Le azioni proprie vanno computate per il calcolo della maggioranza di qualunque delibera societaria: sia sul capitale totale che su quello presente in assemblea

Cass. sez. I, 03/09/2024 n. 23.557, rel. Falabella, sull’art. 2357 ter c. 2 cc, nella nota lite all’interno del grupppo Salini:

<<1.3. – La conformazione che ha assunto il secondo comma dell’art. 2357-ter, comma 2, a seguito della novella consente di affermare che, proprio muovendo dalla logica che informava la richiamata pronuncia, deve oggi pervenirsi a conclusioni opposte rispetto a quelle cui giunse la medesima. Infatti, nell’odierna versione della disposizione è venuto meno il riferimento al capitale e, come si è visto, le azioni proprie sono computate ai fini del calcolo delle maggioranze e delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea, onde esse entrano nel conteggio di tutti i quorum costitutivi e deliberativi: anche quelli che dipendono dal capitale presente in assemblea (come è previsto per le delibera dell’assemblea ordinaria in seconda convocazione). Che il termine maggioranza possa essere riferito, come sostenuto dai ricorrenti, tanto al capitale intervenuto in assemblea quanto all’intero capitale sociale è da escludere, visto che una tale lettura è contrastante col dato letterale, specie se letto in una chiave diacronica, avendo riguardo al diverso tenore delle due versioni della medesima norma, e finisce per postulare l’obiettiva inutilità, e quindi la sostanziale irragionevolezza dell’intervento legislativo del 2010. (…)

La volontà espressa dal legislatore trova ragione nell’esigenza, ben evidenziata da Cass. 2 ottobre 2018, n. 23950 cit., di impedire, nelle società “chiuse”, che le azioni proprie modifichino i rispettivi poteri dei soci e, più in generale, che risulti alterata la c.d. funzione organizzativa del capitale sociale: la prospettiva funzionale associata alla norma vigente è dunque rovesciata rispetto a quella che poteva accostarsi alla precedente versione del testo legislativo, ove era dominante il fine di evitare situazioni di stallo, per l’impossibilità di formare una maggioranza, rispetto a decisioni dalle quali dipendesse la stessa sopravvivenza della società (Cass. 16 ottobre 2013, n. 23540 cit., in motivazione)”.

Poi:

><<1.4. – Oppone la parte ricorrente che accogliendo la soluzione dalla stessa avversata si conferisce ai soci di minoranza un peso maggiore rispetto a quello che avrebbero se le azioni proprie fossero distribuite proporzionalmente tra tutti i soci: è vero, però, che il mancato computo delle azioni proprie può consentire al socio di maggioranza relativa, in situazioni particolari, quale quella in esame, una prevalenza nei processi deliberativi, convertendo, di fatto, quella maggioranza relativa in una maggioranza assoluta; si deve quindi semplicemente prendere atto che il legislatore, facendo uso della propria discrezionalità, di fronte a più soluzioni astrattamente ipotizzabili, ha inteso optare per il criterio che più si mostrava capace di preservare, in seno all’assemblea, gli equilibri preesistenti all’acquisto delle azioni proprie da parte della società. Tale discrezionalità, merita aggiungere, è stata spesa differenziando le società “chiuse” da quelle “aperte” ed escludendo per queste ultime che le azioni proprie fossero incluse nel quorum deliberativo: ciò al fine evidente di consentire che in queste ultime, in cui l’azionariato è diffuso, la maggioranza si formasse in modo più agevole>>.

TUSMAR e SIC: rilevanti novità sulla lite Vivendi / Mediaset

Il TAR Lazio ha annullato la delibera AGCOM del 2017 che aveva ritenuto che Vivendi avesse superato la doppia soglia posta dal testo unico radiotelevisione 2005 n. 177 (TUSMAR), art. 43 c. 11, costringendo quindi Vivendi a trasferire/parcheggiare le azioni in Mediaset presso la fiduciaria SImon (§ 8).

Si tratta di TAR Lazio sez. III, 23.12.2020, n. 5880/2017 Reg. Ric.-13958/2020 reg. prov. coll., Vivendi c. AGCM nei confronti di Mediaset.

Sul punto però è decisiva la chiara risposta al quesito pregiudiziale data dalla Corte di Giustizia 03-.09.23030, C‑719/18: <<l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa di uno Stato membro che ha l’effetto di impedire ad una società registrata in un altro Stato membro, i cui ricavi realizzati nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai fini di tale normativa, siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di tale settore, di conseguire nel SIC ricavi superiori al 10% di quelli del sistema medesimo>> (l’art. 49 TFUE pone la libertà di stabilimento; non rileva invece la libertà di circolazione dei capitali , pur dedotta, § 8.3).

Per cui, stante la incompatibilità predetta, esperita senza successo il tentativo di interpretazione conforme alla disciplina europea, non resta che disapplicare (§ 6 e § 7.8 DIRITTO): <<Pertanto, occorre concludere che la delibera gravata poggia le proprie basi su di una norma interna di cui la sentenza della Corte di Giustizia del 3 settembre 2020 impone la disapplicazione, con conseguente applicazione dell’art. 49 del TFUE alla fattispecie>> (§ 8.5).

In breve le restrizioni posta dalla norma suv iudice non sarebbero ragionevoli e proporzionate : <L’art. 43(11) TUSMAR, come interpretato dalla Delibera, impone restrizioni alla libertà di circolazione dei capitali, prestazione dei servizi e stabilimento incompatibili con il diritto UE in quanto (i) inidonee a raggiungere gli obiettivi perseguiti e (ii) non limitate a quanto necessario a tal fine. 2> (così il ricorso Vivendi secondo quanto riporta il TAR al § 8.1).

Il TAR ha dunque annullato la delibera AGCOM impgunata; per la novità della questione, che ha richiesto la pronuncia pregiudiziale della Corte europea,  ha però compensato le spese di lite (§ 11).