza (cfr. Cass., 29 novembre 1983, n:7152), quando si serva della struttura sociale come schermo (così trasformandosi in “socio tiranno”) al fine di gestire i propri affari con responsabilità patrimoniale limitata, può incorrere nel fenomeno definito dell’abuso di personalità giuridica, ravvisabile allorché alla forma societaria corrisponda una gestione in tutto e per tutto individuale. Si è sostenuto che il singolo debba rispondere in tal caso illimitatamente anche con il proprio patrimonio e sono altresì ipotizzabili forme di responsabilità civile e Penale, avuto riguardo al ruolo svolto dal socio di maggioranza. Ma la società di capitali resta con tutti i suoi connotati, anche e soprattutto a tutela delle partecipazioni di minoranza non fittizie o fraudolente.»

La SC precisa che in causa non era stata chiesta la simulazione nè del trasferimento dell’immobile (che la Banca mirava ad apprendere) alla società, nè della costituzione della società medesima.

Ipotesi quest’ultima comunque vietata dall’art. 2332 cc (§ 4.3): <<E difatti questa Corte ha affermato che la simulazione assoluta dell’atto costitutivo di una società di capitali, iscritta nel registro delle imprese, non è configurabile in ragione della natura stessa del contratto sociale, che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell’agire sociale, destinata ad interferire con gli Corte di Cassazione – copia non ufficiale7 di 12 interessi dei terzi, donde l’irrilevanza, dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese e la nascita del nuovo soggetto giuridico, della reale volontà dei contraenti manifestata nella fase negoziale; tale fondamento, espressione del valore organizzativo dell’ente, è sotteso all’art. 2332 c.c., imponendosi dunque una lettura restrittiva dei casi di nullità della società da essi previsti, in nessuno dei quali è, quindi, riconducibile la simulazione (Sez. 1, n. 20888 del 5.8.2019, Rv. 655290 – 01; Sez. 6 – 5, n. 29700 del 14.11.2019, Rv. 656118 – 01; Sez. 1, n. 22560 del 4.11.2015, Rv. 637675 – 01; Sez. 1, n. 30020 del 29.12.2011, Rv. 620961 – 01)>>

Chiarito perchè non può essere accertata la simulazione del contratto sociale (art. 2332 cc) , non è però chiarito per qual motivo non si possa far cadere lo schermo per abuso di personalità verso il creditore  agente.

La risposta forse riposa sempre sulla ratio sottesa all’art. cit. 2332 cc: tutela degli interessi dei terzi in contatto con la società. La caduta dello schermo societario non è altro dal disconoscimento dell’effetto giuridico prodotto  (distinzione sogettiva) , per cui è pur sempre nullità (nè potrebbe prodursi incidenter tantum e cioè solo per alcuni -creditore agente- e non per gli altri): il che porta all’applicazione diretta (nemmeno serve l’analogia) della disposizione citata.

Il discorso potrebbe tuttavia apparire di dubbia esattezza: anche disconoscere la responsabilità limitata è disconoscere un tipico effetto della disciplina societaria. Perchè quest’ultimo si, mentre  ma la intestazione dei beni no? la diversità di trattamento andrebbe meglio  giustificata. Superato lo scoglio della protezione del socio di minoranza (ad es. perchè anche egli coinvolto nell’abuso; si dovrà certo concordare sul concetto di <coinvolgimento>), l’abuso potrebbe allora portare al disconoscimento dell’effetto e cioè alla caduta dello schermo societario.

Tuttava anche nel ns caso ricorrono le esigenze di chiarezza e certezza dei rapporti giuridici (tutela del traffico giuridico)  proprie della nullità ex art. 2332. Si pensi al caos che genererebbe nei creditori dell’ente l’improvisa vanificazione dello stesso e quindi il dover agire contro i soci personalmente, magari centinaia di soci (solidalmente, tenuti, magari…), con aggravio burocatico spesso spaventoso (anche se magari con maggior soddisfazione recuperatoria …)

Qualche parola sul punto sarebbe stato preferibile che la Sc la introducesse.

Amministratore disattento scopre che la carica per statuto era gratuita (sul rapporto amministratore/società amministrata)

Istruttiva decisione da parte di Trib. Milano n. 256/2022 del 18.01.2022, Rg 50.852/2017, pres. e rel. Mambriani.

