I doveri del sindaco di società e l’onere probatorio della loro violazione da parte della curatela fallimentare (anche solo come eccezione di inadempimento alla richiesta di pagamento del compenso)

Cass.  Sez. I del 24/01/2024, n. 2.350, rel. Dongiacomo, con passaggi di un certo interesse:

sul secondo punto:

<<4.2. Il tribunale, infatti, pur avendo (correttamente) affermato che la vigilanza dei sindaci non si estende alla verifica della convenienza delle scelte gestionali degli amministratori, dovendo, piuttosto, riguardare la legittimità delle scelte e la correttezza dei procedimenti decisionali seguiti dagli stessi, ha ritenuto l’infondatezza dell’eccezione d’inadempimento con la quale il Fallimento aveva dedotto la “carenza di vigilanza” da parte del sindaco opponente in ordine ad alcune operazioni gestorie compiute dagli organi di gestione, limitandosi a rilevare, per un verso, che non era emersa la necessaria incidenza causale tra le omissioni imputate allo stesso e l’evento lesivo consistito nell’aumento indebito della massa passiva, e, per altro verso, che il collegio sindacale, come si evince dal contenuto delle verifiche svolte e dalle relazioni periodiche predisposte dagli stessi, aveva preso effettivamente atto dell’incremento dell’indebitamento e degli insoluti via via maturati, invitando il consiglio di amministrazione ed il socio di maggioranza ad effettuare concreti interventi finanziari e manifestando sempre la propria preoccupazione per l’equilibrio finanziario della società.

4.3. Il tribunale, tuttavia, ha, in tal modo, illegittimamente omesso di considerare, così cadendo nel vizio di falsa applicazione delle norme invocate dal ricorrente, come in precedenza indicate, il principio, che questa Corte ha ripetutamente affermato, secondo il quale il curatore del fallimento della società committente, nel giudizio di verificazione conseguente alla domanda di ammissione del credito vantato dal professionista (come il sindaco della società poi fallita) al compenso asseritamente maturato nei confronti della stessa, è legittimato a sollevare l’eccezione d’inadempimento (anche nel caso in cui si fosse prescritta la corrispondente azione: art. 95, comma 1°, l.fall.) secondo i canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale: vale a dire con il (solo) onere di contestare, in relazione alle circostanze del caso (come le operazioni gestorie, asseritamente contrarie ai principi di corretta amministrazione, che ha specificamente dedotto e altrettanto doverosamente documentato in giudizio quali fatti storici che avrebbero imposto al sindaco la condotta che, in relazione al mandato ricevuto, avrebbe dovuto tenere e non ha, invece, tenuto), la negligente o incompleta esecuzione, ad opera del professionista istante, della prestazione di vigilanza dovuta, restando, per contro, a carico di quest’ultimo l’onere di dimostrare, a fronte delle circostanze dedotte e provate dal curatore, di aver, invece, esattamente adempiuto per la rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera (cfr. Cass. SU n. 42093 del 2021).

4.4. In tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, infatti, il creditore che agisca per l’adempimento (oltre che per la risoluzione contrattuale ovvero per il risarcimento del danno) deve soltanto provare la fonte del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. SU n. 13533 del 2001)

4.5. Si tratta, peraltro, di un criterio di riparto dell’onere della prova applicabile anche al caso in cui il debitore convenuto si avvalga, com’è accaduto nel caso in esame, dell’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. poiché il debitore eccipiente può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento o l’inesatto adempimento alle obbligazioni assunte dal creditore (di cui deve dedurre e dimostrare il fatto costitutivo), spettando, per contro, a chi ha agito in giudizio l’onere di provare di aver esattamente adempiuto alle stesse (Cass. SU n. 13533 del 2001; Cass. n. 3373 del 2010; Cass. n. 826 del 2015; Cass. n. 3527 del 2021).

4.6. Pertanto, ove il preteso creditore (come il sindaco della società fallita) proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato) del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali (e cioè, com’è accaduto nel caso in esame, la “carenza di vigilanza” da parte del sindaco opponente in ordine ad alcune operazioni compiute dagli amministratori, dal curatore eccipiente dedotte e documentate, in quanto, a suo dire, “contrarie al principio di corretta amministrazione”), con, appunto, il solo onere di allegare, in relazione alle circostanze di fatto del caso (che ha l’onere di provare), l’inadempimento del sindaco istante (al suo dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società: art. 2403, comma 1°, c.c.); spetta poi a quest’ultimo il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.)>>.

sul primo punto:

<4.7. I sindaci, in effetti, non esauriscono l’adempimento dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto, l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie (cfr., al riguardo, Cass. n. 18770 del 2019, in motiv., per cui “l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale”).

4.8. Né, d’altra parte, può rilevare il fatto il fatto che le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, come quelle che gravano sui componenti del collegio sindacale, sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato.

4.9. È senz’altro vero, infatti, che il professionista, assumendo l’incarico, s’impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato (come, nel caso del sindaco, la legittimità e la correttezza dell’intera gestione sociale) ma non anche a conseguirlo e che l’inadempimento del professionista non può essere, pertanto, desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dalla società committente, dovendo essere, piuttosto, valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed, in particolare, al dovere di diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2°, c.c. (e, nel caso del sindaci, dall’art. 2407, comma 1°, c.c.).