Più che la consueta affermazione di contrattualità del rapporto tra società e amministratore (era una srl) , interessa il collegamento tra statuto e contratto (delibera soci + accettazione).

<<Pertanto, al fine di individuare le modalità di regolamentazione del rapporto contrattuale con l’amministratore, occorre fare riferimento a quegli atti attraverso i quali, nell’ambito dell’organizzazione societaria, si manifesta la volontà dei soci con particolare riferimento al rapporto di amministrazione.
Sovviene, in primo luogo, lo statuto della società, cui l’amministratore, nell’accettare la nomina, aderisce.
Lo statuto – nel dettare le regole organizzatorie dell’ente – individua i diritti degli amministratori, le competenze e le facoltà attribuite all’assemblea riguardo a tale rapporto.
Astrattamente, ed in forza di quel che si è detto, sono prospettabili quattro alternative, potendo lo statuto: (i) attribuire agli amministratori un diritto al compenso, (ii) subordinare il diritto al compenso all’assunzione di apposita delibera dell’assemblea, (iii) escludere il diritto al compenso e stabilire, dunque, la gratuità dell’incarico (1) ovvero (iv) non prevedere nulla al riguardo>>ù

Lo statuto prevedeva la gratuità, tranne il rimbortso spese.

Il trib. non spiega però perchè ritenga di che lo statuto integri il contenuto del contratto ammnistarote – società: anche se è ovvio.

Diverso è per il ruolo di amm. delegato : qui ottiene ragione per il solo anno 2014. Per il quale gli viene aggiudicata , tenuto conto dell’andamento negativo, la somma di euro 5.000 in via equittivs.

L’amministratore di diritto (prestanome) non risponde automaticamente dei reati commessi dall’amministratore di fatto

Utili precisazioni di Cass. sez. penale seconda n° 43.969 del 19.10.2022 depos. il 18.11.2022, rel. Pardo.

<< Tali considerazioni, riferite ad ipotesi di reati tributari per i quali incombe sull’amministratore
di diritto l’onere della regolare tenuta delle scritture e del pagamento delle imposte, devono
essere ribadite anche in relazione alla posizione dell’amministratore di diritto a fronte di condotte
di riciclaggio ed autoriciclaggio compiute dai gestori di fatto delle società; deve infatti essere
evidenziato che il concorso punibile del titolare della posizione di responsabilità nelle singole
condotte illecite poste in essere dai gestori di fatto non può derivare esclusivamente
dall’assunzione della carica. Invero, le condotte di sostituzione dei proventi illeciti punite dagli
artt. 648 bis e 648 terl cod.pen. costituiscono un quid pluris rispetto alle semplici attività di
evasione fiscale richiedendo la prova che attraverso le attività di quella specifica società siano
state effettuate operazioni mirate a sostituire il profitto illecito dei reati fiscali commessi ad
esempio mediante l’emissione od utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Ne deriva,
pertanto, che la responsabilità a titolo di concorso sotto il profilo soggettivo può essere affermata
soltanto in presenza di indici rivelatori del concorso morale e cioè della consapevolezza da parte
dell’amministratore di diritto che la società verrà utilizzata anche per il compimento di azioni di
quel particolare tipo, non bastando una generica consapevolezza della destinazione della
struttura ad attività di elusione fiscale.
E nel caso in esame tale dimostrazione sembra mancare poiché a fronte delle specifiche
osservazioni del provvedimento impugnato, il ricorso si dilunga in una analisi dei precedenti
giurisprudenziali in tema di responsabilità dell’amministratore di diritto per condotte poste in
essere dai gestori di fatto senza però in alcun modo illuminare circa i rapporti concreti sussistenti
al momento della consumazione dei fatti, rimontanti peraltro al 2017-2018, tra De Giorgio ed i
gestori di fatto, i Giordano, tali da potere attribuire all’indagato una responsabilità anche a titolo
di dolo generico od eventuale non essendosi in alcun modo verificato come si fosse addivenuti
all’individuazione dell’amministratore di diritto, quali fossero i rapporti con i Giordano, quali le
ragioni della cessazione della carica>>