4.10. È anche vero, tuttavia, che il diritto del professionista al compenso (che nel caso dei sindaci è previsto dall’art. 2402 c.c. e dev’essere corrisposto anno per anno: Cass. n. 6027 del 2021), se non implica il raggiungimento del risultato programmato con il conferimento del relativo incarico (e cioè la legittimità dell’intera gestione sociale e la sua conformità ai principi di corretta amministrazione: art. 2403, comma 1°, c.c.), richiede, nondimeno, che il giudice di merito accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte a conseguire tale risultato, essendo, in effetti, evidente che, in difetto, pur in difetto di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato (per la mancanza, ad esempio, di danno che ne sia conseguito), non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso (cfr. Cass. n. 36071 del 2022, in motiv.) e giustifica, quindi, il rifiuto del committente, a norma dell’art. 1460 c.c., al pagamento, in tutto o in parte, del compenso (in ipotesi) maturato.

4.11. L’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere, di conseguenza, opposta dal cliente (o dal curatore del relativo fallimento) al professionista (come il sindaco) che abbia violato l’obbligo di diligenza professionale quando le prestazioni svolte dallo stesso, a prescindere dal mancato conseguimento del risultato perseguito, non sono state, per la negligenza con cui sono state eseguite, oggettivamente funzionali, in tutto o in parte, alla soddisfazione degli interessi del primo, così come dedotti, per volontà delle parti o (come nel caso dei sindaci) della legge, nel contratto di prestazione d’opera professionale tra loro intercorso ed abbiano, di conseguenza, negativamente inciso sulla effettiva realizzazione(o possibilità di realizzazione) degli stessi (cfr. Cass. n. 13207 del 2021).

4.12. Il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 c.c. è, in effetti, configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché non è circoscritto all’operato degli amministratori ma si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali (Cass. n. 2772 del 1999; Cass. n. 5287 del 1998; più di recente, in tema di sanzioni amministrative, Cass. n. 1601 del 2021): né, d’altra parte, riguarda solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo conferito ai componenti del relativo collegio il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione.

4.13. Il compito essenziale dei sindaci, infatti, è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma del diritto societario ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale prevista dall’art. 1176, comma 2°, c.c., e cioè di controllare in ogni tempo che gli amministratori, alla stregua delle circostanze del caso concreto, compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale.

4.14. Se è pur vero, pertanto, che il sindaco non risponde automaticamente, in termini d’inadempimento ai propri doveri giuridici, per ogni fatto gestorio aziendale non conforme alla legge o allo statuto ovvero ai principi di corretta amministrazione, è, tuttavia, necessario, a fini del corretto adempimento dei propri obblighi, che abbia esercitato (o, quanto meno, tentato, con la dovuta diligenza professionale, di esercitare) l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge.

4.15. Come questa Corte ha di recente ribadito, infatti, da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative, a partire dalla richiesta di informazioni o di ispezione ai sensi dell’art. 2403-bis c.c., può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, avendo, piuttosto, il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie. Così come, dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate, dunque anche ex artt. 2446 e 2447 c.c.), il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite (ai sensi di tali disposizioni), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia (ove proponibile) al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale ed altre simili iniziative (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.).

4.16. La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2°, c.c. non richiede, del resto, l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere [invece si!!!, nds], essendo, piuttosto, sufficiente che gli stessi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al pubblico ministero per consentirgli di provvedere, ove possibile, ai sensi dell’art. 2409 c.c. (cfr. Cass. n. 32397 del 2019; Cass. n. 16314 del 2017; Cass. n. 13517 del 2014).

4.17. D’altra parte, anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati: e senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze in quanto l’inerzia del singolo nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri acquista efficacia causale dato che, all’opposto, una condotta attiva giova a “rompere il silenzio” sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge e ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.).

4.18. A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo, i sindaci hanno, dunque, l’obbligo di porre in essere, con debita tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con la dovuta diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali) di sollecitazione e denuncia, diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.).

4.19. Né del resto può rilevare il fatto che il collegio sindacale abbia in tutto o in parte ignorato le operazioni gestorie compiute dagli amministratori; la colpa, infatti, può consistere tanto in un difetto di conoscenza, quanto in un difetto di attivazione: – sotto il primo profilo, il sindaco è in colpa per non aver colposamente rilevato l’altrui illecita gestione: dove, però, non è affatto decisivo che nulla traSpaia da formali relazioni degli amministratori, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni; – sotto il secondo profilo, il sindaco è tenuto a conoscere i doveri specifici posti dalla legge e ad attivarsi perché l’organo amministrativo compia al meglio il proprio dovere gestorio, vigilando per impedire il verificarsi ed il protrarsi della situazione illecita: l’inerzia, a fronte dell’illecito altrui, è dunque in sé colpevole: e il disinteresse è già indice di colpa [vero ma scontato, nds] (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.; Cass. n. 24170 del 2022, la quale, in materia di sanzioni amministrative, ha osservato come il comportamento inerte dei sindaci integra la mancata adeguata vigilanza da parte degli stessi sulla condotta degli amministratori tutte le volte in cui fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse).