E subito dopo: <<Ma un tale obbligo giuridico che permetta l’applicazione generalizzata della clausola di cui
all’art. 40 cpv cod.pen. anche a tutti gli altri reati consumati all’interno delle compagini sociali
ovvero mediante le stesse non sussiste a carico dell’amministratore di diritto; se questi cioè è certamente tenuto alla regolare tenuta delle scritture contabili, al regolare pagamento delle
imposte ed alla regolare destinazione dei beni aziendali alle attività sociali, non sussiste invece
né potrebbe altrimenti prevedersi se non in violazione del principio di tassatività della norma
penale, una previsione che impone all’amministratore delle persone giuridìche dì vigilare sulla
regolare osservanza di qualsiasi norma penale da parte dei soggetti comunque coinvolti nelle
attività sociali.             Così che l’estensione dei principi dettati dall’art. 40 cpv cod.pen.
all’amministratore di diritto non è possibile proprio per assenza di un obbligo giuridico ricavabile
da uno specifico riferimento normativo in tal senso.
Ne consegue, pertanto, che la responsabilità dell’amministratore di diritto per le condotte poste
in essere dai gestori di fatto può essere affermata solo in applicazione dei criteri generali sul dolo
nel concorso di persone ex art. 110 cod.pen.>>.

La quota di s.r.l. è suscettibile di possesso e quindi è pure usucapibile

Analitica sentenza del Trib. Milano 22.12.2021 n. 5.552 RG 25346/2019, rel. est. Astuni, che si pronuncia come in oggetto, cher ripercorre il processo normtivo di smaterialzizazine dei titoli anche nelle s.p.a.

<<Anche dopo l’abolizione del libro soci e la previsione (art. 2470 c.c.) dell’iscrizione dell’atto di trasferimento nel registro delle imprese, al fine di rendere efficace l’acquisto nei confronti della società, la giurisprudenza ha continuato a riconoscere nell’iscrizione la condizione necessaria e sufficiente all’esercizio dei diritti di socio, e quindi la fonte di un potere di fatto. Trib. Roma, in funzione di giudice del registro, con decreto 12.1.2018 (su Jus Explorer) ha convincentemente negato all’acquirente, che ancora non aveva depositato a registro delle imprese l’atto di trasferimento, il potere di decidere come socio unico la sostituzione dell’amministratore: “in epoca anteriore [al deposito], l’acquirente della quota sociale non può esercitare i diritti sociali. Conseguentemente, egli non può assumere alcuna decisione che sia imputabile alla società e ciò neppure differendo gli effetti della propria dichiarazione di volontà (in quanto tale dichiarazione nel momento in cui viene posta in essere non è imputabile in alcun modo alla società medesima)”. A sua volta, Trib. Milano sez. impresa 5.12.2017 ha ritenuto sufficiente l’iscrizione a libro soci per l’individuazione del titolare dei diritti nei confronti della società, “senza che tale qualità possa essere contestata dagli organi sociali relativamente
a vicende di invalidità riguardanti i rapporti tra cedente e cessionario delle partecipazioni (i.e. rapporti tra i soci quali privati e non in quanto soci)”. Nel medesimo senso cfr. ancora Trib. Torino sez. impresa 13.1.2021 n. 111 e 4.6.2021 n. 2839, in tema di spettanza del diritto al dividendo al socio iscritto, ancorché obbligato a trasferire ad altri soci la propria quota, in virtù di una clausola statutaria di riscatto. Ammessa la natura della quota di S.r.l. come posizione obiettivata in un bene mobile e la nozione estensiva di possesso della quota per il tramite dell’iscrizione a libro soci, appare logico e coerente trarre da queste premesse di diritto la conclusione che la quota di S.r.l. può essere usucapita>>.

In caso di esclusione del socio accomandatario dalla SAS, cessa ipso iure la sua qualità di amminstratore : sulla distinzione tra rapporto sociale e rapporto amministrativo

Cass. sez. I del 5 settembre 2022 n. 26.059, rel. D’Orazio:

<<6.1. Invero, per questa Corte in tema di amministrazione nella società in accomandita semplice, per effetto della regola per cui l’amministratore non può che essere un socio accomandatario, l’eventuale esclusione di questi dalla società, non diversamente da qualsiasi altra causa di scioglimento del rapporto sociale a lui facente capo, ne comporta “ipso iure” anche la cessazione dalla carica di amministratore (Cass., sez. 1, 26 settembre 2016, n. 18844). Si è chiarito che la revoca dell’amministratore e l’esclusione del socio, nelle società di persone, costituiscono situazioni affatto distinte, legate a presupposti non necessariamente coincidenti, sicché non è possibile sovrapporre la disciplina legale dell’una figura a quella dell’altra, né implica che l’eventuale revoca della carica di amministratore incida di per sé sul perdurare del rapporto sociale (Cass., sez. 1, 8 aprile 2009, n. 8570; Cass., sez. 1, 29 novembre 2001, n. 15197); tuttavia, si è osservato che nella società in accomandita semplice l’amministratore non può che essere un socio accomandatario, sicché la sua esclusione dalla società, non diversamente da qualsiasi altra causa di scioglimento del rapporto sociale, automaticamente comporta anche la cessazione della carica di amministratore.

In dottrina ed in giurisprudenza si è anche affermato che il cumulo delle qualifiche di socio e di amministratore non impedisce che le irregolarità o illiceità commesse dall’amministratore determinino, non solo la revoca del mandato, ma anche l’esclusione del socio per violazione dei doveri previsti dallo statuto a tutela della finalità e degli interessi dell’ente (Cass., sez. 1, 9 marzo 1995, n. 2736); ciò in quanto, indipendentemente dagli obblighi che incombono sull’amministratore-socio, vi è un obbligo fondamentale che deriva dalla sua qualità di socio, costituito dal dovere di non compiere atti che, per essere in contrasto con i fini della società, configurino insidia per la compagine sociale>>.

Tutto giusto, ma abbasta mainstream: nessuno spunto innovativo.

Conflitto di interessi negli amministratori di spa: si applica l’art. 1394 cc, anzichè l’art. 2391 cc , quando il conflitto sorge solo in fase esecutiva e disattendendo la delibera del CdA

Interessante precisazione di Cass. sez. 1 n° 24.156 del 3 agosto 2022 , rel. Falabella, circa una vendita imobiliare “di cortesia” alla controllante per prezzo troppo basso:

<< In realtà, ha ricordato la parte ricorrente che, in base a quanto
esposto in citazione, il contratto era annullabile per conflitto di
interessi non solo perché la delibera era stata assunta da un consiglio
di amministrazione «privo di effettiva pluralità», ma anche in quanto
detta delibera era stata «comunque disapplicata nella parte che
autorizzava la vendita ‘ad un prezzo non inferiore al costo di
costruzione sostenuto dalla Girardi ceramiche’ […] di fatto conosciuto
essere sensibilmente superiore a quello in essa indicato».
Discende da ciò che il fallimento ricorrente aveva fatto valere,
con riguardo al tema del prezzo di compravendita, un conflitto di
interessi venuto ad emersione proprio con riguardo al momento
rappresentativo: infatti, la compravendita si perfezionò a un
corrispettivo diverso da quello predeterminato dal consiglio di
amministrazione, sicché non avrebbe potuto domandarsi
l’annullamento della delibera dell’organo gestorio (che costituiva,
invece, la fonte del criterio cui avrebbe dovuto attenersi chi
contrattava in nome e per conto della società poi fallita).

Deve infatti ritenersi che, in base alla richiamata distinzione tra momento
deliberativo e momento rappresentativo, l’annullabilità di cui all’art.
1394 c.c. abbia a configurarsi, in caso di assunzione della delibera,
non solo con riferimento a quelle parti del negozio che siano lasciate
alla discrezionalità dell’amministratore, ma anche, e a maggior
ragione, ove lo stesso amministratore dia vita al conflitto di interessi
disattendendo le indicazioni contenute nella delibera che erano atte ad
escluderlo
>>

 

Procura gestionale dagli amministratori ad un terzo? Si, purchè non troppo ampia

Cass. sez. 2 del 3 agosto 2022 n. 24.068, rel. Grasso Gius., sull’ampiezza di procura conferibile dagli amministratori ad un terzo (ex amministratore, dimessosi per rispetto delle quote rosa):