4.20. E neppure è sufficiente per escludere l’inadempimento dei sindaci il fatto di essere stati tenuti all’oscuro o di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi ove gli stessi abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori: nello stesso modo in cui le dimissioni presentate, ove non fossero accompagnate anche da concreti atti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti gestori, non escludono l’inadempimento del sindaco posto che, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato, la diligenza richiesta al sindaco impone, piuttosto, un comportamento alternativo e le dimissioni diventano, anzi, sotto questo profilo, esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità (Cass. n. 18770 del 2019).

4.21. E neppure, infine, può rilevare il fatto che, come invece affermato dal tribunale, l’inadempimento contestato al sindaco non abbia arrecato un danno alla società committente: l’eccezione d’inadempimento, che può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, si limita, infatti, a consentire alla parte che la solleva il legittimo rifiuto di adempiere (in tutto o in parte) in favore dell’altro contraente che a sua volta non ha adempiuto (o ha adempiuto inesattamente) la propria obbligazione e, dunque, (salvo il limite della buona fede: Cass. n. 1690 del 2006) non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto e l’azione di risarcimento dei danni conseguentemente arrecati, e cioè, rispettivamente, la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto (cfr. Cass. n. 12719 del 2021)>>.

Sfasatura temporale tra la negligenza del sindaco di SRL e il suo diritto al compenso: è legittimo sollevare eccezione di inadempimento da parte della società?

Cass. Sez. I, Ord. 15/02/2024, n. 4.168, rel. Crolla, esamina l’interessante caso in oggetto.

In breve se l’inadempimento attiene ad esercizi precedenti quello di cui il sindco chiede il compenso (il presupposto è ovviamente che sia stato medio rinnovato nell’incarico), può essergli sollevata exceptio inadimplenti non est adimplendum (nella modalità di rigetto della domanda di ammissione al passivo fallimentare)? Risponde di sì  la SC.

<<2.1 Secondo quanto affermato da questa Corte “in tema di società di capitali, l’adempimento dei doveri di controllo, gravanti sui sindaci per l’intera durata del loro ufficio, può essere valutato non solo in modo globale e unitario ma anche per periodi distinti e separati, come si desume dalla disciplina generale, contenuta nell’art. 1458, comma 1, c.c., riferita a tutti i contratti ad esecuzione continuata, pertanto, poiché l’art. 2402 c.c. prevede una retribuzione annuale in favore dei sindaci, è in base a questa unità di misura che l’inadempimento degli obblighi di controllo deve essere confrontato con il diritto al compenso” (Cass. 6027/2021).

2.2 Ciò in quanto il testo della norma dell’art. 2402 c.c. risulta univoco nell’indicare che quella spettante ai sindaci è, propriamente, una “retribuzione annuale”, secondo quanto è coerente, del resto, con la durata che connota, come scansione dell’attività di impresa, l'”esercizio sociale” (così, sulla base di questa constatazione, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che il credito del sindaco goda del privilegio ex art. 2751-bis c.c. non già in relazione agli ultimi due mandati, ma unicamente per le due ultime annualità del più recente incarico: cfr. Cass., 4 dicembre 1972, n. 3496; Cass., 9 aprile 2019, n. 15828, che appunto discorrono di “distinti crediti annuali”). Ne segue, allora, che è con questa unità di misura (della singola annualità) che l’inadempimento degli obblighi di controllo deve venire a confrontarsi in relazione al riconoscimento del diritto al compenso del sindaco.

2.3 Nel caso in esame il Tribunale fiorentino ha accertato che la nomina avvenuta il 27 luglio 2018 del nuovo Collegio sindacale, che confermava quale componente la A.A., aveva riguardato gli esercizi relativi agli anni 2018, 2019 e 2020, con la conseguenza che la responsabilità dell’opponente, a fronte del rinnovo della nomina, concerneva tutte le vicende societarie occorse nell’anno solare 2018 e quindi vi rientravano anche i profili di carente vigilanza sui fatti inerenti all’operazione di fusione conclusasi il 15 marzo 2018.

2.4 L’impugnato decreto ha, inoltre, soggiunto che le conseguenze pregiudizievoli scaturite dalla suddetta operazione straordinaria di fusione, correlate alle gravose passività accumulate dalla società incorporanda, la cui effettiva situazione economico-patrimoniale i sindaci avrebbero dovuto disvelare e denunciare con una più accorta e diligente condotta professionale, si sono palesate solo in sede di elaborazione del bilancio relativo all’anno 2018, e dunque nel corso dell’anno 2019.

2.5 La consapevolezza, grazie all’avvertimento del danno-conseguenza, della presenza dell’inadempimento a monte e della correlata responsabilità dell’organo societario ha indotto il Tribunale a riconoscere il carattere sinallagmatico dell’eccezione di inadempimento anche sull’unità temporale dell’annualità 2019.

2.6 Tali conclusioni vanno condivise, in quanto proprio il precedente giurisprudenziale sopra richiamato, nell’affermare che l’inadempimento di un componente del collegio sindacale “può essere apprezzato non solo in modo globale e unitario ma anche per periodi distinti e separati”, fa salva la possibilità che l’eccezione di inadempimento si ponga in rapporto di corrispettività con le richieste di compensi avanzate dal professionista per l’attività riferite al periodo, da considerarsi unitariamente, comprensivo dell’annualità nel corso del quale si è realizzata la condotta antigiuridica del professionista e della successiva annualità in cui si sono palesate le conseguenze dannose>>.

Come si nota , però, nel caso specifico la risposta positiva si è basata sul fatto che la sfasatura temporale non era totale , essendoci invece una sovrapposizione parziale di tre mesi.

Eventi di questo tipo non sono semplicissimi da governare. Sorgono dei dubbi:

1) se la sovrapposizione fosse stata solo di pochissimi giorni, sarebbe cambiato qualcosa?

2) l’incarico rinnovato ogni tre annni è un incarico unico oppure son tanti incarichi quante le delibere di incarico?

3) se la sfasatura fosse stata assoluta (ad es. fusione negligentemente non ostacolata nel 2017 e rinnovo nel 2018), sarebbe cambiato qualcosa?

Sub 2, direi che ogni delibera dà luogo ad un nuovo incarico.

Ma da ciò, circa sub 3) , non ne segue necessariamente  un dovere di pagare il compenso per il nuovo incarico in presenza di danni cagionati nel precedente. Solo che non si potrà adoperare l’exceptio, bensì la -più ardua, per la stima del danno- via della compensazione tra crediti (al compenso vs. risarcitorio).

Dichiarato nullo l’accordo per il compenso di Musk in Tesla e il conseguente acquisto di quote

La Court of Chancery del Delaware 30.01.2024 , Tornetta v. Musk ed altri, C.A. No. 2018-0408-KSJM, dichiara nullo (rescission) l’accordo 2018 sul compenso di Musk  perchè eccessivo : o meglio M. non ha provato che era fair: <Defendants bore the burden of proving fair price. Given the conflicting testimony concerning the projections, Defendants failed to prove the factual predicate for their argument that all the milestones were “ambitious” and difficult to achieve. This argument does not support a finding of fair price>, p. 187.

Irrilevante il consenso degli azionisti, non essendo stati adeguatamente informati: <<Defendants argue that disinterested stockholder approval is “compelling evidence” that the price was fair.899 The stockholder vote is one component of the fair price analysis, but whether the vote represents a form of market evidence that can support a certain price depends on the sufficiency of the disclosure. Generally, a stockholder vote is only “compelling evidence” of fairness absent a disclosure violation.900 The Delaware Supreme Court in Weinberger held that an uninformed stockholder vote is totally “meaningless.”901 Under Weinberger, therefore, the stockholder vote is a meaningless indicator as to fair price. In SolarCity III, the high court took a more nuanced approach, affording a stockholder vote some weight despite a deficient proxy statement where the key issue was SolarCity’s value. The high court noted that there was significant public information available concerning that issue, “SolarCity traded in an efficient market,” and a strong independent fiduciary positively affected the process.902 Defendants did not establish those facts here.   Because the stockholder vote was not fully informed, it does not support a finding of fair price“, p. 190-191.

Rigettata l’eccezione di -in sostanza- arricchimento senza causa: le azioni già detenute son più che sufficienti. “Defendants argue that rescission is a harsh consequence that would leave Musk uncompensated. But Musk’s preexisting equity stake provided him tens of billions of dollars for his efforts. And Defendants have not offered a viable alternative short of leaving the Grant intact

Il punto più interessante è quello degli aspetti pratici di corporate governance e cioè della supremazia di Musk nel Board: nessuno ha seriamente negoziato il compenso da vera controparte, limitandosi invece a supinamente ratificarlo. V. il § “2.Boardroom And Managerial Supremacy” a p. . 115 ss.

Ad es. <<Based on this list alone, it could be said that Musk wields unusually expansive managerial authority, equaling or even exceeding the imperial CEOs of the 1960s>>, p. 121 (v. il rif. ai SuperstarCEOs p. 121 ss).

Oppure: <<The references to “supine servants” and “an overweening master” is hyperbolic, and no doubt deliberately so to give emphasis to the difficulty of the standard. But it hits home here. There is no greater evidence of Musk’s status as a transaction-specific controller than the Board’s posture toward Musk during the process that led to the Grant. Put simply, neither the Compensation Committee nor the Board acted in the best interests of the Company when negotiating Musk’s compensation plan. In fact, there is barely any evidence of negotiations at all. Rather than negotiate against Musk with the mindset of a third party, the Compensation Committee worked alongside him, almost as an advisory body.   Multiple aspects of the process reveal Musk’s control over it, including the timeline, the absence of negotiations over the magnitude of the Grant or its other terms, and the committee’s failure to conduct a benchmarking analysis. In the end, the key witnesses said it all by effectively admitting that they did not view the process as an arm’s length negotiation>>, 128-129.

“Checklist di sostenibilità per le piccole imprese”

Il CNDEC ha curato la traduzione (eseguita da Elena Florimo) del documento “Small Business Sustainability Checklist” predisposto nel novembre 2023 dalla International Federation of Accountants.

Qui la pagine dell’originale e qui quella della traduzine nel sito CNDEC.

Documento interessante per l’analiticità e la concretezza delle proposte, divise -secondo l’acronimo ESG- in

i) ENVIRONMENTAL INITIATIVES

ii) SOCIAL RESPONSIBILITY INITIATIVES

iii) GOVERNANCE INITIATIVES

Significativo pure la “Small Business Continuity Checklist” ricordata nel documento (pur se non direttamente legata a temi ESG ma piuttoisto alla sostenibilità cd “interna” e cioè alla “continuità aziendale”

Regole di comportamento per i sindaci di società non quotate

I commercialisti presentano le <Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate> 20.12.2023 (segnalazione di Ristrutturazioni Aziendali 21.12.2023)

Documento analitico ed interessante: sarà un riferimento nelle liti in materia ed anzi pure in quelle sulla diligenza dei soli amministratori (cioè senza interessamento dei sindaci).