<< Palese l’intenzione della legge d’impedire cristallizzazioni di
potere, tali da esautorare o perlomeno limitare la fisiologia della
società, attraverso il divieto di nominare gli amministratori per un
periodo superiore a un triennio e il potere di revoca da parte
dell’assemblea (art. 2383 cod. civ.). Fa da pendant a tale assetto il
potere di rappresentanza generale dell’amministratore, con
l’inopponibilità ai terzi (salvo prova di dolosa preordinazione) di
eventuali limitazioni, pur se pubblicate (art. 2384 cod. civ.).
Come si vede trattasi di un ordinamento predefinito, che non
permette deroghe. L’amministratore non può spogliarsi dei suoi
poteri, ai quali corrispondono i doveri derivanti dal ruolo, delegando
a terzi d’amministrare la società, così aggirando le norme che si
sono andate esaminando, o, comunque, rendendo vieppiù difficile
verifiche, controlli e direttive.
Nel caso all’esame, addirittura non è neppure dato sapere la
durata del mandato, non ne constano limiti, o approntamento di
procedure dirette a porre bilanciamenti o a imporre
approfondimenti, giungendosi, financo, ad assegnare il potere di
costituire società all’estero o parteciparvi, senza la previsioni di
tipologia societaria, di ramo d’attività, di nazionalità, di entità della
partecipazione in relazione alla percentuale del capitale sociale.
Trattasi, in definitiva di una procura abdicativa, attraverso la
quale viene aggirato anche il dovere d’astensione in presenza di
conflitto d’interesse.
>>

Principio di diritto: All’amministratore di una società per azioni non è consentito delegare a un terzo poteri che, per vastità dell’oggetto, entità
economica, assenza di precise prescrizioni preventive, di procedure
di verifiche in costanza di mandato, facciano assumere al delegato
la gestione dell’impresa e/o il potere di compiere le operazioni
necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale, di esclusiva
spettanza degli amministratori

Si trattava di censure di Consob ai sindaci per non aver rilevato la predetta anomalia.

La cessazione dalla carica per messa in liquidazione non equivale alla revoca, al fine del risarcimento dei danni ex art. 2383 c. 3 cc

Cass. 15.07.2022 n. 22.351, sez. 2, rel. Fortunato, interviene sull’oggetto e osserva: <<sebbene la delibera di liquidazione e la revoca degli amministratori abbiano in comune il fatto di essere entrambe adottate con un atto deliberativo della società, tuttavia solo nel primo caso viene meno l’organo gestorio e non vi è continuità dell’amministrazione: i liquidatori possono, difatti, svolgere solo gli atti utili per la liquidazione (art. 2489 c.c.).

La revoca in senso tecnico dell’amministratore (art. 2383 c.c.) – non la liquidazione – postula la mera sostituzione dei titolari delle cariche, con successivo subentro dei nuovi amministratori.

Per tale essenziale diversità delle due fattispecie, la liquidazione non dà luogo ad una revoca (tacita o implicita) dell’amministratore riconducibile al disposto dell’art. 2383 c.c., comma 3, né appaiono ammissibili pretese risarcitorie neppure se il mandato gestorio venga meno prima della sua naturale scadenza (ad eccezione delle ipotesi in cui la liquidazione appaia finalizzata esclusivamente a rimuovere gli amministratori, come nel caso in essa venga successivamente revocata e si proceda alla ricostituzione degli organi sociali senza riconfermare i precedenti amministratori: cfr., in tal senso, Cass. 2068/1960).

Stante il contenuto della scrittura di nomina del marzo 2010 e la non esclusa operatività delle cause legali di cessazione dell’amministratore, non era doveroso assicurare in ogni caso la permanenza in carica del ricorrente per un triennio a prescindere di quali fossero le esigenze di risanamento della società e gli strumenti per attuarle.

Come ha evidenziato la Corte di merito, la messa in liquidazione volontaria non integrava, quindi, un inadempimento colpevole della scrittura di incarico del marzo 2010, né un’ipotesi di revoca senza giusta causa, fattispecie cui le parti avevano inteso ricollegare le conseguenze risarcitorie oggetto delle penali contrattuali>>.

Il dictum è esatto.