Riporto solo dei passi su tre punti della parte “3.Doveri del collegio sindacale”.

  • “Norma 3.3. Vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione:… La vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione consiste nella verifica della conformità delle scelte di gestione ai generali criteri di razionalità economica”

e poi: <<La verifica in ordine alla ragionevolezza delle operazioni poste in essere dagli amministratori deve essere attuata ex ante, secondo i parametri propri della diligenza professionale, tenendo altresì in considerazione l’eventuale mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni
preventive che l’operazione da intraprendere richiede, specie in termini di margini di rischio>>

  • <<Norma 3.5. Vigilanza sull’adeguatezza e sul funzionamento dell’assetto organizzativo: … Per assetto organizzativo si intende: (i) il sistema di funzionigramma e di organigramma e, in particolare, il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato a un appropriato livello di competenza e responsabilità, (ii) il complesso procedurale di controllo.
    Un assetto organizzativo è adeguato se presenta una struttura compatibile alle dimensioni della società, nonché alla natura e alle modalità di perseguimento dell’oggetto sociale, nonché alla rilevazione tempestiva degli indizi di crisi e di perdita della continuità aziendale e possa quindi consentire, agli amministratori preposti, una sollecita adozione delle misure più idonee alla sua rilevazione e alla sua composizione>>
  • <<Norma 3.7. Vigilanza sull’adeguatezza e sul funzionamento del sistema amministrativo-contabile: …. Il sistema amministrativo-contabile può definirsi come l’insieme delle direttive, delle procedure e delle prassi operative dirette a garantire la completezza, la correttezza e la tempestività di una informativa societaria attendibile, in accordo con i principi contabili adottati dall’impresa.
    Un sistema amministrativo-contabile risulta adeguato se permette: – la completa, tempestiva e attendibile rilevazione contabile e rappresentazione dei fatti di gestione; – la produzione di informazioni valide e utili per le scelte di gestione e per la salvaguardia del patrimonio aziendale; – la produzione di dati attendibili per la formazione dell’informativa societaria>

La mancanza di continuità aziendale è concetto diverso (più ridotto) dalla sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale (causa di scioglimento)

Interessanti (e condivisibili) osservazioni in  Trib. Milano 12.10.2023  n. 7973/2023, RG 35640/2019, pres. e rel. Mambriani:

<<Orbene, se si confronta la nozione di continuità aziendale quale risultante dalle fonti di prassi contabile sopra indicate e la fattispecie normativa di cui all’art. 2484, comma 1, n. 2 c.c., ci si avvede ben presto di quanto segue.
➢ La fattispecie di scioglimento attiene ad una valutazione circa una situazione attuale, definitiva ed irreversibile in cui versa la società, mentre la valutazione circa la sussistenza o la mancanza di continuità aziendale è di natura prospettica, cioè ha a che fare con previsioni circa il futuro della società in un determinato arco temporale (12 mesi), e, come tale, attiene ad una situazione
non definitivamente cristallizzata ed invece tipicamente reversibile. Si tratta di prospettive valutative all’evidenza non compatibili tra loro.
➢ Nella “fattispecie” di continuità aziendale rientrano fattori di natura e tipologia disparate, molti dei quali ictu oculi estranei al tema della possibilità/impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.

➢Le fattispecie descritte dall’art. 2484 c.c. sono tipiche e, come tali, esprimono un’esigenza di certezza che non pare compatibile con la natura stessa della valutazione sulla continuità aziendale come connotata nei principi contabili sopra indicati in termini di “dubbio  significativo”, connotazione peraltro che ben si accorda con la natura prognostica della valutazione.
➢ Può accadere che un evento considerato quale “indicatore” utilizzabile per la valutazione circa la sussistenza del presupposto della continuità aziendale possa, di fatto ed in concreto, determinare la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. Così è, ad esempio, per eventi catastrofici non adeguatamente assicurati o per la revoca di autorizzazioni amministrative a svolgere l’attività oggetto della società. Oppure, come nel caso di specie, per la risoluzione, da parte di Mercedes, del contratto di concessione dell’attività di distribuzione di
autovetture recanti qual marchio, avvenuta alla fine del 2015. Tuttavia, in tal caso, è giuridicamente irrilevante, ai fini qui considerati, che esso evento determini il venir meno della continuità aziendale, essendo invece rilevante che determini la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. E, come tale, esso deve essere specificamente allegato e provato dall’ attore che deduce il suo verificarsi come causa di scioglimento della società.
Cioè, a fronte di una fattispecie così ampia e tutt’altro che tassativa descritta dalle fonti di prassi contabile, è irrilevante o addirittura fuorviante riferirsi ad essa quando si pretenda l’applicazione di norme che assumono a fattispecie rilevante eventi determinati, linguisticamente designati da significanti diversi, la cui sussistenza o meno bensì rileva ma del tutto indipendentemente dalla circostanza che essi siano eventualmente qualificabili anche in
termini di “perdita di continuità aziendale”. Così è, ad esempio, per l’insufficienza patrimoniale di cui all’art. 2394 c.c., per la “discesa del capitale sociale sotto il minimo legale” di cui all’art. 2484 comma 1 n. 4 c.c., per il dissesto di cui art. 217, comma 1, n. 4 l.f. (art. 217, comma 1, n. 4 c.c.i.), per l’insolvenza di cui all’art. 5 l.f. (art. 2 let. b c.c.i.).
E così è anche per la situazione di “definitiva perdita della continuità aziendale”, di individuazione pratica e priva di referente normativo preciso, quando, come spesso accade, riferita ad un disequilibrio finanziario tale che l’attività svolta risulterebbe irreversibilmente programmata alla distruzione di ricchezza e alla traslazione del rischio di impresa sui creditori o sia fotografata da bilanci prospettici che presentano cash flow negativi e in presenza di indici economico-finanziari negativi dai quali emergerebbe che l’impresa non è più in condizioni di continuare a realizzare le proprie attività.
In tali casi la “definitiva perdita di continuità aziendale” o si risolve in realtà nelle diverse fattispecie normativamente previste di insufficienza patrimoniale, perdita del capitale sociale, insolvenza, dissesto, oppure, ma con diversa rilevanza rispetto al passato, si identifica in una manifestazione di quella prevista dall’art. 2086, comma 2, c.c. che tuttavia non riguarda lo
scioglimento della società.
➢ La sistematica del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza significativamente conferma il quadro interpretativo appena descritto.
Invero la fattispecie di perdita della continuità aziendale è posta dai principi fondanti previsti in materia – quelli stabiliti dal nuovo secondo comma dell’art. 2086 c.c. – a presupposto dell’  obbligo di reazione degli amministratori, in forma di adozione ed attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento, in vista del “recupero della continuità aziendale”. Con il ché è ribadita sia la natura prognostica del relativo giudizio che la sua reversibilità, connotati
questi propri anche del concetto di crisi aziendale, quale definito dall’art. 2, let. a) c.c.i.
A tal proposito, in ordine al rapporto tra “crisi” e “perdita di continuità aziendale” letto nel quadro della descrizione di quest’ultima situazione quale restituita dai citati principi contabili e di revisione, non si può mancare di osservare che la prima fattispecie, per come definita, assorbe in sé molti, se non tutti, i parametri finanziari che quei principi ascrivono invece alla
“continuità aziendale”. Se ne ricava che, sul piano normativo, la situazione di “perdita di continuità aziendale” è definibile per sottrazione dai parametri, criteri ed indicatori previsti dai principi contabili e di revisione, di tutte quegli eventi / situazioni di natura finanziaria che oggi vanno ricondotti alla fattispecie “crisi” di cui all’art. 2, let a) cit.
Ugualmente, situazioni “deficit patrimoniale” o “capitale ridotto al di sotto dei limiti legali” andranno ascritte non già alla fattispecie “perdita di continuità aziendale”, essendo piuttosto da ricondurre, per quel che qui rileva, alla fattispecie di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4 c.c.
Né si tratta di distinzioni nominalistiche o inutili, poiché alle diverse fattispecie sopra indicate sono collegate discipline ben diverse in relazione ai poteri e doveri degli amministratori, dei sindaci, dei soci, con altrettanto diverse discipline delle loro responsabilità risarcitorie.

➢ La lettera delle innovazioni apportate dal “codice della crisi” all’art. 2484, comma 1, c.c., non fa confermare ulteriormente, a contrario (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit), la superiore ricostruzione ermeneutica. E’ stata aggiunta una fattispecie ulteriore di scioglimento della società data dalla apertura delle procedure di liquidazione giudiziale e controllata (n. 7 bis).
Orbene, considerata l’importanza conferita alla situazione di perdita della continuità aziendale nella sistematica del diritto della crisi e la considerazione della liquidazione come extrema ratio, sembra ovvio inferirne che, se il legislatore avesse voluto fare anche della prima una causa di scioglimento della società l’avrebbe detto, inserendo un’altra ipotesi oltre l’unica invece aggiunta.
➢ Lungi dal rivelarsi nominalistico, l’argomento da ultimo espresso ben si accorda con l’intenzione del legislatore, essendo del tutto disfunzionale, in vista del “recupero della continuità aziendale”, prevedere che quando essa fosse persa, la società versi in stato di scioglimento, con il conseguente sorgere, in capo
agli amministratori, non solo dell’obbligo di attuazione di uno degli strumenti di soluzione della crisi previsti a quel fine, ma anche dell’innesco della fase liquidatoria ex artt. 2485 e ss. c.c., comportante di  per sé dissoluzione di ricchezza ed assai più difficilmente reversibile ex art. 2487 ter c.c>>.

Azione contro Walmart: cenno alla business judgment rule

Giunge notizia della Corte del Delaware 26 aprile 2023 , C.A. No. 2021-0827-JTL, ONTARIO PROVINCIAL COUNCIL OF CARPENTERS’ PENSION TRUST FUND e altri fondi c. Walmart e alcuni suo amministratori.  nella triste vicenda facente parte della cd opioid epidemic connessa al suo ruolo come distributori di oppiacedi nelle sue farmaceie

Gli attori azionisti <<seek to shift responsibility for the harm that Walmart has suffered to the fiduciaries whom they say caused it. They maintain that the directors and officers of Walmart breached their fiduciary duties to the corporation and its stockholders by (i) knowingly causing Walmart to fail to comply with a settlement between the U.S. Drug Enforcement Agency (“DEA”) and Walmart (the “DEA Settlement”); (ii) knowingly causing Walmart to fail to comply with its obligations under the federal Controlled Substances Act and its implementing regulations (collectively, the “Controlled Substances Act”) when acting as a dispenser of opioids through its retail pharmacies, and (iii) knowingly causing Walmart to fail to comply with its obligations under the Controlled Substances Act when acting as a wholesale distributor of opioids for its retail pharmacies>>.

Allegano l’esisstenza di specifici red flags.

Qui ricordo solo il passso per cui mai la busienss judgment rule può coprire violazioni di legge

<< Some projects involve more legal risk than others and, depending on the
outcome, can expose the corporation to civil liability. When directors make a business decision that carries legal risk, but which otherwise involves legally compliant conduct, then the business judgment rule protects that decision. The same principle applies to a board’s decision to act or not act in response to red flags. “Simply alleging that a board incorrectly exercised its business judgment and made a ‘wrong’ decision in response to red flags, however, is insufficient to plead bad faith.” Melbourne Mun. Firefighters’ Pension Tr. Fund v. Jacobs, 2016 WL 4076369, at *9 (Del. Ch. Aug. 1, 2016), aff’d, 158 A.3d 449 (Del. 2017). To establish the requisite inference of bad faith, a plaintiff would have to plead
(and later prove) that the directors knew from the red flags that the corporate trauma was coming and nevertheless forged ahead for reasons unrelated to the best interests of the corporation. “The decision about what to do in response to a red flag is one that an officer or director is presumed to make loyally, in good faith, and on an informed basis, so unless one of those presumptions is rebutted, the response is protected by the business judgment rule.” McDonald’s Directors, 2023 WL 2293575, at *17.
What a corporate fiduciary cannot do, however, is make a business judgment to
cause or allow the corporation to break the law. “Delaware law does not charter law breakers.” In re Massey Energy Co., 2011 WL 2176479, *20 (Del. Ch. May 31, 2011). As the Massey decision explains, Delaware law allows corporations to pursue diverse means to make a profit, subject to a critical statutory floor, which is the requirement that Delaware corporations only pursue “lawful business” by “lawful acts.” As a result, a fiduciary of a Delaware corporation cannot be loyal to a Delaware corporation by knowingly causing it to seek profit by violating the law. Id. at *20 (footnoted omitted). “[I]t is utterly inconsistent with one’s duty of fidelity to the corporation to consciously cause the corporation to act unlawfully. The knowing use of illegal means to pursue profit for the corporation is director misconduct.” Desimone v. Barrows, 924 A.2d 908, 934–35 (Del. Ch. 2007) (cleaned up). “[A] fiduciary may not choose to manage an entity in an illegal fashion, even if the fiduciary believes that the illegal activity will result in profits for the entity.” Metro Commc’n Corp. BVI v. Advanced Mobilecomm Techs. Inc., 854 A.2d 121, 131 (Del. Ch. 2004).
The business judgment rule plays no role in a decision to proceed in a way that
violates the law. As a result, there is a fundamental difference between the following two scenarios, each involving a legal assessment.
• In one hypothetical scenario, the lawyers say: “Although there is some room for
doubt and hence some risk that our regulator may disagree, we believe the company is complying with its legal obligations and will remain in compliance if you make the business decision to pursue this project.”
• In the other hypothetical scenario, the lawyers say: “The company is not currently in compliance with its legal obligations and faces the risk of enforcement action, and if you make the business decision to pursue this project, the company is likely to remain out of compliance and to continue to face the risk of an enforcement action. But the regulators are so understaffed and overworked that the likelihood of an enforcement action is quite low, and we can probably settle anything that comes at minimal cost and with no admission of wrongdoing.”
In the former case, the directors can make a business judgment to pursue the project. In the latter case, the decision to pursue the project would constitute a conscious decision to violate the law, the business judgment rule would not apply, and the directors would be acting in bad faith>>.

I sindaci devono informare la Consob di qualunque irregolarità riscontrata, anche di quelle apparentemente minori

Cass sez. II del 28.08.2023 n. 25.336, rel. Papa, per violazione dei sindaci dell’art. 149.3 tuf a seguito di incompleta informazione dell’ amminnstratore ex 150.1 tuf  su sottoscrizione di prestito obbligazinario in conflitto di interesse :

<<Nella specie, dunque, la sottoscrizione del prestito obbligazionario era stata segnalata come rilevante dall’Amministratore delegato, ma l’informazione non era stata evidentemente accurata e completa perché non aveva riferito della sussistenza di un potenziale conflitto di interesse all’operazione di un componente del C.d.a. in quanto amministratore pure dell’emittente.

Il difetto di segnalazione del potenziale conflitto rappresentava una “irregolarità” dell’operazione, rilevante ex art. 150 TUF e, perciò, da comunicare a CONSOB ex art. 149 comma 3 TUF.

Diversamente non può ritenersi, come sostenuto dai controricorrenti e recepito in sentenza, considerando la sopravvenienza della situazione di un’operazione con parte correlata, perché nella fattispecie si controverte della comunicazione dell’irregolarità rappresentata dalle carenze della relazione informativa da parte dell’Amministratore delegato, non delle conseguenze dell’informazione incompleta: la comunicazione che il collegio sindacale deve fare senza indugio alla CONSOB, ai sensi dell’art. 149, comma 3, T.U.F., riguarda tutte le irregolarità che tale collegio riscontri nell’esercizio della sua attività di vigilanza perché la legge non demanda ai sindaci alcuna funzione di filtro preventivo sulla rilevanza delle irregolarità da loro riscontrate, al fine di selezionare quali debbano essere comunicate alla CONSOB e quali non debbano formare oggetto di tale comunicazione; l’assolutezza del comando normativo emerge, oltre che dalla lettera dell’art. 149, comma 3, T.U.F. – in cui il sostantivo “irregolarità” non è accompagnato da alcun aggettivo qualificativo – anche dall’evidente ratio legis di evitare che i collegi sindacali debbano misurarsi con parametri di rilevanza/gravità delle irregolarità da segnalare alla CONSOB la cui concreta applicazione dipenderebbe da valutazioni inevitabilmente opinabili, così da risultare foriera di gravi incertezze operative e, in ultima analisi, da rischiare di pregiudicare proprio lo scopo della disposizione in esame, evidentemente volta a garantire alla CONSOB una completa e tempestiva informazione sull’andamento delle società sottoposte alla sua vigilanza.” (Cassazione civile, Sez. 2, n. 3251 del 10/02/2009; Sez. 2, n. 12110 del17/05/2018).

La Corte d’appello non ha osservato questo principio laddove ha ritenuto di poter escludere l’antigiuridicità dell’omessa comunicazione a CONSOB, da parte del Collegio sindacale, della incompletezza della relazione informativa da parte dell’A.d., dando rilievo a circostanze di fatto estranee e sopravvenute>>.

Nuova edizione dei principi di Corporate governance dell’OECD (anzi, G20/OECD)

Orizzonti del diritto commerciale dà notizia della e link alla nuova edizione dei  Principi di Corporate governance OECD (anzi G20/OECD).

Qui richiamo la parte sulla sostenibilità , cap. VI Sustainability and resilience.

Le relative regole mirano solo alla miglior profittabilità nel lungo termine.

Tale è lo scopo anche della misura più avanzata, il dialogo con gli stakeholders (VI.B. Corporate governance frameworks should allow for dialogue between a company, its shareholders and stakeholders to exchange views on sustainability matters as relevant for the company’s business strategy and its assessment of what matters ought to be considered material).

Genericissima la regola sulla partecipazione dei lavoratori, VI.D.3 (The degree to which employees participate in corporate governance depends on national laws and practices, and may vary from company to company as well. In the context of corporate governance, mechanisms for participation may benefit companies directly as well as indirectly through the readiness by employees to invest in firm specific skills. Examples of mechanisms for employee participation include employee representation on boards and governance processes such as works councils that consider employee viewpoints in certain key decisions. International conventions and national norms also recognise the rights of employees to information, consultation and negotiation).

Responsabilità dei sindaci e transazione dell’obbligazione solidale in una recente sentenza del tribunale lagunare

Trib sez. imprese Venezia 18 sagosto 2023 n. 1476/2023, RG 550/2016, rel Campagner, esamina una lite sulla responsabilità di amminsitratori e sindaci promossa dalla curatela.

Riporto solo i passaggi sui due temi in oggetto:

Sindaci:

<<La violazione di tali obblighi è fonte di responsabilità risarcitoria, quando il danno (per la società, per i soci o per i creditori) non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato e agito in conformità agli obblighi della loro carica.
Il che implica che l’accertamento della responsabilità dei Sindaci passa per un giudizio controfattuale, che impone di verificare se l’adozione del comportamento prescritto e l’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo avrebbero impedito la verificazione del danno, mentre essi non rispondono in modo automatico per ogni fatto dannoso che amministratori negligenti abbiano posto in essere.
Ne discende che per poter accertare la sussistenza della responsabilità dei sindaci in concorso omissivo con il fatto illecito degli amministratori, colui che propone l’azione ex art. 2407 c.c. ha l’onere di allegare specificamente quali doveri sono rimasti inadempiuti e quali poteri non sono stati esercitati dai sindaci e di provare il danno ed il nesso di causalità tra quelle omissioni ed il danno, nesso che può ritenersi sussistente “quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”
(art. 2407, comma 2 c.c.)>

Transazione dell’obbligo risarcirorio pro quota:

<<Le suddette transazioni si riferiscono senza distinzione alcuna all’azione già intentata dal Fallimento; come esplicitato nel testo, ciascuna transazione ha determinato lo scioglimento del vincolo di solidarietà passiva con ogni altro coobbligato concorrente e ha ad oggetto i soli crediti relativi alla quota astratta individuale di responsabilità di ciascun transigente.
Tenendo conto della distinzione tra transazione pro quota e transazione dell’intero debito (ipotesi alla quale è applicabile l’art. 1304 c.c.) come tratteggiata da C. Civ. S.U. n. 30174 del 2011, il contratto stipulato da ciascun transigente deve essere qualificato come transazione pro quota, tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore che vi aderisce; essa non può coinvolgere gli altri condebitori, i quali dunque nessun titolo avrebbero per profittarne, salvo ovviamente che per gli effetti derivanti dalla riduzione del loro debito in conseguenza di quanto pagato dal debitore transigente .

Si deve, infatti, ulteriormente precisare che, qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, come nel caso di specie, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto>>